Decreto crescita e sviluppo (D.L. 83/2010): il CSM approva le misure concernenti l’amministrazione della giustizia

Redazione 11/07/12
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Anna Costagliola

Le disposizioni introdotte in materia di giustizia dal D.L. sulla crescita si collocano nell’ambito di un intervento legislativo molto più ampio ed eterogeneo, animato da un intento unitario che risiede nell’adozione di misure normative che, nei diversi settori affrontati, aggrediscano snodi problematici operativi che hanno dimostrato di costituire un freno al dispiegarsi efficiente e funzionale dell’iniziativa economica tesa allo sviluppo del Paese. In questo contesto, sulla base della consapevolezza per cui l’inefficienza della giustizia civile, e in particolare del sistema delle impugnazioni, costituisce uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo dell’attività economica nel nostro Paese, rilevanti innovazioni sono state apportate alla disciplina del giudizio di appello e di cassazione nel settore civile, oltre che alla disciplina relativa all’indennizzo dovuto in caso di eccessiva durata dei processi.

In particolare, quanto alla disciplina dell’appello si prevede l’introduzione di un filtro di inammissibilità nel merito dell’impugnazione proposta, incentrato su di una prognosi di non ragionevole fondatezza del gravame, formulata dal medesimo giudice dell’appello in via preliminare alla trattazione dello stesso. In pratica, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. Si tratta di un sistema di scrematura degli atti di gravame, fondato sulla probabilità di accoglimento del mezzo, finalizzato a selezionare quelli meritevoli di essere trattati approfonditamente, cui destinare in via esclusiva le risorse preposte dall’ordinamento alla correzione delle decisioni di primo grado.

Nel parere reso sulle misure in materia di giustizia dal Consiglio Superiore della Magistratura in virtù delle attribuzioni conferitegli ex art. 10 L. 194/1958, l’organo di autogoverno dei giudici osserva come il giudizio di secondo grado in appello, nell’attuale sistema normativo italiano, sia disciplinato alla stregua di un nuovo processo con effetto pienamente devolutivo, cosicché realizza una sostanziale duplicazione del giudizio di primo grado, sia pure con limiti relativi alla proposizione di domande nuove ed alla richiesta di nuova attività istruttoria. Pur richiedendo formalmente la legge (art. 342 c.p.c.) la indicazione di specifici motivi di impugnazione, la parte ottiene comunque un riesame complessivo della questione la cui soluzione in primo grado non l’abbia soddisfatta. Tuttavia, la possibilità di rivedere la prima decisione in appello in maniera integrale, con la stessa estensione di giudizio, contraddice l’indirizzo che sembra prevalente nella più recente elaborazione dottrinale e legislativa, teso ad attribuire centralità al ruolo del giudice in primo grado ed alla immediatezza del contraddittorio tra le parti e con il giudicante.

Tanto premesso, il CSM, pur plaudendo alla prevista modifica di disciplina nel senso di uno snellimento del carico pendente innanzi alle Corti d’Appello, ravvisa tuttavia la necessità di introdurre in sede di conversione del decreto taluni aggiustamenti, diretti ad evitare che la riforma possa avere una limitata, se non scarsa applicazione. In tale direzione si suggerisce di introdurre accorgimenti normativi ed organizzativi che, in primo luogo, attribuiscano al collegio un tempo ulteriore per lo scrutinio richiesto e che soprattutto, al contempo, agevolino ed incentivino l’esame del fascicolo processuale di appello già anteriormente alla prima udienza, quale necessario presupposto per il raggiungimento dello scopo prefissato dalla norma.

Peraltro, secondo la ricetta del CSM, la compiuta delibazione in ordine alla sussistenza o meno della ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello potrebbe essere aiutata ove si preveda espressamente che l’atto di appello (al pari dell’eventuale appello incidentale) debba contenere, a pena di inammissibilità, un vero e proprio progetto alternativo di sentenza. In altri termini, in relazione ai singoli passi della sentenza impugnata non condivisi, l’appellante dovrebbe indicare specificamente i motivi del dissenso, proponendo esso stesso un ragionato progetto alternativo di decisione fondato sulle censure rivolte alla sentenza di primo grado. In tal modo sarebbe agevolato il compito del collegio, che si vedrebbe già tracciata la strada su cui dovrà incamminarsi il suo ragionamento, e, al contempo, si eviterebbe il rischio di un utilizzo arbitrario del novello strumento processuale.

In definitiva, nella prospettiva del CSM il processo civile non deve essere concepito come un work in progress, che si dipana in più stadi e volto al progressivo accertamento della realtà materiale, bensì, valorizzando e responsabilizzando il giudizio di primo grado, anche eventualmente accentuando momenti di controllo endoprocessuali sempre all’interno di tale grado di giudizio, i giudici dei gradi successivi devono essere chiamati soltanto a delibare il quadro istruttorio definitivamente maturato allo scadere delle preclusioni di legge, sulla scorta delle allegazioni difensive una volta e per sempre delineate nel giudizio di primo grado. In tale ottica, che vede il giudizio di appello non più come step successivo, aperto ad ulteriori sviluppi, della partita processuale, ma come mera rivisitazione del giudizio già ottenuto, non può neanche scandalizzare la previsione che sanziona il ricorso abusivo al giudizio impugnatorio, anche mediante una condanna, suppletiva alla statuizione ex art. 91 c.p.c., avente ad oggetto il versamento di un multiplo del contributo unificato all’erario, come già avviene in altri Paesi europei con cultura giuridica vicina alla nostra.

In ogni caso, sottolinea infine il CSM, premessa fondamentale alla riuscita di qualsiasi intervento riformatore del giudizio di appello è che il legislatore individui ed affronti con il necessario realismo il problema dell’attuale arretrato delle cause civili che grava presso le Corti d’Appello del Paese. È noto, infatti, che il più significativo ostacolo ad un rapido esame delle cause civili in appello dipende dal numero esorbitante delle impugnazioni proposte rispetto alla capacità di smaltimento delle nostre Corti d’Appello. Dunque, in presenza di una tale situazione problematica gli effetti positivi della prospettata riforma potrebbero essere tangibili solo a lunga distanza di tempo, successiva allo smaltimento delle cause giacenti in attesa di decisione.

A tale ultimo riguardo propone il CSM di prendere in considerazione l’adozione di misure straordinarie e temporanee volte a consentire di adeguare rapidamente i ruoli delle pendenze alle nuove norme così da rendere possibile agli appelli, che superino il filtro di ammissibilità, di essere decisi entro due anni senza incorrere nelle conseguenze della cd. legge Pinto. Tali misure straordinarie e contingenti (quali potrebbero essere, ad esempio, apposite sezioni stralcio destinate allo smaltimento dell’arretrato civile presso le Corti d’Appello) appaiono assolutamente imprescindibili nell’auspicata direzione di una tangibile riduzione dei tempi complessivi nella trattazione delle cause civili, senza determinare un ulteriore aggravio dei carichi di lavoro dei magistrati.

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