Diritto processuale contabile -il regolamento delle spese nei giudizi di responsabilita’ amministrativa per danno erariale conclusisi con l’ assoluzione del convenuto – disciplina normativa e principi- sentenza sez. Giur. Basilicata n. 159/2006- si segnal

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La tematica del regolamento delle spese nei giudizi di responsabilità conclusisi con l’ assoluzione del convenuto riveste particolare interesse ed è stata da ultimo rivisitata a seguito dlela introduzione di cui all’ art. 10 bis – comma 10°-del D.L. n. 203/2005 convertito in L. n. 248/2005. Pertanto, risulta innovato il quadro normativo di riferimento pregresso di cui all’ art. 3, comma 2-bis del D.L. n. 543/1996 conv. in L. n. 639/1996 (“In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’ art. 1 della L. n. 20/1994, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti sono rimborsate dall’ Amministrazione di appartenenza”) e di cui all’ art. 18 del D.L. n. 67/1997 convertito in L. n. 135/1997 (“Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale ed amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’ espletamento del servizio o con l’ assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’ Avvocatura dello Stato. Le Amministrazioni interessate, sentita l’ Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”). La nuova disposizione di cui all’ art. 10 bis succitato recita che le norme di cui sopra” si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’ art. 91 del c.p.c., liquida l’ ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’ Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate dall’ Amministrazione di appartenenza”.
La novella si riferisce testualmente all’ art. 91 del codice di rito; peraltro, sono da intendersi richiamate anche tutte le altre disposizioni che fanno sistema inscindibile con tale norma ed, innanzitutto, l’ art. 92 c.p.c., il quale prevede le modalità di tale liquidazione, nel senso che il giudice può escludere la ripetizione delle spese ritenute eccessive o superflue, nonché la compensazione parziale o totale delle spese fra le parti ove concorrano giusti motivi comunque da acclarare nella parte motiva della sentenza ( L. n. 80/2005). Di poi, deve ritenersi applicabile anche l’ art. 93 c.p.c. sulla distrazione delle spese a favore del difensore. Dal chè se ne desume che, dal disposto di cui all’ art. 91 c.p.c. come richiamato in novella, non sia possibile concludere per la obbligata liquidazione integrale delle spese legali documentate, senza alcuna possibilità di valutazione e/o di limitazione e/o di compensazione ( ***********, 2006 ).
Ne consegue che il Giudice contabile può procedere al rimborso modulandolo ovvero anche escluderlo in relazione alle modalità concrete della vicenda tenendo conto della sussistenza dell’ elemento oggettivo dell’ illecito e della esistenza di colpa anche se di grado lieve. Ulteriore corollario è che ben potrà liquidare il rimborso anche in fattispecie aggiuntive rispetto a quelle menzionate in ipotesi di rimborso stragiudiziale, pervenendo alla condanna per spese aggiuntive in caso di comportamento sleale di parte attrice o di responsabilità processuale aggravata sempre dell’ attore riferibile o meno che sia alla amministrazione asseritamene danneggiata. Atteso che attore nel giudizio di responsabilità è il Requirente ossia il P.M. contabile, ne deriva che siffatte evenienze possono ravvisarsi allorquando la sua domanda venga rigettata per motivi astrattamente conoscibili ovvero determinati da parte attorea quali i vizi di nullità ed inesistenza, le questioni preliminari di rito, le pregiudiziali di merito, la prescrizione. La giurisprudenza contabile non è pacifica sul punto. Se trattasi, invece, di pronunzia che escluda la responsabilità per mutamenti di fatto o di diritto successivi alla instaurazione del giudizio e, quindi, non conoscibili dall’ accusa, non potendosi invocare la ricorrenza di ipotesi integranti il proscioglimento del convenuto, il giudice deve procedere alla delibazione delle spese secondo il principio della cosiddetta “soccombenza virtuale” ( ad esempio: declaratoria di illegittimità costituzionale, ius superveniens ad efficacia retroattiva, una sentenza annullatoria di norme secondarie o regolamentari, un provvedimento di sanatoria ad opera dell’ organo competente, improcedibilità da jus superveniens od estinzione per qualunque causa, cessazione della materia del contendere per spontaneo adempimento del convenuto prima della definizione giudiziale della controversia ovvero per compensazione ).
Se, invece, si verte in ipotesi di soggetto che venga assolto da ogni addebito e che sia stato chiamato in causa iussu iudicis su istanza di un originario convenuto, le spese vengono determinate dal giudice che può farle gravare sull’ istante, ma non di certo sulla P.A. danneggiata.
Il giudice si pronunzia di ufficio sulle spese anche legali pur in mancanza di istanza ad hoc documentata salvo che la parte vittoriosa in giudizio abbia rinunziato espressamente alla condanna di controparte a dette spese. Se il giudizio si conclude con declaratoria di cessata materia del contendere anche per rifusione spontanea del danno da parte del convenuto ma permanga questione fra le parti sull’ onere delle spese, il giudice deve procedere ad accertare fondatezza di domande ed eccezioni delle parti stesse onde stabilire quale sarebbe stata la soccombenza virtuale se tale cessazione non fosse intervenuta ossia come se il giudizio fosse stato definito con pronunzia di merito. Il difensore munito di procura può chiedere la distrazione delle spese in suo favore in sentenza ( art. 93 1° comma-c.p.c. ). Altresì, finchè il difensore non abbia conseguito il rimborso che gli è stato attribuito, la parte può chiedere al giudice con l’ iter procedurale proprio della correzione delle sentenze, la revoca del provvedimento, qualora comprovi di avere soddisfatto il credito del difensore per gli onorari e le spese ( art. 93 2° comma c.p.c. ).
Il giudice contabile deve individuare l’ Amministrazione tenuta a rimborsare le spese giudiziali che è quella per cui la Procura ha agito in giudizio ossia quella asserita come danneggiata. essa può coincidere con la P.A. di appartenenza del convenuto ovvero con altra in caso di danno obliquo. E se le Amministrazioni danneggiate sono plurime, il giudice condanna ciascuna di esse pro quota in proporzione al rispettivo interesse in causa. Se vi è comune interesse di esse, può condannarle tutte o parte di esse in via solidale ( art. 97 1° comma c.p.c. ).
Essendo la liquidazione delle spese correlata ad una sentenza definitiva, va fatta dal giudice anche d’ ufficio pur in carenza di istanza della parte ed anche in mancanza di nota spese, salvo che detta parte non abbia espressamente rinunziato alla statuizione sul punto. Omettere pronunzia sulle spese integra motivo di impugnazione. In favore della parte vittoriosa in giudizio possono essere liquidate le spese ripetibili ( legali, di consulenza di parte, di custodia, quelle anticipate ai testimoni, ai corrispondenti fuori sede e via dicendo ). Le spese ed anticipazioni non comportano problemi particolari essendo gli esborsi solitamente documentati che il Legale sostiene per i propri atti e per portare avanti la causa . I diritti – di converso – sono il compenso per l’ attività procuratoria , mentre gli onorari sono il compenso per l’ attività defensionale svolta dal Legale.
Per quanto attiene le novità in materia introdotte dal decreto Bersani-***** ( D.L. n. 223/2006 ) convertito in L. n. 248/2006, deve osservarsi che per quanto qui rileva le tariffe forensi fisse e minime non sono più obbligatorie ma soltanto facoltative conseguendone che il giudice non sarà più tenuto ad applicarle nella liquidazione delle spese di giudizio. Per meglio dire, l’ abolizione della obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, fa sì che il giudice quando debba procedere alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali o di gratuito patrocinio lo faccia sulla base della tariffa professionale ( art. 2 ). In quanto al divieto del patto di quota lite, esso è venuto meno essendo stata prevista la forma scritta a pena di nullità ai fini civilistici per qualsivoglia pattuizione relativa ai compensi professionali futuri o già maturati.    
La sentenza che segue affronta la questione dianzi esaminata del riconoscimento del diritto   al rimborso delle spese legali sostenute in procedimento contabile.
 
 
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Sentenza n. 159/2006 del 5 giugno 2006 – Sezione giurisdizionale per la regione Basilicata – Comune – Amministratori – Riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali sostenute in un procedimento innanzi alla Corte dei conti (art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203/2005 convertito in legge n. 248/2005)
 
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SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA
Presidente f.f. (Relatore): V. Pergola
FATTO
La vicenda per cui è causa trae origine dall’adozione della deliberazione n. 26 del 29/9/2004 con cui il Consiglio comunale di Moliterno riconosceva, ai sensi dell’art. 94 del         d. lgs. n. 267/2000, la legittimità del debito fuori bilancio per l’importo di euro 6.757,37, pari alle spese legali sostenute in un procedimento innanzi alla Corte dei conti dai signori *****, A. S., ***** e *****, già amministratori comunali di Moliterno.
In precedenza, con sentenza n. 73 del 29/3/2001 la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Basilicata aveva condannato gli amministratori comunali innanzi citati al pagamento di euro 1.024,13 ciascuno, oltre interessi e spese di giudizio, per aver adottato due deliberazioni di rimborso delle spese legali sostenute da alcuni consiglieri comunali per la difesa legale in un procedimento penale innanzi al Tribunale di Lagonegro. Successivamente, con sentenza n. 162 del 28/4/2003 la seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello accoglieva l’appello promosso dagli amministratori di Moliterno condannati in primo grado ed annullava la sentenza n. 73 della Sezione Giurisdizionale per la Basilicata.
In data 18/3/04 gli ex amministratori sopra citati chiedevano il rimborso delle spese legali per un totale di euro 6.567,37, sostenute dagli stessi al fine di difendersi nei giudizi di primo e secondo grado svoltisi innanzi alla Corte dei conti ed il Comune di Moliterno con la suindicata delibera di C.C.        n. 26 del 29/9/2004 – trasmessa alla Procura della Corte dei Conti in ottemperanza di quanto previsto dall’art. 23 c. 5 della l.n. 289/2002 – ne riconosceva la legittimità. Le premesse della succitata delibera consiliare, tra l’altro, sottolineavano “che l’art. 3 del D.L. 23/11/96 convertito con modificazioni in legge 20/11/96 n. 639 prescrive che, in caso di definitivo proscioglimento, le spese legali sostenute dai soggetti sottopostial giudizio della Corte dei Conti, sono rimborsate dall’Amministrazione di appartenenza”. Il rimborso veniva poi effettuato con mandato di pagamento n. 149 del 25/1/2005.
L’atto introduttivo del presente giudizio evidenzia che nella fattispecie all’esame assume valore determinante il fatto che i giudici della II Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, facendo uso del proprio potere di statuire sul regolamento delle spese di giudizio, hanno dichiarato nella sentenza n. 162/2003 “ compensate le spese di giudizio in considerazione del danno comunque sopportato dal Comune di Moliterno”.
Il Requirente    sottolinea    che    con    riferimento   alle problematiche specifiche delle spese processuali nel giudizio contabile, è intervenuta la sentenza n. 17014 del 12/11/2003 delle SS.UU. della Cassazione che ha “concluso affermando che la sentenza, che ha rigettato la domanda di condanna del dipendente per responsabilità contabile ed ha provveduto sulle spese del giudizio (mediante dichiarazione di compensazione), si risolve nella sostanziale negazione del diritto al rimborso dalla amministrazione di appartenenza”. Ha poi richiamato varia giurisprudenza delle Corte dei Conti (tra cui anche diverse pronunce di questa Sezione) conformi al principio innanzi riportato.
Da quanto innanzi riferito, secondo il Requirente, deriva che il rimborso delle spese di giudizio per l’importo di euro 6.757,37 effettuato dal Comune di Moliterno va considerato indebito e quindi dannoso per le finanze comunali. Del predetto danno, aumentato di interessi, rivalutazione e spese di giudizio e ripartito in parti uguali tra gli odierni convenuti, sono stati chiamati a rispondere il revisore dei conti               dott. V. L. ed il responsabile del servizio finanziario del Comune sig.ra C. D., per aver espresso parere favorevole alla delibera in questione, determinandone in tal modo, per la funzione rivestita e per il profilo tecnico-giuridico dell’argomento, l’approvazione da parte del Consiglio comunale. Nell’interesse del convenuto L. si sono costituiti in giudizio gli avv.ti *******’**** ed *********’****, che, con memoria depositata in segreteria il 10.4.2006, hanno innanzitutto affermato che il riconoscimento del debito fuori bilancio effettuato con la delibera consiliare n. 26/2004, è stato assunto in perfetta aderenza della normativa di settore vigente ed alla consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti. Hanno poi contestato le conclusioni che l’attore ha tratto dalla sentenza n. 17014/2003 delle SS.UU. della Cassazione, affermando che “Dalla esegesi di detta sentenza emerge per tabulas….. il diritto al rimborso del soggetto pubblico assolto in un giudizio di responsabilità dinanzi al giudice contabile, da azionare nei modi di legge nelle opportune sedi giudiziarie”. I difensori hanno sottolineato la correttezza e la legittimità dell’operato del loro assistito, secondo la normativa e la giurisprudenza della Corte dei Conti, evidenziando il diritto al rimborso delle spese sostenute dal soggetto poi assolto, anche se soltanto per mancanza di colpa grave, sottolineando sia che la “colpa grave” è limite soggettivo del criterio legale di imputazione delle responsabilità finanziarie, mentre la “colpa” è esente da responsabilità per danno pubblico, sia che “la giurisprudenza prevalente di codesta Ecc.ma Corte, superando alcune incertezze iniziali, ha escluso la possibilità del giudice contabile di pronunciarsi sulla liquidazione delle spese legali in caso di assoluzione…”. Inoltre, secondo la difesa, i giudici contabili di appello, nel ritenere compensate le spese di giudizio, hanno fatto soltanto riferimento alle spese processuali ai sensi degli artt. 90 e seguenti c.p.c. e non al rimborso delle spese legali di cui all’art. 3, c.2 bis della l. n. 539/1996. Evidenziando, infine, comunque la mancanza di colpa grave da parte del loro assistito, considerato che la liquidazione del rimborso è stata effettuata dopo “i riscontri contabili dovuti e dopo aver acquisito agli atti il parere favorevole del Ministro dell’Interno n. 15700/5C1.445 e numerose sentenze della Corte dei Conti , tutte favorevoli alla liquidazione” i difensori hanno concluso perché il                    dott. L. sia mandato assolto, ed in via gradata per l’applicazione del potere riduttivo.
In difesa della sig.ra D. si è costituito in giudizio l’avv. ******, che con memoria depositata il 22.4.2006, ha contestato innanzitutto il contributo causale della relazione svolta dal responsabile del servizio finanziario all’approvazione della delibera come prospettato dalla Procura, evidenziando, di contro, che l’operato della sua assistita “si è limitato non già ad un parere di legittimità ma ad una relazione tecnica e quindi ad una disamina che dal punto di vista tecnico finanziario è perfettamente conforme alla normativa vigente all’epoca in cui gli atti sono stati adottati”. Ha anche sottolineato, tenuto conto della finalità dell’art. 3, c. 2 bis, del D.L. n. 543/1996, che in caso di proscioglimento da responsabilità per difetto di dolo o colpa grave l’Ente Locale è tenuto a rimborsare le spese legali sostenute dal dipendente, anche “per non incorrere in una ipotesi di danno erariale opposta a quella che oggi si vorrebbe contestare ma certa”. Asserendo che la D. è esente da dolo o colpa grave, poiché non aveva un potere discrezionale per giungere ad ignorare la sentenza assolutoria di Appello della Corte dei Conti ed il parere del Ministro dell’Interno n. 15700/5C1.445, il difensore ha concluso per il rigetto dell’avversa domanda “con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di giudizio”.
All’odierna pubblica udienza, tutte le parti hanno ulteriormente illustrato e ribadito gli argomenti svolti negli atti scritti, confermando le conclusioni ivi rassegnate.
Considerato in
 
DIRITTO
 
La domanda attorea (come ribadito e precisato dal P.M. nell’intervento in udienza) contesta essenzialmente agli odierni convenuti di aver determinato (attraverso i pareri emessi) il rimborso delle spese legali sostenute in un procedimento innanzi alla Corte dei Conti di accertamento di responsabilità, nonostante il fatto che la seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello con la sentenza n. 162 del 28/4/2003, assolutoria per mancanza di colpa grave, avesse negato il diritto al rimborso; il dispositivo della succitata sentenza così recita: “Dichiara altresì compensate le spese di giudizio in considerazione del danno comunque sopportato dal Comune  di Moliterno”.
Sulla problematica delle spese è preliminarmente opportuno ricordare brevemente la differenza tra spese legali e spese di giustizia, considerato anche che la difesa di L. ha sostenuto che “i giudici contabili di appello, nel ritenere compensate le spese di giudizio, hanno fatto soltanto riferimento alle spese processuali ai sensi degli artt. 90 ss c.p.c., e non al rimborso delle spese legali di cui all’art. 3, comma 2 bis, della citata l.n. 539/1996”. Esemplificative al riguardo sono le precisazioni contenute nella sentenza della Sez. I di appello n. 20/2006: ” Spese legali sono quelle sostenute dalle parti processuali (attore e convenuto) per conseguire il risultato voluto e perseguito nel processo e, pertanto (spese per avvocati, periti, etc.), esse si distinguono dalle spese di giustizia normalmente liquidate dal giudice contabile a titolo di rimborso per gli oneri connessi al funzionamento del servizio giustizia”.
Sulla disciplina delle spese nei giudizi per responsabilità amministrativo-contabile, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 17014/2003, hanno ribadito che l’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti (R.D. 13 agosto 1933, n. 1038) dispone che nei procedimenti contenziosi si osservano le norme e i termini della procedura civile, in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni di quel regolamento.
Si deve, quindi, ritenere che nei giudizi di responsabilità contabile si applicano anche le norme della procedura civile in tema di spese del processo, ispirate al principio che la parte soccombente deve sopportarne la condanna, sia pure con gli adattamenti derivanti dalla natura del giudizio. La struttura dei giudizi di responsabilità contabile, infatti, è tale che il Procuratore generale della Corte dei conti non può chiedere la rifusione delle spese legali, quando sia accolta la domanda di condanna, perché si tratta di parte pubblica, che esercita d’ufficio la relativa azione.
Allo stesso modo e per le stesse ragioni, il Procuratore generale non può essere condannato al rimborso delle spese in favore della parte che sia stata assolta.
Questo comporta che, in caso di rigetto della domanda del procuratore generale, la parte assolta deve farsi carico delle spese affrontate per la sua difesa.
Per sopperire all’inconveniente di far ricadere le spese sulla parte assolta, nell’ordinamento sono state introdotte norme particolari che, in vario modo, stabiliscono forme di assistenza legale in favore di dipendenti sottoposti a giudizio di responsabilità contabile. Volendo richiamare soltanto le norme ultimamente intervenute in materia va citata la legge n. 639/96, la quale, in sede di conversione del d.l. n. 543/96, contenente disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti, all’originario art. 3 ha aggiunto il comma 2 bis, secondo il quale “in caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 20/94, come modificata dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”.
E’ poi intervenuto l’art. 18, 1 comma, del d.l. 25/3/1997 n. 67, convertito con la legge 23/5/1997 n. 135 che, con riferimento ai giudizi di responsabilità civile, penale ed amministrativa, ha stabilito che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.
Come evidenziato da autorevole dottrina, “persistendo le perplessità applicative nella giurisprudenza contabile” sulle succitate norme, è intervenuto il legislatore con la l.n. 248/2005, inserendo, in sede di conversione del d.l. n. 203 del 30/9/2005, l’art. 10 bis, il quale al comma 10 così recita:” Le disposizioni dell’art. 3, comma 2 bis, del d.l. 23/10/1996 n. 543, convertito, con modificazione, dalla legge 20/12/1996 n. 639, e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25/3/1997 n. 67 convertito, con modificazioni, dalla legge 23/5/1997 n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c., liquida l’ammontare degli onorari spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”. In disparte il dissenso sulla “natura” della succitata norma intervenuto nel corso del giudizio tra l’attore e le difese dei convenuti (che hanno negato la natura interpretativa in considerazione degli elementi di novità dalla norma introdotti), va sottolineata la sostanziale irrilevanza della disposizione recata dal d.l. n. 203/2005 per decidere sulla colpevolezza o no degli odierni convenuti, atteso che essa, per il momento in cui è stata emanata, non poteva essere criterio di guida della condotta dei convenuti stessi al momento della redazione dei pareri resi in occasione dell’adozione della delibera consiliare n. 26/2004, sottolineandosi altresì che, anche a voler riconoscere ad essa natura interpretativa, la legge interpretativa ha un’efficacia retroattiva che non può comunque incidere sui rapporti già interamente esauriti, quale è quello su cui si verte dopo il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali disposto con la richiamata delibera n. 26/2004.
Pertanto la valutazione della condotta degli odierni convenuti va effettuata alla luce delle disposizioni di legge in vigore al momento dell’adozione dei pareri e dell’interpretazione giurisprudenziale di dette disposizioni.
E sono proprio i contrastanti orientamenti giurisprudenziali (a cui si è precedentemente fatto cenno allorquando si è detto che la dottrina ha sottolineato che essi hanno dato luogo alla necessità di una “norma interpretativa”) che inducono il Collegio a ritenere il comportamento degli odierni convenuti esente da colpa grave; infatti si ritiene che dall’espressione contenuta nella più volte richiamata sentenza di appello n. 162/2003 ““Dichiara altresì compensate le spese di giudizio”, non poteva dedursi inequivocabilmente la non rimborsabilità delle spese legali, come sostenuto dall’attore, mentre la colpa grave presuppone il “non intelligere quod omnes intelligunt” ovvero la macroscopica violazione di norme e l’assoluta inosservanza delle più elementari regole di buon senso.
Circa i contrasti giurisprudenziali va evidenziato che se non sono mancate pronunce che hanno affermato la permanenza (anche dopo l’entrata in vigore dall’art. 3, c. 2bis, del d.l.n. 543/1996) in capo al giudice contabile del potere di liquidare le spese legali (Sez II centr. n. 115/A/1999), numerosissime sentenze si sono espresse in senso opposto (ex plurimis: Sez. Riunite n. 22/1998, Sez. III centr.                     n. 270/A/1999, Sez I centr. n. 235/2002 e, più recentemente Sez Campania n. 291/2005, intervenuta dopo la già citata Cassazione n. 17014/2003). In particolare, la Sez. I Centr, con sentenza n. 345/A del 7.10.2002, ha affermato: “…non vi è luogo a pronuncia in ordine alle spese legali e di difesa, posto che secondo l’art. 18 del d.l. 25 marzo 1997 n. 67, convertito nelle l. 23 maggio 1997 n. 135, dette spese sono rimborsate dall’amministrazione presuntivamente danneggiata, nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Ciò comporta che l’obbligo del pagamento delle spese legali sostenuto dal convenuto assolto consegue ex lege dalla sentenza di assoluzione, ma non è costituito da questa, e nasce anzi al di fuori dell’ambito processuale nel quale l’amministrazione pubblica è istituzionalmente assente, sicchè il giudice contabile non può pronunciare riguardo alla rifusione delle spese legali da rimborsare”. Orbene, anche se non si volesse condividere la tesi difensiva precedentemente riferita circa il fatto che la sentenza di appello n. 162/2003 nel compensare le spese di giudizio abbia fatto esclusivamente riferimento alle spese connesse al funzionamento del servizio giustizia, non si può certo escludere che la giurisprudenza innanzi citata poteva indurre a tale interpretazione, il che comunque esclude la colpa grave secondo quanto precedentemente detto. E’ consolidato principio della giurisprudenza contabile quello secondo cui la colpa grave è esclusa in presenza di un quadro normativo incerto, purchè tale incertezza risulti da dati obbiettivi (ex plurimis Sez. Sicilia n. 181/1997, Sez. Puglia n. 3/1997); nella fattispecie all’esame sintomi obbiettivi dell’incertezza del quadro normativo sono indubbiamente il fatto che in materia ha ritenuto di dover intervenire nuovamente il legislatore con la “norma interpretativa” precedentemente richiamata ( art. 10 bis del d.l. n. 203/2005), nonché i contrasti giurisprudenziali innanzi esposti. Contrasti giurisprudenziali che esistono anche su un altro specifico punto sottolineato dalla Procura per sostenere la grave colpevolezza dei convenuti, richiamando varie pronunce (anche di questa Sezione) che hanno limitato il diritto al rimborso delle spese legali al solo caso di assoluzione per difetto di colpa e non anche a quelle assolutorie per difetto di gravità della stessa (tale è il motivo dell’assoluzione disposta con la sentenza di appello n.162/2003); infatti, in senso diametralmente opposto si è espressa la Sez. III, che con sentenza n. 18/2004 ha affermato che per la nascita del diritto al rimborso delle spese, la legge parla solo di “definitivo proscioglimento” e non c’è dubbio che tale è una sentenza di assoluzione anche se solo per difetto di gravità della stessa; prosegue la Sez III evidenziando che l’accertamento della gravità o no della colpa non può costituire una statuizione della sentenza ma solo una motivazione di essa, idonea solo a supportarla sul piano logico-giuridico, e che altri effetti da un siffatto accertamento non possono discendere, meno che mai quelli in ordine alla non spettanza del rimborso delle spese legali.
Da sottolineare che entrambe le difese hanno richiamato, al fine di escludere la sussistenza della colpa grave, il parere del Ministro dell’Interno n. 15700/5C. 1445, che afferma la rimborsabilità delle spese in argomento in caso di proscioglimento dei convenuti, richiamando proprio quanto detto al riguardo dalla succitata sentenza n. 18/2004 della Sez. III; indubbiamente anche il tenore di tale parere incide sull’elemento soggettivo dell’invocata responsabilità, concorrendo a deporre per la sua esclusione.
Nel descritto quadro di incertezza interpretativa delle norme, la terminologia usata nella sentenza n. 162/2003 della Sez. II per disporre circa le spese, non concorre come elemento di chiarezza ed inequivocabile riferimento per chi deve eseguire la pronuncia sul punto; la succitata sentenza infatti “dichiara altresì compensate le spese di giudizio….”; orbene, si tratta di termine differente da “spese legali” e “spese di giustizia” che sono quelli maggiormente usati nella distinzione tra le due tipologie di spese, di cui si è precedentemente fatto cenno all’inizio della parte in “diritto”, nonché adoperati ad esempio nelle già richiamate sentenze delle Sez. Riunite di questa Corte n. 22/1998 e delle Sez. Unite della Cassazione n. 17014/2003; “spese di giudizio” è termine comunque spesso ricorrente nella giurisprudenza, ad esempio viene usato dalla sez: III di appello, in alcune sentenze di condanna (n. 265/2002,n. 278/2002, n. 512/2003), quindi con inequivocabile riferimento alle spese connesse al funzionamento del servizio giustizia (c.d. spese di giustizia secondo quanto innanzi precisato); altre volte (vedasi Sez. ********** n. 182/2004, Sez. Liguria n. 592/2004, Sez. I centrale n. 343/A/2002), accanto all’esplicita pronuncia sulle spese legali, il termine “spese di giudizio” viene adoperato ancora con riferimento agli oneri di funzionamento del servizio giustizia, ma la chiara pronuncia su entrambe le tipologie di spese non origina incertezze interpretative: Nella “casistica” da ultimo riportata rientra anche la sentenza n. 213/2002 della Sez II centrale ( si sottolinea che è la stessa Sezione che ha emesso la sentenza n. 162/2003 che ha dato origine alla domanda risarcitoria per cui oggi è causa) nel cui dispositivo si legge: ” Spese di giudizio e legali compensate”. A fronte di quanto innanzi riferito, la laconica dichiarazione di compensazione delle spese di giudizio operata nella più volte richiamata sentenza n. 162/2003 – senza che si abbia modo di intendere inequivocabilmente a quale delle due tipologie di spesa si riferisca, visto anche che il termine è adoperato dalla stessa Sezione per indicare anche le spese di funzionamento del servizio giustizia – si pone come ulteriore elemento quanto meno di incertezza, che concorre ad escludere la colpa grave dei convenuti, atteso che dalla formulazione della sentenza non si può dedurre inequivocabilmente che la sentenza avesse negato il diritto al rimborso delle spese legali, come la domanda attorea presuppone.
Considerato il mancato accoglimento della domanda attorea, occorre pronunciarsi sulle spese legali relative al presente giudizio. Va innanzitutto rilevato che entrambe le difese non hanno depositato la “nota delle spese” come stabilito dall’art. 75 delle disposizioni di attuazione del c.p.c., che prevede che “Il difensore al momento del passaggio in decisione della causa deve unire al fascicolo di parte la nota delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese, con riferimento all’articolo della tariffa dal quale si desume ciascuna tariffa”. Pertanto si ritiene di dover soltanto affermare il diritto al rimborso delle spese legali con le modalità previste dall’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203/2005 convertito in legge n. 248/2005, richiamando anche quanto condivisibilmente affermato di recente dalla Sez. I centrale con sentenza n. 26 del 27.1 2006, che si esprime nei seguenti termini: “Le spese legali sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza” (art. 2bis legge 20.12.1996 n. 639), “nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato” (d.l. 25.3.1997 n. 67, conv. nella legge 23.5.1997 n. 135, art. 18); anche quando, “in caso di proscioglimento nel merito”, il Giudice pronuncia, al riguardo, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comunque “resta fermo il parere di congruità dell’Avvocatura dello stato (circa) le richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza” (art. 10bis comma 10 del d.l. 30.9.2005 n. 203, conv. nella legge 2.12.2005 n. 248). In sostanza, poiché l’amministrazione è obbligata a rimborsare in conformità al parere dell’avvocatura dello Stato, la pronuncia, al riguardo, è del tutto irrilevante, ai fini pratici; può, al più, essere indicativa, nei limiti del suo autonomo apprezzamento, per l’Avvocatura dello Stato, creando, però, situazioni insostenibili da parte dell’amministrazione, in presenza di un giudicato da eseguire e di un parere, al quale conformarsi, divergente”.
Le spese di giustizia, nel caso in cui, come nella specie, non sia accolta la domanda dell’attore di parte pubblica, non possono essere compensate; quindi, come da prevalente giurisprudenza della Corte dei Conti, ed in particolare di questa Sezione, alla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, le spese di giustizia sono nulle. 
 
P.Q.M.
 
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:
a)   assolve   i   convenuti   D.   C.    e
L. V.   dagli   addebiti   contestati   nell’atto
introduttivo del presente giudizio;
b) dichiara il diritto al rimborso delle spese legali con le modalità previste dall’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203/2005 convertito in legge n. 248/2005;
c) nulla per le spese di giustizia.
Così deciso in Potenza, nella Camera di Consiglio del 16 maggio 2006.
 
                     

Depositata in Segreteria il 05.06.2006

Francaviglia Rosa, Brunelli Marco

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