Il divieto di patto commissorio e il nuovo art. 120-quinquiesdecies TUB (inadempimento del consumatore)

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Il divieto di patto commissorio e il nuovo art. 120-quinquiesdecies TUB (inadempimento del consumatore)

La norma di cui all’art. 2744 c.c. prevede la nullità del patto col quale si conviene che in caso di inadempimento del debitore, nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. La nullità si configura anche qualora questo sia posteriore alla costituzione che si esprime con lo stesso tenore.

Dunque il divieto di patto commissorio rappresenta una valvola di sicurezza contro gli abusi che un creditore può compiere ai danni di un suo debitore per l’adempimento dell’obbligazione oggetto di garanzia, assurgendo, in una prospettiva ermeneutica di tipo funzionale-sostanziale, a principio generale dell’ordinamento volto a sanzionare l’illiceità di un determinato risultato.

Al fine di chiarirne la ragione giustificatrice, la letteratura offre un vario ed ormai ampiamente noto panorama di interpretazioni teleologiche della norma al centro del dibattito.

Riprendendone le principali va ricordato come l’opinione tradizionale fa riferimento  alla necessità di proteggere il debitore dalle pressioni, anche morali, del creditore che aspira ad ottenere la proprietà del bene, nonché dal pericolo di sproporzione tra valore del bene ed importo del credito che talvolta raggiunge connotazioni usurarie.

Diversamente, un’altra teoria minoritaria scorge la base del divieto del patto commissorio in un generale principio di inderogabilità delle procedure giudiziali da parte dell’autonomia privata, principio che vieterebbe l’autotutela esecutiva nel nostro ordinamento.

Una tesi più recente e largamente condivisa ritiene che il divieto in parola poggi sulla necessità di protezione delle ragioni degli altri creditori sul patrimonio del debitore, patrimonio che costituisce la loro garanzia comune ex art. 2740 c.c.: il creditore garantito dal patto commissorio sarebbe titolare di un’inammissibile prelazione atipica.

Non sono poi mancate soluzioni miste, tra le quali merita di essere menzionata quella che  legge la ratio dell’art. 2744 c.c. congiuntamente nella tutela del debitore contro le pressioni del creditore e nella salvaguardia del principio della par condicio creditorum.

Queste ultime letture si sono rivelate inadeguate perché non riescono comunque a spiegare la diversità della sanzione di nullità rispetto alle sanzioni come rescissione e  inefficacia relativa che il sistema appresta per la tutela degli interessi dei debitori.

In ultima analisi, secondo autorevole dottrina, il problema dell’individuazione della ratio del divieto del patto commissorio si risolverebbe  elevando gli interessi particolari del debitore e quelli degli altri suoi creditori al livello di un piano generale. L’interesse generale presidiato dall’art. 2744 c.c. sarebbe pertanto ravvisabile nell’opportunità di evitare il diffondersi di un patto potenzialmente usurario e quindi socialmente pericoloso, che se fosse lecito si presterebbe a divenire clausola di stile e a sostituire le tradizionali tecniche di garanzia reale. In questa prospettiva, la ratio della nullità consisterebbe proprio nell’apprestare un rimedio preventivo, più efficace rispetto a quello successivo e capillare che si effettua a livello giudiziale contro il pericolo del diffondersi di un pregiudizio sociale.

Una corretta qualificazione giuridica dell’istituto appare indispensabile per comprendere come detto divieto trovi applicazione anche nei patti commissori c.d. autonomi con cui la proprietà di un bene determinato del debitore si trasferisce in capo al creditore svincolato da una costituzione di pegno o ipoteca (accordi sospensivamente condizionati) oppure con cui la proprietà della cosa si consolidi in capo al creditore in caso di inadempimento, o l’acquisto si risolva in caso di adempimento (accordi risolutivamente condizionati).

Lo scopo della garanzia si rivela essere la vera causa della stessa operazione, inconciliabile con la causa di scambio, dal momento che il trasferimento della proprietà è meramente provvisorio, ed esprime, perciò, una causa illecita che rende applicabile, all’intero contratto, la sanzione dell’art. 1344 c.c.

A conferma di quanto detto, la Corte di Cassazione, con sentenza del 21 gennaio 2016, n. 1075, si è pronunciata sui caratteri del divieto di patto commissorio sancito nell’art. 2744, c.c., affermando che lo stesso si estende a qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente lecito e che venga impiegato per conseguire il concreto risultato, vietato dall’ordinamento cioè di assoggettare il debitore all’illecita coercizione da parte del creditore. Difatti il debitore dovrà sottostare alla volontà del medesimo di conseguire il trasferimento della proprietà di un suo bene, quale conseguenza della mancata estinzione di un debito.

In particolare, dottrina e giurisprudenza hanno indicato nel corso degli anni contratti assimilabili al patto commissorio e di conseguenza ritenuti nulli: la vendita con patto di riscatto e le alienazioni in genere finalizzate a garantire un credito vantato dall’acquirente nei confronti dell’alienante; il mandato irrevocabile ad alienare senza obbligo di rendiconto; il patto di opzione; il contratto preliminare di compravendita; il riporto; il sale and lease back, in cui il negozio di finanziamento è un leasing finanziario.

Si tratta di contratti nei quali la nullità deriva dal configurarsi di un eccesso di garanzia del creditore e di responsabilità patrimoniale del debitore; eccesso che produce un arricchimento ingiustificato del creditore.

A tal proposito, è opportuno precisare come detta nullità del patto commissorio non sia in re ipsa (cioè nella stipulazione stessa di un patto commissorio), ma vada verificata in concreto sul piano dell’equilibrio negoziale, atteso che il divieto colpisce solo il patto commissorio sproporzionato.

Ciò discende dalla considerazione che solo l’effettiva operatività di un’alienazione a scopo di garanzia consente di giustificare l’applicazione dell’art. 2744 c.c. ai contratti sopra menzionati in quanto immeritevoli di tutela ex art. 1322, 2° co. c.c.

Ciò posto, l’ambito di applicazione dell’istituto in esame appare ancor meglio delimitato se si tiene conto delle ipotesi in cui si configura la figura negoziale del patto marciano, di romanistica memoria, della quale vanno precisate le peculiarità.

Quest’ultimo prevede che il trasferimento della proprietà del bene costituito in garanzia sia subordinato alla stima del valore ad opera di un terzo al momento dell’inadempimento. Qualora il valore ecceda quello del credito, il creditore è tenuto a versare il surplus a favore del debitore, determinato da un terzo arbitratore sulla base di parametri predeterminati, oggettivi ed autonomi, e l’importo del credito. La più recente giurisprudenza, tra cui la sentenza della Corte di Cassazione n. 1625 del 28 gennaio 2015, ha ritenuto ammissibili anche differenti modalità di stima del bene emerse nella pratica, purché dal patto marciano risulti che il debitore perderà la proprietà del bene ad un giusto prezzo, determinato al momento dell’inadempimento, con restituzione della differenza rispetto al maggior valore. Non è necessario che il trasferimento della proprietà sia subordinato al suddetto pagamento, potendosi articolare la clausola nel senso di ancorare il passaggio della proprietà sia al solo inadempimento, sia alla corresponsione della differenza di valore.

In questo quadro normativo giurisprudenziale si inserisce la nuova “direttiva europea mutui” del 2014 n.17 (cd. Mortgage Credit Directive – MCD), la quale, secondo parte della dottrina striderebbe con il suddetto divieto imperativo.

Detta attuazione è avvenuta con l’emanazione del D. lgs. 72 del 21 Aprile 2016, il quale, accogliendo le sopraggiunte critiche, ha apportato significative modifiche alla stessa direttiva europea.

La norma rilevante in questa trattazione e sulla cui analisi occorre soffermarsi, è l’art. 120 quinquiesdecies in quanto disciplina i casi in cui il consumatore è in ritardo nei pagamenti delle rate di rimborso del credito e si procede pertanto all’avvio di procedure esecutive.

Essa esordisce facendo salva l’applicazione dell’art. 40, comma 2, TUB e coordinando quindi quest’ultimo con la nuova disciplina.

La ratio della disposizione sembra essere quella di snellire e abbreviare le procedure nel caso di inadempimento del debitore, mediante un accordo su meccanismi “privatistici” di escussione della garanzia.

In questo modo si evita di far necessariamente ricorso a procedure esecutive giudiziali che si dimostrano molto lunghe e complesse, riducendo pertanto il rischio e i costi esecutivi gravanti sul finanziatore in caso di inadempimento del debitore. Tale semplificazione, nell’intenzione del legislatore delegato e del legislatore comunitario, dovrebbe contribuire ad ampliare la disponibilità di credito da parte delle banche, migliorando inoltre le condizioni di prestito, a vantaggio dei debitori.

Più precisamente, in attuazione dell’art. 28 della MCD, l’art. 120 quinquiesdecies T.U.B. ha previsto infatti che, fermo restando il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., le parti del contratto di credito possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto medesimo, che in caso di inadempimento del consumatore, il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene, comporti l’estinzione dell’intero debito a carico del consumatore derivante dal contratto di credito anche se il valore del bene immobile restituito o trasferito o l’ammontare dei proventi della vendita è inferiore al debito residuo. Nell’ipotesi in cui il valore dell’immobile come stimato dal perito o l’ammontare dei proventi della vendita sia superiore al debito residuo, il consumatore ha diritto all’eccedenza.

Tra i presupposti applicativi disposti a tutela del consumatore spicca espressamente il divieto per il finanziatore di condizionare la conclusione del contratto di credito alla sottoscrizione della suddetta clausola ed il consumatore deve essere assistito, a titolo gratuito, da un consulente al fine di valutarne la convenienza.

In merito al quantum dell’inadempimento legittimante l’avvio della procedura di vendita del bene deve equivalere ad almeno diciotto rate mensili.

Sotto questo aspetto vi è stata una modifica rispetto all’originaria direttiva europea che prevedeva come sufficiente presupposto un inadempimento pari a sette mensilità.

E’ altresì stabilito come il valore del bene immobile oggetto della garanzia deve essere stimato con una perizia successiva all’inadempimento, da un perito indipendente scelto dalle parti di comune accordo ovvero, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, nominato dal Presidente del Tribunale territorialmente competente con le modalità di cui all’art. 696, comma 3, c.p.c.

Ciò posto, dall’esame della norma de qua emerge come essa, oltre che recepire quanto previsto dalla MCD, sostanzialmente si uniforma alle indicazioni della giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., 9 maggio 2013, n. 10986), la quale ritiene lecito il ricorso al patto marciano in quanto, a differenza del patto commissorio, vietato dall’art. 2744 c.c., non produce alcuna sproporzione tra l’entità del debito e il valore del bene dato in garanzia, preservando la sinallagmaticità del rapporto negoziale tra debitore e creditore.

Ciò deriva dalla circostanza che la stima del bene deve essere effettuata successivamente all’inadempimento e sussiste l’obbligo per il creditore di restituire al debitore l’importo eccedente l’entità del credito.

Pertanto, secondo la dottrina maggioritaria, appare dunque compatibile non solo con la Costituzione, ma anche con il codice civile sotto il profilo del rispetto del divieto di patto commissorio, di cui all’articolo 2744 del codice civile, il quale dispone la nullità del patto col quale si conviene che “in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”.

Nonostante siano stati apportati indubbi miglioramenti alla direttiva europea, alcune questioni interpretative rimangono irrisolte con riferimento al mancato rispetto della par condicio creditorum e allo squilibrio tra le parti nella stipula del contratto.

Innanzitutto, l’immediato trasferimento della proprietà dell’immobile alla banca vincolando il bene al soddisfacimento del creditore stipulante, lo sottrae all’aggressione degli altri eventuali creditori mantenendo al privilegiato la garanzia patrimoniale ordinaria per l’eventuale residuo creditorio.

Lo squilibrio tra le parti nella stipula del contratto, alla luce di una condizione di debolezza del debitore, è rinvenibile anche nel patto marciano applicato al contratto di mutuo ipotecario, nel quale la clausola di stima posteriore affidata a un terzo, incidendo unicamente sull’aspetto patrimoniale del negozio, potrebbe non essere sufficiente ad escludere a priori una coercizione da parte della banca.

E’ indispensabile che il debitore accetti in modo consapevole la clausola in oggetto e che la necessità di accendere un mutuo fondiario non lo spinga a compiere forzatamente una scelta non abbastanza ponderata.

Detti principi sono rinvenibili dallo stesso contesto eurounitario atteso che il divieto di patto commissorio non è previsto nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea.

Alla luce di quanto sin qui argomentato, la legittimità della nuova forma di autotutela privata delle banche, agevolata come detto dall’introduzione della clausola di salvaguardia dell’art. 120 quinquiesdecies TUB, dipenderà dalla coerenza della stessa con la suesposta volontà legislativa.

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