Devianza reale e devianza percepita in Occidente

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Osservazioni generali.

 

Nell’ Occidente degli Anni Duemila, la Criminologia e le Politiche criminali intraprese dagli Stati spesso non sono fondate sulla concretezza della realtà quotidiana. Esistono troppi condizionamenti, come le ideologie populiste dei Partiti o come i pregiudizi collettivi, privi di un fondamento scientifico e sovente <<influenzati dal modo con il quale i mezzi di comunicazione rappresentano il fenomeno criminale >> (AMERIO  &  ROCCATO 2005 ). Un secondo difetto della Dottrina criminologica contemporanea consta nella mancanza di Statistiche credibili e serie, che consentano alla Pubblica Amministrazione non soltanto di perseguire i reati commessi, ma anche di prevenire le devianze laddove esistono luoghi, situazioni e abitudini criminogeni e palesemente anti-sociali. Anzi, WARD ( 2000 ) auspica una nuova Criminologia impegnata nel comparare i vari Ordinamenti e le varie situazioni intrenazionali, poiché è possibile capire e gestire le devianze << guardando a sistemi presenti in altri Paesi … specialmente in campi quali quelli del contrasto alle organizzazioni criminali, dei flussi illegali di immigrazione, del cybercrime e del riciclaggio >> (WARD, ibidem ).

Nella pratica, creare una Criminologia comparata, che paragoni tra di loro le varie situazioni nazionali, risulta difficile ancorché non impossibile. ALVAZZI DEL FRATE ( 2003 ; 2010 ) evidenzia che certi reati non vengono quasi mai denunziati dalle Parti Lese, oppure, in alcune Legislazioni Penali, sono << fatti non costituenti reato >>. AEBI ( 2003 ) parla di inevitabili << errori di misurazione nelle Statistiche >>  nonché di una perenne ed onnipresente << cifra oscura >> che genera confusione ed imprecisioni gravi. BROOKMAN (2005 ) e BUONANNO et al ( 2014 ) sottolineano che, nei Censimenti ufficiali, molto dipende dalla << fiducia della popolazione nelle Forze di Polizia >> o dalla << differente efficienza del sistema della giustizia penale>>. P.e., in tema di omicidio volontario, le Statistiche criminologiche utilizzano parametri imprevedibili, che variano a seconda dell’ assetto sociologico, ideologico o religioso dei vari Paesi esaminati. In terzo luogo, DURLAUF et al. ( 2010 ) asseriscono che la Letteratura criminologica non può non essere condizionata dal grado di alfabetizzazione dei cittadini e dei residenti e, sprattutto, dall’ << esistenza di conflitti sociali di origine razziale >>, determinati, a loro volta, da sperequazioni dei redditi, ingiustizie economiche o mercati del lavoro percepiti come vessatori e fonte di frustrazioni collettive.

La comparazione internazionale, nella Criminologia, non è semplice, ma, secondo Van DIJK et al. (2012), le Statistiche vanno sempre internazionalizzate, anche se gli << errori di misurazione >> sono e saranno sempre presenti.

 

Il problema delle Statistiche criminologiche.

 

Sin dagli Anni Settanta del Novecento, l’ ONU predispone Statistiche criminologiche, ma la qualità di tali Raccolte è scarsa ed influenzata da troppi fattori esterni. Gli unici due Istituti dell’ ONU discretamente credibili sono l’ HEUNI ( European Institute for Crime Prevention and Control ) con sede ad Helsinki e l’ UNICRI ( UN Interregional Crime and Justice Research Institute ) con sede a Torino. L’ HEUNI e l’ UNICRI, tra il 1989 ed il 2000, hanno elaborato ben quattro Censimenti vittimologici, sottoponendo, nel corso degli anni, sistematici e frequenti questionari alle Parti Lese ( KANGASPUNTA et al. 1998 ).

Il Consiglio d’ Europa, in epoca più recente, ha curato l’ European Sourcebook of Crime and Criminal Justice Statistics, pubblicato per cinque volte e focalizzato sul periodo 1990 – 1996 nonché 2007 – 2011. Non è da sottovalutare nemmeno il Sourcebook of Criminal Justice Statistics, curato dalla School of Criminal Justice della University at Albany e dal Hindelang Criminal Justice Research Centre of Albany. A parere di AEBI et al. ( 2002 ), tali Censimenti << presentano dei limiti, ma anche interessanti punti di vista >>

Una terza fonte di dati è l’ Istituto di Statistica Eurostat, che, dagli Anni Novanta del Novecento,  raccoglie informazioni in tutta Europa su reati violenti, stupri, omicidi volontari, omicidi colposi, infanticidi, rapine, furti con violenza, furti in appartamento, furti di motoveicoli e spaccio, produzione o transito di sostanze stupefacenti.

L’ Eurostat afferma che, tra il 2003 ed il 2012, l’ omicidio volontario è in diminuzione in Italia ( – 26 % ), in Norvegia ( – 38 % ), in Polonia ( – 43 % ) ed in Francia ( – 56 % ). Viceversa, in Grecia, gli omicidi volontari, sempre tra il 2003 ed il 2012, sono aumentati del 42 %. Sempre secondo l’ Eurostat, le rapine, tra il 2003 ed il 2012, sono diminuite in Olanda ( – 26 % ), in Inghilterra ( – 37 % ) ed in Polonia ( – 62 % ). All’ opposto, i furti con uso della violenza fisica fanno registrare una crescita statistica in Spagna, Norvegia, Svezia e , soprattutto, in Grecia. Infine, i furti in appartamento, dal 2003 al 2012, incidono meno in Polonia ( – 27 % ), Francia ( – 28 % ), Norvegia ( – 43 % ) ed Inghilterra ( – 44 % ). Al contrario, le dimore private  sono oggetto di numerosi furti, violenti e non, in Italia ( + 40 % ), in Irlanda ( + 69 % ) ed in Grecia ( + 182 % ).

Commentando i suelencati dati statistici dell’ Eurostat, elaborati dal 2003 al 2012, ROSENFELD & FORNANGO ( 2007 ) notano che la delittuosità violenta, in Europa, è molto diminuita, ma i furti e le rapine sono in aumento << probabilmente perché sostenuti dal manifestarsi della crisi economica e dall’ accentuarsi delle disuguaglianze, che aumentano le opportunità a disposizione degli autori dei reati >>.

 Il caso maggiormente preoccupante, negli Anni Duemila, rimane quello della Grecia, la quale patisce << uno sconvolgimento socio-economico che, in questo Paese, è stato causato dalla crisi del suo debito sovrano e dalle politiche di contenimento della domanda globale che sono state imposte al Paese dalle Istituzioni finanziarie internazionali che hanno concesso alla Grecia dei prestiti condizionati >> ( XENAKIS & CHELIOTIS 2013 ).

 

Le motivazioni dei reati frequenti e di quelli meno frequenti.

 

Esistono Dottrinari pregressisti ed idealisti che sostengono la sussistenza di una riduzione degli atti criminosi in un presunto mondo migliore aiutato oggi, quasi per miracolo, dalla globalizzazione (GOLDERBERG  &  ROSENFELD 2009 ). Anche in Italia, non mancano criminologi persi nelle loro utopie. Essi parlano di << un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel nostro Paese >> ( BARBAGLI  &  COLOMBO 2011 ).

In realtà, in Italia, si può parlare di un’ incidenza altalenante della delittuosità. Negli Anni Sessanta del Novecento, il terrorismo e le proteste sindacali hanno fatto registrare un aumento dell’ uso illegittimo della forza fisica. Dopo gli Anni Settanta, i problemi, non meno gravi, delle mafie e della tossicodipendenza giovanile non hanno certo giovato, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno italiano. Negli Anni Novanta, si sono registrati meno crimini violenti, il che però non significa automaticamente che l’ ordine pubblico sia eccelso. Infine, gli Anni Duemila rimangono, per ora, un ambito da esplorare con il dovuto distacco. Basti pensare al nuovo e complesso fenomeno del terrorismo islamico.

In Germania ed in Francia, come nel caso dell’ Italia, la quiete pubblica non è stata per nulla garantita nel quarantennio 1970 – 2000.

Negli Anni Duemila, la Francia è stata ed è tutt’ oggi esposta a quotidiani allarmi cagionati dai << lupi solitari >> di  Al Qaida e del Califfato dell’ ISIS.

Ammesso e non concesso di poter prescindere dal grave fenomeno del terrorismo filo-mussulmano, in Inghilterra, in Galles e negli USA sono in calo, a partire dagli Anni Novanta del Novecento, lesioni personali gravi, stupri, omicidi volontari, rapine, incendi dolosi, furti in appartamento e furti di autoveicoli ( ZIMRING 2007 ). A parere di ROEDER et al. ( 2015 ), non è cambiata la criminalità, bensì il modo di interpretarla da parte dell’ opinione pubblica anglofona. P.e., negli USA, il consumo di stupefacenti rimane immutato da decenni, ma un’ attenuazione giuridica dell’ apparato sanzionatorio penale ha cagionato un calo nel numero di tossicodipendenti reclusi attualmente nei Penitenziari nord-americani.

Alcuni ( MARSELLI & VANNINI 1999 ) hanno ipotizzato che l’ espansione dell’ economia occidentale abbia creato stili di vita che agevolano furti e rapine, ma si tratta di ipotesi forse vere, ancorché non supportate a livello scientifico. In buona sostanza, << l’ accertamento di quale sia il legame tra situazione economica e criminalità è una faccenda meramente empirica e, in genere, l’ evidenza disponibile non è univoca >> ( LEVITT 1999 ). Piuttosto, senza scivolare negli inutili dibattiti delle politiche di destra o delle politiche di sinistra, sarebbe utile studiare quando, come e perché la povertà cronica e le ingiustizie nei redditi recano alcune minoranze alla rapina, al furto ed all’ omicidio volontario. Non si tratta di ritornare alle ideologie del Novecento e nemmeno all’ idea della lotta di classe. Il problema vero, senza troppe distrazioni intellettualoidi, è capire se esista veramente un nesso tra scarsità di denaro disponibile e delitti contro il patrimonio. Sino ad oggi, non esistono seri Studi criminologici su questa non facile tematica.

Esiste pure il perenne mito ( rectius : la perenne ipotesi ) che associa il disoccupato al deviante. Senza dubbio, in Occidente, le fasi storiche di disoccupazione collettiva coincidono con l’ innalzamento statistico dei reati contro il patrimonio. Tuttavia, non è algebricamente  vero che il maschio disoccupato sfoghi le proprie frustrazioni nell’ alcool e nelle droghe per poi delinquere al fine di esternare la propria rabbia interiore ( COOK & ZARKIN 1985 ). Sarebbe razzista, xenofobo e pure immorale asserire che le zone mondiali colpite dalla disoccupazione generano criminalità. Del resto, quotidianamente, si manifestano reati di inaudita violenza in contesti sociali e familiari ove il denaro ed il lavoro abbondano. Il mito del disoccupato ladro, alcoolista e stupratore era tipico anche dellla propaganda nella Germania nazista e nell’ Unione Sovietica.

Secondo LEVITT ( ibidem ), l’ invecchiamento demografico ridurrebbe la criminalità, in tanto in quanto scomparirebbero le devianze giovanili. Anche in questo caso, chi scrive reputa che, presso le fasce di popolazione più attempate, esistono pur sempre altre forme diverse di anti-giuridicità, come dimostrano, in Italia, lo white collar crime, i reati finanziari e tributari e l’ uxoricidio.

Più attendibile è l’ idea che i cambiamenti culturali incidano sul tasso di criminalità. P.e., nel mondo della tossicodipendenza, sono oggi parzialmente scomparse talune sostanze che producevano aggressività e scoppi di rabbia.

In realtà, nessun Dottrinario è riuscito a rinvenire un o più variabili costanti che provochino una diminuzione automatica dei reati. Gli asserti or ora esposti, in fin dei conti, si riferiscono a determinate circostanze che non possiedono mai una rilevanza meta-temporale e meta-geografica. Senza inutili illusioni e senza l’ ausilio di troppe utopie, FARRELL ( 2013 ) afferma che è possibile diminuire l’ incidenza statistica degli illeciti penali << grazie alla diffusione, pressoché generalizzata, di politiche e prassi che hanno incrementato il grado di sicurezza della società >>. Basti pensare, sin dagli Anni Novanta del Novecento, alla diffusione capillare, in Europa ed in Nord-America, degli antifurti, dei dispositivi GPS e dei sistemi di videosorveglianza, che << rendono più rischiose le attività criminali … e hanno un effetto positivo generalizzato su un’ ampia gamma di comportamenti illeciti >> ( FARREL, ibidem ). FARRELL et al. ( 2008 )  reputano che i mezzi elettronici di antifurto, in Occidente, hanno reso meno appetibili i furti negli appartamenti e quelli di autoveicoli. Anzi, questi due reati costituivano, sino alla fine del Novecento, una sorta di prassi iniziatica costituente l’ avvio di carriere criminali, che giungevano poi alla commissione di ben più gravi rapine ed omicidi volontari ( FARRELL et al., ibidem ). Dal canto suo, TONRY ( 2010 ; 2014 ) concorda con FARRELL ( 2013 ) nonché FARRELL et al. ( 2008 ), ma è anche vero che l’ eccessiva ed ipertrofica repressione dei reati << nei Paesi anglosassoni ha prodotto l’ adozione di misure populistiche di contrasto duro … che hanno causato anche una crescita costante e sostenuta della popolazione carceraria>> ( TONRY 2010 ). In buona sostanza, è controproducente creare o tentare di creare una società criminologicamente asettica, nella quale sia eliminata ogni minima forma di infrazione. L’ ossessione della repressione penale non tiene conto delle componenti etiche ed antropologiche delle devianze, che spesso non sono reati veri e propri, bensì gesti esasperati di rabbia, dolore e disperazione culturale ed interiore. In ogni tessuto collettivo deve necessariamente e fisiologicamente essere tollerata, come direbbe Nils Christie, << una modica quantità di crimine >>. L’ Ordine assoluto è , per quanto sembri paradossale, nemico della Legalità. Come sottolineano OBERWITTLER  &  HOFER ( 2005 ), nei Paesi del Nord-Europa esiste meno populismo  ed i Governi << hanno attuato politiche di deterrenza non particolarmente punitive … facendo leva sulle politiche di welfare per favorire l’ inclusione sociale e contrastare il peggioramento delle condizioni di vita e dei servizi urbani, che spesso sono alla base di sentimenti di frustrazione e di condizioni di marginalità che spingono gli individui a delinquere>>. Il carcere ed il Diritto Penale non costituiscono sempre e comunque la risposta idonea alla devianza, che va contestualizzata e capita, come dimostra l’ Abolizionismo scandinavo.

 

Carcere, Diritto Penale e Politiche criminali.

 

A New York, a partire dal biennio 1994 / 1995, è stata adottata la Politica criminale della << zero tolerance >>, anche nei confronti di individui dediti ad attività semi-lecite od illecite di calibro bagatellare, come gli ubriachi molesti, i mendicanti ed i lavavetri ambulanti. Gli Autori-simbolo della Criminologia del <<pugno di ferro >> furono KELLING  &  WILSON ( 1982 ), i quali asserivano che << tutti i fenomeni di degrado urbano e di disordine sociale possono alimentare sentimenti di paura nella popolazione e sostenere anche attività criminali di estrema gravità >>. A New York, l’ incarcerazione costituisce la reazione istituzionale sistematica anche verso reati minori o semplici condotte border-line quasi innocue. CORMAN & MOCAN ( 2005 ) sono contrari alle Teorie drastiche di KELLING & WILSON ( ibidem  ), poiché in altre grandi città metropolitane statunitensi, il mantenimento della quiete pubblica non ha richiesto l’ uso della << zero tolerance >>. Similmente, HARCOURT & LUDWIG ( 2006 ), dopo aver censito 4.800 famiglie povere residenti in quartieri malfamati, sono riusciti a sfatare, su base scientifica, il mito americano del “ negro drogato nullafacente di periferia “. Anzi, a New York il carcere facile comporta spese ormai insostenibili per la Pubblica Amministrazione Penitenziaria. Persino in Italia non mancano pseudo-criminologi demagoghi che attribuiscono la colpa di qualunque insicurezza delle città ai domiciliati stranieri, ai tossicodipendenti ed agli emarginati più poveri. La conseguenza è che il carcere, in gran parte dell’ Europa, rischia di trasformarsi nel contenitore di un’ umanità ritenuta inutile e pericolosa. Basti pensare che, negli USA, la popolazione carceraria raggiunge oggi livelli inquietanti, con una media di ben 700 reclusi ogni 100.000 abitanti ( TONRY, ibidem ; ibidem ). Al costo materiale e medico della vita carceraria si deve aggiungere pure la spesa per stipendiare Magistrati, Cancellieri, Agenti di Polizia e Personale Amministrativo.

TONRY ( 2010 ) non manca di osservare che i Magistrati giudicanti statunitensi pronunciano quasi sempre Sentenze di condanna, il che nuoce gravemente al Principio del Garantismo accusatorio nell’ ambito del Diritto Processuale Penale. Anzi, molti parlano apertamente, con attinenza agli USA, di una Magistratura politicizzata, che ha ormai perso la propria posizione di terzietà nei confronti delle Parti in causa. Questa tipologia giustizialistica di Procedura Penale ha certamente ridotto il tasso di delittuosità in molte città problematiche, come New York, ma non si tratta affatto di una situazione invidiabile o imitabile, in tanto in quanto l’ incarcerazione facile e frequente aumenta le tensioni sociali, la recidiva è elevata ed il cittadino americano è spesso condannato senza il benché minimo rispetto dei propri diritti democratico-sociali. Inoltre, sempre negli USA, il neo-retribuzionismo ha recato a Penitenziari molto costosi, in cui il trattamento carcerario è contrario alle normali regole di tutela dei Diritti umani. Anche la Common Law israeliana e quella britannica costringono la Pubblica Amministrazione a sostenere spese intollerabili.

Come universalmente noto, sin dai tempi di Beccaria, il carcere ha, a livello meta-geografico, un ruolo di incapacitazione del deviante, un ruolo general-preventivo ed un ruolo deterrente verso chi sta delinquendo. Negli USA, secondo DRAGO et al. ( 2011 ), la deterrenza fallisce a causa della notevole recidiva, ovverosia il detenuto statunitense è umiliato ancorché non validamente rieducato. In secondo luogo, la general-preventività non sussiste  a livello pratico e concreto. In terzo luogo, l’ incapacitazione del soggetto delinquente è soltanto temporanea, giacché, nel Nord-America, l’ infrattore è quasi sempre recidivo ed auto-percepisce la pena detentiva comminatagli come ingiusta e, soprattutto, sproporzionata. P.e., quando, nel 2011, la California adottò un provvidenziale indulto, la recidiva diminuì di circa il 20 % nei 24 mesi successivi, allorquando, all’ opposto, l’ inasprimento delle sanzioni detentive aveva recato ad effetti opposti.

 

 

 

 

B   I   B   L   I   O   G   R   A   F   I   A

 

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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