Dovere e frammentazione

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            Nel prevalere economico del dovere quale espressione di un adempimento giuridico obbligazionario, si sono perse le altre forme del dovere etico e ricostituivo di una personalità dispersa, nella prima ipotesi è la necessità del rispetto di una alterità espressione di un rapporto biunivoco nel quale vi è un reciproco rapporto di fiducia, alterato il quale il dovere perde senso nell’alterazione del riflesso che il doppio dovere crea tra il sé e l’alter, vi è una obbligazione morale, un patto tra l’individuo e la società nel suo insieme, una morale in comune da rispettare, ma il dovere può essere anche espressione di un proprio riscatto, la necessità di un obbligo verso se stesso che ci permetta di acquisire un senso a quello che abbiamo già vissuto confusamente, trascinati dalle pulsioni del momento, il dovere come profondità dell’essere, affermazione dell’Io verso se stesso e quindi, attraverso il proprio agire, verso il mondo, l’azione come significato esplicito prima all’interno dell’individuo e poi all’esterno.

            Il dovere kantiano, che nel corso di tutto l’ottocento e novecento pervade l’Europa, “di compiere un’azione unicamente per rispetto della legge” indipendentemente dalle proprie inclinazioni, non solo per “conformarsi” ad essa quale pura azione legale ma per “rispetto” della legge, acquista un valore morale nel quale coincidono moralità e dovere, sia Benthan che Bergson polemizzano con questo concetto di dovere in nome di etiche fondate sull’interesse o sull’amore, il dovere diventa quindi per Bergson un’obbligazione morale consuetudinaria, fino a perdere nell’età contemporanea la rilevanza sia kantiana che stoica del conformarsi all’ordine razionale naturale del destino, lo sviluppo della scienza e della tecnica sembrano permettere all’individuo il superamento dei limiti naturali e del destino ad esso collegato, mentre il dovere kantiano viene rifiutato quale fondamento delle atrocità e degli abusi del novecento, in favore di un individualismo dell’utile e del piacere più confacente agli sviluppi economico-finanziari.

            L’adempimento del dovere kantiano comporta un giudizio morale indipendente da una buona o cattiva sorte, lo stesso accade se la violazione di tale dovere porta a buoni risultati, il giudizio rimane sempre negativo, questo ragionamento presenta per Nagel  il limite di volere considerare sotto controllo tutti i fattori che influiscono sull’agire, un limite che si aggiunge agli eccessi politici e sociali che il dovere kantiano ha manifestato nel corso del novecento, quando una qualsiasi dottrina autoritaria conquistato il vertice politico, aiutata dalla tecnologia, si è imposta come coscienza e dovere autolegittimandosi.

            La necessità di una sempre più spinta istituzionalizzazione della società a cui affiancare agenzie di socializzazione e grandi organizzazioni produttive, creano ruoli e modi di agire necessari propri delle funzioni di status, dei doveri deontologici (Searle) che costituiscono la base dei “poteri deontici”, permane comunque la necessità di una bivalenza nel dovere se si vuole  evitare il puro “conformarsi” alla norma con tutti i possibili aggiustamenti personalistici, il valore morale del “rispetto” della legge nella quale moralità e dovere coincidono avviene solo in una reciprocità dei doveri, ma questo è anche frutto del ruolo della famiglia e dei gruppi nell’organizzazione sociale.

            Dalla monoliticità dello Stato ottocentesco di matrice idealista che raggiunge l’apice nel secolo breve, si passa nell’attuale intreccio tra tecnologia e globalizzazione, alla sua frammentazione in una serie di gruppi, nella sua ricerca di una possibile flessibilità quale risposta alle difficoltà proprie di una rigidità organizzativa, ogni gruppo al fine di mantenere una sostanziale unità non può che definire una condivisione di valori fondati su un sistema di norme, la “norma” non è altro che la condivisione di una scala di valori su cui fondare le reciproche aspettative tra i membri del gruppo, questo comporta ordine e prevedibilità nel caotico contesto del vissuto quotidiano, ma anche strutture di riferimento necessarie alla interpretazione del mondo.

            Nell’individuare le finalità del gruppo si determinano diritti e doveri e le norme comportamentali, ma il dovere nei confronti del gruppo, la lealtà verso di esso, è il risultato di una “latitudine di accettazione” tra i membri e nei confronti dei leader, i quali sebbene forniti di un maggior grado di autonomia non possono deviare sulle questioni fondamentali se non si vuole che si spezzi il concetto di dovere, trasformando il “rispetto” in un puro e semplice “conformarsi”, la frammentazione crea pertanto l’impossibilità di un dovere unitario ed il prevalere di doveri relativi in una scala d’importanza invertita.

            Festinger osserva esservi in molte culture occidentali, ma anche in alcune orientali, una “pulsione unidirezionale”alla reciproca concorrenza verso una rincorsa al superamento delle prestazioni altrui, questo comporta una instabilità relativa nel gruppo a cui il concetto di dovere funge da contraltare e temperamento, la non esatta e trasparente regolamentazione di  questa “pulsione ascendente” può condurre all’ulteriore affievolimento del concetto di reciproco dovere, nel raffronto che l’individuo effettua con gli altri questo sia nel gruppo che fuori dal gruppo (ipotesi della somiglianza), il “ruolo”, che ciascuno riveste nel gruppo, contribuisce ad ordinare il funzionamento del gruppo stesso e in esso nascono gli obblighi e i diritti, obblighi che possono assumere la valenza etica del dovere nel momento in cui non solo corrispondono ad una relazione ma diventano struttura dell’essere, definizione di sé nell’ambito del gruppo stesso, ma il ruolo è relazionato anche dallo “status” che presuppone la capacità di produrre idee, progetti per il gruppo, un prestigio che può risolversi e rafforzarsi eticamente in un “dovere” che si riflette sugli altri ruoli del gruppo creando ed esigendo un “dovere”, al fine del riconoscimento dell’esistenza di una “interdipendenza del destino” (Lewin).

            Come nei gruppi sociali anche la famiglia è fonte e radice della formazione di modelli normativi, la prima espressione di un dovere etico il cui venire meno trasforma tutto in una contrattazione perenne, una obbligatorietà solo giuridica e pertanto per definizione provvisoria secondo il modello di società liquida di Bauman, funzionale ad uno Stato fluido e flessibilmente frammentato, senza chiari indirizzi se non puramente a breve termine, secondo un modello speculativo, in cui i rapporti sociali si  riducono a semplici rapporti contrattuali formali o informali a seconda dei rapporti di forza e del contesto.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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