Diniego di autorizzazione all’esercizio della vigilanza privata

sentenza 24/06/10
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Al fine della legittimità del diniego di autorizzazione di un istituto di vigilanza non risulta sufficiente affermarne la non necessarietà, in considerazione del numero degli esercizi preesistenti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza già operanti in loco, occorrendo invece dimostrare in modo puntuale che il numero e le dimensioni degli istituti operanti è tale per cui l’autorizzazione di un ulteriore operatore sortirebbe effetti negativi certi per l’interesse pubblico.

Invero, non compete all’autorità di p.s. compiere valutazioni in ordine a profili inerenti alla concorrenza e ai possibili effetti deleteri di un eccesso di concorrenza, ma solo valutazioni in ordine ai riflessi di un eccesso di autorizzazioni sull’ordine e la sicurezza pubblici.

N. 03636/2010 REG.DEC.

N. 09084/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 9084 del 2005, proposto da Procida *******, rappresentato e difeso dagli avv. ****************, ***************, con domicilio eletto presso **************** in Roma, via Antonio Gramsci, n. 14;

contro

Ufficio Territoriale del Governo di Foggia;

per la riforma

della sentenza del Tar Puglia – Bari, sez. II, n. 2723/2005, resa tra le parti, concernente diniego di autorizzazione per gestione di istituto di vigilanza privata.

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 il Cons. ******************* e uditi per l’appellante gli avvocati ****** e *******;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

1. Con provvedimento 924/P.A. del 15 febbraio 2002 il Prefetto di Foggia ha respinto la domanda di autorizzazione ex art. 134 t.u.l.p.s. per gestire un istituto di vigilanza privata nella provincia di Foggia.

Il diniego si fonda:

a) sul numero elevato di analoghe autorizzazioni già rilasciate, che avrebbero saturato il mercato;

b) sulla diminuzione del tasso di reati contro il patrimonio nella provincia di Foggia;

c) sul rischio di sproporzione tra numero di addetti alla vigilanza privata e numero di appartenenti alle forze dell’ordine;

d) sul rischio che una eccessiva concorrenza, con riduzione dei prezzi, comporti una inadeguatezza qualitativa del servizio di vigilanza.

2. Contro il diniego l’interessato ha proposto ricorso al Tar lamentando il difetto di motivazione e il nocumento per la libera concorrenza.

Il Tar, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso dell’interessato, ritenendo che il diniego non si fonda solo sul numero degli istituti già esistenti (ex art. 136, co. 2, t.u.l.p.s.), ma su corrette valutazioni in ordine al possibile nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblica (ex art. 136, co. 4, t.u.l.p.s.).

3. Ha proposto appello l’originario ricorrente, tempestivamente e ritualmente notificato e depositato.

Con esso si lamenta che:

– il Tar e il provvedimento impugnato in prime cure darebbero una lettura dei poteri dell’autorità di p.s. tali da poter ridurre la concorrenza con effetti distorsivi per il mercato;

– il provvedimento non evidenzia il nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblici che deriverebbero dalla nuova autorizzazione;

– il provvedimento impugnato si fonderebbe su erronei presupposti di fatto laddove afferma che la criminalità sarebbe diminuita, avendo invece il ricorrente prodotto in primo grado dati statistici in senso opposto.

4. L’appello è fondato per quanto di ragione.

4.1. In diritto, giova premettere che l’art. 136, t.u.l.p.s. contempla cause obbligatorie e cause facoltative di diniego dell’autorizzazione all’esercizio della vigilanza privata.

Invero, la licenza deve essere rifiutata a chi non dimostri di possedere la capacità tecnica ai servizi che intende esercitare (co. 1), e può essere negata per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico (co. 4).

Il testo vigente all’epoca dei fatti di causa conteneva anche un co. 3 a tenore del quale la licenza può essere negata anche in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti.

Tale previsione è stata giudicata illegittima, successivamente al giudizio di primo grado, dalla C. giust. CE con la sentenza 13 dicembre 2007 C-465/05 (Commissione vs. Italia), la quale ha sancito – fra l’altro – l’illegittimità de jure communitario della previsione di cui al co. 2 dell’art. 136, cit., per violazione dei principi ritraibili dagli articoli 43 e 49 del Trattato di Roma in tema – rispettivamente – di diritto di stabilimento e libera circolazione dei servizi.

Osserva la C. giust. CE che “la Repubblica italiana non ha dimostrato che, al fine di non pregiudicare l’attuazione di un efficace controllo dell’attività di vigilanza privata, sia necessario rilasciare un’autorizzazione per ogni ambito territoriale provinciale in cui un’impresa di un altro Stato membro intende svolgere l’attività di cui trattasi a titolo della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi; va tenuto presente al riguardo che l’attività in parola, di per sé, non è tale da creare turbative per l’ordine pubblico.

A questo proposito, misure meno restrittive di quelle adottate dalla Repubblica italiana, ad esempio l’introduzione di controlli amministrativi regolari, potrebbero, in aggiunta al requisito di un’autorizzazione preventiva non limitata territorialmente, assicurare un risultato analogo e garantire il controllo dell’attività di vigilanza privata, in quanto l’autorizzazione in questione potrebbe essere del resto sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi incombenti alle imprese di vigilanza privata o di turbative all’ordine pubblico.

Infine, non può essere accolto nemmeno l’argomento secondo cui sarebbe necessario non consentire ad un numero eccessivo di imprese straniere di stabilirsi per esercitare attività di vigilanza privata o di offrire i loro servizi sul mercato italiano della vigilanza privata affinché dette imprese non si sostituiscano all’autorità di pubblica sicurezza, segnatamente in mancanza di identità fra l’attività di cui è causa e quella rientrante nell’esercizio di pubblici poteri, come esposto al punto 40 della presente sentenza.

Di conseguenza, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi che risultano dalla normativa controversa non sono giustificate”.

In prosieguo e in adempimento a tale sentenza, la previsione è stata espressamente abrogata dal d.l. n. 59/2008, conv. in l. n. 101/2008.

4.2. La giurisprudenza nazionale anche prima dell’intervento abrogativo aveva dato una lettura costituzionalmente e comunitariamente orientata del dettato normativo, ritenendo che il co. 2 dell’art. 136 t.u.l.p.s. andasse letto come specificazione del co. 4, e che pertanto il diniego di autorizzazione non potesse fondarsi solo sul dato relativo al numero e all’importanza degli istituti di vigilanza già esistenti, dovendosi invece valutare le conseguenze negative della nuova autorizzazione in relazione all’ordine e alla sicurezza pubblici (Cons. St., sez. VI, 9 settembre 2008 n. 4295; Cons. St., sez. VI 4 agosto 2008 n.3875).

Questo Consesso aveva inoltre statuito che al fine della legittimità del diniego di autorizzazione di un istituto di vigilanza, non risulta sufficiente affermarne la non necessarietà, in considerazione del numero degli esercizi preesistenti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza già operanti in loco, occorrendo invece dimostrare in modo puntuale che il numero e le dimensioni degli istituti operanti è tale per cui l’autorizzazione di un ulteriore operatore sortirebbe effetti negativi certi per l’interesse pubblico (nel caso di specie, era stata riformata la sentenza in quanto il provvedimento di diniego impugnato si è limitato ad affermare la non necessità del rilascio di un ulteriore titolo abilitativo, concentrando il proprio interesse sulla questione del numero e dell’importanza degli istituti già autorizzati in ambito provinciale, nonché sulla carenza di un puntuale interesse pubblico al rilascio del medesimo titolo) (Cons. St., sez. VI, 11 novembre 2008 n. 5599).

Si era inoltre chiarito che occorre puntualmente motivare nel provvedimento di diniego come l’interesse pubblico sarebbe danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, risultando inutile allo scopo l’indicazione del numero degli istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza, come anche lo squilibrio o il capovolgimento del rapporto percentuale tra le forze dell’ordine e le guardie particolari giurate (Cons. St., sez. VI, 19 novembre 2007 n. 104).

4.3. Il Collegio ritiene che nel caso di specie debba darsi applicazione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, al fine della legittimità del diniego di autorizzazione di un istituto di vigilanza, non risulta sufficiente affermarne la non necessarietà, in considerazione del numero degli esercizi preesistenti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza già operanti in loco, occorrendo invece dimostrare in modo puntuale che il numero e le dimensioni degli istituti operanti è tale per cui l’autorizzazione di un ulteriore operatore sortirebbe effetti negativi certi per l’interesse pubblico (sul punto –ex plurimis -: Cons. St., sez. VI, 11 novembre 2008 n. 5599; Id., sez. VI, 9 febbraio 2006 n. 508; Id., sez. IV, 14 maggio 2001 n. 2670; Id., sez. IV, 3 dicembre 1996 n. 1271).

4.4. Invero, non compete all’autorità di p.s. compiere valutazioni in ordine a profili inerenti la concorrenza e i possibili effetti deleteri di un eccesso di concorrenza, ma solo valutazioni in ordine ai riflessi di un eccesso di autorizzazioni in ordine all’ordine e alla sicurezza pubblici.

In tal senso, questo Consesso ha già affermato che:

1) l’Amministrazione non deve limitarsi a constatare il numero degli istituti di vigilanza esistenti e dei loro dipendenti, ma deve valutare se l’interesse pubblico sia in concreto danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, perché la concorrenza può alimentare le migliori condizioni di fruibilità del servizio e una più idonea e razionale organizzazione e gestione delle risorse, con incremento dei posti di lavoro e aumento della sicurezza dei cittadini (Cons. St., sez. IV, ord. 30 marzo 2004 n. 1472; Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2003 n. 5076; Cons. St., sez. VI, 13 luglio 2009 n. 4391);

2) occorre inoltre aversi riguardo al mutato quadro normativo in materia di tutela e promozione della concorrenza ai sensi della l. n. 287/1990. Infatti, pur tenendo conto della specialità del settore in relazione alle esigenze legate alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, è necessario valutare pur sempre, con riguardo alla situazione concreta, le ragioni in base alle quali l’incremento della presenza sul mercato di soggetti operatori soggettivamente qualificati possa comportare, piuttosto che un miglioramento del servizio a disposizione dell’utenza, effetti distorsivi per la concorrenza (Cons. St., sez. VI, 13 luglio 2009 n. 4391).

4.5. Alla luce di tale disamina il provvedimento di diniego va ritenuto carente di adeguata motivazione, in quanto fa leva su circostanze quali il numero di istituti già autorizzati, il rapporto percentuale fra guardie particolari giurate e le forze dell’ordine, l’assenza di un puntuale interesse pubblico al rilascio del titolo, il rischio di una eccessiva concorrenza, che attengono tutte ad una funzione regolatoria del mercato che all’autorità di p.s. non compete.

4.6. In particolare, quanto al dedotto rischio di eccessiva concorrenza, essa potrebbe condurre agli inconvenienti paventati solo in caso di mancato esercizio dei controlli da parte dell’Autorità preposta, rammentando che la Corte comunitaria ha invece proprio posto l’accento sul sistema dei controlli come rimedio ai pericoli di illegalità nel settore.

Al contrario di quanto opina il provvedimento impugnato, osservate da parte dei concorrenti nel settore, come fisiologicamente dovuto, le norme fiscali, previdenziali e di tutela del lavoro, l’abbassamento delle tariffe va visto come un vantaggio non solo per gli utenti ma anche per l’efficienza organizzativa e produttiva che dovrebbero ricercare gli operatori nel complesso autorizzati. Pertanto, il ragionamento svolto dal Prefetto, da una parte prova troppo, dall’altro si basa su un presupposto inaccettabile che, in quanto tale, nella sua erroneità (cioè gli operatori correggono la concorrenza effettiva ricorrendo ad illeciti di vario genere) potrebbe essere applicato ad ogni settore produttivo e contro ogni forma di apertura del mercato, con un’enunciazione che cozza frontalmente con le affermazioni non soltanto di questo Consiglio ma della suindicata giurisprudenza della C. giust. CE.

4.7. Quanto al paventato rischio di sproporzione tra numero di addetti alla vigilanza privata e numero di appartenenti alle forze dell’ordine, esso contrasta con quanto esattamente rilevato nella citata decisione della C. giust. CE, laddove precisa che i servizi degli istituti di vigilanza “non si sostituiscono”, per loro funzione e natura, all’Autorità di pubblica sicurezza nell’esercizio dell’attività ad essa spettante nell’esercizio di pubblici poteri e non costituiscono di per sé una turbativa per l’ordine pubblico.

Ciò significa che il “rapporto quantitativo” tra il numero della guardie particolari giurate e quello delle forze di polizia non rileva, in sé, al fine di giustificare ragionevolmente la limitazione della concorrenza, attesa la non fungibilità dei diversi ambiti di attività svolta e la, comunque non dimostrata, e, prima ancora, non richiamata, eccessiva presenza di persone dotate di porto d’armi nella provincia, profilo, quest’ultimo, introdotto in appello come sorta di integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato.

4.8. Per converso, il provvedimento nulla dice sull’unico elemento veramente ostativo che è il nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblici.

Infatti non si dimostra che la nuova autorizzazione recherebbe nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblici, e solo in termini ipotetici si accenna al rischio che una eccessiva concorrenza potrebbe nuocere alla qualità del servizio di vigilanza, rischio che a sua volta potrebbe avere effetti negativi per l’ordine e la sicurezza pubblici. Ma si tratta di rischi del tutto ipotetici, che rimangono affatto nebulosi e indimostrati.

Operando in tale modo, l’amministrazione ha operato una sorta di ribaltamento sistematico delle possibili ragioni ostative al rilascio della richiesta licenza di p.s.: essa ha infatti incentrato la soluzione della questione sulla ricerca (in positivo) di uno specifico interesse pubblico al rilascio del titolo, laddove la questione andava piuttosto affrontata interrogandosi (in negativo) circa la possibile sussistenza di ragioni di interesse pubblico le quali sconsigliassero l’incremento del numero delle licenze in essere.

4.9. In relazione alla perdurante vigenza del detto limite di ordine pubblico, va precisato che le rigorose forme di controllo cui sono sottoposti i titolari di porto d’armi quali, appunto, le guardie giurate particolari, non rendono, in uno Stato di diritto ad ordinamento democratico, aprioristicamente pericolosa per l’ordine pubblico la loro presenza (in ciascun ambito provinciale), risultando al contrario, in linea di principio, di giovamento per la sicurezza dei cittadini utenti dei servizi in questione, proprio perché il fenomeno ha luogo in una rigorosa cornice di regole e limiti comunque operanti; alla verifica continua della osservanza di tali regole, d’altra parte, l’Autorità di p.s. è inderogabilmente preposta, in primo luogo, proprio in sede di verifica della capacità “tecnica” ai fini autorizzativi.

Il rilievo ostativo qui in esame, dunque, esige una connotazione storica e prognostica concreta, cioè relativa a fatti specifici pregressi ed a evenienze oggettivamente molto probabili nel loro verificarsi, relative all’abuso ingiustificato delle armi, circostanze che non sono affatto indicate nel provvedimento impugnato.

La disponibilità delle armi da parte delle guardie particolari giurate, quindi, è normativamente giustificata nei limiti della funzionalità ed efficacia del servizio da offrire sul mercato della vigilanza, sicché, la generica ed incondizionata valenza ostativa di tale circostanza, (conseguenza fisiologica ed immancabile dell’autorizzazione di nuovi istituti), così fatta valere, si risolve in una mascherata reiterazione, per altra via, del limite “quantitativo” all’incremento della concorrenza, più volte censurato da questo giudice.

5. Per quanto esposto l’appello va accolto e per l’effetto va annullato il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado.

6. Le oscillazioni della giurisprudenza e la non compiutezza del quadro normativo all’epoca di adozione del provvedimento impugnato giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione VI), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese relative ad entrambi i gradi di giudizio.

 

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l’intervento dei Signori:

************************, Presidente FF

*******************, ***********, Estensore

******************, Consigliere

***************, Consigliere

**************, Consigliere

 

 

 

 

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/06/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

sentenza

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