Dal “riconoscimento giuridico” alla propria “affermazione” La violenza dei diritti specchio dell’io

Scarica PDF Stampa

“Noi siamo gli adulatori di noi stessi ed è proprio per disattivare questo spontaneo rapporto che abbiamo con noi stessi, per proteggerci dall’ amore di sé, che abbiamo bisogno di un parresiastes” (Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, 89, Donzelli ed., 2005)

E’ stato osservato che l’esplodere dei diritti alla fine del secolo scorso ha condotto all’impossibilità di un modello di normalità, al contempo i diritti si sono estesi dal singolo ad una pluralità di soggetti collettivi quali sintesi dei membri di un particolare gruppo, tuttavia i diritti nella loro pluralistica espansione creano l’ambiguità di un rapporto potenzialmente conflittuale tra l’aggressività del singolo individuo nella sua “insularità” e la necessità di un’armonia sociale, nella profonda tendenza ad economicizzare gli stessi in quelli che Rodotà definisce come “titoli da scambiare”, si impone pertanto all’onnipotente legislatore un nuovo ius non più fondato sulla consuetudine o su antichi patti, ma su un rinnovato giusnaturalismo della persona che risulta coerente con le nuove possibilità tecnologiche ed economiche.

I diritti della persona in un’ottica individualista si trasformano da “riconoscimento” della personalità ad “affermazione” della persona, in un’agire assolutistico che riafferma il primato della violenza la quale diventa una violenza dell’individuo attraverso le istituzioni non più in nome di una comunità ma direttamente per l’individuo stesso, la violenza permea l’essere umano nella sua prevalente materialità biologica, la coscienza nell’esaltare la riflessione pone il problema del giudizio morale, è su quella piccola percentuale che ci differenzia dagli altri primati che si gioca la scelta dell’azione e del divenire, come nel “toxie worker” indicato in una recente ricerca dalla Harward Business School, la violenza esercitata ha un impatto così fortemente negativo che il riequilibrio risulta essere estremamente faticoso e tale da richiedere un impegno totale.

L’uso distorto dei diritti rientra in quella che Faucault definisce come la “microfisica del potere”, dove a ogni livello domina una logica conflittuale, è la modernizzazione in termini tecnologici e culturali dell’antico uso della sopraffazione tanto singola che organizzativa, nell’agganciare i diritti alla sacralità della vita, dando a essi una carica religiosa, o alla qualità secondo un paradigma laico, si tenta di introdurre una responsabilità nel loro uso (Lolli), ma l’accordo è sempre ambiguo su obiettivi minimi e l’agire comunicativo è spesso trasformato in un’azione strumentale (Habermas), che viene a manipolare la ricerca di un’intesa.

Vi è un continuo ondeggiare dei diritti tra una lettura sociale che trasforma gli stessi in diritti collettivi e una lettura privatistica, nella quale l’individuo è fine a se stesso e si realizza nell’uso del sociale, i due estremi portano ad invertire il ciclo, dove l’eccesso nel bloccare il sistema induce quale reazione all’esaltazione dell’opposto, come nel caso della responsabilità ambientale dove l’eccesso nell’uso delle risorse ambientali induce alla ricerca di un’etica ambientale (Jonas) fino all’introduzione di una “ecoetica” in cui Imamichi sollecita il passaggio dall’etica dell’io a quella del noi nella ricerca di virtù comuni, pertanto in questa cornice i diritti configgono nella ricerca di un equilibrio dinamico tra esigenze del singolo e della comunità, tra gravità ed elettromagnetismo, in cui la violenza che permea l’agire umano nel condurre alla crisi induce, nel momento del collasso, a giudicare l’azione dei padri, ogni generazione diventa pertanto giudice dei propri padri.

I diritti sono la proiezione del proprio Ego, manifestano il contenuto dell’Essere nelle loro modalità d’uso, nelle tipologie di rivendicazione a cui danno origine, sono l’emergere della funzione tra ambiente, tecnologie, economia e sub-strato culturale, nel crescendo delle spirali rivendicative in cui la tecnologia è al contempo causa e specchio delle possibilità vi è un misto di esigenze di giustizia e nuove potenzialità speculative, il limite è spinto fino al momento della crisi quando subentra l’insostenibilità, in questo il feed-back negativo che ne razionalizza l’effetto viene talvolta non considerato, la stabilizzazione è subissata dall’onda mediatica della novità, del protagonismo, degli interessi materiali e immateriali che in essa si rispecchiano, fino all’inevitabile crisi che ne ridefinisce i contenuti in un misto tra responsabilità ed opportunismo.

La violenza, quale portato dell’eccesso che viene a rompere la proporzione simmetrica che crea un ordine estetico nel nostro vissuto biologico, entra nell’evoluzione ciclica di ordine/disordine quale riflesso nel rapporto individualismo/collettivismo, il primo proprio dell’inizio del nuovo secolo, il secondo che ha accompagnato buona parte del Novecento, la biologia, che in termini estetici affonda nella fisica, conduce alla coppia concettuale della “coscienza fenomenica” e della “ coscienza cognitiva”, nella quale la prima rimane puramente soggettiva mentre la seconda entra nell’analisi scientifica (Nagel), l’aspetto cognitivo crea nell’individuo, il rapporto logica/etica quale riflesso del rapporto dell’io con l’altro, nella contestualità si crea la formazione evolutiva soggetta alle rotture e alle reazioni della violenza.

Nell’intenzionalità vi è la differenza fra stato mentale e stato fisico (Davidson), si crea il senso dell’azione in cui è calato l’eccesso da cui la violenza da individuale, in termini intrinseci o derivati, acquista una valenza collettiva (Searle), la tecnologia nell’assorbire la responsabilità viene a ribaltare la stessa nel riflettersi in una moltiplicazione dell’io” fino a sfumare in un “io collettivo”, la verità dei diritti acquista la necessaria credenza teorica base per una verità “diffusa”, si tratta pur tuttavia di una verità insufficiente in quanto sempre viziabile dall’eccesso (Gettier), priva di una giustificazione epistemica, accettabile solo quale possibilità del quotidiano secondo una epistemologia contestualistica (De Rose).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento