Delitto di utilizzo indebito di una carta bancomat

Redazione 07/02/19
Scarica PDF Stampa
La Corte di Cassazione penale si è soffermata sul rapporto tra il delitto di utilizzo indebito di una carta bancomat (dapprima previsto dall’art. 12 d.l. n. 143/1991, successivamente confluito nell’art. 55, comma 9, prima parte, D.lgs. n. 231/2007, poi inserito nel comma 5, prima parte, della medesima disposizione dalla novella del 2017, e, infine, abrogato ad opera del D.lgs. 21/2018 e trasposto nel nuovo art. 493 ter c.p.) e quello di rapina, escludendo che il primo possa ritenersi assorbito nel secondo.

Il fatto

La sentenza in esame ha inizio con il ricorso proposto da un imputato avverso la sentenza di appello emessa dalla Corte d’appello di Bologna, con la quale veniva condannato per due rapine aggravate e per l’utilizzo indebito di una carta bancomat.

L’imputato aveva dapprima rapinato la persona offesa di una somma di denaro in contante e, successivamente, avvedutosi della presenza di una tessera bancomat, la costringeva ad accompagnarlo presso lo sportello bancomat, selezionando egli stesso l’operazione sulla tastiera e prelevando il denaro. Ad avviso del ricorrente la condotta di sottrazione del denaro con il bancomat avrebbe costituito la consumazione del delitto di rapina, nel quale pertanto si sarebbe dovuto ritenere assorbito quello di indebito utilizzo della tessera.

La decisione

Nell’argomentare il rigetto del motivo di ricorso dedotto dall’imputato, la Corte richiama il proprio pacifico orientamento in base al quale il delitto di furto della carta di credito concorre con quello di utilizzo illegittimo del medesimo documento.

La Suprema Corte arriva alle medesime conclusioni anche in riferimento al delitto di rapina, in ragione della relazione di specialità per aggiunta sussistente tra quest’ultimo e il reato di furto (l’art. 628 c.p. è fattispecie strutturalmente analoga all’art. 624 c.p., distinguendosene solo in quanto caratterizzata dall’ulteriore elemento costitutivo della “violenza alla persona o minaccia”).

Induce a ritenere che tra il delitto di indebito utilizzo della carta di credito o di pagamento e quello di furto della stessa si configuri un concorso reale di norme il confronto strutturale tra le due fattispecie. Le condotte rilevanti appaiono, infatti, nettamente distinte sotto il profilo naturalistico: il delitto di furto si configura con l’impossessamento del bene sottratto a chi lo detiene, mentre l’utilizzo illegittimo del documento da un lato implica che il furto si sia consumato, dall’altro non lo presuppone necessariamente, dal momento che ai fini dell’integrazione del delitto de quo non rileva la provenienza della carta di cui si fa un uso indebito.

Sul piano dell’oggettività giuridica, inoltre, si richiama la pronuncia della Corte Costituzionale n. 302 del 2000, la quale ha evidenziato come la fattispecie originariamente contenuta nell’art. 12 d.l. n. 143/1991, nel suo complesso e nonostante alcuni comportamenti ad essa riconducibili possano recare offesa al patrimonio individuale, risulti posta a presidio di interessi pubblicistici (ordine pubblico economico e fede pubblica).

Il dictum

Una delle due fattispecie, previste dall’art. 55, comma 9, prima parte, d.lgs. n. 231/2007, ossia l’uso illegittimo delle carte di credito o delle carte di pagamento – lecita o illecita che sia la loro provenienza – da parte del non titolare, al fine di realizzare un profitto per sé o per altri, concretizza all’evidenza una condotta del tutto diversa da quella prevista dall’art. 624 c.p., connotata, invece, dall’impossessamento, al fine di profitto, del bene altrui, sottratto a chi lo detiene. Tale affermazione non può non valere anche con riguardo alla rapina, che, come è noto, si distingue dal furto soltanto perché l’impossessamento è accompagnato dall’ulteriore elemento costitutivo della minaccia o della violenza alla persona”.

Volume consigliato

Fonti deboli e processo penale

Il legislatore interno ha cercato di tradurre in dispositivi processuali gli impulsi provenienti dalle fonti europee ed internazionali, con la conseguenza che ha fatto ingresso nel codice di rito la figura del dichia- rante che necessita di specifiche esigenze di protezione. I nuovi schemi, diretti ad assumere il contributo dichiarativo della persona che si trova in un particolare stato di debolezza psicofisica, rappresentano pertanto sequenze preordinate di atti e comportamenti finalizzati a creare la prova dichiarativa dalla persona ritenuta meritevole di tutela, non soltanto dal procedimento penale, ma anche nel procedimento penale. L’autore procede quindi all’analisi delle nuove sequenze procedimentali, con cui raccogliere le dichiarazioni dei soggetti deboli, e dei nuovi congegni diretti a formare la prova dichiarativa nell’incidente probatorio ed in dibattimento.Nel percorso di esame emerge la frammentarietà caratterizzante l’intervento legislativo che dovrebbe essere sostituita da una profonda rimeditazione unitaria della protezione da garantire al dichiarante vulnerabile.Federico Cerqua Avvocato e dottore di ricerca in procedura penale. Ha indirizzato l’attività di ricerca su diversi aspetti del procedimento penale, dedicando particolare attenzione ai temi delle garanzie dell’imputato, delle misure cautelari, del procedimento a carico delle persone giuridiche. Ha pubblicato per questa Collana il volume Cautele interdittive e rito penale. Uno studio sulle alternative ai modelli coercitivi personali. 

Federico Cerqua | 2018 Maggioli Editore

24.00 €  22.80 €

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento