Diritto alla casa e stato di necessita’

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Corte di Cassazione penale, sezione II, 27 giugno-26 settembre 2007, n.35580

L’attuale situazione emergenziale a fronte della continua espansione dei
crimini, molti dei quali commessi in danno di privati all’interno delle
proprie abitazioni, luoghi di lavoro o di svago, ha portato da qualche tempo
il legislatore ad allargare le maglie di alcune delle più comuni scriminanti
previste dal codice penale.

Risale a qualche anno addietro (legge 59/06) la recente modifica della
legittima difesa di cui all’art.52 del Cp., in ordine alle quale si è
previsto, in aggiunta alla necessità della difesa della propria o altrui
incolumità, quella dei propri o altrui beni, qualora non vi sia la
desistenza dell’aggressore e vi sia contestualmente il pericolo di una
concreta aggressione agli stessi.

La modifica legislativa, seppur a lungo dibattuta in parlamento, risponde ad
esigenze di migliore tutela dei propri e altrui beni e interessi, troppo
spesso arbitrariamente e facilmente aggrediti da soggetti criminali che, in
più occasioni, hanno altresì seriamente attentato alla vita e all’incolumità
dei legittimi detentori degli stessi.

La sentenza in commento si inserisce in questo solco di riforma, seppur
diverse appaiono le motivazioni a sostegno, andando ad avallare un
interpretazione più ampia dell’esimente dello stato di necessità di cui
all’art.54
Cp., ritenuta applicabile anche ai casi di arbitraria o abusiva occupazione
di immobili, qualora il danno grave abbia riguardo anche a quelle situazioni
che attentino alla sfera dei diritti fondamentali della persona, ex articolo
2 Cost, tra i quali appunto quello del diritto all’abitazione, essendo
l’esigenza
di un alloggio oggi avvertita come un bisogno sicuramente primario della
persona.

A fronte di tali considerazioni, non deve allora stupire quanto stabilito a
riguardo dai giudici della Suprema Corte, in accoglimento del ricorso
proposto da una donna imputata del reato di invasione di edificio
(occupazione abusiva di immobile), ex art.633 Cp.

Detta persona era stata condannata in primo grado dal Tribunale di Roma,
alla pena di euro 600,00 di multa per avere abusivamente occupato un
immobile di proprietà dello Iacp. La pena era stata poi confermata con
sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma.

La vicenda aveva ottenuto risalto anche sulle cronache nazionali e, inoltre,
una certa empatia dell’opinione generale, che si era per gran parte
schierata in favore di tale donna in stato di bisogno.

Ad ogni buon conto, l’imputata aveva interposto ricorso per cassazione
avverso tale decisione, lamentando in primo luogo la violazione
dell’articolo
606, comma 1, lettera d) del c.p.p., sotto il profilo della mancanza di
motivazione in ordine ad alcuni dei motivi di appello proposti, nonchè la
mancata assunzione di una prova decisiva ex art.603 c.p.p..

Secondo la ricorrente infatti, le motivazioni addotte dai giudici di secondo
grado con il loro provvedimento di conferma della prima sentenza, dovevano
ritenersi solamente apparenti e, in particolare, la stessa Corte d’Appello
aveva categoricamente rifiutato la sussistenza dello stato di necessità
ipotizzato dall’imputata, senza peraltro aver effettuato alcuna verifica
concreta in merito alle condizioni personali della stessa, alle necessità di
tutela del figlio minorenne e al pericolo imminente all’integrità fisica
degli stessi.

Secondo la ricorrente inoltre, la Corte d’Appello non aveva motivato sulla
richiesta di escussione di un teste fondamentale (un operante di P.G.
presente ai fatti), che avrebbe invece permesso una più completa ed
esaustiva indagine della vicenda concreta.

Con un secondo motivo di doglianza, la ricorrente deduceva poi la violazione
dell’art.606, co.1, lettera b) del c.p.p., non avendo i giudici dell’appello
motivato compiutamente sulla ritenuta mancata applicazione dell’esimente di
cui all’art.54 c.p., quantomeno con riferimento all’art.59 stesso codice.

Nella fattispecie, lo stato di necessità vantato dalla ricorrente doveva
sicuramente ritenersi integrato avendo riguardo alla combinazione del
diritto all’abitazione con quello relativo alla tutela della salute del
figlio minore, costituzionalmente garantito, e che in ogni caso lo stato di
pericolo in cui versavano i due soggetti non era assolutamente da imputarsi
alla ricorrente, né altrimenti evitabile, atteso lo stato di povertà della
stessa e, dunque, l’impossibilità di reperire un diverso alloggio.

Il fatto commesso inoltre, sempre secondo la ricorrente, doveva ritenersi
proporzionato al pericolo che lo stesso avrebbe dovuto scongiurare.

Nel ritenere fondato il ricorso, la Suprema Corte ha saggiamente evidenziato
che nel concetto di "danno grave alla persona" di cui all’art.54 Cp. devono
oggi farsi rientrare non soltanto le lesioni della vita e dell’integrità
fisica, ma anche "quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti
fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell’articolo 2
Cost; e pertanto rientrano in tale previsione anche quelle situazioni che
minacciano solo indirettamente l’integrità fisica del soggetto in quanto si
riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, fra i
quali deve essere certamente ricompreso il diritto all’abitazione in quanto
l’esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona".

Appare dunque illuminante una simile esegesi estensiva della nozione di
danno grave alla persona, così come contenuto nel corpo dell’art.54 cp, alla
luce della quale (come in precedenza sottolineato anche da Cass.pen.sez.II,
19 marzo 2003, n.24290), "più attenta e penetrante deve essere l’indagine
giudiziaria diretta a circoscrivere la sfera d’azione dell’esimente ai soli
casi in cui siano indiscutibili gli elementi costitutivi della stessa –
necessità e inevitabilità – non potendo i diritti dei terzi essere compressi
se non in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate".

Contrariamente a quanto appena esposto invece, i giudici dell’appello
avevano omesso – secondo la Corte di legittimità – ogni esplorazione diretta
ad appurare le condizioni personali dell’imputata, le esigenze di
salvaguardia dell’integrità fisica del figlio minore, l’esistente minaccia
alla loro integrità fisica e la sussistenza, sul piano oggettivo, dei
necessari requisiti dell’inevitabilità e della necessità di cui all’art.54
Cp.

La sentenza di merito, dunque, non poteva che essere annullata dalla S.C.,
con rinvio per un nuovo giudizio dinnanzi ad altra sezione della Corte
d’Appello
di Roma e, almeno provvisoriamente, buona pace della ricorrente e del di lei
figliolo (si veda anche Guida al diritto n.50/07).

Avv. Alessandro Buzzoni

Avv. Buzzoni Alessandro

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