Diritto penale del nemico: le fattispecie penali presenti nel codice penale

Redazione 09/10/18
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La teoria del diritto penale del nemico, di creazione teorica, intende rappresentare non una violazione al sistema penale, quanto più la creazione di un altro diritto penale: quello del nemico. Si viene a formare, quindi, un diritto parallelo e separato rispetto a quello vigente.
I due binari, sul piano dei diritti, esibiscono due livelli di garanzia diversa, perché si rivolgono a due categorie differenti di soggetti: il primo vige per il cittadino ordinario; il secondo, invece, risulta essere un strumento da poter impiegare contro colui che si rilevi nemico all’interno di una data società.
Ammettere l’esistenza di questa teoria, permetterebbe allo Stato di punire il nemico secondo le norme, non già di diritto, bensì di guerra.

I diversi autori di reato

Tale assunto è immaginato come una sorta di binario parallelo al diritto penale del cittadino e da questo, completamente staccato. Il diritto penale del nemico non si occuperebbe delle diverse tipologie di crimini, bensì dei diversi autori di reato.
Si intende, perciò descrivere in che modo il diritto vigente distingue tra la pena da somministrare ad un cittadino che ha commesso un delitto e la relazione con un nemico. In altre parole, il diritto penale del nemico possiede un regime speciale che contempla pene più severe per una determinata categoria di autori, quelli per l’esattezza che non offrendo sufficiente garanzia cognitiva si situano fuori dalla sfera della tutela giuridica: essi sono nemici, e come tali non-persone a cui i diritti non vengono riconosciuti. Esse rappresentano un pericolo per la società e contro di loro bisogna agire per difendersi dalla minaccia che costituiscono.
Le critiche risolte al diritto penale del nemico hanno contenuto sia teorico che pratico, relative alle conseguenze giuridiche dei suoi principi.
Il primo aspetto, ritenuto oggetto di censura da molti, è sicuramente la figura del “nemico” inteso come “non persona”, cioè come soggetto ritenuto non meritevole di diritti. Vi sarebbero quindi, esseri umani non persone, non titolari di diritti, facendo così venire meno uno dei principi cardini del diritto occidentale, il fatto, cioè, che un essere umano già al momento della nascita diventa titolare di diritti, di una capacità giuridica ex art 1 c.c. Tale ultimo assunto, di perfetta coincidenza tra essere umano e persona con diritti e doveri, non può assolutamente essere escluso senza negare tutto il sistema di diritto.
La teoria, inoltre, sposta l’attenzione dell’ordinamento penale dal fatto criminale (il reato) al soggetto criminale, capovolgendo l’impostazione di tutta la tradizione giuridica occidentale, che punisce “quello che si fa” non “quello che si è”.
La logica conseguenza di tutto questo diverrebbe la modifica del processo di accertamento penale, non più incentrato sulla sola verifica dell’esistenza del fatto, ma rivolta all’esistenza di determinate qualità soggettive del “nemico”. Non avrebbe più alcun senso, dunque, il processo, inteso come momento formale di accertamento della verità giudiziale, avendo rilevanza soltanto la verifica empirica della personalità pericolosa del soggetto, la sua sostanziale soggettività nemica od amica. Il processo, insomma, decadrebbe inevitabilmente da procedura di verifica empirica delle ipotesi d’accusa, in tecnica d’inquisizione sulla persona. Oggetto del giudizio, in questo processo inteso come lotta al nemico, non avrebbe tanto riguardo al definire se fosse stato l’accusato ad aver commesso, ad esempio, un atto terroristico, ma se egli fosse stato e se fosse ancora un terrorista, un complice o un connivente con il terrorismo.

L’accertamento penale

In tutto questo, poi, è da rilevare che, in caso di attribuzione erronea ad un soggetto della qualifica di nemico, l’applicazione del diritto penale del nemico non comporterebbe l’applicazione di quelle garanzie destinate alla correzione dello sbaglio giudiziario, con conseguenze aberranti.
Questa possibilità di errori sarebbe, poi, altissima, attesa la completa relatività dei criteri per cui, a sostegno di questa tesi, chiunque potrebbe essere inserito in tale categoria a condizione di ritenerlo in grado di minacciare o aggredire beni o valori fondanti per l’ordinamento giuridico. E di “nemico”, come concetto evanescente, parla anche un altro illustre autore, ritenendo che esso possa essere utilizzato solo in funzione critica e non in senso dogmatico.
Di qui, la dottrina contrastante conclude con un’altra importante considerazione. L’applicazione del diritto penale del nemico verrebbe veramente limitata a casi eccezionali o, per il suo effetto dirompente, deborderebbe, estendendo i suoi principi anche ad altri soggetti? In pratica, non ci vorrebbe molto a definire come nemici, tutta una serie di soggetti scomodi ed assoggettarli alla speciale tutela penale. L’eccezione, cioè, potrebbe facilmente diventare una eccezione senza limiti. Un esempio risulta essere la recente decisione presa negli Usa del Muslim Ban, il provvedimento infatti avrebbe l’intento di proteggere gli Stati Uniti dal terrorismo. Tale emanazione ha imposto il vietato all’ingresso indiscriminato per i cittadini di 7 paesi a maggioranza musulmana.
Queste sono solo alcune delle critiche sollevate nei confronti della teoria del nemico. Una cosa è certa, l’impostazione è ritenuta dirompente per la stessa esistenza del diritto. Accettare, seppure in alcuni settori soltanto dell’ordinamento e in casi particolari, norme non rispondenti alla logica del diritto, ma alla logica della guerra, porterebbe ad una progressiva contaminazione dell’intero sistema giuridico, con il ritorno ad un passato in cui è il potere ad avere la meglio sulla giustizia.
Le relativa critiche mosse a questa teoria, quindi riguardano la presunta incapacità dell’ordinamento, interno ed esterno, a riconoscere un soggetto “altro” rispetto al cittadino e conseguentemente ad ammettere un sistema sanzionatorio speciale e maggiormente repressivo.
Il problema della assente codificazione del concetto di “nemico”, permette un ampio margine di discrezionalità, tale da ritenere tutti i soggetti potenziali nemici dello Stato. Tale assunto è produttivo di un effetto a catena. Inserendo quindi tale problema in un sillogismo si avrebbe: nella premessa minore tutti gli uomini sono potenzialmente nemici; nella premessa maggiore x è un uomo; conclusione tutti gli uomini sono potenzialmente nemici. Quest’ultima argomentazione assume connotati importanti, perché si ammetterebbe così una restrizione indifferenziata delle libertà fondamentali di tutti i soggetti in una logica di sicurezza comune. Difatti, la criticità di questa teoria consisterebbe nell’ammettere una restrizione di alcuni diritti costituzionalgarantiti.
Lo stesso art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea così sottolinea : “ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza”. L’interpretazione di questa norma, in relazione alla teoria del nemico, commina in sé una duplice difficoltà: la prima consiste nel riconoscere alla persona contemporaneamente il diritto assoluto alla libertà e alla sicurezza; la seconda riguarda la limitazione della libertà per perseguire la valore sicurezza da considerarsi superiore. La funzione è quella, quindi, di ravvisare una legittimità nella compressione dei diritti inviolabili per la tutela dei cittadini ordinari. Questa compressione è ammessa qualora il soggetto agente non sia amico dello Stato. Ciò a dire che quest’ultimo reo possiede in sé delle qualità altre che non possono e non vengono tutelate dall’ordinamento, così da ammettere un sistema sanzionatorio alternativo.
L’ammissibilità della teoria de qua è stata così recepita.
Sul piano comunitario, il titolo V del Trattato sull’Unione Europea agli artt. 21 ss racchiude le disposizione generali sull’azione esterna dell’Unione e disposizioni specifiche sulla politica esterna e di sicurezza comune. In cui l’Unione Europea, all’art. 21 co 2 lett a), si adopera per “salvaguardare i suoi valori, i suoi interessi fondamentali, la sua sicurezza, la sua indipendenza e la sua integrità”. All’art. 26 co. 2 viene disciplinato “ il Consiglio elabora la politica esterna e di sicurezza comune e prende le decisioni necessarie per la definizione e l’attuazione di tale politica in base agli orientamenti generali e alle linee strategiche definiti dal Consiglio Europeo”.
La teoria de qua ha, poi, assunto una forte rilevanza a livello nazionale a partire dagli anni ’70, in cui è intervenuta una legislazione di emergenza. Tale legislazione ad hoc è intervenuta rimanendo in linea con i fondamenti del sistema penale, che hanno una funzione general-preventiva, mediante una coazione psicologica, in cui la minaccia delle pene deve funzionare da deterrente psicologico nel distogliere il soggetto dal commettere reati.

I singoli reati

Si è registrato un inasprimento del trattamento sanzionatorio complessivo dei fatti del terrorismo ed un’estensione dell’area delle punibilità, con l’introduzione di nuove fattispecie penali, tra cui si ricorda: l’art. 289 bis c.p. relativo al sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, articolo aggiunto dall’art. 2 del d. l. 21 marzo 1978, n. 59, convertito con modificazioni, nella l. 18 maggio 1978 n. 191; l’art. 270 bis c.p. relativo alle associazioni con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, articolo aggiunto dall’art. 3 del d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito con modificazione, nella legge l. 6 febbraio 1980 n. 15.
A seguito, poi, dei noti attentati alle Torri Gemelle di New York, nel settembre 2001 si è proceduto ad un appesantimento dell’apparato di sicurezza, così modificando l’art. 270 bis c.p. estendendo la sanzione alle associazioni con finalità di terrorismo anche “internazionale”, inserendo altresì la previsione della punibilità della condotta di finanziamento, con un’ipotesi di confisca obbligatoria e una nuova fattispecie sanzionante l’assistenza agli associati, sul modello di cui all’art. 418 ter c.p. (art. 270 ter cp).
Più di recente, in occasione degli attentati terroristici di Madrid e Londra, con il d.l. 27 luglio 2005 n. 144, convertito con modificazioni nella l. 31 luglio 2005 n. 155 sono state inserite le fattispecie di cui agli artt. 270 quater, quinquies e sexies c.p., poi nuovamente modificate con la legge n. 43 del 2015, a seguito degli ultimi attacchi terroristici avvenuti nella città di Parigi.
La suddetta teoria del diritto penale del nemico ha, così, assunto una forte notorietà tanto a livello dottrinale, quanto a livello pratico.
Difatti, la tutela antiterroristica consiste in un’anticipazione della soglia della punibilità assegnandosi rilievo penale ad una soglia puramente preparatoria, consistente in atti punibili, quali “ atti diretta a”. Così la nota sentenza a Sezioni Unite n. 1 del 1970 chiarisce che la condotta di attentato debba essere considerata sotto un profilo diverso dalla figura di tentativo di reato. L’esigenza è quella di difendere lo Stato contro gli attacchi anche soltanto incipienti alla sua sicurezza, appena vi sia un incominciamento dell’azione offensiva. L’odierno diritto penale di contrasto al terrorismo si colloca nel solco del sistema di tutela progressiva proprio della tradizione del diritto penale politico e di questa valorizza le tecniche di tutela anticipata che consentono di intervenire ad uno stadio antecedente a quello tipizzato nei delitti di attentato. Questa scelta di politica criminale è funzionale a soddisfare diverse esigenze. Anzitutto, le fattispecie a carattere preparatorio si adattano alle nuove forme d’azione del terrorismo internazionale che operano attraverso una rete, più che all’interno di un’organizzazione gerarchicamente strutturata. Allo stesso tempo, queste fattispecie vengono incontro alla necessità di contrastare i cd. lupi solitari ed i cd. foreign fighters che sono stati l’obiettivo della riforma del 2015 (dl 7/2015 conv. in l. 43/2015): è stata data parziale rilevanza al cd. auto-addestramento, ma solo nel caso in cui seguano comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’art. 270-sexies cp (una soluzione che, sebbene eviti di sanzionare la condotta di mera acquisizione di informazioni, che di per sé potrebbe essere neutra, appare poco coerente con le intenzioni del legislatore di sanzionare l’auto-addestramento, in quanto si punisce «il compimento di
condotte con finalità di terrorismo, rispetto alle quali il reperimento delle istruzioni rappresenta un antefatto»28); l’art. 270-quater, comma 2 cp punisce, accanto al fatto di chi arruola per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, anche la condotta di chi si arruola, sempre che non ricorrano gli estremi dell’addestramento o della partecipazione al reato associativo; infine è stata data rilevanza penale al fatto di chi organizza, finanzia o propaganda viaggi in territorio estero finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270-quater.1 cp). Queste fattispecie vengono incontro ad una esigenza processuale, in quanto permettono di colpire condotte indipendentemente dalla prova della partecipazione del soggetto al reato associativo: non a caso, tutte queste fattispecie presentano la clausola di riserva rispetto al reato di cui all’art. 270 bis cp.
Proprio nelle fattispecie a struttura fortemente anticipata si annida il progressivo avvicinamento del diritto penale al limite verso il confine della sua delegittimazione. Sino a quando la responsabilità penale rimane ancorata all’imputazione per un reato associativo, le condotte di partecipazione o di concorso esterno richiedono un più consistente corredo probatorio. Quando invece le condotte preparatorie sono punite: “al di fuori dei casi di cui all’art. 270-bis”, si alleggerisce il quadro probatorio necessario a supportare l’imputazione: il rischio è che fattispecie, che formalmente non sembrano limitare la libertà di manifestazione del pensiero, possano entrare velocemente in un terreno che ne comporta invece la violazione: spetta allora al magistrato che deve interpretare la norma e valutare le prove garantire il confine di legittimità del controllo penale.
L’ordinamento italiano ha poi ammesso la limitazione di altri diritti fondamentali, per la tutela della sicurezza del cittadino, tra questi si ricorda il diritto alla privacy. L’intento del legislatore consiste nell’attuare una normativa di difesa preventiva, ammettendo la limitazione del diritto di riservatezza così all’art. 58 co 2 del dlgs. N. 196 del 2003 si ammette l’accesso a dati personali, da parte di soggetti pubblici, per ragioni di difesa o di sicurezza dello Stato.
Nello stesso codice penale sono rinvenibili alcune precise disposizioni a repressione degli atti commessi per agevolare colui che è stato dichiarato nemico.
Prima tra tutti l’art. 247 c.p. così rubricato “Favoreggiamento bellico” che punisce chiunque, in tempo di guerra, intrattiene rapporti di intelligenza per favorire le operazioni militari dello Stato nemico a danno dello Stato italiano, o per nuocere altrimenti alle operazioni italiane dello Stato italiano.
Segue poi l’art. 248 c.p. che sanziona chiunque somministri, in tempo di guerra, anche in maniera non diretta allo Stato nemico provvigioni, ovvero altre cose, le quali possano essere impiegate a danno dello Stato. Sono poi sanzionati tutte le prestazioni a prestiti, in tempo di guerra, per agevolare finanziariamente lo Stato nemico art. 259 c.p.. È comunque sanzionato chi commerci con il nemico, ex art 250 c.p.

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