Diritto alla libertà di espressione e i suoi limiti

Questo lavoro esplora il concetto di libertà di espressione e le sue limitazioni, con particolare attenzione al fenomeno della “cancel culture”.

Lorenzo La Via 21/01/25

Questo lavoro esplora il concetto di libertà di espressione e le sue limitazioni, con particolare attenzione al fenomeno della “cancel culture”. La libertà di espressione è un diritto fondamentale, ma soggetto a restrizioni per proteggere altri diritti, come la dignità e la reputazione. Vengono analizzate le tensioni che sorgono tra il diritto di espressione e la necessità di regolamentare i contenuti digitali che promuovono odio, disinformazione e calunnia, evidenziando il ruolo delle piattaforme nella gestione dei contenuti. La “cancel culture” viene esaminata sia come strumento di giustizia sociale che come meccanismo di censura, riflettendo sul delicato equilibrio tra il diritto alla critica e il rischio che essa si trasformi in censura, con implicazioni per la libertà di espressione. Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste.

Indice

1. La libertà di espressione


La libertà di espressione costituisce un diritto fondamentale, sancito dalla Dichiarazione Universale  dei  Diritti  dell’Uomo  (art.  19)  e  dalla  Convenzione  Europea  dei  Diritti dell’Uomo (art. 10). Questi strumenti giuridici affermano il diritto di ciascun individuo a esprimere liberamente opinioni e informazioni, tuttavia ammettono limitazioni legittime, in particolare quando è necessario salvaguardare altri diritti fondamentali, quali la sicurezza pubblica o la tutela della reputazione altrui. Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste.

FORMATO CARTACEO

Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale

Bullismo e cyberbullismo sono tra le principali problematiche con le quali bambini e adolescenti si trovano a far fronte nei loro contesti di vita quotidiani. Il presente volume analizza questi due fenomeni attraverso un approccio interdisciplinare, alla luce della nuova Legge n. 70/2024, che ha apportato significative modifiche alla Legge n. 71/2017 (Prevenzione e contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo). Con la presente opera si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo, ivi compresa la tutela dei dati personali dei minori, il quadro costituzionale a sostegno della legge n. 71/2017 e le procedure cautelari-amministrative in essa previste. Sono analizzati i possibili reati, sia contro la persona che contro il patrimonio, che le varie condotte di bullismo e di cyberbullismo possono integrare e i profili nei quali possono attuarsi (hate speech, flaming, sexting, sextortion, revenge porn, cyberstalking, happy slapping, harassment, doxing, denigration). Il testo, corredato da riferimenti normativi nonché da utili prospetti con le linee giurisprudenziali più recenti, è diretto agli operatori del diritto, ma anche agli operatori scolastici e attivi nel sociale, oltre che naturalmente a tutti quei genitori che abbiano la volontà o la necessità di approfondire in maniera tecnica le loro conoscenze, ponendosi come valido strumento operativo e di ausilio nei diversi ambiti professionali coinvolti.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.Mariella SpataAvvocato specializzato in diritto amministrativo, diritto pubblico dell’economia e in diritto europeo

Paolo Emilio De Simone, Mariella Spata | Maggioli Editore 2024

2. La libertà di espressione e i suoi limiti


Tra i principali teorici della libertà di espressione figura John Stuart Mill, il quale, nel suo celebre saggio On Liberty (1859), sottolinea l’importanza di questo diritto non solo per il bene dell’individuo, ma anche per il progresso della società. Mill afferma che anche le opinioni false meritano di essere espresse e discusse, poiché contribuiscono a chiarire la verità e a evitare una visione dogmatica della stessa. Secondo Mill, la verità si afferma attraverso  il  libero  confronto  delle  idee,  mentre  la  censura  ostacola  l’avanzamento intellettuale. Tale visione appare centrale nella riflessione sulle moderne democrazie, dove il principio di una libertà di espressione ampia è spesso accompagnato dal riconoscimento dei limiti necessari a tutelare gli altri.
Mill stesso riconosce che la libertà individuale debba essere limitata laddove essa causi danno  ad  altri  e  questo  principio,  noto  come  harm  principle,  costituisce  un  elemento fondamentale nella regolamentazione della libertà di espressione nelle democrazie liberali contemporanee. In tale contesto, infatti, la libertà di espressione si confronta con altri diritti, come la sicurezza nazionale, la salute pubblica e la dignità umana. Per citare un esempio, è spesso giustificato limitare il discorso d’odio o i contenuti che incitano alla violenza, purché tali restrizioni siano proporzionate e giustificate da un interesse legittimo, come stabilito dall’art. 10 della CEDU.
Nelle democrazie moderne, specialmente con l’avvento delle piattaforme digitali, emerge una  tensione  tra  la  libertà  individuale  e  la  necessità  di  regolamentare  i  contenuti,  in particolare di fronte a fenomeni quali i discorsi d’odio, le fake news e la profilazione degli utenti.  Un  caso  paradigmatico  è  rappresentato  dal  Facebook  Oversight  Board,  la  cui creazione ha suscitato rilevanti interrogativi sul trasferimento di poteri dalla sfera pubblica a quella  privata.  Le  piattaforme  digitali,  infatti,  non  solo  controllano  la  diffusione  delle informazioni, ma hanno acquisito la capacità di determinare quali contenuti debbano rimanere pubblici e quali, invece, essere rimossi.
Dalla prospettiva europea, il quadro giuridico privilegia una maggiore tutela dei diritti individuali.  Il  Regolamento  generale  sulla  protezione  dei  dati  (GDPR)  e  il  diritto all’oblio sono esempi significativi di come l’Unione Europea abbia cercato di bilanciare la libertà  di  espressione  con  la  protezione  della  dignità  personale  e  dei  dati  sensibili.  In particolare,  il  diritto  all’oblio  consente  agli  individui  di  richiedere  la  rimozione  di informazioni  personali  non  più  rilevanti  o  potenzialmente  dannose,  rappresentando  una risposta alle sfide poste dalla pervasività delle informazioni nell’era digitale.
Negli Stati Uniti, il Primo Emendamento offre una protezione quasi assoluta alla libertà di espressione,  fondata  sull’idea  che  il  libero  mercato  delle  idee  sia  essenziale  per  la democrazia. Al contrario, l’Europa adotta un approccio più equilibrato, in cui la libertà di espressione può essere limitata al fine di proteggere altri diritti, come la reputazione e la privacy[1].
A livello nazionale, l’art. 21 della Costituzione Italiana rappresenta un pilastro per la tutela della  libertà  di  espressione,  garantendo  il  diritto  di  manifestare  liberamente  il  proprio pensiero con qualsiasi mezzo. Ciononostante, tale libertà non è illimitata: esistono restrizioni volte a tutelare l’ordine pubblico, la morale e altri diritti costituzionali. Analogamente, l’art. 10  della  CEDU.  protegge  la  libertà  di  espressione,  ma  prevede  restrizioni  considerate necessarie  in  una  società  democratica,  come  la  protezione  della  sicurezza  nazionale  e dell’ordine pubblico.

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3. Libertà di espressione nell’era digitale


Il Digital Services Act (DSA) rappresenta un ulteriore esempio di come la normativa europea si sia evoluta per affrontare le sfide poste dall’era digitale. Entrato in vigore nel 2022, il DSA impone  alle  grandi  piattaforme  digitali  (VLOP)  una  serie  di  regolamentazioni  volte  a garantire la trasparenza nelle operazioni, il divieto di sistemi di raccomandazione basati sulla profilazione e la pubblicazione di registri pubblicitari. Tali misure, pur preservando la libertà di espressione, mirano a proteggere gli utenti da contenuti dannosi e a garantire un controllo più rigoroso sulla moderazione dei contenuti.
L’impatto del DSA si rivela particolarmente rilevante per piattaforme di grande portata, quali Amazon e Zalando, le quali hanno contestato le designazioni imposte dalla Commissione Europea. Sebbene il DSA non preveda il divieto esplicito della profilazione, esso offre agli utenti l’opzione di scegliere sistemi che non la impieghino. Ciò rappresenta un compromesso tra le esigenze di regolamentazione e il rispetto della libertà individuale, in linea con le più ampie dinamiche del rapporto tra diritto e tecnologia nell’era digitale.
Il discorso d’odio (hate speech), la diffamazione e la calunnia costituiscono categorie legali ben delineate, il cui scopo è prevenire l’abuso della libertà di espressione e preservare la coesione  sociale  e  i  valori  democratici.  Questi  limiti  trovano  fondamento  nel  diritto internazionale, in particolare nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nell’art. 10 della CEDU. Entrambi gli articoli garantiscono la libertà di espressione, ma ne ammettono restrizioni necessarie a proteggere valori fondamentali, quali l’ordine pubblico e i  diritti  altrui.  La  giurisprudenza  della  Corte  Europea  dei  Diritti  dell’Uomo  ha ulteriormente chiarito le circostanze in cui tali restrizioni possono essere applicate, insistendo sulla proporzionalità e la necessità delle misure, come illustrato nel caso Margareta e Roger Anderssonc Svezia.
L’era digitale ha ampliato la portata delle tecnologie nel facilitare la diffusione di contenuti diffamatori o d’odio, trasformando la partecipazione democratica online in una dialettica sempre più complessa tra libertà di espressione e diritto alla privacy. I social media, infatti, possono fungere da veicolo per la propagazione massiva di contenuti denigratori, accentuando la  necessità  di  introdurre  strumenti  normativi  quali  il  diritto  all’oblio.  Questi  interventi regolatori mirano a rafforzare la protezione della dignità individuale nell’ambiente digitale, una dimensione in cui la pervasività delle informazioni e la rapidità della loro diffusione pongono sfide senza precedenti.

4. La cancel culture


Uno degli aspetti più controversi legati alla sfera della libertà di espressione nel contesto digitale  è  rappresentato  dalla  cancel  culture.  Questo  fenomeno,  sviluppatosi  in  modo significativo sui social media, ha visto l’organizzazione collettiva di campagne di denuncia diventare virale in tempi estremamente rapidi. Movimenti come MeToo e Black Lives Matter hanno sfruttato la cancel culture per denunciare abusi di potere, discriminazioni e ingiustizie razziali. Il movimento MeToo, per esempio, ha esposto sistematicamente casi di molestie sessuali nell’industria dello spettacolo e in altri settori, mentre Black Lives Matter ha  portato  all’attenzione  globale  la  brutalità  della  polizia  e  le  discriminazioni  razziali, utilizzando il potere dei social media per mobilitare un vasto consenso e promuovere riforme sociali.
Nonostante la sua funzione di strumento di giustizia sociale e di accountability, la cancel culture è oggetto di un intenso dibattito. Se da un lato offre alle comunità emarginate una piattaforma per denunciare ingiustizie e richiedere responsabilità da parte di chi detiene il potere, dall’altro lato alcuni critici sostengono che essa possa degenerare in una sorta di “censura sociale informale”, soffocando il dibattito e comprimendo la libertà di espressione. Vi è inoltre il rischio che il call-out sui social media si trasformi in una forma di bullismo di massa, con effetti devastanti su coloro che vengono “cancellati” pubblicamente, spesso senza un vero processo di verifica o dialogo costruttivo.
Il diritto alla critica, pilastro del dibattito democratico, trova il suo fondamento nella libertà di espressione. Ad ogni modo, la cancel culture, come sottolineato da vari studiosi, rischia di distorcere tale diritto, mutandolo in ostracismo e repressione, piuttosto che in un confronto costruttivo. La critica, anziché alimentare un dibattito aperto e riflessivo, si trasforma spesso in un meccanismo di censura e giudizio morale. Tale fenomeno tende a ridurre la complessità del  pensiero  critico  a  un  semplice  scontro  tra  “buoni”  e  “cattivi”,  esacerbando  la polarizzazione del discorso pubblico.
La  cancel  culture,  dunque,  si  configura  come  una  dinamica  sociale  in  cui  la  critica  si trasforma in azione collettiva di cancellazione, prevalentemente attuata tramite i social media, ai  danni  di  persone  o  istituzioni  percepite  come  portatrici  di  opinioni  offensive  o  non conformi ai valori contemporanei. Da un lato, essa risponde a un legittimo bisogno di giustizia sociale, dando voce a gruppi storicamente oppressi. Dall’altro, rischia di amplificare le divisioni sociali e incentivare una visione manichea della realtà, impoverendo il dibattito critico e ostacolando una riflessione più profonda sulle questioni morali e politiche.

5. Conseguenze della cancel culture


Dal punto di vista etico, la cancel culture solleva una serie di problematiche che vanno ben oltre la semplice rimozione di statue o la censura di libri, fino a includere la condanna di personaggi pubblici senza un reale dibattito critico; tale dinamica semplifica la complessità della storia, negando la possibilità di apprendere dalle sfumature del passato. Non solo si mina il diritto alla critica, ma si compromette anche il diritto alla conoscenza storica e alla memoria collettiva, privando la società di una riflessione articolata sugli eventi storici.
Dal punto di vista sociale, la cancel culture contribuisce a creare un clima di paura e divisione.  Le  reazioni  sproporzionate  a  determinate  opinioni,  amplificate  dall’uso  delle piattaforme digitali, riducono la libertà di espressione, instaurando una sorta di “caccia alle streghe”  moderna.  In  tale  contesto,  il  dibattito  perde  la  sua  funzione  costruttiva, trasformandosi  in  un  meccanismo  di  esclusione,  volto  non  a  favorire  la  comprensione reciproca, ma a eliminare le voci dissidenti. Questo fenomeno può facilmente trasformarsi in ostracismo sociale, escludendo dal dibattito pubblico l’individuo “cancellato”, privandolo di qualsiasi  possibilità  di  replica  o  redenzione.  Il  rischio  che  la  critica  si  trasformi  in repressione delle idee o in censura informale porta alcuni a sostenere che la cancel culture possa  minare  il  pluralismo  e  la  libertà  di  espressione,  convertendosi  in  una  dinamica punitiva anziché costruttiva.
Il punto cruciale è che, mentre il diritto alla critica e la cancel culture condividono la finalità di chiedere responsabilità (accountability), la transizione da una critica legittima a una forma di boicottaggio o censura crea un evidente squilibrio etico. È essenziale che la critica rimanga radicata in un dialogo aperto e rispettoso, evitando di scivolare verso atti che impediscano il libero scambio di idee o la possibilità di riabilitazione di chi ha commesso errori.
La cancel culture emerge come una forma di censura sociale informale, i cui effetti sono spesso  paragonabili  a  sanzioni  legali,  ma  senza  il  coinvolgimento  delle   istituzioni giudiziarie.  Questo  fenomeno  si  manifesta  prevalentemente  attraverso  le  piattaforme digitali, amplificando l’effetto di “deplatforming” e boicottaggio, con gravi ripercussioni sulla reputazione e carriera di individui o organizzazioni. Un aspetto critico riguarda il ruolo che queste piattaforme giocano nel regolamentare la libertà di espressione. Le piattaforme digitali,  infatti,  attraverso  norme  interne  di  moderazione,  creano  una  sorta  di  “rule  of platforms” che opera in parallelo ai poteri pubblici, alterando il modo in cui la libertà di espressione è tutelata nel contesto digitale.
La cancel culture si intreccia con il concetto di “politicamente corretto” e con una crescente “cultura della paura” intorno alla censura e, in Italia, la rappresentazione giornalistica di questo fenomeno ha esagerato la minaccia percepita, collegandola a una crisi più ampia di identità e sicurezza. Tale narrazione polarizza ulteriormente il dibattito pubblico, generandoun moral panic, o “panico morale”, in cui il dissenso è percepito come pericoloso e la libertà di espressione è costantemente messa in discussione.
L’effetto più diretto e immediato della cancel culture sull’arte risiede nella riduzione della libertà creativa. Artisti e produttori culturali si trovano sempre più spesso a dover evitare contenuti  che  potrebbero  risultare  offensivi  in  base  ai  criteri  morali  contemporanei, adottando  un  approccio  più  cauto  e  prudente.  Questo  fenomeno,  alimentato  soprattutto dall’uso massiccio dei social media, ha generato una sorta di “gogna mediatica”, in cui artisti e opere vengono giudicati e condannati pubblicamente, spesso con esiti devastanti per la loro carriera e reputazione. Nonostante il fine dichiarato di promuovere la giustizia sociale e combattere le discriminazioni, la cancel culture solleva interrogativi profondi riguardo al rapporto tra etica contemporanea e arte. Il giudizio retroattivo delle opere del passato secondo i valori attuali ha implicazioni rilevanti per la comprensione critica del patrimonio culturale, mettendo in crisi non solo la libertà artistica, ma anche il ruolo della storia e del contesto nel valutare le opere e i loro autori.

6. Conclusioni


La regolamentazione crescente della cancel culture e dei contenuti online solleva inoltre importanti  interrogativi  riguardo  al  futuro  della  libertà  di  espressione.  Da  un  lato,  le normative che responsabilizzano le piattaforme digitali potrebbero garantire una migliore protezione  dei  diritti  degli  utenti  e  prevenire  abusi.  Dall’altro,  un  controllo  eccessivo potrebbe limitare il dibattito pubblico, creando una forma di censura preventiva da parte delle  piattaforme,  le  quali,  per  timore  di  sanzioni  o  azioni  legali,  potrebbero  eliminare contenuti potenzialmente controversi.
Il rischio maggiore, in un ecosistema digitale dominato da poche grandi piattaforme globali, è che la libertà di espressione venga standardizzata secondo un unico modello di decenza e  accettabilità,  riducendo  la  varietà  delle  opinioni  espresse  pubblicamente.  Perciò,  è fondamentale che le normative siano attentamente bilanciate, in modo da proteggere il diritto fondamentale alla libera espressione, soprattutto nei diversi contesti culturali e politici.

Note


[1] A. GIUSTI, Libertà d’espressione: diritto fondamentale e indice di democrazia, Ius In Itinere, 2017.
[2] A. GIUSTI, Libertà d’espressione: diritto fondamentale e indice di democrazia, Ius In Itinere, 2017.
[3]  D. DE RADA, La “Cancel Culture” e il diritto all’accesso all’informazione, rivista Nomos, 2/2021.
[4] M. CANNITO, E. MERCURI, F. TOMATIS, La creazione mediatica della paura: lo spettro della censura tra cancel culture e politicamente corretto, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 29-43.
[5] F. DEI, Cancel culture: strategie della memoria e politiche identitarie, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, p. 60.
[6] F. DEI, Cancel culture: strategie della memoria e politiche identitarie, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, p. 68.
[7] G. DE GREGORIO, Il diritto delle piattaforme digitali: un’analisi comparata dell’approccio statunitense ed europeo al governo della libertà di espressione, DPCE Online, 50 (Sp), 2022, pp. 1456-1472.
[8] M. FLORES, La cancel culture e il senso della storia, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 89-100.
[9] M. FLORES, La cancel culture e il senso della storia, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 89-100.
[10] M. MELLINO, Cancel culture o decolonizzazione dei saperi e della cultura?, Cambio: rivista sulle trasformazioni sociali, 25, 1, 2023, pp. 45-57.
[11] M. NICOLINI, Il delicato bilanciamento fra libertà di espressione politica e tutela penale contro l’istigazione alla discriminazione e all’odio religioso nel caso Zemmour, nota a sentenza in rivista italiana di diritto e procedura penale, 2/2023, pp 809-812.
[12] S. PERON,Libertà di espressione e tutela del diritto a non venire discriminati, in Responsabilità civile e previdenza, 1/2024, pp. 158-161.
[13]  M. TOMMASI, La Corte EDU torna sui caratteri del discorso politico online: una diluizione della libera manifestazione del pensiero?, rivista DPCE online, 1/2024, pp. 135-160.
[14] M. TREU, E. ISGRÒ, Cancellare (e riscrivere) Omero. L’Odissea dei classici ‘bruciati’ da Isgrò, La Rivista di Engramma, 2024.

Lorenzo La Via

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