Danno non patrimoniale: cosa ha bocciato la Commissione Giustizia?

Redazione 23/03/17
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Il 21 marzo 2017 la Camera ha approvato in prima lettura il disegno di legge sulla determinazione e sul risarcimento del danno non patrimoniale. Lo stesso passerà ora alla valutazione del Senato, prima di venire approvato definitivamente.

L’innovazione maggiore è costituita dal fatto che, a seguito della potenziale entrata in vigore, i giudici dovrebbero liquidare l’entità del danno non patrimoniale in sede processuale sulla base di parametri tabellari, inseriti all’art. 84-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile.

 

La liquidazione tabellare del danno

In particolare, sarebbero due le tabelle, A e B, precostituite da parte dell’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, ed aggiornate nel 2013, che dovrebbero trovare applicazione sia rispetto al danno non patrimoniale derivante dalla lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica, sia a quello derivante dalla perdita del rapporto di tipo familiare.

In particolare, la tabella B ha modificato solo un aspetto della disciplina ancora vigente, quello relativo al danno non patrimoniale per la morte del congiunto: infatti, si è proceduto ad inserire il riferimento alla parte dell’unione civile ed è stato sostituito all’evento “morte del congiunto” l’evento “perdita del rapporto di tipo familiare”, in linea con l’equiparazione in tema di unioni civili e di fatto avvenuta con la c.d. Legge Cirinnà.

 

Libera valutazione del giudice: limite del 50%

Gli indici inseriti nelle tabelle di liquidazione del danno forniranno così una base omogenea a tutti i giudici che si trovino dinanzi al dovere di liquidazione del danno non patrimoniale, ma non costituiscono un limite al potere di valutazione del giudice secondo il suo libero convincimento: infatti, il giudice stesso potrà aumentare l’ammontare della liquidazione fino al 50% dei valori, purché motivando la sua decisione.

L’enucleazione delle tabelle rappresenta lo snodo finale di un dibattito protrattosi per anni in dottrina e giurisprudenza. Molto ostico è stato, infatti, il rinvenimento di criteri di liquidazione univoci in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, come dimostrano due memorabili empasse giurisprudenziali.

Il primo è racchiuso nella sentenza delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972, in cui la Corte ha affermato che il danno non patrimoniale è una categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate come danno biologico, morale, esistenziale; trattandosi di un danno onnicomprensivo, infatti, il risarcimento non può declinarsi in diversi risarcimenti; piuttosto, nella liquidazione del danno non patrimoniale da lesione della salute il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima.

Il secondo è testimoniato dalla sentenza 7 giugno 2011, n. 12408 della Cassazione, in cui è rivendicata la necessità di disporre su tutto il territorio nazionale di un unico criterio di liquidazione, nonché di attingere ad un’unica fonte tabellare, onde evitare di incombere in trattamenti discriminatori e rimessi non solo alla discrezionalità del giudice ma anche a basi di partenza differenti.

 

Le modifiche cassate dalla Commissione

La Commissione Giustizia, infatti, ha operato in linea con il su enunciato principio di omogeneità e univocità del concetto di danno non patrimoniale: ha infatti bocciato tutte le modifiche proposte al testo contraddistinte dalla tendenza di “differenziare” in sottocategorie il danno non patrimoniale, tra le quali:  

  • la differenza tra lesione al diritto alla salute e lesione ad altri diritti;
  • il risarcimento dell’80% del dato tabellare in caso di danno tanatologico;
  • la diversificazione del risarcimento in caso di menomazione che abbia inciso su “su specifici aspetti dinamico-relazionali personali” della vittima;
  • un risarcimento ad hoc in caso di danno da perdita del rapporto parentale.

Redazione

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