Dal sistema Paese alla conflittualità normativa permanente

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Abituato a farne pagare il costo alle generazioni future e a considerare “diritti acquisiti”non i lineamenti generali dello stato sociale ma ogni misura decisa in passato, per insostenibile che fosse” ( 303, G. Croinz, Storia della Repubblica. L’Italia dalla Liberazione ad oggi, Donzelli editore, 2016)

 

            Vi è la ricerca di una identità nazionale che non si risolve puramente nella ricerca di benefici economici o di protezioni giuridiche, ma sia il riconoscersi in accadimenti e fatti la cui lettura permetta una identità innanzitutto culturale e quindi un orgoglio di essere cemento di una coesione nazionale, necessaria ancor più in questo momento di globalizzazione conflittuale, tensioni che si manifestano nei vari piani relazionali, dall’U.E. all’area del Mediterraneo, dal rinnovato rapporto Est-Ovest al nuovo rapporto Nord-Sud.

            In quest’ottica il presidente Ciampi all’inizio del nuovo millennio recupera la tragedia di Cefalonia, come un momento di coesione nazionale e riaffermazione di valori costituzionali ma anche di emozioni e desideri condivisi (Gentiloni Silveri, Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi, 1992-2006, Laterza 2013), vi è la volontà di creare un forte rapporto tra la crisi del biennio 1943-1945 e quella vissuta negli anni Novanta che investe sia gli aspetti economico-finanziari che politico-istituzionali, una crisi che sembrerebbe risolversi in parte con il riconoscimento in una U.E. di cui l’Euro ne è la bandiera, tuttavia la riforma ne risulta incompleta, sospesa nel vuoto di un ricompattarsi di egoismi e lotte per bande, di nazionalismi in cui vi è la necessità del riaffermarsi di forti identità per resistere alle pressioni esterne di una deriva della globalizzazione ed ai risorgenti conflitti interni all’Europa.

            Riemergono le debolezze sociali, culturali ed istituzionali della Nazione, l’avere piegato le riforme possibili agli interessi di parte anche frutto della frammentazione storica del territorio, della pesantezza del pubblico e dell’anarchismo economico e personale che vi è in tutta la storia repubblicana, l’avere la repubblica in sé un dualismo fin dal suo sorgere che riemerge in forma carsica nel corso dei decenni.

            Superata l’unità della liberazione e del successivo periodo costituente, già con l’inizio della Guerra fredda vi è una prima contrapposizione che permette agli apparati dello stato di matrice fascista di sopravvivere ed essere rivalutati come perno della resistenza contro eventuali rivolgimenti interni, si affianca il ricorso alla distribuzione di favori e prebende al fine di controllare l’elettorato, pratica estremamente diffusa nelle aree depresse in particolare del meridione, vi sono forti rigonfiamenti clientelari nel partito di governo, l’economia decolla tra gli anni Cinquanta e Sessanta in forma anarcoide, i tentativi di pianificazione degli inizi anni Sessanta fallirono fino all’esplosione del ’68.

            Un miracolo non governato (Crainz) che dopo le illusioni degli  anni a cavallo tra i Sessanta e Settanta, sotto la minaccia della strategia della tensione esplode nella violenza degli anni di piombo, tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, vi è un nuovo ulteriore frantumarsi del senso nazionale nei conflitti e scontri del decennio, nel crearsi di nuove classi privilegiate, nell’assalto all’industria di stato che in questi anni diventa un investimento a fondo perduto, un pozzo senza fine che ha perso la sua missione industriale per acquistare la funzione di ammortizzatore sociale, ma è anche l’epoca della rivendicazione di nuovi diritti, di una profonda trasformazione sociale che  libera nuove forze in opposizione alla crescente burocratizzazione, dove il tessuto dei distretti industriali fondato sulla piccola industria esplode al centro Italia e nel Nord-Est, sostituendo nella spinta economica la grande industria in declino concentrata nel Nord-Ovest.

            Vi è un nuovo anarchismo nel quale ci si appoggia allo Stato per quello che può fornire ma si rifiuta di esso l’ingerirsi normativo e fiscale, vi è una differenza dovuta al non identificarsi, alla sua occupazione clientelare che è fonte di disprezzo sebbene utilizzata con senso pratico, è un Far West di cui l’emblema è l’occupazione selvaggia dell’etere che si sviluppa nel corso degli anni Ottanta con la complicità di larghi settori politici, si ha un ulteriore dissiparsi del senso nazionale che si riduce ai localismi quale reazione al degradarsi delle istituzioni che, come la politica, non sono riuscite a rinnovarsi, le grandi riforme del decennio precedente, quali lo Statuto dei lavoratori, del Servizio Sanitario Nazionale, dell’Università, della Rai, rimangono bloccate e nuovamente fagocitate dalla saldatura tra i vecchi poteri e i nuovi interessi costituitisi, la spesa pubblica nel frattempo decolla senza più limiti quale benzina per il nuovo sviluppo economico, il capitale nazionale dissipato nel rapido succedersi delle guerre degli anni Trenta e faticosamente parzialmente ricostruito nella Guerra di liberazione e nell’epoca della Costituente è di nuovo rapidamente disperso.

            Alla guerra civile  a bassa intensità degli anni Settanta succede l’edonismo e l’anarchismo produttivo degli anni Ottanta, dove gli argini della socialità e delle tradizioni religiose e ideologiche degli anni Cinquanta e Sessanta si sono ormai dissolte durante i conflitti e le rivendicazioni del successivo decennio, ma l’improvviso disgregarsi nel 1989 e nel successivo biennio del blocco dell’Est si risolve nelle premesse dell’emergere dei limiti dello sviluppo del modello Italia, il venire meno della necessità di sostenere anche economicamente il blocco Atlantico e la globalizzazione in atto a cui di fatto si rifanno anche Paesi ancora formalmente comunisti, crea il contesto internazionale per la crisi che si materializzerà nella prima metà degli anni novanta.

            Il superamento dello stato di crisi nella seconda metà degli anni Novanta avviene attraverso una stretta finanziaria e l’impostazione di alcune riforme che vengono tuttavia attuate con eccessiva gradualità, come la riforma del sistema previdenziale, di fatto si punta al rafforzamento del sistema Paese e al suo disciplinamento attraverso l’adesione alla nuova moneta dell’Euro, circostanza che impone una disciplina di bilancio con il raggiungimento di determinati parametri, con l’inizio del nuovo millennio si introducono riforme costituzionali che vengono ad aumentare l’autonomia degli enti territoriali, il processo è tuttavia frutto non di una concordia nazionale ma bensì di una conflittualità con disconoscimento reciproco, in cui le istituzioni, vedi la magistratura, sono sovraesposte rispetto alle proprie finalità.

            Il primo Decennio del Duemila, con l’entrata nell’Euro, crea una apparente stabilità che nasconde l’erodere progressivo dell’iniziale risanamento finanziario, di un progressivo depauperamento industriale e di un lacerante individualismo aggressivo, dove i diritti rivendicati sono usati come mezzi di aggressione e la visione si riduce ulteriormente dalla piccola comunità al “ particolare”, l’enorme peso che la finanza internazionale ha assunto unito all’incompiuta unità istituzionale dell’U.E., fino all’indebolirsi del tessuto sociale, anche a causa dell’eccessivo peso percentuale dell’invecchiamento della popolazione, e al blocco istituzionale conduce attraverso la crisi di Wall Street del 2008 all’attuale profonda crisi in cui si dibatte il Paese.

            Il breve excursus fin qui descritto della recente storia repubblicana spiega chiaramente il progressivo disarticolarsi normativo del Paese come sistema, il prevalere di visioni di breve periodo con la conseguente insostenibilità di alcune riforme o il succedersi di visioni settoriali e clientelari, la normativa diventa a sua volta elemento conflittuale e trasposizione degli scontri in atto nel Paese, individualismo e comunità entrano in conflitto, dove l’individualismo è anche sinonimo di gruppi di pressione organizzati entro la comunità e in alternativa ad essa, mentre gli interventi dell’U.E. si risolvono in ulteriori problematiche normative quale risultato di scontri culturali e sistemi sociali differenti, a cui i vari Presidenti della Repubblica (Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella) cercano di porre rimedio con il superare attraverso i loro interventi, lo scollamento in atto.

            Come ha scritto Cassese “sembra che tutti abbiano deciso di mettersi a giocare con le istituzioni, che facendo appello al popolo, chi debordando dal suo compito, chi dimenticando le regole, chi cercando nelle corti di giustizia quel che solo il Parlamento può dare, chi dando voce agli interessi più disparati a danno dell’equilibrio di bilancio.

            E’ una specie di “rompete le righe […] che richiede una riflessione sullo stato delle nostre istituzioni” (S. Cassese, Corriere della Sera, 30/10/2015).

 

I riflessi organizzativi

 

            Il venire meno del senso della nazione si riflette anche nella formazione manageriale, dove si è inteso ridurre il tutto a valutazioni puramente tecniche, passando da una programmazione centralizzata universale degli interventi con la norma quale esclusiva leva ad una valutazione analitica degli esiti dei processi formativi, tesa tuttavia all’acquisizione di capacità puramente tecniche operative, ma la persona quale singolo soggetto acquista un proprio spessore solo nella dimensione delle conoscenze che diventi coscienza.

            Si introduce l’idea di costruzione delle competenze quale capacità non solo tecnica ma anche relazionale, si inserisce per tale via un concetto qualitativo a fianco del concetto quantitativo, la valutazione diventa più complessa sia negli obiettivi che nei risultati attesi in cui vi è una minore tangibilità, i tempi stessi vengono a variare in rapporto sia all’oggetto che ai soggetti nel necessario raffronto tra aspettative dell’organizzazione e aspettative individuali, il processo formativo acquista una complessità e un’articolazione maggiore di cui solo alcuni interventi risultano più facilmente riconoscibili e misurabili.

            Nella ricerca di una valutazione qualitativa vi è la difficoltà di valutare le competenze manageriali fuori dal contesto nel quale il soggetto opera, ma diventa rilevante il superare nel pubblico il solo aspetto tecnico e delle competenze, fondamentali ma parziali, senza la capacità di acquisire una visione più ampia che Gentile definisce come “Il sentimento nazionale della collettività” il quale “non è un dato naturale né un sentimento spontaneo: viene indotto dall’alto sulla base di circostanze che lo consentono” (E. Gentile, 42, Italiani senza padri. Intervista sul Risorgimento, Ed. Laterza, 2011).

            Essenziale nel creare il mito di una nazione è che lo Stato funzioni nel rispetto dei cittadini, ma come ricorda De Santis a un’unità politica deve corrispondere un’unità intellettuale e morale, né il tutto può ridursi alla ricerca del pur necessario solo efficientismo è pur vero che il senso nazionale si è disperso nel contrapporsi di ideologie internazionaliste-terzomondiste ed ecumeniche, che la delegittimazione statale del settembre 1943 è confluita nell’individualismo  di un’esplosiva crescita economica, tuttavia si rischia una “lunga trasmissione senza meta” come è stata felicemente definita da Gentile (99-cit.).

 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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