Disegno di legge sulla diffamazione, il testo all’esame dell’Aula. Discrezionalità dell’organo giudicante nella commisurazione della pena

Redazione 23/10/12
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Lilla Laperuta

L’Aula del Senato è oggi impegnata nell’esame del disegno di legge 3491 e connessi sulla diffamazione a mezzo stampa, nel testo licenziato dalla Commissione Giustizia.

Il provvedimento reca numerose modifiche alla L. 47 del 1948 e ad alcuni articoli del codice penale allo scopo di dare un riassetto alla disciplina della responsabilità per diffamazione nel nostro Paese, omogeneizzandola agli standard europei che prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive

Ai sensi dell’articolo 13 della citata legge del 1948, infatti, la diffamazione a mezzo stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, comporta la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a 258 euro, mentre gli articoli 594 e 595 del codice penale stabiliscono, rispettivamente, la reclusione fino a sei mesi o la multa fino a euro 516 per il reato di ingiuria e la reclusione fino a un anno o la multa fino a euro 1032.

Sul punto si ricorda che nella sentenza del 2 aprile 2009 (Kydonis c. Grecia) la Corte di Strasburgo condannando la Grecia al risarcimento di un giornalista ha ritenuto che “le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione” perché “il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni”. La Corta europea dei diritti umani (CEDU), dal canto suo, ha ribadito come la previsione del carcere sia “suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l’esercizio della libertà di stampa”. In particolare, la Corte ha precisato che la detenzione può essere ammessa solo in casi eccezionali, quando il giornalista incita alla violenza o all’odio. Negli altri casi, la previsione del carcere «è suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l’esercizio della libertà di stampa», impedendo «la partecipazione alla discussione su questioni che hanno un interesse generale legittimo». In pratica, se nell’ordinamento interno è stabilito il carcere nei casi di diffamazione (come il caso della Grecia , che ha una norma analoga all’articolo 595 del codice penale italiano) siamo in presenza di una violazione certa della Convenzione poiché la misura applicata è sproporzionata rispetto al reato.

Quello all’esame del Senato è tangibilmente un provvedimento difficile, e la difficoltà, per ammissione stessa del Guardasigilli Severino risiede nel bilanciamento di due esigenze diverse: da un lato, quella di non comprimere il diritto-dovere del giornalista di informare, dall’altro, quella di trovare forme di soddisfazione per la vittima. In questa direzione, ad avviso del Ministro, un ruolo centrale, “deve averlo la rettifica perché chi viene diffamato chiede più di ogni altra cosa che la sua reputazione venga restituita alla pubblica considerazione”.

Nel tentativo di contemperare le suesposte esigenze il testo alla luce degli emendamenti licenziati dalla Commissione Giustizia prevede le seguenti novità rispetto alla versione originaria:

a) le multe (da 5 mila ad un massimo di 100 mila euro), devono essere commisurate alla gravità dell’offesa e alla diffusione della testata. Affidato al giudice il compito di decidere la multa in base alla gravità del danno e alla diffusione del periodico;

b) espunto l’emendamento, a firma del senatore Caliendo (cd. «anti Gabanelli», in riferimento a Milena Gabanelli, giornalista e conduttrice del format di giornalismo d’inchiesta tv Report) che prevedeva la nullità, ai sensi del codice civile, di tutte le clausole che sollevano dalle conseguenze patrimoniali gli autori di eventuali reati a mezzo stampa, perché è l’editore o il proprietario della pubblicazione che si assume, per contratto, l’onere del danno per la responsabilità civile;

c) inserita l’aggravante per la diffamazione organizzata che subentra quando la diffamazione viene attuata in modo doloso da più attori, oltre che dall’autore dell’articolo;

d) riconfermata invece l’interdizione dalla professione da 1 a 6 mesi, che può essere prolungata fino a 3 anni in caso di recidiva.

 

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