Divorzio, ex moglie che sceglie di non lavorare e assegno di mantenimento

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In molte le famiglie le mogli scelgono di badare alla casa e fare le casalinghe per opportunismo e la loro scelta a volte non è condivisa dai mariti.
Il ruolo di madre e di casalinga è di sicuro sacro e nobile, al pari degli impegni di lavoro fuori delle mura domestiche, e anche la legge ne è consapevole, tutelando il lavoro domestico e che lo tutela mettendolo spesso in prima posizione rispetto ai diritti dell’eventuale datore di lavoro.
La maternità è tutelata nelle sue diverse forme e non ci dovrebbero esserci pregiudizi nello svolgere il doppio ruolo di madre e di dipendente o professionista.

Quello che dice la legge in caso di divorzio e che cosa rischia la moglie che non ha mai voluto lavorare, la soluzione si trova in un piccolo inciso spesso ripetuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione e, di recente, enfatizzato dalle Sezioni Unite in una pronuncia dello scorso luglio, precisamente, si tratta della sentenza n.18287/2018.
Al momento del divorzio il giudice deve prima decidere se assegnare o no alla ex moglie l’assegno di mantenimento, meglio noto come assegno divorzile.
Dopo avere fatto questa valutazione passa a definirne l’ammontare concreto secondo alcuni parametri stabiliti in parte dalla legge e in parte dai precedenti giurisprudenziali

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Alcune pronunce in merito

Secondo la Cassazione, a una donna disoccupata spetta il mantenimento se non più giovane e capace di procurarsi da un’altra occupazione.
Siccome la durata del matrimonio è uno degli indici che influiscono sull’ammontare del mantenimento, in un matrimonio durato pochi anni, dove entrambi i coniugi non superano 35 anni, difficilmente la donna, anche se senza lavoro, potrà sperare di ottenere gli alimenti.
La donna casalinga “giovane” è ancora capace di rendersi autonoma e autosufficiente.
A meno che, nella causa di divorzio, non dimostri di avere cercato lavoro, ad esempio inviando il curriculum o iscrivendosi alle liste di collocamento.
Il discorso è diverso per la moglie casalinga che ha superato i 50 anni di età, e qui gli indizi sono contro il marito.
Si presume che lei abbia rinunciato a un impiego per favorire l’uomo.
Con il suo lavoro domestico ha consentito al coniuge del sesso forte di “spingere l’acceleratore” sulla sua carriera.
In presenza di simili circostanze, il giudice deve valutare il ruolo che ha avuto la moglie nell’incremento del patrimonio familiare.
Se ha fatto la casalinga, anche non portando soldi a casa ha contribuito lo stesso alla ricchezza del marito, evitando che costui spendesse soldi in baby sitter e domestiche e garantendogli di potersi dedicare al lavoro e alla carriera.
Se l’uomo ha uno stipendio più alto è perché ha potuto fare gli straordinari, perché non è stato costretto a un part time per accudire i figli nel pomeriggio, perché ha potuto spendere gran parte della giornata sulla sua attività.
C’è inciso molto importante del quale si deve tenere conto.
Il giudice, quando valuta il “contributo fornito dalla moglie al patrimonio familiare”, cioè per quanto tempo ha fatto la casalinga rinunciando al suo guadagno, deve anche verificare se questa circostanza è il frutto di una scelta condivisa tra i coniugi.
In questo inciso c’è la spiegazione alla questione legale.
Se il marito, anche se non è facile, dovesse riuscire a dimostrare nel corso del processo che la moglie non ha mai voluto trovare un impiego nonostante le sollecitazioni ricevute da lui, per lei il mantenimento sarebbe a rischio.
Si aprirebbe la porta a una valutazione di non meritevolezza dell’assegno.
In assenza di prove non è possibile, a meno che il marito fosse previdente, e avesse registrato ogni conversazione intrattenuta con la moglie su questo argomento.
Un comportamento non molto “ortodosso” che gli garantirebbe qualche margine di vittoria.

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Guida alle buone prassi per la composizione del contenzioso familiare

Negli ultimi anni il principio di bigenitorialità rappresenta sempre più il principale punto di riferimento per tutti coloro che, a vario titolo, sono chiamati a confrontarsi con la crisi della famiglia conseguente alla separazione dei genitori. La fine dell’unione di coppia deve preservare la responsabilità genitoriale e l’accesso dei figli ad entrambi i genitori e ad entrambe le stirpi, nonni e famiglie di origine. Si promuove così la qualità della funzione genitoriale e la lealtà dei figli verso la famiglia e le sue storie generazionali; non esclusivamente verso l’uno o l’altro dei mondi genitoriali. Il percorso della separazione evolve in tempi non brevi e passa attraverso varie fasi. Riguarda l’aspetto mentale, sia sul piano cognitivo che emotivo, la relazione con l’altro e con i figli e la riorganizzazione del funzionamento della famiglia anche nella quotidianità. Può dare luogo a conflitto anche di elevata intensità con il rischio di pregiudizio di un adeguato esercizio della responsabilità genitoriale in una fase molto delicata della vita della famiglia.È dunque maturata negli operatori – sia provenienti dalla cultura psicosociale che giuridica – la convinzione che la tutela giurisdizionale dei diritti non sia il modo più appropriato e completo per la neutralizzazione del conflitto familiare, mai comunque di prima scelta. Legislatore, giudici ed avvocati sono dunque alla ricerca di modalità alternative al processo che consentano una gestione più costruttiva del conflitto familiare, utile a salvaguardare il più possibile l’unità genitoriale al di là della separazione della coppia.Queste modalità alternative si sono articolate in tempi recenti in una tipologia di buone prassi nella composizione del contenzioso familiare tra loro anche molto diverse: tutte utili allo scopo, ma ciascuna nell’appropriato contesto. Il presente manuale si offre agli operatori come prima guida di consultazione entro questo panorama così eterogeneo per consentire un’adeguata opportunità di informazione e scelta alle parti.Cesare BulgheroniAvvocato, è professore a contratto del corso di diritto dell’ADR e di quello di tecniche di gestione dei conflitti presso la LIUC, Università Cattaneo di Castellanza, nonché professore a contratto presso l’Università dell’Insubria a Como del corso di diritti religiosi e mediazione familiare e comunitaria. È mediatore civile, commerciale e familiare, formato al metodo della coordinazione genitoriale. Docente accreditato al Ministero di Giustizia per la formazione dei mediatori ai sensi del DM 180/10. Consigliere dell’Ordine Forense di Varese per oltre un decennio. Si occupa professionalmente di mediazione e gestione dei conflitti dal 1998. Mediatore presso l’Ordine Forense di Milano, Busto Arsizio e Varese. Autore di numerosi lavori in materia di mediazione civile e familiare. Ricercatore e critico dei sistemi di soluzione delle controversie alternativi al giudizio ha preso parte a numerosi convegni e gruppi di lavoro in tema di alternative dispute resolution.Paola VenturaAvvocato mediatrice familiare e civile; è formata alla Pratica Collaborativa, nonché al metodo della Coordinazione Genitoriale. All’interno dello Studio Legale LA SCALA S.T.A.P.A. (di cui è fondatrice), svolge attività professionale nell’ambito del diritto di famiglia, family office e quale esperta ADR in generale. Da oltre vent’anni si occupa di gestione del conflitto, di mediazione e A.D.R., sia come mediatore che come formatore. È docente accreditato al Ministero di Giustizia per la formazione dei mediatori ai sensi del DM 180/10. È membro del comitato scientifico dell’Associazione dei professionisti collaborativi – AIADC. Ha svolto attività di formazione per numerosi enti (Università e Associazioni Forensi) nell’ambito della mediazione civile e familiare, e, più in generale degli strumenti ADR.Marzia BrusaPsicologa Esperta in Psicologia Giuridica. Consulente Tecnico d’Ufficio per il Tribunale di Varese e Consulente Tecnico di Parte sul territorio nazionale. Formata al metodo della Coordinazione Genitoriale. Socio fondatore dell’Associazione Italiana Coordinatori Genitoriali e membro del Consiglio Direttivo. Ha esperienza decennale all’interno dei Servizi Tutela Minori, dove ha gestito casi di famiglie con minori su provvedimento dell’Autorità Giudiziaria in ambito civile e penale. È una delle socie fondatrici dello studio Teseo – Centro di Consulenza per la Famiglia, dove lavora in collaborazione ad altre figure professionali (sociali, psicologiche e legali) per la presa in carico integrata dei nuclei familiari in situazioni di crisi. All’interno dello Studio svolge attività clinica, oltre che di supervisione e formazione. Si occupa in particolare di percorsi di valutazione e sostegno alle capacità genitoriali e alla gestione della co-genitorialità in regime di separazione o divorzio.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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