Donazione di cosa altrui e usucapione

Maira Roberta 19/04/16
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L’istituto giuridico della donazione presenta molti aspetti controversi, uno dei quali riguarda la donazione di cosa altrui ed, in particolare, il rapporto tra tale tipologia di donazione e l’usucapione, a seguito delle recenti modifiche a livello giurisprudenziale.

Ci si domanda se, in sede di stipula del contratto di donazione di cosa altrui, il dante causa, ossia il donante, sia legittimato a disporre in via devolutiva nei confronti del suo avente causa, il donatario, di un bene che, al tempo di detta stipula, non rientra nel suo patrimonio. Dunque il contratto di donazione di cosa altrui può essere ritenuto un “titolo astrattamente idoneo” al trasferimento del diritto di proprietà sul bene appartenente al patrimonio di altro soggetto al tempo della stipula?

Fatte tali premesse, sono due le questioni da affrontare:

  1. il dibattito giurisprudenziale che distingue, da un lato, la nullità del negozio della donazione di cosa altrui e, dall’altro, la validità ma inefficacia di detto negozio;
  2. in secondo luogo come tale nullità od inefficacia rilevino ai fini dell’applicazione dell’art. 1159 c.c., che disciplina l’istituto dell’usucapione decennale abbreviata.

Prima di analizzare le due questioni di cui sopra, occorre esaminare l’istituto della donazione, ex art. 769 e ss. C.c.

La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a suo favore di un suo diritto oppure assumendo una obbligazione. Dunque gli elementi costitutivi della donazione sono:

  • l’arricchimento di un soggetto terzo con relativo depauperamento del donante,
  • lo spirito di liberalità, ossia la consapevolezza dell’uno di attribuire all’altro un vantaggio patrimoniale, in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale.

In particolare, l’art. 771 c.c. disciplina l’istituto della donazione di beni futuri. Il primo comma dispone che oggetto di donazione possono essere unicamente beni presenti nel patrimonio del donante, e, da ciò, il legislatore desume la nullità della donazione di beni futuri. Importante è analizzare il concetto di “res futura”, difatti, secondo una concezione classica possiamo distinguere tra due tipologie di cose future. Da un lato, le cose “soggettivamente future”, ossia  quelle esistenti in natura ma non rientranti nel patrimonio giuridico del donante, poi quelle “oggettivamente future”, ossia non esistenti in natura e non rientranti neppure nel patrimonio di alcun soggetto.

Chiarito quanto sopra, con riferimento alla prima questione, è opportuno valutare come si sia posta la giurisprudenza in merito alla definizione di “cosa altrui”. Conformemente ad un orientamento tradizionale, al concetto di “cosa altrui” si applica un’interpretazione estensiva ben consolidata della definizione di “cosa futura”, con la conseguenza che sarà applicabile la disciplina di cui all’art.771 c.c. e, dunque, il negozio giuridico di donazione di cosa altrui concluso dalle parti sarà assolutamente nullo (Cass. Civ. n. 6544/1985). Dello stesso avviso è la dottrina.

Al contrario, altra tesi sostiene che l’art. 771 c.c. abbia una natura eccezionale e si interpreti restrittivamente e, pertanto, non può ritenersi che la cosa futura ricomprenda altresì la cosa altrui ma unicamente i beni non ancora esistenti in natura. Questa interpretazione, dunque, conduce a ritenere che la donazione di cosa altrui non è nulla bensì inefficace (Corte di Cass. 5 Febbraio 2001, n.1596).

Con riferimento a tale problematica la più recente giurisprudenza di legittimità ha appoggiato l’orientamento tradizionale, affermando la nullità del negozio donativo di beni altrui. In particolare, se l’ordinamento prevede, in via generale, la validità sia degli atti aventi ad oggetto beni futuri, che di quelli aventi ad oggetto il patrimonio altrui, la disciplina della donazione prevede la nullità di tutti gli atti donativi aventi ad oggetto beni futuri, allo scopo di limitare eccessivi atti liberali impoverendo il donante.

In merito alla seconda questione, occorre comprendere come la validità o l’invalidità del negozio della donazione di cosa altrui influisca sulla idoneità traslativa dello stesso, e quindi, se operi l’usucapione.

Come noto, l’istituto giuridico dell’usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari, è disciplinato dagli art. 1158 e ss. C.c., quale modo di acquisto a titolo originario del diritto di proprietà, a seguito del possesso continuato per venti anni dei detti beni. In particolare, l’art. 1159 c.c., che disciplina l’usucapione abbreviata decennale, opera qualora sussistano le seguenti condizioni: acquisto a non domino in buona fede; titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto di proprietà, e la trascrizione di detto titolo.

A questo punto, dovremmo concludere che se si accetta la tesi della nullità del negozio della donazione di cosa altrui, detto titolo non sarebbe “astrattamente idoneo” al trasferimento della proprietà e dunque non opererebbe alcuna usucapione abbreviata. Mentre se si segue la teoria della validità ed inefficacia del negozio donativo, si avrebbe l’usucapione.

Ad oggi, tuttavia, quanto sopra affermato non risulta condivisibile. Difatti, a seguito dei numerosi interventi delle Sezioni Unite, si è pervenuti ad una differente soluzione.

Di notevole importanza, a tal proposito è la pronuncia della Corte di Cassazione, sez. II, n.10356 del 5 Maggio 2009. In particolare, la fattispecie sottoposta ai giudici di legittimità ha ad oggetto la donazione di un bene di cui il donante non ne è titolare al tempo in cui si è perfezionato il contratto. La Corte giunge a confermare la tesi della nullità della donazione di beni altrui posto che il divieto di donazione di beni futuri di cui all’art. 771 c.c. ricomprende tutti gli atti perfezionatisi prima che il loro oggetto entri a far parte del patrimonio del donante. Sebbene i giudici facciano questo tipo di ragionamento, essi concludono che il contratto di donazione di beni altrui può essere considerato astrattamente, e non in concreto, idoneo al trasferimento del diritto sul bene altrui donato. Di conseguenza detta donazione diviene utile ai fini dell’acquisto del bene mediante usucapione abbreviata, ex art. 1159 c.c.

Con tale sentenza la Corte ha voluto attenersi alla lettera dell’art. 771 c.c. considerando i beni altrui come “soggettivamente futuri”. Ed ha anche mostrato una certa praticità nel voler favorire la posizione del donatario che ha conseguito il possesso del bene, posto che l’acquisto del diritto si sarebbe verificato ugualmente se l’alienante ne fosse stato il titolare.

Stesso orientamento è stato assunto con la sentenza della Corte di Cassazione n. 12782 del 2013, la quale statuisce che la donazione di cosa altrui, sebbene non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla stregua di quanto scritto nell’ art. 771 c.c., poiché il divieto di donazione di beni futuri riguarda tutti gli atti che si sono perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante. Nonostante ciò, ancora una volta la Cassazione ribadisce che tale donazione è idonea a determinare in concreto il trasferimento del diritto reale, e, dunque, essa costituisce titolo affinché operi l’usucapione.

In conclusione, posto tutto quanto sopra enunciato, la donazione di cosa altrui rappresenta un valido “titulus adquirendi” affinché operi l’usucapione abbreviata, in quanto è sufficiente che detto titolo sia idoneo in astratto, e non in concreto, a trasferire il diritto reale sul bene appartenente al patrimonio di soggetto diverso dal donante.

Maira Roberta

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