Disconosce la firma sulla fideiussione per non pagare i debiti e/o per un indebito indennizzo: certe le condanne per responsabilità processuale aggravata ed ex art.89 cpc.

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L’importo della sanzione ex art. 96 comma III cpc può essere parametrato alla gravità della condotta temeraria e/o al valore del decreto ingiuntivo di cui illecitamente si procrastina la riscossione. Se la lite si fonda dolosamente su accuse infamanti è legittima anche la condanna per uso di espressioni offensive (art.89 cpc).

Le sentenze del Tribunale di Verona sez. IV civ. e del Tribunale di Lodi n.184 emesse rispettivamente il 12/4/13 ed il 12/3/13, ma depositata lo scorso 4 aprile affrontando due liti incentrate sul disconoscimento della sottoscrizione della fideiussione, hanno concluso nei suddetti termini. Tali principi sono novità rispetto ad altri analoghi casi sinora analizzati.

I casi. Un uomo agiva per il disconoscimento della firma apposta su una fideiussione per sottrarsi al saldo di un decreto ingiuntivo (€.832000) che aveva opposto. Il G.I, verificatane l’autenticità con una CTU su altri documenti (verbali e sentenza di separazione, patente etc.) ed un <<saggio grafico>>, lo condanna ad una sanzione ex art.96 comma III cpc pari al 4% del valore dell’ingiunzione di cu ha illecitamente ritardato di oltre due anni e mezzo il pagamento e/o l’esecuzione coattiva. Una donna agiva, in sede civile e penale, contro la cugina dopo aver saputo della segnalazione dell’insolvenza della loro impresa familiare alla centrale rischi e che aveva falsificato la sua firma nelle fideiussione chiesta alla banca. La disconosceva e, perciò, chiedeva un caro indennizzo anche all’istituto ed a chi aveva curato la pratica. Non c’era, però, alcuna segnalazione a suo carico: la sua qualifica di <<garante non escussa>> era stata cancellata non appena la banca era stata avvertita del falso. Pagherà un’esosa cifra sia per lite temeraria, sia per le accuse false ed infamanti mosse al bancario (art.89 cpc).

Se l’interessato acconsente è contestabile il falso? La cugina ammetteva di aver falsificato la firma attorea dopo averla informata delle sue intenzioni, ottenendone il consenso. Ciò non esclude il falso << in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta >> (Cass. n.42790/04). Non ha escluso nemmeno la temerarietà della lite.

La responsabilità processuale aggravata. È stata creata dalla dottrina e dalla giurisprudenza mutuando quella prevista dall’ormai abrogato art. 385 cpc «per il processo di Cassazione» (L.69/09). È una <<sanzione processuale civile>> che punisce l’abuso del ricorso alla giustizia, quando ciò denota una chiara colpa grave e/o la malafede, sì da incrementare il carico della giustizia, i costi sociali e comportare ingiustificati ritardi tali da ledere i diritti delle altre parti ed il fair play processuale (Tribb. Varese 02/10/12, Reggio Emilia n.1569/11 con nota di Milizia, Le nuove tariffe nei procedimenti sommari, nella chiamata del terzo in causa e nelle condanne ex art. 96 comma 1 e 3 cpc.,in www.dirittoegiustizia.it). È integrata <<verticalmente>> dagli stessi presupposti della lite temeraria, disciplinata dal I comma, con cui ha molte analogie e può essere chiesta in qualsiasi momento del processo (e per ogni tipo di giudizio, salvo la cause previdenziali per le quali è possibile richiedere solo la lite temeraria), anche alla precisazione delle conclusioni od è attribuita d’ufficio dal giudice. Può essere riconosciuta anche al terzo intervenuto in causa (artt.105-107 cpc).

Criteri di calcolo dell’importo della sanzione. Si noti che il legislatore ha lasciato carta bianca su tali modalità, perciò la giurisprudenza, ancora una volta, ha colmato questa lacuna. Infatti il tribunale di Verona con la sentenza del 21/03/11 ha previsto una forbice tra un minimo di un quarto ed un massimo del doppio delle spese di lite (Trib. Piacenza15/11/11 e Cass. sez. VI ord. 21570/12). La condanna ex art. 96 comma III cpc, poi, deve essere parametrata alla gravità dell’abuso, come nella seconda fattispecie ed/od ai criteri dettati dall’art. 614 cpc (valore della causa, natura della prestazione ed entità del danno). Può essere liquidata anche in via equitativa.

Elementi da cui desumere la malafede o la colpa grave. Nella seconda pronuncia il G.I ha rilevato come tali circostanze siano desumibili << da comportamenti specifici della parte secondo un giudizio di inferenza proprio dell’accertamento della sussistenza dei fatti illeciti, civili e penali. >>. Nel nostro caso l’aver intentato l’azione di risarcimento senza fornire alcuna prova, come era suo onere, dei presunti illeciti era un indice palese <<di uno stato soggettivo di colpa grave, se non addirittura di mala fede.>>. La condanna per responsabilità processuale aggravata è stata commisurata alle spese di lite, aumentate delle percentuali consentite dal DM 140/12.

Un nuovo criterio di calcolo? Il G.I lodigiano, invece, ha elevato una sanzione pari al 4% del valore del decreto ingiuntivo illecitamente opposto. È molto severa se si considera che, <<tenuto conto della semplicità della controversia>>, ha ritenuto equo ridurre a metà le liquidate spese di giustizia.

Indennizzate le false accuse al bancario. Integra l’ipotesi di uso di espressioni sconvenienti, ex artt. 89 cpc e 598 cp, accusare il bancario di complicità nel falso, in entrambi i citati processi (Cass. civ. sez. I n.2188/92). In realtà, non avendo alcun potere di autenticazione della firma, aveva correttamente verificato la corrispondenza con quella depositata in banca. La lesione del suo onore era aggravata dal fatto che ne era stato informato il suo datore con gli ovvi rischi che questa calunnia comportava.

Dott.ssa Milizia Giulia

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