Decisione “senza discussione orale” nel processo amministrativo e rilievo d’ufficio di questioni non oggetto di contraddittorio: un nuovo dilemma della “terza via”?

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Sommario 1. Il regime emergenziale delle udienze nel processo amministrativo 2. Il problema del rilievo d’ufficio di questioni non oggetto di contraddittorio tra le parti 3. La soluzione del Consiglio di Stato 4. Il vizio della sentenza che pronunci sulla questione in mancanza del contraddittorio

Nella cornice della grave crisi epidemiologica degli ultimi mesi, il processo amministrativo è stato profondamente interessato dalle norme emergenziali[1], che ne hanno reingegnerizzato alcuni aspetti per assicurare il funzionamento della macchina giudiziaria, nonostante le significative contingenti difficoltà legate al diffondersi dell’epidemia da COVID-19.

Tra gli aspetti del processo che sono stati più profondamente interessati dalle riforme dell’emergenza vi sono, per ovvie ragioni, le modalità di svolgimento delle udienze, la cui celebrazione nelle forme tradizionali è fortemente ostacolata (se non del tutto impossibilitata) dal grave rischio di contagio connesso agli assembramenti umani.

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Il regime emergenziale delle udienze nel processo amministrativo

Le norme emergenziali, dopo aver previsto per un primo breve frangente temporale (dall’8 marzo al 6 aprile) il rinvio d’ufficio di tutte le udienze pubbliche e camerali fissate[2], hanno introdotto per il periodo successivo una serie di accorgimenti e misure nel tentativo di garantire l’efficace esercizio della funzione giurisdizionale.

Dal 6 aprile è ripresa l’attività d’udienza, ma in forme inizialmente del tutto particolari. Il giudizio chiamato per l’udienza, pubblica o camerale, passa in decisione senza discussione orale” e quindi senza la partecipazione dei difensori e con la possibilità, per magistrati e personale di segreteria, di collegarsi da remoto[3]. Si tratta di un’udienza – o forse più propriamente di un’adunanza camerale – in sostanza “non partecipata”.

Dal 16 aprile una tale adunanza “non partecipata” è diventata la formula ordinaria di svolgimento dei processi amministrativi, del tutto sostitutiva rispetto alla classica celebrazione delle udienze in presenza[4]. Alle parti è stata poi normativamente riconosciuta la possibilità di presentare, fino a due giorni prima della data udienza, “brevi note”: si tratta di una fase di contraddittorio documentale addizionale, che funge da espediente cartolare idealmente sostitutivo della discussione orale.

Fino al 31 maggio 2020, l’udienza non partecipata con contraddittorio cartolare supplementare rappresenta l’unica forma di celebrazione possibile, mentre dal 1° giugno sarà attivata la possibilità – sottoposta però a rigide condizioni normative[5] e tecniche[6] – di ricorrere ai collegamenti da remoto per svolgere udienze in forma telematica[7].

Anche in questa ultima fase resterà ferma la possibilità, ove l’udienza telematica non sia praticabile (anche e in certa misura per ragioni di opportunità[8]), di procedere con le già indicate modalità di celebrazione non partecipata, precedute dalla ormai consueta produzione di brevi note in giudizio[9].

Il problema del rilievo d’ufficio di questioni non oggetto di contraddittorio tra le parti

Con riguardo alle udienze “non partecipate” che rappresenteranno la modalità prima esclusiva, poi concorrente di celebrazione, si pone un problema di ordine pratico assai significativo, risolto espressamente con ordinanza 15 maggio 2020, n. 3109 della seconda sezione del Consiglio di Stato, su precedente conforme del T.A.R. Lazio, Roma, sezione I bis, ordinanza 4 maggio 2020, n. 4644.

Quid iuris nel caso in cui il collegio rilevi d’ufficio un profilo di inammissibilità del ricorso o comunque una questione non oggetto di contraddittorio tra le parti in sede di udienza “non partecipata”[10]?  Si tratta del classico problema detto manualisticamente della terza via”[11].

Nell’udienza tradizionale, il giudice rivolgerebbe alle parti l’avvertimento, previsto dall’art. 73, comma 3 del codice del processo amministrativo, nel quale testualmente si legge che “se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale”. A seguito dell’avvertimento, le parti avrebbero facoltà di interloquire oralmente sulla questione, precisando le rispettive posizioni e chiarendo eventuali dubbi prima che la causa sia trattenuta in decisione.

Si badi sin d’ora, la stessa norma prevede – nella sua seconda parte – che, qualora la questione sia rilevata d’ufficio soltanto dopo il passaggio in decisione, ossia essenzialmente durante la camera di consiglio per la decisione, quest’ultima debba essere riservata e debba essere pronunciata ordinanza di concessione di un termine non superiore a trenta giorni alle parti per depositare memorie sulla questione.

La questione qui in disamina attiene a come l’art. 73, comma terzo, evidentemente concepito avendo a mente il processo nel suo tradizionale evolversi e l’udienza classica “in presenza” possa attagliarsi alla speciale celebrazione non partecipata delle udienze prevista fino al 30 giugno.

La soluzione del Consiglio di Stato

La questione si è posta innanzi al Consiglio di Stato, che la ha risolta con la già richiamata ordinanza 15 maggio 2020, n. 3109. Il Collegio, avendo rilevato d’ufficio proprio nel corso di un’udienza non partecipata l’inammissibilità di motivi aggiunti proposti in appello, ha ritenuto di concedere alle parti un termine di trenta giorni per memorie, facendo applicazione dell’art. 73, comma 3, seconda parte.

Ciò, anche sul rilievo testuale per cui la normativa emergenziale da COVID-19 relativa al processo amministrativo non disciplina una vera e proprio udienza non partecipata, limitandosi ad affermare che la causa passa “in decisione, senza discussione orale”.

Sembrerebbe quindi che quella “non partecipata” non abbia la consistenza di una vera e propria udienza, ma rappresenti piuttosto – almeno dal punto di vista sostanziale – un’adunanza dei magistrati “in camera di consiglio” per la decisione.

Sicché, ove emergesse una questione rilevata d’ufficio e non previamente discussa tra le parti, troverebbe fisiologica applicazione l’art. 73, comma 3, nella sua seconda parte che si riferisce – appunto – alle questioni rilevate “dopo il passaggio in decisione”.

Il vizio della sentenza che pronunci sulla questione in mancanza del contraddittorio

A ciò si aggiunga che la decisione della causa senza concessione del prescritto termine per memorie parrebbe configurare una insanabile lesione delle garanzie riconosciute alle parti a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio processuale.

Occorre quindi domandarsi quali rimedi siano esperibili avverso la sentenza che, prevaricando il diritto di difesa, si sia risolta a pronunciare sulle questioni non oggetto di contraddittorio senza concessione del predetto termine per memorie.

Per la violazione del divieto della “terza via” è infatti ormai pacifica, in dottrina[12] e giurisprudenza[13], la sanzione della nullità della sentenza, che si ancòra –prima che all’art. 73 c.p.a. – al principio del giusto processo disciplinato dalla legge[14].

Nello specifico contesto del processo amministrativo, da questa premessa può anche dedursi che, ove si tratti di sentenza di prime cure, il giudice d’appello debba provvedere alla rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.[15]

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Note

[1] I principali interventi normativi che hanno inciso sul processo amministrativo sono i decreti legge 17 marzo 2020, n. 18, 8 aprile 2020, n. 23, 30 aprile 2020, n. 28, il primo dei quali è già stato convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27.

[2] Art. 84, comma 1 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18.

[3] Tale possibilità si è concretizzata solo a seguito dell’effettiva attivazione, presso ciascun Tribunale Amministrativo Regionale, di appositi protocolli operativi che hanno tempestivamente consentito l’impiego di tecnologie per il collegamento da remoto nello svolgimento delle adunanze dei magistrati.

[4] Per una ricognizione sistematica, sia  consentito rinviare a D. Gambetta, Processo amministrativo e COVID-19: le criticità del regime emergenziale alla luce dei recentissimi interventi normativi, in questa rivista, 21 aprile 2020.

[5] Quanto alle condizioni normative, l’udienza da remoto è attivabile su istanza congiunta di tutte le parti, ovvero su istanza di anche solo una delle parti e previa valutazione di opportunità del presidente del collegio, ovvero ancora su iniziativa unilaterale del presidente sua sponte, anche in difetto di qualsiasi richiesta, ove la ritenga assolutamente necessaria. Nel solo caso di richiesta congiunta, la concessione dell’udienza telematica si traduce per il giudice in atto dovuto; nelle altre due ipotesi invece sussiste un margine di discrezionalità nella valutazione di opportunità.  Da un punto di vista temporale, il regime (potenziale e, allo stato, solo concorrente) delle udienze da remoto si applica esclusivamente alle udienze che si collocano temporalmente tra il 1° giugno e il 31 luglio 2020.

[6] La norma prevede che l’udienza si tenga nella cornice di determinati protocolli tecnici atti a garantire l’effettività del contraddittorio e del diritto di difesa. In particolare, è testualmente disposto che l’udienza da remoto avvenga con «modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori», anche al fine di superare le (significative) perplessità di un considerevole numero di operatori del processo sull’effettività di un’udienza svolta in forma esclusivamente. È poi previsto – evidentemente al fine di evitare indebite interferenze nell’interlocuzione processuale – che, nel corso dell’udienza, sia accertata l’identità dei partecipanti. Ancora, i soggetti coinvolti nelle videoriprese devono confermare la libera e volontaria partecipazione, anche al fine di garantire un trattamento dei dati personali pienamente consapevole.

[7] Tale possibilità è oggi prevista dall’art. 4 del Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28, che ha in significativa parte innovato la previgente disciplina dettata dal Decreto Legge 17 marzo 2020 n.  18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

[8] Ove non ne facciano richiesta tutte le parti congiuntamente, la valutazione – come detto – è rimessa esclusivamente al giudice.

[9] L’udienza “non partecipata” con il contraddittorio supplementare cartolare è, anche nel frangente temporale dal 1° giugno al 31 luglio 2020, una modalità di celebrazione del tutto concorrente e non subvalente rispetto all’udienza telematica, almeno nell’iperuranica previsione normativa. La norma, in questa prospettiva, incontra quelle sollecitazioni che chiedevano di determinare soluzioni plastiche, idonee a conformarsi alle singole fattispecie processuali.

[10] Si conceda di ricordare che chi scrive si era già posto il problema in occasione di precedenti riflessioni sulla disciplina emergenziale del processo nella cornice della pandemia globale da COVID-19. Il problema sembrava aver trovato soluzione proprio con l’introduzione delle udienze telematiche, che consentono l’avvertimento nella forma tradizione. Nelle udienze solo cartolari, eravamo già giunti a conclusione, che si vedrà non dissimile da quella poi prospettata dal Consiglio di Stato, in questi termini: «trova così soluzione il dibattuto problema sulla eventuale “necessità di chiarimenti” del collegio, che – nel regime di un processo interamente cartolare – imporrebbe al giudice di pronunciare un provvedimento interlocutorio e rinviare l’udienza». Necessità di cui si erano evidenziate le criticità in «una irrazionale dilatazione temporale e un dispendio di attività giurisdizionale». Cfr. D. Gambetta, Le udienze “da remoto” nella giustizia amministrativa: lo stato dell’arte alla luce dei recenti interventi emergenziali da COVID-19, in questa rivista, 5 maggio 2020.

[11] Nello specifico contesto del processo amministrativo, F. Ceglio, Le sentenze della «terza via» nel processo amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, n. 8, 2007, pp. 905 ss.

[12] G. Crepadi, Le pronunce della terza via: Difesa e collaborazione nel processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2018, p. 180.  Anche alla luce del chiaro disposto normativo, cfr. M. Sinisi, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzie di effettività della tutela, Torino, Giappichelli, 2017, p. 97.

[13] Di recente, ex multis, Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2016, n. 1240.

[14] Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, n. 1462. Per riflessioni sempre utili L.P. Comoglio, “Terza via” e “processo giusto”, in Rivista di diritto processuale, 2006.

[15] Sull’art. 105 c.p.a. sia consentito rinviare a D. Gambetta, La rimessione al primo giudice nel caso di erronea pronuncia su questione pregiudiziale di rito, nota a Cons. St., Ad. Plen., sent. 28 agosto 2018, n. 10, in R. Bartiromo, V. Galasso (a cura di), 2018.  Un anno di sentenze. Diritto Amministrativo, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 33 ss. e D. Gambetta, Vizio di motivazione e rimessione al giudice di prime cure, nota a Cons. St., Ad. Plen., sent. 28 novembre 2018, n. 15, in R. Bartiromo, V. Galasso (a cura di), 2018.  Un anno di sentenze. Diritto Amministrativo, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 43 ss. .

Avv. Gambetta Davide

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