Diritti e privilegi nella Storia moderna

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Illuminismo è la liberazione dell’uomo dallo stato volontario di minorità intellettuale. (Immanuel Kant Che cos’è l’illuminismo)

Ma checché io sia, la voce del cielo in terra mi grida che al mio posto significo anch’io qualcosa. (Herder Johann Gottfried Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità)

 

Presentazione

Il saggio che presentiamo si pone come scopo quello di individuare attraverso l’analisi di testi significativi, quali siano le idee propulsive della Società.

Vengono individuati, a torto o a ragione, due scenari.

  1. Il primo che vede l’uomo, rinato dopo la “notte” del Medioevo, come agente nella storia e creatore del proprio destino,i cui obiettivi sono rappresentati dal raggiungimento di una felicità in armonia con la moralità e presuppone un ordine naturale in cui siano radicati i valori universali dell’uomo: giusnaturalismo

2) Il secondo che vede operare nella storia non l’uomo individuale ma un ente collettivo (il gruppo, la comunità, la nazione), o, in alternativa, vede l’uomo come parte integrante di un disegno (messo in atto dalla Provvidenza) che lo comprende ma che lo trascende e i cui obiettivi sono rappresentati dai valori della tradizione e presuppone un ordine storico/sociale che valorizza diritti storici e valori particolari : storicismo.

I due movimenti possono e,anzi, devono essere considerati convergenti mirando entrambi a realizzare la dignità dell’uomo nella sua pienezza.

Più specificamente l’Autore ripercorre, attraverso le opere di sicuro valore scientifico di cui si è avvalso, nei suoi tratti salienti, a partire dalla caduta dell’impero romano ai nostri giorni, l’evoluzione di diritti e privilegi nella società.

Il saggio rappresenta più che altro uno schema,contiene delle coordinate che hanno l’ambizioso progetto di portare il lettore a formularsi domande sulla sua esistenza e sul suo futuro.

Attraverso l’esame di opere di studiosi accreditati si è ritenuto di ravvisare un filo rosso che partendo dalle origini della società post-romana attraversi l’epoca medievale,l’epoca rinascimentale e i secoli successivi fino ai nostri tempi.

Si tratta di spunti di,per usare un termine moderno, flashes, che guidano il lettore in questo lungo percorso fino a individuare lo scenario degli ultimi secoli,scenario in cui siamo tuttora immersi.

Progressismo e Conservatorismo sono le due grandi direttrici lungo le quali si muove la nostra epoca.Sono essi i valori che ispirano, fondamentalmente, la destra e la sinistra della politica. Sono Categorie eterne, sono Idee generali.

 

Indice. Nascita delle diseguaglianze -La Società del Medioevo-Nuova importanza dell’individuo-La nascita delle nuove ideologie-Il progressismo .Le origini della moderna democrazia-Il Conservatorismo-Conclusioni.La soppressione dei privilegi.L’accettazione e la valorizzazione dei privilegi-Appendice La volontà generale di Jean Jacques Rousseau e il governo della maggioranza.

 

Capitolo Primo

Le premesse storiche

La nascita delle disuguaglianze. La Società del Medioevo

La nascita delle disuguaglianze

Per la nostra analisi prendiamo le mosse dalla situazione che si era determinata alla caduta dell’Impero romano e dall’inizio del medioevo.

Si ritiene dai più che è il 568 d.c., l’anno dell’invasione longobarda, a segnare il vero discrimine tra la storia romano-imperiale e quella italiana e,con ciò, l’inizio del Medioevo in Italia.

Lo sfaldarsi dello Stato romano, sotto la spinta delle invasioni barbariche, aveva determinato una situazione di generale confusione che, a breve aveva portato all’abbandono delle città in rovina e alla nascita di comunità rurali, fondate sul latifondo.

In effetti la campagna si presentava desolata,non più coltivata e abbandonata per le frequenti incursioni dei popoli barbari che si diffondevano sul suolo europeo e razziata dalle stesse bande.

Un processo di selezione e di semplificazione strutturale portava l’aristocrazia fondiaria ad emergere come classe sociale dominante, in maniera sempre più netta ed esclusiva.

In un’epoca in cui l’economia agraria era quale si è accennato, il fenomeno è piú che spiegabile. Ciò che lo rende storicamente interessante è che esso si accompagna non solo ad un rarefarsi e ad un indebolirsi dei ceti di piccoli e medi proprietari liberi, fossero o non fossero diretti coltivatori, bensì anche ad un mutamento giuridico nella condizione di quella gran parte della popolazione rurale che erano gli schiavi. Nel giro di pochi secoli una condizione di servitù della gleba si sostituisce alla schiavitù: effetto, senza dubbio, dell’influenza esercitata dalla nuova concezione cristiana del mondo, della vita e dell’uomo; effetto, anche, della struttura sociale propria dei popoli germanici, invasori, presso i quali la schiavitù, benché nota e praticata, non aveva la stessa importanza che nella società romana imperiale; ma effetto, ancora, della mutata realtà demografica, economica e sociale, che — già negli ultimi tempi dell’Impero — rende piú difficile il reclutamento degli schiavi, fa preferire la sostanza del rapporto di dipendenza fra servo e padrone alla piú impegnativa soluzione del pieno vincolo schiavistico, facilita l’assimilazione dei ceti dei liberi proprietari in decadenza alla popolazione rurale dipendente.

Su quest’ultima il potere dell’aristocrazia fondiaria si esercita nella forma di istituzioni patronali, di vario genere secondo le regioni e i tempi, e dà luogo ad obblighi e prestazioni dei servi almeno altrettanto vari. Si formano cosí, in questi secoli, le consuetudini locali che rimarranno poi per altri lunghi secoli a base della misura in cui, per contratto o per prassi, i proprietari terrieri o i loro delegati percepiranno censi, frutti ed opere dai coloni: lì assorbendo antichi obblighi tributari e sostituendo il proprietario al potere pubblico nella relativa percezione; qui convertendo in obblighi in natura vecchie prestazioni pecuniarie: altrove rendendo gratuite opere e prestazioni prima pagate: ovunque inasprendo le condizioni di godimento della terra e di lavoro dei dipendenti rispetto ai padroni.

I padroni emergono, perciò, con un rilievo nuovo sullo sfondo delle campagne italiane. Le loro villae si contrappongono con evidenza alle fatiscenti città, cellula prima e suprema della civiltà antica, e nello stesso tempo diventano il luogo di raccolta di popolazioni rurali, che prima erano distribuite in insediamenti piú liberi e sparsi, ora resi impossibili e inopportuni dalle nuove condizioni delle strade, dell’ordine pubblico, della produzione e degli scambi. L’amministrazione delle villae diventa, a sua volta, piú complessa e articolata. Anche da questo punto di vista il contrasto con le antiche istituzioni municipali in dissoluzione è fortissimo. Il latifondista non rimane legato a lungo alla sorte rovinosa che la crisi economica, la pressione fiscale e le rapine e le distruzioni barbariche riservano alla classe dei curiales, dei borghesi, che per secoli avevano amministrato le città e che erano poi espressione proprio di quella libera piccola e media proprietà che si va ora disfacendo. Il latifondista è un elemento antico che assume una nuova fisionomia, e resiste e si salva anche perché riesce a darsi nuove funzioni che hanno la loro utilità in tempi cosí calamitosi e di tanto indebolimento del potere pubblico. In fondo, è lui che raccoglie, organizza e protegge gran parte della popolazione. Il carattere aristocratico della sua posizione non può che risultarne rafforzato. Esso tende, anzi, ad assumere tratti signorili. Lo si vede, oltre tutto, dalle guardie armate, piccoli eserciti privati, che ornai diventano consueti nel paesaggio della villa. (*)

Si andavano quindi sempre più rafforzandosi i diritti signorili

I diritti signorili erano un ulteriore ostacolo all’attività individuale, sia pure in misura diversa, secondo le persone. I servi in senso stretto non potevano contrarre matrimonio senza aver prima pagato una tassa, né potevano sposare una donna originaria di altro feudo senza autorizzazione. Alla loro morte, il signore riceveva del tutto o in parte la loro eredità (corimedis, manomorta, diritto di prima scelta). Quanto alle corvé e alle prestazioni in natura, esse gravavano su tutti i tributari o, per meglio dire, su tutti i censi, poiché avevano finito per trasformarsi da oneri personali in oneri reali. Sotto questo aspetto, si distinguevano vari tipi di mansi: ingenuiles, serviles, lidiles, i cui obblighi differivano a seconda che fossero stati occupati originariamente da un servo, da un semilibero o da un uomo libero. La «taglia» che il signore esigeva anche dai suoi uomini in caso di bisogno era indubbiamente l’onere più gravoso e più odioso che pesava su di loro. Infatti, non si limitava a sottometterli a un prelievo gratuito ma, per la sua natura arbitraria, poteva naturalmente dar luogo ai più gravi abusi. Lo stesso non poteva dirsi per i cosiddetti «diritti di banno», che costringevano i contadini a macinare il loro grano esclusivamente presso il mulino del signore, a fare la birra solo nella sua fabbrica o a pigiare l’uva soltanto col suo torchio. Le tasse che bisognava pagare per tutto questo avevano almeno come contropartita l’usufrutto di impianti delle cui spese si era fatto carico il signore stesso.

In conclusione, bisogna constatare che il signore non beneficiava di tutti i canoni riscossi nei suoi possedimenti. Accadeva di frequente che le sue terre fossero gravate da diritti «giudiziari», ossia da diritti che non si originavano dalla proprietà, bensì dalla sovranità. Così era assai spesso, per esempio, per il cosiddetto medem, che può essere considerato una lontana sopravvivenza incorporata alla terra, dell’imposta pubblica romana. Molti proprietari l’avevano confiscata a loro profitto. Ma poteva succedere che fosse riscossa a profitto del principe locale o di qualche altro avente diritto. Ben diversa per natura era la decima, la quale costituiva un onere assai più gravoso e soprattutto più generale. Teoricamente, sarebbe dovuta andare alla Chiesa. In realtà, molti signori se ne erano appropriati. Poco importava del resto al contadino l’origine delle prestazioni fondiarie dal momento che,qualunque fosse la loro natura,in ogni caso gravavano tutte su di lui.(**)

Tale situazione di soggezione si perpetuò per secoli, quelli del feudalesimo, nonostante il nascere del Comune e le successive vicende storiche,pur attenuandosi per la nascita di una borghesia commerciale e anche industriale che si era nel frattempo emancipata e il nascere di nuove forme di governo quali principati,repubbliche, signorie e stati monarchici.

Agivano sulla società potenti forze stabilizzanti e conservatrici: che possiamo individuare nella forza della corporazione, del sistema feudale, ma anche di forze spirituali che spostavano il senso della vita dal mondo terreno,che andava accettato come era, perché rappresentava la volontà di Dio, al mondo ultraterreno dove l’uomo avrebbe trovato il compenso e il conforto di tutte le sue tribolazioni e sofferenze materiali nel gaudio spirituale del contatto colla Divinità (vedi il Paradiso dantesco).

La Società del Medioevo

Nel Medioevo i due volti della coscienza, quello che riflette in sé il mondo esterno e quello che rende l’immagine della vita interna dell’uomo, se ne stavano come avvolti in un velo comune, sotto al quale o languivano in lento torpore o si muovevano in un mondo di puri sogni. Il velo era tessuto di fede, di ignoranza infantile, di vane illusioni: veduti attraverso di esso, il mondo e la storia apparivano rivestiti di colori fantastici, ma l’uomo non aveva valore se non come membro di una famiglia,di un popolo, di un partito, di una corporazione, di cui quasi interamente viveva la vita.

L’incertezza della vita continuamente messa in pericolo dalle invasioni barbariche, il conseguente rifugiarsi degli individui nella religione,sia come istituzione che potesse in qualche modo proteggerli materialmente,sia che desse all’animo quello scudo che potesse fare sopportare le disgrazie che colpivano pressoché quotidianamente le famiglie, fece sì che non ci fosse spazio per interessi diversi dalla salvaguardia della incolumità fisica e delle proprietà senza che si potesse menomamente concepire e formulare programmi per un futuro che si presentava estremamente incerto.

Ne derivò un quadro caratterizzato da un forte immobilismo con le sole vie di uscita dell’ascesi e del sogno.

Una profonda rassegnazione per la miseria terrena caratterizza lo stato d’animo con il quale viene osservata la realtà quotidiana, non appena alla giovanile gioia di vivere o al cieco godimento subentra l’età della riflessione. Dov’è il mondo migliore che ogni epoca è portata a vagheggiare?

L’aspirazione a una vita migliore ha avuto di fronte a sé in ogni tempo tre vie per raggiungere la meta lontana. La prima portava direttamente fuori dal mondo: è la via dell’ascesi. In questo caso una vita migliore sembra raggiungibile unicamente nell’aldilà e può essere soltanto una liberazione da ogni cosa terrena; ogni attenzione prestata al mondo ritarda la salvezza promessa. Ogni civiltà superiore ha percorso questa strada; il Cristianesimo aveva inculcato questo ideale così fortemente negli spiriti, sia a livello di vita individuale che come fondamento culturale, da impedire quasi, per molto tempo, di percorrere la seconda via.

 

Questa era la via che conduceva al miglioramento e al perfezionamento del mondo stesso. Il Medioevo ha conosciuto appena questo ideale. In questo periodo il mondo era considerato buono e era cattivo nella misura in cui poteva esserlo, vale a dire che tutte le istituzioni, in fin dei conti volute da Dio, erano buone; è il peccato dell’uomo che tiene il mondo nella miseria. Quell’epoca non conosce, infatti, come stimolo al pensiero e all’azione, la lotta consapevole per migliorare e riformare le istituzioni sociali o politiche. Praticare il proprio mestiere in maniera virtuosa è l’unica cosa che possa giovare al mondo, ed anche in questo caso il vero scopo dell’operare resta l’altra vita. Anche dove viene creata una nuova forma sociale, all’inizio la si considera come un ripristino del buon diritto antico o come la abolizione di abusi tramite una delega data all’autorità a questo preposta. L’istituzione cosciente di organismi concepiti davvero come nuovi è rara anche nella intensa opera legislativa che la monarchia francese conobbe sin dai tempi di San Luigi e che i duchi di Borgogna continuarono nei loro stati. Che con quel lavoro si dia modo all’ordinamento statale di svilupparsi verso forme più efficaci è un fatto del quale non sono ancora, o solo a malapena, consapevoli. Non hanno in mente un progetto per il futuro, né un ideale; ancora una volta è soprattutto l’applicazione immediata del loro potere e l’adempimento dei loro doveri per amore del benessere comune che li spinge a emanare ordinanze e insediare collegi di giudici.

Niente ha così fortemente contribuito a creare quell’atmosfera di pessimismo e di disperazione nei confronti dell’avvenire quanto questa assenza di una volontà collettiva di costruire un mondo migliore e più felice. Nel mondo stesso non c’era alcuna promessa di cose migliori. Chi anelava al meglio e tuttavia non riusciva ad allontanarsi dal mondo e da tutte le sue piacevolezze, aveva davanti a sé solo la disperazione; non trovava in alcun luogo né speranza né letizia; al mondo restava ancora poco da vivere, e in quel poco non c’era che miseria. Quando si intraprenderà la strada del miglioramento del mondo, inizierà una nuova epoca, nella quale la paura di vivere cederà il posto al coraggio e alla speranza. In realtà questo concetto è ribadito soltanto nel XVIII secolo. Il Rinascimento aveva attinto da altre gioie il suo ottimismo. Solo il XVIII secolo innalza l’idea di rendere migliore l’uomo e la società a suo dogma fondamentale, e l’ideale economico e sociale del secolo seguente perde solo quell’ingenuità, non il coraggio e l’ottimismo.

La terza via a una vita migliore è quella del sogno. E’ la via più facile, che però lascia la meta sempre ugualmente lontana. Se la realtà terrena è così inevitabilmente penosa e la rinuncia al mondo così difficile, allora lasciateci colorare la vita di belle apparenze, fuggire nel mondo dei sogni e,delle fantasie luminose, mitigare la realtà con l’estasi dell’ideale. E’ sufficiente un semplice

tema, un unico accordo, per far risuonare la fuga avvincente: è sufficiente la speranza nella felicità sognata di un passato più bello, uno sguardo sul suo eroismo e la sua virtù, oppure l’allegro raggio di sole della vita in mezzo alla natura e secondo il suo esempio. Su questi pochi temi, il tema eroico, il tema della saggezza e il tema bucolico è stata costruita tutta la cultura letteraria dall’antichità in poi. Il Medioevo, il Rinascimento, il XVIII e il XIX secolo, tutti insieme non trovano molto di più che nuove variazioni sulla vecchia canzone.

Tuttavia, questa terza via a una vita migliore, l’evasione dalla dura realtà verso una bella illusione, è solamente un motivo letterario? Sicuramente è qualcosa di più. Influisce sulla forma e sul contenuto della vita sociale altrettanto bene come le altre due tendenze, ed è tanto più forte quanto più primitiva è la civiltà(***).

 

Capitolo Secondo

Nuova importanza dell’individuo.

Per cominciare a cambiare veramente le cose sarebbe occorso la nascita di una nuova coscienza.

Ciò avvenne in particolare in Italia.

Nell’indole delle repubbliche e dei principati, risiede, se non l’unica, certo la più potente causa per cui gli Italiani, prima d’ogni altro popolo, si trasformarono in uomini moderni e meritarono di essere detti i figli primogeniti della presente Europa.

L’Italia è`la prima a squarciare il velo che ricopriva il Medioevo e a considerare lo Stato e tutte le cose terrene da un punto di vista oggettivo; ma al tempo stesso si risveglia potente nell’italiano il sentimento di sé e del suo valore personale o soggettivo: l’uomo si trasforma nell’individuo, e come tale si afferma.

Col finire del secolo XIII l’Italia comincia a formicolare di uomini indipendenti, d’individui che fanno parte per se stessi: l’anatema che prima aveva pesato sull’individualità è rimosso per sempre, e a migliaia sorgono le personalità dotate d’un carattere decisamente proprio. Il gran poema di Dante sarebbe stato impossibile in qualunque altro paese appunto perché tutto il resto d’Europa sentiva ancora il peso di quell’anatema: per l’Italia dunque il divino poeta, portando al suo pieno sviluppo il sentimento dell’individualità, è diventato l’interprete più fedele e nazionale del proprio tempo.

A),I primi a mostrare al più alto grado tale individualità sono i tiranni e i condottieri, e poi a poco a poco gli uomini d’ingegno da loro protetti, ma anche in ogni occasione fatti strumento di governo, i cancellieri, i segretari, i poeti e gli uomini di corte.

Ma anche i sudditi non andarono del tutto esenti dal risentire un impulso simile. Senza tener conto di quelli che consumarono la loro vita in congiure segrete e in tentativi di resistenza, menzioneremo coloro che si rassegnarono a rimanere chiusi nella vita privata. Certamente deve essere stato assai difficile mantenere la dignità della propria casa e della loro stessa persona, e innumerevoli sono coloro che hanno dovuto scontare con la schiavitù la fierezza di quello che strettamente suol dirsi carattere morale di un uomo. Ma quanto al carattere individuale, ossia all’originalità e particolarità delle tendenze di ognuno, la cosa andava diversamente, perché in mezzo all’universale impotenza politica si spiegavano tanto più forti e molteplici le diverse manifestazioni della vita privata. Ricchezza e cultura, in quanto possano mostrarsi in piena luce e gareggiare fra loro, congiunte con una libertà municipale ancora abbastanza larga, e con una Chiesa, la quale non era una cosa identica con lo Stato, — tutti questi elementi presi insieme favorivano senza dubbio la formazione di un’opinione individuale, cui l’assenza stessa delle lotte di partito forniva agio e opportunità di svilupparsi. Non è dunque improbabile che l’uomo privato, indifferente alla politica e dedito tutto alle sue occupazioni in parte professionali e in parte del tutto accessorie, si sia per la prima volta venuto formando sotto queste tirannidi del secolo XIV.

B) Anche nelle repubbliche lo sviluppo del carattere indivividuale era favorito al pari che nei principati, ma in modo completamente diverso. Quanto più frequentemente i partiti si avvicendavano al governo tanto più fortemente gli uomini che li componevano sentivano la tentazione di sfruttare il potere e talvolta di abusarne. E appunto per questo che nella storia fiorentina gli uomini politici e i caporioni del popolo acquistano una personalità così spiccata, che altrove non si riscontra .

Ma gli uomini dei partiti soccombenti venivano spesso a trovarsi in una condizione simile a quella dei sudditi dei tiranni, con questo di più, che la libertà o la signoria già gustate, e forse anche, la speranza di riacquistare l’una e l’altra, davano al loro individualismo uno slancio più ardito. Appunto fra questi uomini condannati ad un ozio involontario si trova, per esempio, un Agnolo Pandolfini (morto nel 1446), il cui trattato Del governo della famiglia è il primo programma di una vita privata portato al suo massimo sviluppo con l’aiuto dell’educazione. Il raffronto che’ fa tra i doveri di un privato e le incertezze e le noie della vita pubblica’ merita di essere considerato, nel suo genere, come un vero monumento del suo tempo.

C) Ma ciò che sopra ogni altra cosa ha la forza o di logorare un uomo o di portarlo al massimo grado del suo sviluppo, è l’esilio. «In tutte le nostre città più popolate», scrive Gioviano Pontano. «noi vediamo una moltitudine di persone, le quali spontaneamente hanno abbandonato la loro patria; ma le virtù si possono portare con sé dovunque.» Ed era vero: quegli uomini non erano semplici fuggiaschi banditi dalla loro patria, ma l’avevano abbandonata di proprio impulso, perché le condizioni politiche ed economiche di essa erano divenute ormai insopportabili. I Fiorentini emigrati a Ferrara e i Lucchesi rifugiatisi a Venezia costituivano delle vere colonie.

Il cosmopolitismo, che si manifesta negli esuli più colti, è l’individualismo portato al suo più alto grado. Dante, come abbiamo già accennato, trova una nuova patria nella lingua e nella cultura di tutta Italia, e anzi va ancora più in là ed esclama: «La mia patria è il mondo intero!».

 

Perfezionamento dell’individualità. Gli uomini universali.

Un intelletto particolarmente acuto e profondamente versato nella storia della civiltà non durerebbe fatica a seguir passo passo nel secolo XV lo svolgersi successivo di individualità per ogni verso perfette. E vero che nessuno potrebbe dire con certezza se tali individualità siano giunte a quell ‘armonico accordo del lato interno col lato esterno della loro vita in conseguenza di un solo atto fermo e deliberato della loro volontà, o non anche per un fortunato concorso di favorevoli circostanze: ma, ad ogni modo, è fuor d’ogni dubbio che molte vi giunsero, almeno per quanto ciò è conciliabile con l’imperfezione della natura umana. Ora, quando prepotenti impulsi venivano a cadere in una natura straordinariamente gagliarda e versatile, tale da appropriarsi ad un tempo di tutti gli elementi della cultura di quell’età, si aveva allora l’uomo universale, che appartiene esclusivamente all’Italia. Uomini di sapere enciclopedico ve ne furono in tutto il Medioevo in più paesi, perché il sapere era più ristretto e i rami dello scibile più affini tra loro: e per la stessa ragione sino al secolo XII s’incontrano artisti universali, perché i problemi dell’architettura erano relativamente semplici e uniformi, e nella scultura e nella pittura il concetto o la sostanza della cosa da rappresentarsi prevaleva sulla forma. Nell’Italia del Rinascimento invece noi incontriamo singoli artisti, i quali in tutti i campi danno creazioni assolutamente nuove e perfette nel loro genere, e al tempo stesso emergono individualmente anche come uomini. Altri sono universali e abbracciano, oltre alla cerchia dell’arte, anche il campo incommensurabile della scienza con sintesi meravigliosa.(****)

 

Capitolo Terzo
La nascita di nuove ideologie

Gli ultimi tre secoli di storia hanno visto eventi straordinari e straordinariamente complessi.

Basti pensare alle rivoluzioni e alle guerre che hanno sconvolto la società in questi secoli.

Ciò ha indotto gli studiosi a riflettere sul perché di questi eventi e, per comprendere, di riflessione in riflessione, a tornare alle radici dello Stato.

A ciò si aggiunga che il nostro paese sta attraversando quella cha possiamo considerare una vera e propria “crisi di identità”.

Si impongono quindi alcune riflessioni sulle radici della società di oggi.

A tal fine occorre, in primis, individuare le direttrici fondamentali della storia moderna.

Un interessante saggio dello studioso Zeev Sternhell edito da Baldini Castaldi Dalai ci può servire come filo conduttore per alcuni nostri approfondimenti e sviluppi.

L’Autore individua, in estrema sintesi, due linee di pensiero,che denomina le due modernità:

<la grande divisione tra i due rami della modernità: la modernità portatrice di valori universali, della grandezza e autonomia dell’ individuo padrone del suo destino, una modernità che vede la società e lo Stato come strumenti nelle mani dell’individuo avviato alla conquista della libertà e della felicità; e la modernità comunitaria, storicista, nazionalista, una modernità per la quale l’indivividuo è determinato e limitato dalle origini etniche, dalla storia, dalla lingua e dalla cultura. Per Herder l’uomo è quello che hanno fatto di lui i suoi antenati, la «zolla» (Erdscholle) nella quale essi sono seppelliti e dalla quale lui stesso è nato; non sono le buone istituzioni e le buone leggi che plasmano gli uomini, non è la politica che li modella: la politica è esterna all’uomo, è la cultura che ne costituisce l’essenza>.

L’Autore nel citato saggio segue l’evolversi di queste due correnti di pensiero.

 

Hobbes(1651)

Locke (1690)

Illuminismo

Kant

Dichiarazione diritti dell’uomo

(1789)

Diritti universali

Vico(1744)

Burke (1756)

Herder(1774) storicismo

comunitarismo

neoconservatorismo XX^Sec.

 

Diritti storici

 

Da parte nostra, pur ripercorrendo le linee tracciate, esponiamo il nostro punto di vista delineando un contesto che non corrisponde del tutto a quello proprio di Zeev Sternell.

La riscoperta dei diritti dell’individuo

Nel Medioevo, come su ampiamente illustrato <il genere umano viveva senza speranza come nella trappola di un mondo di terrore e di pericolo contro il quale non c’ era possibilità di difesa. Dio e il diavolo erano concetti vivi per gli uomini di quei tempi che si facevano piccoli davanti alle afflizioni che credevano imposte da forze sovrannaturali.>

Dopo secoli durante i quali,quindi, il più importante riferimento dell’uomo era stato un modello di vita che guardava quasi esclusivamente a finalità ultraterrene, alle quali si perveniva con una condotta conforme ai principi della religione e nel rispetto delle Autorità costituite,quasi esclusivamente monarchie assolute o comunque, governi dispotici,oligarchie,principati etc., avvenne come un risveglio o, se si vuole,una svolta,a cavallo tra il XV^ e il XVI^ secolo, per la quale si tornò a considerare l’individuo,l’uomo come centro del mondo.

Si affermano alcuni principi dapprima impensabili: l’idea che gli uomini abbiano il diritto di costruire un mondo diverso da quello che hanno ereditato (Hazard) ;l’idea per la quale il bene e la felicità devono essere l’obiettivo di ogni azione politica ;infine l’idea, che l’uomo diventa padrone del suo destino (Ficino homo faber fortunae suae;Pico della Mirandola homo copula mundi;Lutero libero esame delle scritture).

Dopo secoli di obblighi,servitù corvèes,decime,gabelle che gravavano sull’individuo si tornò a parlare di diritti.Conosciamo tutti gli sviluppi successivi che culminarono nella Rivoluzione Francese.

Dobbiamo però,a questo punto distinguere,nell’ambito della generica nozione di “diritti”, i diritti naturali dai diritti storici, distinzione che peserà non poco nello sviluppo della società nei tempi che seguirono.

Per diritti naturali dobbiamo intendere quei diritti che sono propri di tutti gli uomini,a prescindere dalla loro appartenenza a qualunque stato o regione,i c.d. diritti universali, diritti generali, diritti dell’uomo in quanto tale,potremmo considerarli diritti <prepolitici>(c.d. giusnaturalismo).

Si può ragionevolmente attribuire a Hobbes(Leviatano,ed.Laterza) la teorizzazione di uno Stato di natura.Tale stato sarebbe caratterizzato dalla perfetta eguaglianza di tutti gli uomini.Da questa eguaglianza di capacità nasce una eguaglianza nella speranza di raggiungere i propri fini.<perciò se due uomini desiderano la medesima cosa,di cui tuttavia non possono entrambi fruire,diventano nemici e, nel perseguire il loro scopo cercano di distruggersi o di sottomettersi l’un l’altro> .Ne consegue uno stato di guerra permanente:<guerra che è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo>. In tale stato non esiste legge;<appartiene ad ogni uomo tutto ciò che riesce a prendersi e per tutto il tempo che riesce a tenerselo>.Tuttavia l’uomo può uscire da questo stato di guerra attraverso un patto tra tutti i soggetti che,con carattere di reciprocità,rinunciano a loro diritti,trasferendo tutto il loro potere e tutta la loro forza a un solo uomo o a una sola assemblea.

Nel secondo caso,attraverso il contributo concettuale dei c.d. philosophes verrà successivamente elaborata la teoria della c.d. <sovranità popolare >(Rousseau).

Vi sono tuttavia dei diritti che non sono rinunciabili.

I diritti inalienabili furono scolpiti nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.

Per diritti storici si intendono invece quei diritti che trovano fondamento nell’ambito di una comunità Con riferimento all’ordinamento giuridico costituiscono il c.d. diritto positivo.Si tratta di diritti particolari propri di ogni nazione, regione, comunità in genere. Voltaire constatava che una medesima controversia avrebbe avuto esito diverso a seconda che fosse insorta e quindi giudicata in una regione piuttosto che in una altra regione della Francia di allora.

Gli studiosi si sono divisi tra coloro che negano l’esistenza di diritti universali,astratti,quasi metafisici,affermando che esistono solo diritti propri di una determinata epoca e di una determinata comunità (relativismo) e coloro che invece considerano l’uomo come essere immutabile soggetto a principi universali e titolare di valori universali.

La nascita dello Stato moderno

Tornando al primo aspetto enunciato nel preambolo di questo capitolo,circa gli eventi straordinari che hanno caratterizzato il periodo storico che abbiamo preso in esame, ne sono nate riflessioni interessanti e approfondite,nel saggio che ci serve da falsariga, che hanno cercato di portare chiarezza sugli eventi medesimi.

L’analisi dell’Autore si concentra su due ipotesi fondamentali.

1) nascita dello Stato in forza di un contratto stipulato in un ben determinato momento storico

Vedi Locke, Il Secondo Trattato sul Governo : <Ogniqualvolta, dunque, un certo numero di uomini è riunito in una sola società, in tal modo che ciascuno rinuncia al suo potere esecutivo della legge di natura e lo rimette al pubblico, allora e allora soltanto v’è società politica e civile.>.

Tale teoria, ben nota attraverso gli scritti degli illuministi, non necessita di ulteriore trattazione.

2) Nascita dello Stato in forza della socialità propria dell’uomo;nascita delle istituzioni attraverso uno sviluppo nel tempo.

Vedi Vico, Principi di Scienza Nuova, con la quale opera volle comporre<una teologia civile ragionata della provvidenza divina> nonché < una storia ideal eterna,sulla quale corrono in tempo tutte le nazioni ne’ loro sorgimenti,progressi,stati,decadenze e fini>.

E’ noto che il Vico pose i fondamenti del suo sistema nelle c.d. <degnità>,ossia principi generali, assiomi che informano tutta la sua visione filosofica e storica <le quali,come per lo corpo animano il sangue,così deono per entro scorrervi ed animarla in tutto ciò che questa Scienza ragiona della comune natura delle nazioni>.

Tra le tante,al nostro scopo, ci è bastato citare le tre seguenti, di per sè abbastanza perspicue.

Dignità VIII : <134 Le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano né vi durano.

135 Questa degnità sola, poiché ‘1 gener umano, da che si ha memoria del mondo, ha vivuto e vive comportevolmente in società, ella determina la gran disputa….: se vi sia diritto in natura, o se l’umana natura sia socievole, che suonano la medesima cosa.>

Dignità CIV: 309 Questa degnità dagli effetti diffinisce altresì la gran disputa: «se vi sia diritto in natura o sia egli nell’oppenione degli uomini», la qual è la stessa che la proposta nel corollario del-l’ottava: «se la natura umana sia socievole». Perché, il diritto natural delle genti essendo stato ordinato dalla consuetudine …. non ordinato con legge …perocché egli è nato con essi costumi umani usciti dalla natura comune delle nazioni (ch’è ‘1 subbietto adeguato di questa Scienza), e tal diritto conserva l’umana società; né essendovi cosa più naturale (perché non vi è cosa che piaccia più) che celebrare i naturali costumi: per tutto ciò la natura umana, dalla quale sono usciti tali costumi, ella è socievole.>.

Dignità CV :< 311 Il diritto natural delle genti è uscito coi costumi delle nazioni>.

La Dignità VIII n.134 va letta nel senso che tutti gli istituti civili non fondati sulla vera natura umana non possono durare;ossia fondare la società su un patto astrattamente razionale,essendo contrario alla vera natura dell’uomo, fondata invece sulla socialità dello stesso, non possono durare (né vi si adagiano,né durano).

.La teoria socio-filosofica deve trovare,secondo noi, conferma nella teoria giuridica

Il Filosofo costruisce le teorie e i sistemi,lo Storico descrive i fatti e con essi può convalidare o smentire le teorie.

Pertanto nel caso riteniamo di trovare conferma della teoria vichiana nelle vicende del più importante ordinamento giuridico di sempre,l’ ordinamento romano.

A tal fine ci limitiamo, rinviando ad altro momento l’analisi dettagliata, a rileggere il testo tratto dal volume di Scherillo- Dell’Oro Manuale di storia del diritto romano. Il primitivo sistema delle fonti .< Generalità. Il più antico sistema delle fonti non si può ricostruire che attraverso congetture. Tuttavia si può affermare che sicuramente la prima fonte è la consuetudine, perchè, se ancora in epoca storica la consuetudine resta la fonte principale, è ovvio che, a maggior ragione, tale essa dovesse essere nell’epoca precedente. Le stesse XII Tavole sono una conferma di questa affermazione perchè, come vedremo, non sono una legge comiziale, ma piuttosto, almeno dal punto di vista sostanziale, una raccolta di diritto vigente, affermatosi appunto attraverso la consuetudine. Dato poi che la legge comiziale sorge solo in epoca più tarda, appare pacifico che nell’età regia la consuetudine fosse fonte esclusiva.

La consuetudine non è chiamata «consuetudo» se non in testi recenti a carattere dottrinario essa invece veniva definita con il termine «mores maiorum», che indica chiaramente, e non abbiamo mancato di avvertirlo, come all’inizio il complesso delle norme non avesse un netto carattere giuridico, ma fosse un tutto indifferenziato comprendente, oltre quelle giuridiche, anche le norme religiose e del costume .

Il fondamento primo delle norme consuetudinarie è quindi religioso: conferma questa loro struttura la circostanza che il loro sviluppo fosse affidato ai pontefici. Questi, che non costituiscono propriamente un sacerdozio, come invece i Flamini, erano i conoscitori della tradizione, cosicchè essi soli potevano dichiarare l’esistenza di un principio. La cura dei contatti con la divinità mediante gli atti del culto era invece competenza esclusiva del magistrato . Quando il « rex », cioè il sommo magistrato, esercitava la « iurisdictio », vale a dire l’attività volta ad attuare e mantenere la «pax deorum», ossia l’ordine della collettività, si rivolgeva ai pontefici per essere istruito sull’atteggiamento da tenere nel caso specifico, in quanto essi soli conoscevano la tradizione e di conseguenza anche i principi giuridici. Non si può dubitare della funzione interpretativa dei pontefici in epoca regia, perchè anche nel primo periodo della repubblica una simile competenza era loro riconosciuta .

……………….omissis………….

Il diritto consuetudinario romano originariamente dovette essere comune anche alle altre città latine, in quanto quelle poche norme che di queste ci pervennero non sono sostanzialmente dissimili da quelle di Roma e non possiamo spiegare un tale fenomeno soltanto con l’esistenza di foedera ma piuttosto con l’origine comune, e quindi con la religione comune.>.

A queste due ipotesi noi aggiungeremmo una terza ipotesi,a parer nostro più verisimile

3) Nascita dello Stato per una necessità di difesa.

L’antropologia evolutiva sembrerebbe confermare tale visione.L’uomo uscito per evoluzione progressiva dallo stato animalesco (evoluzione darwiniana) si aggrega,ma non per creare uno stato o una società ma solo per meglio poter cacciare e meglio sottrarre le prede a gruppi concorrenti, per difendersi dagli altri gruppi. I diritti civili e le istituzioni vengono molto tempo dopo.In un primo tempo si afferma un “capo”, un leader.

Ancora leggiamo lo storico del Diritto

<Evoluzione della magistratura. — Coloro che cacciarono gli Etruschi ebbero, quale primo e maggiore problema da risolvere, quello di difendere il nuovo Stato contro i ritorni offensivi dei vecchi dominatori, i quali, partendo dalle loro vicinissime basi poste sull’altra sponda del Tevere, erano in grado di minacciarlo gravemente, come pure contro gli attacchi dei Latini che, già soggetti al dominatore etrusco di Roma, non volevano ormai, resisi indipendenti, riconoscere la supremazia di questa città. La tradizione, sia pure confusamente, ci rappresenta una tale situazione, richiamando il primo di questi pericoli nell’episodio di Porsenna, ed il secondo nella lotta conclusasi con la battaglia del lago Regillo.

Sorgeva perciò, da tutte queste circostanze, la necessità di curare particolarmente la preparazione militare, dando alle forze armate un’organizzazione efficiente. È quindi probabile che risalga a questa esigenza la creazione, accanto al «rex », carica non più in grado ormai di garantire una utile condotta bellica, ridotta com’era al disbrigo delle pratiche di culto, di un comandante militare a capo particolarmente della fanteria, come prova, anche in epoca storica, la necessaria coesistenza con il «dictator» del <magister equitum>, relitto questo dell’antichissimo ordinamento. Questo comandante militare appare all’inizio quindi come un magistrato straordinario, . In seguito, probabilmente per il perpetuarsi delle esigenze belliche, divenne ordinario, sottraendo al « rex » anche funzioni civili.>.

Il che ci fa propendere per una forma monarchica quale prima forma di governo della società.

 

Conclusioni

Dobbiamo a questo punto trarre le conclusioni.

Riprendendo il tema che ci siamo proposti,in questo capitolo, e cioè di analizzare le ragioni storico culturali che hanno portato agli importanti eventi degli ultimi 250 anni (Rivoluzione Francese,Rivoluzione Bolscevica, 1^ e 2^ guerra mondiale) possiamo concludere in sintesi che c’è chi attribuisce sia le rivoluzioni che i totalitarismi di sinistra alla c.d. teoria della sovranità popolare e alla conseguente dittatura della maggioranza, (Taine); chi invece riconduce alle teorie comunitarie, al c.d. genio del popolo, soprattutto i totalitarismi di destra (nazismo,fascismo) –(Popper).

Sul secondo punto,quello della crisi di identità del nostro paese,consideriamo che v’è chi dubita se l’unità del nostro paese sia compiuta a centocinquant’anni dalla proclamazione formale della stessa.C’è anche chi vorrebbe disfare quanto fatto,parlando di possibile secessione.E’ in corso,nel tempo in cui scriviamo, l’approvazione di un disegno di legge sul federalismo fiscale, che, a seconda di come verrà realizzato,potrà promuovere o indebolire l’unità del paese.A noi, qui,piace ricordare cosa disse Renan nella sua famosa conferenza alla Sorbona dell’11 marzo 1882, dal titolo “ Che cos’è una nazione”:

< Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose, che in realtà sono una cosa sola, costituiscono quest ‘ anima e questo principio spirituale; una è nel passato, l’altra nel presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme, la volontà di continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa. L’uomo, signori, non s’improvvisa. La nazione, come l’individuo, è il punto d’arrivo di un lungo passato di sforzi, di sacrifici e di dedizione. Il culto degli antenati è fra tutti il più legittimo; gli antenati ci hanno fatti ciò che siamo. Un passato eroico, grandi uomini, gloria (mi riferisco a quella vera), ecco il capitale sociale su cui poggia un’idea nazionale. Avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente; aver compiuto grandi cose insieme, volerne fare altre ancora, ecco le condizioni essenziali per essere un popolo. Si ama in proporzione ai sacrifici fatti, ai mali sofferti insieme. Si ama la casa che si è costruita e che si lascia in eredità. II canto spartano: «noi siamo quel che voi foste; saremo quel che voi siete» nella sua semplicità è l’inno abbreviato di ogni patria.

Nel passato, un’eredità di gloria e di rimpianti da condividere, per l’avvenire uno stesso programma da realizzare; aver sofferto, gioito, sperato insieme, ecco ciò che vale più delle dogane in comune e più delle frontiere conformi ai principi strategici; ecco ciò che si comprende malgrado le diversità di razza e di lingua. Dicevo poco fa: «aver sofferto insieme»; sì, la sofferenza comune unisce più della gioia. In fatto di ricordi nazionali, i lutti valgono più dei trionfi, poichè impongono doveri e uno sforzo comune.

La nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L’esistenza di una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza dell’individuo è una affermazione perpetua di vita.>.

Capitolo Quarto

Il progressismo- Le origini della democrazia moderna

Sommario: Introduzione;Lo stato di natura;La società  civile;Il contratto sociale;Lo Stato democratico; Il governo della maggioranza-La dittatura della maggioranza

Il tema che ci siamo proposti in questo capitolo è un tema di grande complessità  oltre che di rilevanza notevole per il funzionamento dei moderni sistemi di governo occidentali.

Come di consuetudine abbiamo voluto risalire alle radici riportandoci ai momenti in cui le teorie in oggetto si andavano formando sotto la spinta degli eventi storici e degli approfondimenti teorici  e dottrinari dei pensatori.

Per far ciò,seguendo l’evoluzione del percorso ideal-storico, abbiamo enucleato nell’opera dei principali pensatori  i concetti, i principi,i criteri che hanno informato le loro dottrine.

Certamente abbiamo limitato la nostra trattazione solo ad alcuni aspetti delle complessa problematica, vuoi per le limitate dimensioni dell’attuale saggio,vuoi per un bisogno di sintesi che possa dare una visione essenziale epperciò  meglio comprensibile.

Il fulcro della trattazione non poteva che riguardare l’opera di John Locke che è da considerare certamente il vero teorico della democrazia moderna.

 Introduzione di carattere generale

Il filosofo dell’antichità e/o del medioevo,prevalentemente se non esclusivamente,si confronta con la natura.Egli deve spiegarsi il rapporto tra l’uomo e la natura in cui è inserito e di cui è parte.Deve spiegare la sostanza della natura, gli elementi che la compongono.

Nel Medio-evo il confronto è con il mondo sociale permeato e quasi cristallizzato dalla religione,nell’ occidente, cristiana.

Solo dopo il rinascimento e l’avvento del protestantesimo il filosofo orienta il suo sguardo sul mondo dell’uomo e della sua società.

L’uomo è riportato al centro del mondo e dell’attenzione del pensatore-filosofo.

Mentre la natura,come allora intesa,nei tempi antichi e medioevale, per il filosofo non ha “storia”[il che sappiamo,oggi,non essere vero], quando l’attenzione si rivolge all’uomo si intuisce subito che l’essere umano ha uno sviluppo individuale (infanzia,età matura,vecchiaia) e collettivo (gli storici lo raccontano).L’idea di una “storia “ dell’uomo cessa di essere propria del solo storico, diventa patrimonio anche del pensatore-filosofo.

Ma la storia del filosofo non è la stessa storia dello storico.

E’ essa una “storia ideale”.Il teorico della storia ideale,a cui aggiungeva la caratteristica di “eterna” è senz’altro Giambattista Vico.

Ma anche altri  Autori delineano  questa storia “ipotetica” e, ci si perdoni il gioco di parole, “astorica” :<Cominciamo dunque con lo scartare tutti i fatti….Non bisogna prendere le ricerche in cui è necessario addentrarsi in questo argomento per verità storiche,ma solo per ragioni ipotetiche e condizionali….O uomo,di qualunque paese tu sia,qualunque siano le tue opinioni,ascolta:ecco la tua storia,quale ho creduto di leggere non nei libri dei tuoi simili,che sono menzogneri,ma nella natura che non mente mai.>(Rousseau).

Lo schema di questa storia ideale prevede almeno due fasi :1) lo stato di natura 2) lo stato della società civile o politica; v’è chi distingue tra i due stati un ulteriore stato intermedio  lo “stato di guerra” (Locke).

 

Lo stato di natura

Il profilo della stato di natura varia a seconda di come lo delinea ciascun pensatore.

Il primo teorico della stato di natura fu Hobbes nel famoso Leviatano. Così Hobbes raffigura lo stato di natura (visione pessimistica):  “La natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che, benché talvolta si trovi un uomo palesemente più forte, nel fisico, o di mente più pronta di un altro, tuttavia, tutto sommato, la differenza tra uomo e uomo non è così considerevole al punto che un uomo possa da ciò rivendicare per sé un beneficio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui.” E successivamente considera. “Da questa uguaglianza di capacità nasce un’uguaglianza nella speranza di raggiungere i propri fini. Perciò, se due uomini desiderano la medesima cosa, di cui tuttavia non possono entrambi fruire, diventano nemici e, nel perseguire il loro scopo (che è principalmente la propria conservazione e talvolta solo il proprio piacere) cercano di distruggersi o di sottomettersi l’un l’altro. Onde accade che, laddove un aggressore non ha che da temere il potere individuale di un altro uomo, se uno pianta, semina, edifica o possiede una posizione vantaggiosa, ci si può verosimilmente aspettare che altri, armati di tutto punto e dopo aver unito le loro forze, arrivino per deporlo e privarlo, non solo del frutto del suo lavoro, ma anche della vita o della libertà. Ma il nuovo aggressore corre a sua volta il rischio di un’altra aggressione.

Da ciò, appare chiaramente che quando gli uomini vivono  senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione chiamata guerra: guerra che è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La guerra, infatti, non consiste solo nella battaglia e nell’atto di  combattere, ma in uno  spazio di tempo in cui la volontà di affrontarsi in battaglia è sufficientemente dichiarata”.

Successivamente anche Locke delineò uno stato di natura (visione ottimistica): “  Per comprendere rettamente cosa sia il potere politico e derivarlo dalla sua origine, occorre considerare quale sia lo stato in cui tutti gli uomini si trovano naturalmente, vale a dire uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e di disporre  dei propri beni e persone come meglio credono,entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di un altro.

E’ anche uno stato di eguaglianza in cui ogni potere e autorità sono reciproci, non avendone nessuno più di un altro.

Nulla invero è più evidente del fatto che creature della stessa specie e grado, destinate senza discriminazione al godimento dei benefici della natura e all’uso delle stesse facoltà, debbono

essere anche uguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione, a meno che il signore e padrone di tutte loro non abbia, con manifesta dichiarazione della sua volontà, anteposta una alle altre conferendole con una evidente e chiara designazione, un incontestabile diritto al dominio e alla sovranità

Il saggio Hooker considera questa eguaglianza naturale degli uomini così evidente in se stessa e al di là di ogni dubbio, da porla a fondamento di quell’obbligo al reciproco amore fra gli uomini sul quale egli basa i doveri che abbiamo gli uni verso gli altri e da cui egli deriva i grandi principi della giustizia e della carità.

In definitiva,secondo Locke, l’uomo in quanto nasce, come si è dimostrato, con titolo alla perfetta libertà e al godimento illimitato di tutti i diritti e privilegi della legge di natura, alla pari di qualsiasi altro uomo o gruppo di uomini al mondo, ha per natura il potere non solo di conservare la sua proprietà – cioè la vita, la libertà e i beni –contro le offese e gli attentati degli altri uomini, ma anche di giudicare e punire le violazioni altrui a quella legge, secondo quanto egli ritenga l’offesa meriti.

Infine Rousseau lo descrive come uno stato di natura, per così dire, neutro(“il buon selvaggio”)

<Concludendo, l’uomo selvaggio, errabondo nelle foreste, senza industria, senza favella, senza domicilio, senza guerra e senza amicizie, senza avere alcun bisogno dei propri simili e senza avere alcun desiderio di nuocere loro, forse persino incapace di riconoscerne individualmente qualcuno; soggetto a poche passioni, e bastante a se stesso, non aveva che i sentimenti e i lumi propri a questo stato, non sentiva che i suoi veri bisogni, guardava soltanto ciò che credeva gli interessasse di vedere e la sua intelligenza non faceva piú progressi della sua curiosità. Se per caso faceva qualche scoperta, non poteva assolutamente comunicarla, visto che non conosceva neppure i suoi figli. L’arte periva con l’inventore. Non c’era né educazione né progresso, le generazioni si moltiplicavano inutilmente. E poiché ciascuno partiva sempre dallo stesso punto i secoli passavano mantenendo tutta la rozzezza delle prime età: la specie era già vecchia e l’uomo restava sempre un fanciullo.>.

La precarietà e incertezza dello stato di natura determina la necessità di uscire da tale stato e fondare la società civile

Da questo momento,come detto,seguiremo quasi esclusivamente  il pensiero di John Locke, “Il secondo trattato sul governo”,pensatore che  può considerarsi il padre della moderna democrazia.

 La società civile

La nascita dello stato civile

A questo punto della evoluzione dell’uomo si passa dallo stato di natura allo

stato di società civile.

Lo stato civile si sostituisce ai singoli individui nel raggiungimento degli scopi propri dell’umanità e nell’esercizio del potere di giudicare.

<Perciò ovunque un certo numero di uomini sono così uniti in una società da rinunciare ciascuno al potere esecutivo della legge di natura e affidarlo alla collettività, ivi e ivi soltanto si dà una società politica o civile con l’istituzione di un giudice sulla terra dotato dell’autorità di decidere tutte le controversie e riparare le offese che possono essere recate a qualsiasi membro di quella società. Tale giudice è il legislativo o i magistrati da esso designati>.

Dei  fini della società politica

<Il grande e principale fine per  cui dunque gli uomini si uniscono in Stati e si assoggettano a un governo è la salvaguardia della loro proprietà (intesa, v. supra, come salvaguardia della loro vita,libertà e beni)>.

Il contratto sociale

Essendo gli uomini, come si è detto, tutti per natura liberi, eguali e indipendenti, nessuno può essere tolto da questa condizione e assoggettato al potere politico di un altro senza il suo consenso. Il solo modo in cui un uomo si spoglia della sua libertà naturale e assume su di sé i vincoli della società ci-vile. consiste nell’accordarsi con altri uomini per associarsi e unirsi in una comunità al fine di vivere gli uni con gli altri in comodità, sicurezza e pace, nel sicuro godimento della sua proprietà e con una maggiore protezione contro coloro che non vi appartengono.

Questo può essere fatto da un gruppo di uomini poiché non viola la libertà di tutti gli altri. i quali sono lasciati tali e quali nella libertà dello stato di natura.

La visione Roussoiana

Ben diversa è la prospettiva del Rousseau

Il concetto fondamentale che caratterizzò  il pensiero dell’Autore fu che tutto ciò che era naturale era buono e tutto il male derivava dalla Società civile.

<Non è possibile che alla fine gli uomini non abbiano fatto delle riflessioni intorno a una situazione cosi’ miserabile e sulle calamità da cui erano afflitti. Soprattutto i ricchi dovettero sentire quanto fosse loro svantaggiosa una guerra perpetua di cui essi soli pagavano tutte le spese e in cui tutti rischiavano la vita ed essi soli i beni. Privo di ragioni valevoli per giustificarsi e di forze sufficienti per difendersi, in grado di sopraffare facilmente un singolo individuo ma sopraffatto a sua volta da gruppi di banditi, solo contro tutti senza potere, a causa delle vicendevoli gelosie, unirsi ai suoi pari contro i nemici uniti dalla comune speranza del saccheggio, il ricco spinto dalla necessità, alla fine ideò il progetto più meditato di quanti siano mai stati nell’intelletto umano: e fu di usare a suo vantaggio le forze stesse di coloro che lo assalivano, di trasformare i suoi avversari in suoi difensori, di ispirare loro delle altre massime e di dare loro delle altre istituzioni che gli fossero altrettanto favorevoli quanto il diritto naturale gli era contrario.

A questo scopo, dopo avere esposto ai suoi vicini l’orrore di una situazione che li armava tutti gli uni contro gli altri e che rendeva i loro possessi altrettanto onerosi dei loro bisogni, in cui nessuno trovava la sicurezza né nella povertà né nella ricchezza, egli inventò facilmente delle ragioni speciose per tirarli al suo scopo. “Uniamoci,” disse loro, “per garantire i deboli dall’oppressione, per contenere gli ambiziosi e assicurare a ognuno il possesso di ciò che gli appartiene; istituiamo dei regolamenti di giustizia e di pace a cui tutti siano obbligati a uniformarsi, che non facciano eccezione per nessuno e che in qualche modo pongano rimedio ai capricci della fortuna sottomettendo ugualmente il forte e il debole a doveri reciproci. In breve, invece di volgere le nostre forze contro noi stessi, uniamole in un potere supremo che ci governi secondo sane leggi, che protegga e difenda tutti i membri dell’associazione, sconfigga i nemici comuni e ci tenga in una perpetua concordia.”>.

………………………………………………………………………………………

<Questa fu o dovette essere l’origine della società e delle leggi, che diedero nuove pastoie al debole e nuova forza al ricco, distrussero irrimediabilmente la libertà naturale, stabilirono per sempre la legge della proprietà e della disuguaglianza, di un’abile usurpazione fecero un diritto irrevocabile, e per il profitto di alcuni ambiziosi assoggettarono per sempre il genere umano al lavoro, alla servitú e alla miseria>.

 Lo Stato democratico

Il governo della maggioranza

<Quando un gruppo di uomini ha così consentito a costituire una comunità o governo, essi sono con ciò immediatamente associati e costituiscono un solo corpo politico in cui la maggioranza ha il diritto di deliberare e decidere per il resto.  

 Infatti quando un gruppo di uomini ha, con il consenso di ciascun individuo, costituito una comunità, ha con ciò fatto di quella comunità un solo corpo, con il potere di agire come un solo corpo, cioè solo in base alla volontà e decisione della maggioranza. Infatti, essendo ciò che una comunità fa non altro che il consenso degli individui a essa appartenenti; ed essendo necessario che ciò che costituisce un solo corpo si muova in una sola direzione, è necessario che quel corpo si muova nella direzione in cui lo spinge la forza maggiore e cioè il consenso della maggioranza. Altrimenti gli sarebbe impossibile deliberare o continuare a sussistere come un solo corpo, come una sola comunità, quale il consenso di ciascun individuo a esso consociato ha convenuto che fosse; e così ciascuno è tenuto da quel consenso a essere determinato dalla maggioranza. Perciò vediamo che in assemblee investite del potere di deliberare da leggi positive, quando nessun numero è stabilito dalla legge positiva che l’ha investita di quel potere, la deliberazione della maggioranza è considerata come deliberazione della totalità e ovviamente determina, per legge di natura e di ragione, il potere della totalità.

. Così ogni uomo, consentendo con altri a costituire un solo corpo politico sotto un solo governo, si sottopone, nei riguardi di ciascun membro di quella società, all’obbligo di sottomettersi alla decisione della maggioranza e di attenersi ad essa: altrimenti questo contratto originario, in virtù del quale egli con altri si incorpora in una sola società non significherebbe nulla.>.

Delle forme dello stato

<La maggioranza avendo naturalmente in sé, come è stato dimostrato, l’intero potere della comunità fin dal momento in cui gli uomini si uniscono in società, può servirsi di tutto quel potere per fare di volta in volta leggi per la comunità e per renderle esecutive per mezzo di funzionari da lei stessa designati. In questo caso la forma di governo è una perfetta democrazia.

Oppure può porre il potere di far leggi nelle mani di pochi uomini scelti e dei loro eredi o successori, e allora è un’oligarchia. O ancora nelle mani di un solo uomo, e allora è una monarchia.> .

 La c.d. dittatura della maggioranza

Se la maggioranza democraticamente eletta abbia dei limiti al suo potere

Chi ha affrontato questo problema,con riferimento ad una importante democrazia è stato un autorevole studioso il De Tocqueville, ne “La democrazia in America”.

Nel capitolo VII dall’emblematico titolo “L’onnipotenza della maggioranza negli Stati Uniti e i suoi effetti”.

Egli afferma inizialmente che:< è nell’essenza stessa dei governi democratici che il dominio della maggioranza sia assoluto, poiché fuori della maggioranza nelle democrazie, non vi è nulla che possa resistere>.

Il che troverebbe la sua giustificazione secondo il De Tocqueville in due importanti principi:

a) <L’impero morale della maggioranza si fonda in parte sull’idea che vi sia più saggezza e acume in molti uomini riuniti che in uno solo, nel numero piuttosto che nella qualità dei legislatori.>;

b)< L’impero morale della maggioranza si fonda anche su questo principio

 che gli interessi del maggior numero debbono essere preferiti a quelli del piccolo>.

L’idea del diritto della maggioranza a governare la società è stata portata,afferma il De  Tocqueville, sul suolo degli Stati Uniti dai primi abitanti, derivando dalle tradizioni e dal pensiero europeo.Essa sola sarebbe sufficiente a creare un popolo libero. Ma tale principio politico è entrato nel “modus vivendi “ della gente. Questa idea è entrata nel   “ modus operandi”  della vita civile della gente; è oggi passata nei costumi e la si trova nelle più piccole abitudini della vita.

Inoltre la maggioranza ha dunque negli Stati Uniti una immensa potenza di fatto e una potenza di opinione quasi altrettanto grande; quando essa si forma riguardo a qualche questione, non vi sono ostacoli che possano, non dico arrestare, ma anche solo ritardare la sua marcia per lasciarle il tempo di ascoltare le proteste di coloro che essa colpisce nel suo passaggio.

 

Quando cessa la democrazia e subentra un regime (Popper) 

La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza, benché l’istituzione delle elezioni generali sia della massima importanza. Infatti una maggioranza può governare in maniera tirannica. (La maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore a 6 piedi a pagare tutte le tasse).

Quale allora il criterio discriminante tra una democrazia legittima ed una democrazia autoritaria?

In una democrazia, i poteri dei governanti devono essere limitati ed il criterio di una democrazia è questo: in una democrazia i governanti — cioè il governo — possono essere licenziati dai governati senza spargimenti di sangue. Quindi se gli uomini al potere non salvaguar­dano quelle istituzioni che assicurano alla minoranza la possibilità di lavorare per un cambiamento pacifico, il loro governo è una tirannia.

Capitolo Quinto

Il Conservatorismo

[Storicismo, comunitarismo]

 

Sommario:Definizione del conservatorismo.Caratteri del conservatorismo.Il conservatorismo nelle diverse epoche storiche.I fondamenti del conservatorismo.L’origine della società secondo il conservatorismo.La negazione di uno stato naturale individualista.Il governo conservatore

 

Definizione del conservatorismo

Progressismo e conservatorismo sono due categorie dello spirito che attraversano tutte le epoche.

Possiamo definire come “conservatorismo” quell’atteggiamento che rifiuta, in nome della tradizione, ogni cambiamento nell’assetto politico/sociale/culturale della società ;esso rappresenta la difesa dell’esistente,nella presunzione che ciò che esiste,per il fatto solo di esistere è”buono” [ secondo una certa corrente perché è stato voluto così da Dio].

Nell’antichità romana si parlava del c.d. “laudator temporis acti”.Con tale termine si intendeva l’estimatore dei costumi e delle forme politiche del passato:p.es. durante il principato colui che rimpiangeva l’epoca repubblicana; nella tarda epoca repubblicana colui, che, a fronte della (secondo lui) degenerazione dei costumi,dovuta all’affermarsi della cultura greca nel mondo romano,rimpiangeva i costumi più rigidi dell’antica Roma.

Quando si parla di conservatorismo ci si può riferire a 1) conservatorismo politico (ossia conservazione delle istituzioni politiche); 2)conservatorismo sociale (conservazione delle classi esistenti; conservazione dei costumi delle generazioni precedenti);

3)conservatorismo culturale(respinge le nuove forme culturli esaltando le antiche).

Ai progressisti corrispondono, secondo le categorie della politica,per lo più i c.d. democratici;ai conservatori corrispondono i c.d. liberali.Ma ciò non è sempre vero.

Caratteri del conservatorismo.

  • Appellarsi alla continuità storica della società (la tradizione come fondamento di tutto)

  • Considerare buono l’esistente,accettare la propria condizione sociale in quanto derivante dalla condizione dei propri ascendenti(antenati)

  • Accettazione pressoché totale delle istituzioni politiche in essere, respingendo i cambiamenti soprattutto se violenti e repentini.

  • Negare l’esistenza di un presunto stato di natura

  • Affermare l’esistenza di un patto storico tra le generazioni

  • Respingere l’idea di un progresso continuo della società

Il Conservatorismo nelle diverse epoche storiche

Nel Medioevo

Il conservatorismo fu senz’altro atteggiamento tipico del Medioevo (vedi capitolo primo).

Nel Rinascimento

Sappiamo che nel rinascimento vi fu un risveglio delle coscienze,favorito anche dalla riscoperta della civiltà romana,di cui gli italiani si sentivano a ragione gli eredi.

Quasi contemporaneamente si verificava quella frattura nel mondo cristiano nota coma Riforma che diede origine al protestantesimo, che consentiva il contatto diretto tra l’individuo e la divinità senza la necessaria mediazione delle strutture ecclesiastiche.

Alcuni fanno risalire a questa età il progressismo con l’affermazione del principio che l’uomo poteva essere l’artefice del proprio mondo e del proprio destino.

Altri avvertirono sì questa forte novità, questa “svolta” nello svolgimento della storia dell’uomo,svolta che si consolidò nel Secolo XVII,c.d. Secolo dei Lumi,dove il principio della ragione critica che governa il mondo dell’uomo fu affermato ancor più decisamente,ma non la valutarono positivamente,ritenendola la causa di tanti disordini e sovversioni che si verificarono fino alla epocale rivoluzione francese ed in particolare al tremendo periodo del “terrore”, che certamente dovette scuotere tante coscienze di coloro che vi assistettero o ne ebbero notizia. immediata, e di conseguenza continuarono a praticare,sostenere e diffondere i principi del conservatorismo

La querelle des anciens e des modernes.

Parte integrante di questa dialettica /progressismo//conservatorismo fu la famosa disputa sulla superiorità dei moderni o degli antichi.In quest’ultimo caso,ove cioè si fosse riconosciuta la superiorità degli antichi avrebbe prevalso l’ideologia conservatrice,riconoscendo autorità alla storia e al passato,epoche nelle quali si sarebbe creato,in tutti i campi,il meglio;nell’altro caso,ove cioè si fosse riconosciuta la superiorità dei moderni avrebbe prevalso l’idea di un perenne progresso.A favore di quest’ultima posizione si schierarono,in primis,gli illuministi,a favore della prima posizione si espressero i conservatori.A tale corrente può ascriversi il Vico con la sua celebre teoria dei corsi e ricorsi,per la quale dopo un periodo di sviluppo ne seguiva un altro di regresso e così via per sempre nella sua storia ideale eterna.

 

Alla base delle teorie conservatrici v’è una concezione del mondo,opposta a quella dell’ individualismo razionalista,secondo la quale è la ragione che detta le regole al mondo e afferma l’esistenza di diritti universali, concezione,quella conservatrice, che invece valorizza il sentimento,gli istinti,la fede religiosa e che accetta i diritti in quanto storici e i privilegi esistenti e in genere i diritti particolari.

Generalmente vngono considerati i padri fondatori del conservatorismo moderno Giambattista Vico, Edmund Burke,Herder Johann Gottfried

 

I fondamenti del conservatorismo

L’uomo non è il vero attore della storia

.Non compete a lui determinare il suo destino.L’umanità non è guidata da sé stessa ma è guidata dalla provvidenza.La storia ubbidisce solo al disegno divino.

La ragione invocata dagli illuministi non è capace di dominare gli eventi storici attraverso l’organizzazione delle istituzioni politiche.

L’uomo è quello cha hanno fatto di lui i suoi antenati.

E ancora <L’uomo perché agisce crede di agire da solo; e poiché ha coscienza della sua libertà,dimentica la sua dipendenza.Nell’ordine fisico intende ragione,e sebbene possa, per esempio, piantare una ghianda,innaffiarla,ecc. è capace tuttavia di convenire che non è lui a fare le querce e,poiché vede l’albero crescere e perfezionarsi senza che il potere umano vi abbia parte,e poiché,d’altra parte,non è stato lui a fare la ghianda; ma nell’ordine sociale,in cui è presente e operante,si mette a credere di essere realmente l’autore diretto di tutto ciò che si fa per suo mezzo:in un certo senso,è la cazzuola che si crede architetto.L’uomo è intelligente,è libero,è sublime,senza dubbio:ma non per questo cessa di essere un utensile di Dio>(De Maistre)

<Il corso della Provvidenza passa anche su milioni di cadaveri per raggiungere quel fine che è il suo > (Herder op.cit.)

<Che sei tu mai uomo singolo con le tue passioni,capacità, contributi?>…<La sconfitta delle mie forze,che sono fatte per quella totalità che è un giorno,un anno,una nazione,un secolo,tutto questo attesta che nulla son io,che tutto è la totalità> e ancora <non vedi formica che col tuo piccolo passo non fai che arrampicarti sulla grande ruota del destino> .

M anche come attore della storia è visto anche il soggetto collettivo rappresentato dalla comunità, dal gruppo,dalla nazione,dall’etnia cui appartiene l’uomo con le sue tradizioni,la sua lingua la sua cultura.I conservatori vedono il corpo sociale come un organismo vivente.

 

Contro il mito del progresso continuo della società

 

Kant pensava che l’uomo fosse chiamato a un destino tanto elevato che nessun individuo avrebbe potuto realizzarlo nei limiti della propria esistenza. Ciò comporta che le generazioni anteriori sembrano «solo affaticarsi per quelle che sopravvengono, per preparare a esse un gradino da cui possano elevare l’edificio al quale la natura mira». Ne deriva pertanto che nessun individuo e nessuna generazione bastano a se stessi e non rappresentano altro che un gradino nel cammino dell’umanità verso la libertà e la giustizia e verso nuove forme di organizzazione politica.Herder risponde che «nessun individuo può credere di esistere in vista di un altro individuo o della posterità».Altrove : «Ogni essere vivente gioisce della sua vita e non sta a domandarsi e ad almanaccare per qual fine esiste. La sua esistenza è per lui scopo e il suo scopo l’esistenza». L’attacco a Kant prosegue con l’invocazione della provvidenza e con uno sguardo pieno di meraviglia sul mondo non europeo, che non è corrotto dal razionalismo: «Quel sentimento semplice, profondo, insostituibile dell’esistenza è la felicità, una piccola goccia di quel mare infinito della beatitudine totale, che è in tutto e si compiace in tutto. Di qui quell’indistruttibile serenità e gioia che molti europei hanno ammirato sui volti e nella vita dei popoli stranieri, perché essi non la provavano in sé nel loro irrequieto darsi da fare».

Qualche frase dopo, l’autore continua: «che cosa vorrebbe mai dire il fatto che l’uomo, come noi lo conosciamo sulla terra, sia fatto per una crescita infinita delle forze della sua anima», o l’idea che «tutte le generazioni sono state fatte soltanto per l’ultima generazione, che troneggia sull’impalcatura crollata della felicità di tutte le generazioni precedenti?».(da ZeevSternhell op.cit.)

Fin dall’ora famoso saggio Ancora una filosofia etc., Herder scriveva alludendo a un mero disegno della provvidenza operante nella storia. <Ma non esiston forse manifestamente un progresso, uno sviluppo, una sintesi in senso piú elevato di quello che si è vagheggiato?……>

<Lungi perciò da queste meschine obiezioni che falsano la visuale e la mira nostra, poniamoci dritti in faccia alla grandiosa totalità del processo.>

<E sempre tutto non è perciò altro se non eterno sforzo verso qualcosa……. Procede verso qualcosa di grande, quasi teatro di una finalità che tutto guidi sulla Terra>

<Se pur mi riuscisse di ricollegare le diverse scene senza confonderle, se potessi mostrare come dipendano le une dalle altre, si sviluppino l’una dall’altra, si perdano l’una nell’altra, come ognuna di esse, singolarmente presa, rappresenti soltanto un momento e, nel processo, divenga unicamente mezzo ad un fine, che visione, che nobile uso della storia umana, quale incitamento a sperare, ad agire, a credere, anche quando tutto sfugga al nostro sguardo, anche quando non tutto giungessimo a vedere.>.

E più esplicitamentepag.94 op.cit.< non pensò infine, la nostra creatura pansofa, che, per quanto riguarda l’umanità, doveva esistere un gran disegno totale di Dio>.

 

L’origine della società secondo il conservatorismo

 

Sull’origine della società si contrappongono,nel pensiero moderno, due visioni:

1) la visione giusnaturalistica che da uno stato di natura,in cui l’uomo è titolare di diritti universali-inalienabili, esposto però alle aggressioni continue dei propri simili,a seguito di un c.d. contratto sociale,in forza del quale gli individui rinunciano alla giustizia privata,nasce una società governata dalla volontà della maggioranza che in sostituzione della giustizia privata istituisce un giudice comune che decide di tutte le controversie;.

2)la visione del conservatorismo che rifiuta l’esistenza di uno stato di natura individualista,ravvisando solo la dimensione sociale dell’uomo, che forgia la società civile attraverso i costumi e la loro evoluzione,in ottemperanza a un patto storico generazionale,che lega padri e figli,governanti e popolo, affidando il governo della società a èlites.

 

Il patto storico

Il vero patto che dà origine alla società politica non è,come volevano i philosophes del XVIII secolo, il contratto sociale descritto da Locke e Rousseau .

Nei secoli XVII e XVIII molti guardavano alla Costituzione inglese come ad un modello, sia i progressisti-razionalisti che i conservatori anti-illuministi.

Essa veniva rivalutata e spesso contrapposta al contratto sociale degli illuministi .

La Costituzione non è un contratto fittizio inventato da Rousseau, ma un contratto reale ove tutte le parti si collegano le une alle altre e si sentono collegate, è un’eredità trasmessa da una generazione all’altra.

 

<La società è certamente un contratto> dice Burke ma un contratto agli antipodi di quell’atto liberamente espresso da individui che agiscono in funzione dei loro bisogni e interessi, quindi per nulla utilitarista, come invece lo vogliono Locke e Rousseau. < Si tratta della condivisione di ogni scienza, di ogni arte, di ogni virtù e di ogni perfezione.>dice ancora Burke.

E ancora e più precisamente.< Dato che i suoi scopi non sono perseguibili se non nel corso di molte generazioni, diviene un’unione non solo fra i viventi, ma fra questi, quanti sono defunti e quanti ancora debbono nascere. Infatti, ogni contratto di ogni singolo Stato è solo una clausola del grande e primigenio contratto della società eterna, unione delle nature più meschine e di quelle più nobili, nonché connessione fra mondo visibile e mondo invisibile, secondo un patto immutabile sanzionato dal giuramento inviolabile che sostiene tutte le nature fisiche e morali, ognuna nel proprio luogo stabilito. >

Su questo punto si incentra il dibattito tra Burke e i membri della Revolution Society.

Secondo Burke la famosa Rivoluzione Gloriosa del 1688 non fu,come si vorrebbe una rivoluzione ma piuttosto e soltanto una riconferma della tradizione inglese.:< Questa[la rivoluzione] fu fatta per conservare le nostre leggi e le nostre libertà certe e antiche, e quell’antica struttura di governo che è la nostra sola garanzia di diritto e di libertà. Se si desidera conoscere lo spirito della nostra Costituzione e la linea politica prevalsa dal grandioso periodo che l’ha sancita fino ai nostri giorni, li si cerchi entrambi, per favore, nella nostra storia, nei nostri documenti e nei nostri decreti e diari parlamentari,>

 

Storicismo e tradizione (Vico)

Tale orientamento considera la nascita dello Stato in forza della socialità propria dell’uomo;nascita delle istituzioni attraverso uno sviluppo nel tempo.La società civile sarebbe stata ordinata dalla consuetudine non ordinata per legge; i costumi umani sarebbero usciti dalla natura comune delle nazioni.

 

La negazione di uno stato di natura individualista

(in cui gli uomini perseguono utilitaristicamente i propri scopi e,titolari di diritti naturali, esercitano la giustizia privata)

 

La visione etico-religiosa di Herder

In Herder non esiste uno stato di natura individualista che permetta di concepire la società come il prodotto artificiale della volontà liberamente espressa da uomini uniti da un contratto prima sociale e poi di governo. Per Herder all’origine dell’umanità non si trova l’individuo ma una società costituita, una società patriarcale e autoritaria che vive nel timore di Dio nella quale egli vede la società ideale.L’opera di Herder (Ancora una filosofia della storia) comincia con uno sguardo pieno d’amore per l’epoca dei patriarchi, concepita come origine della specie: Herder canta «la storia dei primi sviluppi dell’umana specie, quale ci viene narrata nel più antico fra i libri» . La culla dell’umanità è là.

In questo modo Herder vuole risalire alle origini per cogliere «l’umanità nelle sue prime inclinazioni, nei suoi primi costumi e istituti […], le eterne basi, per tutti i secoli, dell’educazione degli uomini: saggezza a guisa di scienza».

Ecco dove risiede l’ideale: «la vita tranquilla e insieme errabonda, la paterna capanna dei Patriarchi», una famiglia dove la donna è «creata per lui», di discendenti fino alla terza e quarta generazione diretti dal padre di famiglia, «che tutti egli guidava sulle vie della religione, del diritto, dell’ordine e della felicità».

 

La visione storicistica di Burke

Il vero motore della società civile per Burke non è la volontà del singolo mossa dai propri interessi.

Il vero motore è la Tradizione e l’Ereditarietà..

E ancora :< la nostra riforma più antica è quella della Magna Charta. Si osserverà come Sir Edward Coke, il grande oracolo del nostro diritto, e in verità tutti i grandi uomini che lo seguono, fino a Blackstone, s’ingegnino a convalidare la discendenza genealogica delle nostre libertà. Essi cercano di dimostrare come l’antico documento, la Magna Charta di re Giovanni, si colleghi a un altro documento di diritto positivo promulgato da Enrico I e come entrambi non siano nulla di più che riaffermazioni dell’ancor più antico diritto vigente nel regno. Dal punto di vista fattuale, questi autori sembrano avere in gran parte ragione. Forse non l’hanno sempre; ma se i giuristi sbagliano su alcuni particolari, ciò conferma ancor più fortemente la mia posizione, mostrando il poderoso favore nei confronti dell’antichità costantemente nutrito dagli spiriti di tutti i nostri giurisperiti, di tutti i nostri governanti e di tutte le persone che essi desiderano influenzare, nonché 1’immutabllità della politica di questo regno nel considerare i più sacri diritti e le più sacre franchigie quali eredità>. I diritti veri non escono da un presunto stato di natura bensì dalla continuità della storia inglese.

<Multosque per annos stat fortuna domus et avi numerantur avorum>: una catena che risale alle origini.

<giacché io considero solo l’uomo in una società civile>

<L’uomo non può contemporaneamente godere dei diritti della condizione civile e di quelli di una condizione incivile.>

 

La visione di De Maistre

La società per de Maistre «è antica quanto l’uomo» e questo «stato immaginario […] chiamato “stato di natura” non è mai esistito. Ne consegue ovviamente che i diritti dell’uomo non esistono, poiché la società costituita è vecchia quanto l’individuo.

Gli inglesi non avrebbero mai chiesto la Magna Charta se i privilegi della nazione non fossero stati violati, ma non l’avrebbero chiesta nemmeno se i privilegi non fossero esistiti prima di essa.

 

Diritti storici e diritti assoluti

E’ tipico del conservatorismo valorizzare i diritti storici a fronte dei c.d. diritti assoluti.

Vedi Burke: < Gli astratti “diritti dell’uomo”contro i diritti tradizionali che gli inglesi hanno ereditato dai propri avi.

Valorizzazone dei diritti storici

Nella famosa legge del terzo anno di regno di Carlo I, detta Petizione dei Diritti. il Parlamento dice al re: <I vostri sudditi hanno ereditato questa libertà’>, e ne afferma le franchigie non sulla base di princìpi astratti come “i diritti dell’uomo”, ma quali diritti d’inglesi e quale patrimonio trasmesso dai loro progenitori. Selden e gli altri grandi dotti che redassero quel documento conoscevano almeno quanto i predicatori dei nostri pulpiti e della vostra tribuna…… tutte le teorie generali concernenti i “diritti degli uomini”. Ma, per ragioni degne di quella saggezza concreta che ne

rimpiazzava la scienza teorica, preferirono questo titolo positivo, documentato ed ereditario a tutto quanto risulta caro all’uomo e al cittadino, ovvero a quel vago diritto astratto che avrebbe permesso a qualunque selvaggio spirito litigioso di bistrattare e di fare a pezzi la loro certa eredità.

53 La medesima linea di condotta pervade tutte le leggi che da quel momento sono state emanate con lo scopo di preservare le nostre libertà. Nel primo anno di regno di Guglielmo e di Maria, nel noto statuto detto Dichiarazione dei Diritti, le due Camere non pronunciano una sillaba relativa a «un diritto di progettare un governo da noi stessi». Si noterà come tutta la loro preoccupazione fosse quella di garantire la religione, le leggi e le libertà possedute da lungo tempo e poco prima messe in pericolo. «Prendendo nella più seria considerazione i mezzi migliori per organizzare uno Stato in modo che la loro religione, le loro leggi e le loro libertà non potessero essere nuovamente minacciate di sovversione>, inaugurarono tutte le loro sedute affermando <in primo luogo> – si trattava di uno di quei mezzi migliori – di fare <come di solito hanno fatto i loro avi in casi simili al fine di rivendicare i propri diritti e le proprie libertà antiche, asserire cioè» – e poi pregare il re e la regina <perché lo si potesse dichiarare e promulgare> – «che tutti e ognuno i diritti e le libertà affermati e sanciti sono i veri antichi e incontrovertibili diritti e libertà del popolo di questo regno>.

Rigetto dei diritti assoluti

< I diritti dell’uomo” sono una mina vagante che spazzerà via le consuetudini normative.

Non c’è dunque da meravigliarsi se chi considera le istituzioni del proprio Paese come illegittime e usurpate, al massimo come illusione vana, è pronto ad accogliere, con entusiasmo bramoso e passionale, i modelli forniti da altri popoli. Fino a quando ne è preda, sarà inutile parlargli degli avi, delle leggi fondamentali del Paese nonché della forma immutabile di una Costituzione i cui meriti sono stati confermati dalla solida verifica di una lunga esperienza e da una crescita costante della forza e della prosperità nazionali. Per costui, l’esperienza è la povera sapienza degli illetterati e, quanto al resto, egli cela sottoterra una mina che spazzerà via con un’unica enorme esplosione tutti gli esempi tratti dall’antichità, dai precedenti, dagli statuti e dagli atti parlamentari: egli, infatti, possiede i “diritti dell’uomo”. Contro questi, non vi è consuetudine normativa, non vi è trattato che obblighi, non è ammessa transazione: ogni piccolo elemento detratto dalle loro pretese assolute costituisce frode e ingiustizia. Davanti a questi diritti dell’uomo, nessun governo ritenga che la propria lunga esistenza o la giustizia e la mitezza della propria amministrazione siano protezioni efficaci. Se la sua forma non quadrerà con le dottrine dei teoreti, poco conterà che esso sia antico e benevolo: subirà lo stesso destino della tirannia più violenta o dell’usurpazione più recente. Infatti, non è l’abuso del potere da parte dei governi a essere messo in discussione, ma la legittimità stessa del titolo con cui quelli amministrano.

Il governo conservatore

Oltre,ovviamente, a forme monarchiche del resto ammesse (purchè non assolute) anche dai teorici del contratto sociale(v.Locke) lo sbocco naturale dei regimi conservatori è rappresentato da una oligarchia (governo delle élites).

A Burke va bene un Parlamento, purché questo non dipenda, né nel reclutamento né nel funzionamento, dalla volontà degli elettori, per quanto ristretto sia il corpo elettorale. Ancora una volta egli afferma la propria convinzione che il sistema inglese di rappresentanza è «molto vicino alla perfezione permessa dalla natura umana e dall’imperfezione che regge necessariamente gli affari umani». Un corpo elettorale il più limitato possibile, consultazioni le meno frequenti possibile, questo è il modo di limitare i danni. Il sistema al quale vanno davvero le simpatie di Burke è quello della «rappresentanza virtuale» (virtual representation) o «rappresentanza di fatto», che è uno dei grandi principi della sua linea politica. Consiste in una rappresentanza senza elezione, una rappresentanza della società per mezzo delle sue élites stabilite, per mezzo dei suoi elementi migliori secondo la natura delle cose. Sono i capi naturali che devono parlare a nome del popolo. Perché <la rappresentanza virtuale consiste in una comunanza di interessi e in una solidarietà di sentimenti e di desideri tra coloro che agiscono in nome di un gruppo di persone e le persone in nome delle quali agiscono, anche se i mandatari (trustees) non sono scelti da loro. Questa è la rappresentanza virtuale.Io penso che in molti casi tale sistema di rappresentanza sia migliore della rappresentanza reale. Ne possiede la maggior parte dei vantaggi senza molti dei suoi inconvenienti; corregge le irregolarità della rappresentanza.>.

 

Capitolo Sesto

Conclusioni

Traendo le fila dall’excursus storico-dottrinario svolto si delinea una contrapposizione tra un giusnaturalismo/illuminismo forte,da un lato, e un tradizionalismo/storicistico sempre più affermantesi.

Il primo avrà come esito l’eliminazione dei privilegi le cui origini si perdevano nella notte dei tempi,,come nocivi per la società;il secondo l’accettazione ed anzi la valorizzazione dei privilegi stessi come componenti essenziali e funzionali allo svolgimento di una ordinata società.I due orientamenti si possono vedere realizzati,rispettivamente e storicamente, negli accadimenti sul suolo francese, e nelle istituzioni stabilite sul suolo inglese nella vigenza della costituzione di quel paese.

Gli esiti delle diverse visioni

  1. La soppressione dei privilegi

Le conseguenze della rivoluzione popolare (agosto-ottobre 1789)

. La notte del 4 agosto e la Dichiarazione dei diritti.

Di fronte all’insurrezione delle campagne, l’Assemblea nazionale pensò per un istante di organizzare la repressione. Il 3 agosto si apri una discussione su un progetto del Comitato dei rapporti:

L’Assemblea nazionale, informata che il pagamento delle rendite, decime, imposte, censi, canoni signorili, è rifiutato con ostinazione; che gente armata si rende colpevole di violenza, entra nei castelli, si impadronisce di carte e titoli e dà loro fuoco nei cortili… dichiara che per nessuna ragione al mondo potrebbe essere legittimata la sospensione del pagamento dell’imposta e di ogni altro canone, fino a che l’Assemblea stessa non si sia pronunciata su questi diversi diritti.

 

Ma l’Assemblea si rendeva anche conto del pericolo insito in una politica di repressione. Oltre tutto, non aveva alcun interesse ad affidare il comando delle forze repressive al governo regio, che avrebbe potuto cogliere l’occasione per tentare qualche colpo di mano contro la rappresentanza nazionale. D’altra parte, pur esitando a organizzare la repressione, la borghesia costituente non poteva lasciar espropriare la nobiltà senza dover temere per i suoi stessi beni. Accettò dunque qualche concessione; fu riconosciuto che i diritti feudali costituivano un tipo tutto particolare di proprietà, spesso usurpata o imposta con la violenza, e che . doveva considerarsi legittimo sòttoporre a verifica i titoli che giustificavano i canoni fondiari. Una mossa molto abile fu quella di affidare il compito di condurre l’operazione a un nobile liberale, il duca di Aiguillon, uno dei maggiori proprietari del regno; il suo intervento gettò nella confusione i privilegiati, stimolando l’emulazione fra la nobiltà liberale. I capi della borghesia rivoluzionaria venivano così a costringere l’Assemblea a superare gli interessi particolari e immediati dei singoli.

La seduta del 4 agosto sera, preparata in questo modo, si aprì con l’intervento del visconte di Noailles, un cadetto senza beni di fortuna, che propose l’abolizione di ogni tipo di privilegio fiscale, la soppressione delle corvées, dei diritti di manomorta e altre servitù personali, nonché il riscatto dei diritti regi; il duca di Aiguillon l’appoggiò con fervore. Le proposte furono votate in un clima d’entusiasmo tanto più grande, in quanto il sacrificio richiesto era più apparente che reale. Preso in tal modo lo slancio, tutti i privilegi degli ordini, delle province, delle città, furono sacrificati sull’altare degli interessi della Patria. Diritto di caccia, di pesca, di colombaia, giustizie signorili, venalità degli uffici, tutto fu abolito. Su proposta di un nobile, anche il clero rinunciò alla decima. Poi, come degna conclusione a questa grandiosa abiura, verso le due del mattino Luigi XVI venne proclamato « restauratore della libertà della Francia ». Appariva ormai realizzata persino quell’unità amministrativa e politica del paese che la monarchia assoluta non era riuscita a portare a buon fine. L’Ancien Régime era morto e seppellito.

Nonostante possibili riserve, i risultati della notte del 4 agosto, sanzionati dai decreti 5-11 agosto, risultarono comunque di un’importanza estrema. L’Assemblea nazionale aveva distrutto l’Ancien Régime. Aboliti distinzioni, privilegi, particolarismi, tutti i Francesi possedevano ormai gli stessi diritti e doveri, potevano accedere a tutte le cariche, pagavano le stesse imposte. Il territorio era unificato, distrutte le molteplici istituzioni dell’antica Francia, spariti i costumi locali, i privilegi delle province e delle città. L’Assemblea aveva fatto tabula rasa.

II) L’accettazione e valorizzazione dei privilegi

Il celebre Montesquieu ci ricorda quella corrente di pensiero (Boulainvilliers) che ancora alla sua epoca si richiamava alla tradizione franco-gallica in contrapposizione alla tradizione gallo-romanica:< Boulainvilliers si sentiva con dura ostentazione erede del sangue dei Franchi, nei quali vedeva non solamente i conquistatori della Gallia ed i fondatori, nonché gli unici detentori, del diritto di un libero stato con monarchia elettiva, ma anche i progenitori della pura nobiltà francese……………………..Mentre paragonava da per tutto il cattivo presente con il buon passato, il Boulainvilliers poteva fare agli storici del suo tempo il rimprovero che essi consideravano, i fatti più lontani e meno paragonabili in relazione alla utilità del presente, mentre ogni tempo ha avuto lo sue particolari prerogative,> tanto che il Boulainvilliers si richiamava al droit primordial dei primi conquistatori.

Ma anche più recenti studiosi si trovano su queste posizioni.Così il Taine, cominciando dalla Costituzione inglese, reputa che, contrariamente a quanto sembra di primo acchito, essa non è un ammasso di privilegi, cioè di ingiustizie consacrate, ma un corpo di contratti, cioè di diritti riconosciuti. Ognuno ha il suo diritto, piccolo o grande, che difende con tutte le sue forze e del quale non cederà mai anche una piccola parte. E’ con questo sentimento, dice Taine, che si conquista e si mantiene la libertà politica: «E’ questo sentimento che, dopo avere rovesciato Carlo I e Giacomo II, si precisa in principi nella dichiarazione del 1688 e si sviluppa in dimostrazioni con Locke». E’ così che Taine interpreta Locke: i due Trattati sul governo costituiscono una codificazione delle libertà inglesi e non una teoria dei diritti naturali. Si tratta di uomini liberi, dice, che «avendo trattato tra loro, sono ancora liberi. La loro società non fonda i loro diritti, li garantisce» . Ma i diritti garantiti sono diritti storici, non diritti naturali, gli uomini che fondano la società non escono dallo stato di natura ma da uno stato storico che risale almeno al XIII secolo. Per quanto riguarda i diritti dei sudditi inglesi, i piùgrandi come i più piccoli, non è «una filosofia che li fonda, è un atto e fatto, intendo la Magna Charta, la Petizione dei Diritti, l’Habeas Cors Act e tutto l’insieme delle leggi votate in Parlamento».

 

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Albert Soboul La rivoluzione francese Grandi tascabili economici Newton, 1988

Jean Jacques Rousseau Il Contratto sociale BUR 1993

Giambattista Vico Autobiografia Poesie Scienza Nuova I grandi libri Garzanti 1983

Friedrich Meinecke Le origini dello storicismoSansoni-Editore Firenze 1954

Scherillo-Dell’Oro Manuale di storia del diritto romano, Istituto editoriale Cisalpino 1949

(**)Henri Pirenne Storia economica e sociale del Medioevo Grandi tascabili economici Newton 1997

Avv. Viceconte Massimo

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