Questo lavoro esplora il concetto di libertà di espressione e le sue limitazioni, con particolare attenzione al fenomeno della “cancel culture”. La libertà di espressione è un diritto fondamentale, ma soggetto a restrizioni per proteggere altri diritti, come la dignità e la reputazione. Vengono analizzate le tensioni che sorgono tra il diritto di espressione e la necessità di regolamentare i contenuti digitali che promuovono odio, disinformazione e calunnia, evidenziando il ruolo delle piattaforme nella gestione dei contenuti. La “cancel culture” viene esaminata sia come strumento di giustizia sociale che come meccanismo di censura, riflettendo sul delicato equilibrio tra il diritto alla critica e il rischio che essa si trasformi in censura, con implicazioni per la libertà di espressione. Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste.
Indice
1. La libertà di espressione
La libertà di espressione costituisce un diritto fondamentale, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 19) e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 10). Questi strumenti giuridici affermano il diritto di ciascun individuo a esprimere liberamente opinioni e informazioni, tuttavia ammettono limitazioni legittime, in particolare quando è necessario salvaguardare altri diritti fondamentali, quali la sicurezza pubblica o la tutela della reputazione altrui. Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste.
Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale
Bullismo e cyberbullismo sono tra le principali problematiche con le quali bambini e adolescenti si trovano a far fronte nei loro contesti di vita quotidiani. Il presente volume analizza questi due fenomeni attraverso un approccio interdisciplinare, alla luce della nuova Legge n. 70/2024, che ha apportato significative modifiche alla Legge n. 71/2017 (Prevenzione e contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo). Con la presente opera si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste. Sono analizzati i possibili reati, sia contro la persona che contro il patrimonio, che le varie condotte di bullismo e di cyberbullismo possono integrare e i profili nei quali possono attuarsi (hate speech, flaming, sexting, sextortion, revenge porn, cyberstalking, happy slapping, harassment, doxing, denigration). Il testo, corredato da riferimenti normativi nonché da utili prospetti con le linee giurisprudenziali più recenti, è diretto agli operatori del diritto, ma anche agli operatori scolastici e attivi nel sociale, oltre che naturalmente a tutti quei genitori che abbiano la volontà o la necessità di approfondire in maniera tecnica le loro conoscenze, ponendosi come valido strumento operativo e di ausilio nei diversi ambiti professionali coinvolti.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.Mariella SpataAvvocato specializzato in diritto amministrativo, diritto pubblico dell’economia e in diritto europeo
Paolo Emilio De Simone, Mariella Spata | Maggioli Editore 2024
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2. La libertà di espressione e i suoi limiti
Tra i principali teorici della libertà di espressione figura John Stuart Mill, il quale, nel suo celebre saggio On Liberty (1859), sottolinea l’importanza di questo diritto non solo per il bene dell’individuo, ma anche per il progresso della società. Mill afferma che anche le opinioni false meritano di essere espresse e discusse, poiché contribuiscono a chiarire la verità e a evitare una visione dogmatica della stessa. Secondo Mill, la verità si afferma attraverso il libero confronto delle idee, mentre la censura ostacola l’avanzamento intellettuale. Tale visione appare centrale nella riflessione sulle moderne democrazie, dove il principio di una libertà di espressione ampia è spesso accompagnato dal riconoscimento dei limiti necessari a tutelare gli altri.
Mill stesso riconosce che la libertà individuale debba essere limitata laddove essa causi danno ad altri e questo principio, noto come harm principle, costituisce un elemento fondamentale nella regolamentazione della libertà di espressione nelle democrazie liberali contemporanee. In tale contesto, infatti, la libertà di espressione si confronta con altri diritti, come la sicurezza nazionale, la salute pubblica e la dignità umana. Per citare un esempio, è spesso giustificato limitare il discorso d’odio o i contenuti che incitano alla violenza, purché tali restrizioni siano proporzionate e giustificate da un interesse legittimo, come stabilito dall’art. 10 della CEDU.
Nelle democrazie moderne, specialmente con l’avvento delle piattaforme digitali, emerge una tensione tra la libertà individuale e la necessità di regolamentare i contenuti, in particolare di fronte a fenomeni quali i discorsi d’odio, le fake news e la profilazione degli utenti. Un caso paradigmatico è rappresentato dal Facebook Oversight Board, la cui creazione ha suscitato rilevanti interrogativi sul trasferimento di poteri dalla sfera pubblica a quella privata. Le piattaforme digitali, infatti, non solo controllano la diffusione delle informazioni, ma hanno acquisito la capacità di determinare quali contenuti debbano rimanere pubblici e quali, invece, essere rimossi.
Dalla prospettiva europea, il quadro giuridico privilegia una maggiore tutela dei diritti individuali. Il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e il diritto all’oblio sono esempi significativi di come l’Unione Europea abbia cercato di bilanciare la libertà di espressione con la protezione della dignità personale e dei dati sensibili. In particolare, il diritto all’oblio consente agli individui di richiedere la rimozione di informazioni personali non più rilevanti o potenzialmente dannose, rappresentando una risposta alle sfide poste dalla pervasività delle informazioni nell’era digitale.
Negli Stati Uniti, il Primo Emendamento offre una protezione quasi assoluta alla libertà di espressione, fondata sull’idea che il libero mercato delle idee sia essenziale per la democrazia. Al contrario, l’Europa adotta un approccio più equilibrato, in cui la libertà di espressione può essere limitata al fine di proteggere altri diritti, come la reputazione e la privacy[1].
A livello nazionale, l’art. 21 della Costituzione Italiana rappresenta un pilastro per la tutela della libertà di espressione, garantendo il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo. Ciononostante, tale libertà non è illimitata: esistono restrizioni volte a tutelare l’ordine pubblico, la morale e altri diritti costituzionali. Analogamente, l’art. 10 della CEDU. protegge la libertà di espressione, ma prevede restrizioni considerate necessarie in una società democratica, come la protezione della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico.
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3. Libertà di espressione nell’era digitale
Il Digital Services Act (DSA) rappresenta un ulteriore esempio di come la normativa europea si sia evoluta per affrontare le sfide poste dall’era digitale. Entrato in vigore nel 2022, il DSA impone alle grandi piattaforme digitali (VLOP) una serie di regolamentazioni volte a garantire la trasparenza nelle operazioni, il divieto di sistemi di raccomandazione basati sulla profilazione e la pubblicazione di registri pubblicitari. Tali misure, pur preservando la libertà di espressione, mirano a proteggere gli utenti da contenuti dannosi e a garantire un controllo più rigoroso sulla moderazione dei contenuti.
L’impatto del DSA si rivela particolarmente rilevante per piattaforme di grande portata, quali Amazon e Zalando, le quali hanno contestato le designazioni imposte dalla Commissione Europea. Sebbene il DSA non preveda il divieto esplicito della profilazione, esso offre agli utenti l’opzione di scegliere sistemi che non la impieghino. Ciò rappresenta un compromesso tra le esigenze di regolamentazione e il rispetto della libertà individuale, in linea con le più ampie dinamiche del rapporto tra diritto e tecnologia nell’era digitale.
Il discorso d’odio (hate speech), la diffamazione e la calunnia costituiscono categorie legali ben delineate, il cui scopo è prevenire l’abuso della libertà di espressione e preservare la coesione sociale e i valori democratici. Questi limiti trovano fondamento nel diritto internazionale, in particolare nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nell’art. 10 della CEDU. Entrambi gli articoli garantiscono la libertà di espressione, ma ne ammettono restrizioni necessarie a proteggere valori fondamentali, quali l’ordine pubblico e i diritti altrui. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ulteriormente chiarito le circostanze in cui tali restrizioni possono essere applicate, insistendo sulla proporzionalità e la necessità delle misure, come illustrato nel caso Margareta e Roger Anderssonc Svezia.
L’era digitale ha ampliato la portata delle tecnologie nel facilitare la diffusione di contenuti diffamatori o d’odio, trasformando la partecipazione democratica online in una dialettica sempre più complessa tra libertà di espressione e diritto alla privacy. I social media, infatti, possono fungere da veicolo per la propagazione massiva di contenuti denigratori, accentuando la necessità di introdurre strumenti normativi quali il diritto all’oblio. Questi interventi regolatori mirano a rafforzare la protezione della dignità individuale nell’ambiente digitale, una dimensione in cui la pervasività delle informazioni e la rapidità della loro diffusione pongono sfide senza precedenti.
4. La cancel culture
Uno degli aspetti più controversi legati alla sfera della libertà di espressione nel contesto digitale è rappresentato dalla cancel culture. Questo fenomeno, sviluppatosi in modo significativo sui social media, ha visto l’organizzazione collettiva di campagne di denuncia diventare virale in tempi estremamente rapidi. Movimenti come MeToo e Black Lives Matter hanno sfruttato la cancel culture per denunciare abusi di potere, discriminazioni e ingiustizie razziali. Il movimento MeToo, per esempio, ha esposto sistematicamente casi di molestie sessuali nell’industria dello spettacolo e in altri settori, mentre Black Lives Matter ha portato all’attenzione globale la brutalità della polizia e le discriminazioni razziali, utilizzando il potere dei social media per mobilitare un vasto consenso e promuovere riforme sociali.
Nonostante la sua funzione di strumento di giustizia sociale e di accountability, la cancel culture è oggetto di un intenso dibattito. Se da un lato offre alle comunità emarginate una piattaforma per denunciare ingiustizie e richiedere responsabilità da parte di chi detiene il potere, dall’altro lato alcuni critici sostengono che essa possa degenerare in una sorta di “censura sociale informale”, soffocando il dibattito e comprimendo la libertà di espressione. Vi è inoltre il rischio che il call-out sui social media si trasformi in una forma di bullismo di massa, con effetti devastanti su coloro che vengono “cancellati” pubblicamente, spesso senza un vero processo di verifica o dialogo costruttivo.
Il diritto alla critica, pilastro del dibattito democratico, trova il suo fondamento nella libertà di espressione. Ad ogni modo, la cancel culture, come sottolineato da vari studiosi, rischia di distorcere tale diritto, mutandolo in ostracismo e repressione, piuttosto che in un confronto costruttivo. La critica, anziché alimentare un dibattito aperto e riflessivo, si trasforma spesso in un meccanismo di censura e giudizio morale. Tale fenomeno tende a ridurre la complessità del pensiero critico a un semplice scontro tra “buoni” e “cattivi”, esacerbando la polarizzazione del discorso pubblico.
La cancel culture, dunque, si configura come una dinamica sociale in cui la critica si trasforma in azione collettiva di cancellazione, prevalentemente attuata tramite i social media, ai danni di persone o istituzioni percepite come portatrici di opinioni offensive o non conformi ai valori contemporanei. Da un lato, essa risponde a un legittimo bisogno di giustizia sociale, dando voce a gruppi storicamente oppressi. Dall’altro, rischia di amplificare le divisioni sociali e incentivare una visione manichea della realtà, impoverendo il dibattito critico e ostacolando una riflessione più profonda sulle questioni morali e politiche.
5. Conseguenze della cancel culture
Dal punto di vista etico, la cancel culture solleva una serie di problematiche che vanno ben oltre la semplice rimozione di statue o la censura di libri, fino a includere la condanna di personaggi pubblici senza un reale dibattito critico; tale dinamica semplifica la complessità della storia, negando la possibilità di apprendere dalle sfumature del passato. Non solo si mina il diritto alla critica, ma si compromette anche il diritto alla conoscenza storica e alla memoria collettiva, privando la società di una riflessione articolata sugli eventi storici.
Dal punto di vista sociale, la cancel culture contribuisce a creare un clima di paura e divisione. Le reazioni sproporzionate a determinate opinioni, amplificate dall’uso delle piattaforme digitali, riducono la libertà di espressione, instaurando una sorta di “caccia alle streghe” moderna. In tale contesto, il dibattito perde la sua funzione costruttiva, trasformandosi in un meccanismo di esclusione, volto non a favorire la comprensione reciproca, ma a eliminare le voci dissidenti. Questo fenomeno può facilmente trasformarsi in ostracismo sociale, escludendo dal dibattito pubblico l’individuo “cancellato”, privandolo di qualsiasi possibilità di replica o redenzione. Il rischio che la critica si trasformi in repressione delle idee o in censura informale porta alcuni a sostenere che la cancel culture possa minare il pluralismo e la libertà di espressione, convertendosi in una dinamica punitiva anziché costruttiva.
Il punto cruciale è che, mentre il diritto alla critica e la cancel culture condividono la finalità di chiedere responsabilità (accountability), la transizione da una critica legittima a una forma di boicottaggio o censura crea un evidente squilibrio etico. È essenziale che la critica rimanga radicata in un dialogo aperto e rispettoso, evitando di scivolare verso atti che impediscano il libero scambio di idee o la possibilità di riabilitazione di chi ha commesso errori.
La cancel culture emerge come una forma di censura sociale informale, i cui effetti sono spesso paragonabili a sanzioni legali, ma senza il coinvolgimento delle istituzioni giudiziarie. Questo fenomeno si manifesta prevalentemente attraverso le piattaforme digitali, amplificando l’effetto di “deplatforming” e boicottaggio, con gravi ripercussioni sulla reputazione e carriera di individui o organizzazioni. Un aspetto critico riguarda il ruolo che queste piattaforme giocano nel regolamentare la libertà di espressione. Le piattaforme digitali, infatti, attraverso norme interne di moderazione, creano una sorta di “rule of platforms” che opera in parallelo ai poteri pubblici, alterando il modo in cui la libertà di espressione è tutelata nel contesto digitale.
La cancel culture si intreccia con il concetto di “politicamente corretto” e con una crescente “cultura della paura” intorno alla censura e, in Italia, la rappresentazione giornalistica di questo fenomeno ha esagerato la minaccia percepita, collegandola a una crisi più ampia di identità e sicurezza. Tale narrazione polarizza ulteriormente il dibattito pubblico, generandoun moral panic, o “panico morale”, in cui il dissenso è percepito come pericoloso e la libertà di espressione è costantemente messa in discussione.
L’effetto più diretto e immediato della cancel culture sull’arte risiede nella riduzione della libertà creativa. Artisti e produttori culturali si trovano sempre più spesso a dover evitare contenuti che potrebbero risultare offensivi in base ai criteri morali contemporanei, adottando un approccio più cauto e prudente. Questo fenomeno, alimentato soprattutto dall’uso massiccio dei social media, ha generato una sorta di “gogna mediatica”, in cui artisti e opere vengono giudicati e condannati pubblicamente, spesso con esiti devastanti per la loro carriera e reputazione. Nonostante il fine dichiarato di promuovere la giustizia sociale e combattere le discriminazioni, la cancel culture solleva interrogativi profondi riguardo al rapporto tra etica contemporanea e arte. Il giudizio retroattivo delle opere del passato secondo i valori attuali ha implicazioni rilevanti per la comprensione critica del patrimonio culturale, mettendo in crisi non solo la libertà artistica, ma anche il ruolo della storia e del contesto nel valutare le opere e i loro autori.
6. Conclusioni
La regolamentazione crescente della cancel culture e dei contenuti online solleva inoltre importanti interrogativi riguardo al futuro della libertà di espressione. Da un lato, le normative che responsabilizzano le piattaforme digitali potrebbero garantire una migliore protezione dei diritti degli utenti e prevenire abusi. Dall’altro, un controllo eccessivo potrebbe limitare il dibattito pubblico, creando una forma di censura preventiva da parte delle piattaforme, le quali, per timore di sanzioni o azioni legali, potrebbero eliminare contenuti potenzialmente controversi.
Il rischio maggiore, in un ecosistema digitale dominato da poche grandi piattaforme globali, è che la libertà di espressione venga standardizzata secondo un unico modello di decenza e accettabilità, riducendo la varietà delle opinioni espresse pubblicamente. Perciò, è fondamentale che le normative siano attentamente bilanciate, in modo da proteggere il diritto fondamentale alla libera espressione, soprattutto nei diversi contesti culturali e politici.
Note
[1] A. GIUSTI, Libertà d’espressione: diritto fondamentale e indice di democrazia, Ius In Itinere, 2017.
[2] A. GIUSTI, Libertà d’espressione: diritto fondamentale e indice di democrazia, Ius In Itinere, 2017.
[3] D. DE RADA, La “Cancel Culture” e il diritto all’accesso all’informazione, rivista Nomos, 2/2021.
[4] M. CANNITO, E. MERCURI, F. TOMATIS, La creazione mediatica della paura: lo spettro della censura tra cancel culture e politicamente corretto, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 29-43.
[5] F. DEI, Cancel culture: strategie della memoria e politiche identitarie, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, p. 60.
[6] F. DEI, Cancel culture: strategie della memoria e politiche identitarie, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, p. 68.
[7] G. DE GREGORIO, Il diritto delle piattaforme digitali: un’analisi comparata dell’approccio statunitense ed europeo al governo della libertà di espressione, DPCE Online, 50 (Sp), 2022, pp. 1456-1472.
[8] M. FLORES, La cancel culture e il senso della storia, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 89-100.
[9] M. FLORES, La cancel culture e il senso della storia, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 89-100.
[10] M. MELLINO, Cancel culture o decolonizzazione dei saperi e della cultura?, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 45-57.
[11] M. NICOLINI, Il delicato bilanciamento fra libertà di espressione politica e tutela penale contro l’istigazione alla discriminazione e all’odio religioso nel caso Zemmour, nota a sentenza in rivista italiana di diritto e procedura penale, 2/2023, pp 809-812.
[12] S. PERON,Libertà di espressione e tutela del diritto a non venire discriminati, in Responsabilità civile e previdenza, 1/2024, pp. 158-161.
[13] M. TOMMASI, La Corte EDU torna sui caratteri del discorso politico online: una diluizione della libera manifestazione del pensiero?, rivista DPCE online, 1/2024, pp. 135-160.
[14] M. TREU, E. ISGRÒ, Cancellare (e riscrivere) Omero. L’Odissea dei classici ‘bruciati’ da Isgrò, La Rivista di Engramma, 2024.
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