Da un romanzo al diritto delle persone

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Il romanzo è un genere letterario sorto per narrare la vita anche in maniera introspettiva, pertanto si può leggere la trama di un romanzo per ricavarne un ordito del tessuto relazionale di coppia e di famiglia anche in senso giuridico.

Così è per un romanzo della scrittrice Susanna Tamaro, dal titolo “Per sempre”[1], in cui il protagonista fa un percorso a ritroso dopo la morte della moglie per uno strano incidente stradale, come bisognerebbe fare quando cessano inspiegabilmente (almeno nell’apparenza) alcune relazioni significative.

Nello scorrere le pagine si legge: “Quante cose di me non ti ho mai detto! Eravamo talmente giovani, talmente pieni di entusiasmo per il tempo che stavamo vivendo. C’era il presente – il tempo del nostro amore – e il futuro, che sarebbe stato ciò che negli anni a venire avremmo costruito insieme: il lavoro, la casa, i bambini, seguendo l’aspirazione di lasciare il mondo migliore di come l’avevamo trovato. Tutto ciò che era alle spalle non aveva nessuna importanza, eravamo sicuri che la nostra passione e il nostro amore avrebbero superato ogni ostacolo” (da “Per sempre”). La vita di coppia, sin dall’inizio, non deve basarsi tanto sul dirsi cose quanto sul comunicare, altrimenti si possono creare situazioni tali da inficiare il matrimonio, quali le cause di nullità del matrimonio tanto civile (es. art. 122 cod. civ. “Violenza ed errore”) quanto concordatario, o l’inadempimento dei doveri reciproci dei coniugi (art. 143 cod. civ.).

“Su questi argomenti, l’unico ponte lanciato tra di noi era la poesia, l’amavamo entrambi; tu avevi più tempo di me, così spesso la sera, quando tornavo a casa, nel relax che seguiva la cena, mi leggevi sul divano i versi che più ti avevano colpito. […] Certe sere, però, mentre l’orologio della cucina batteva il suo tempo, le parole che avevi appena letto restavano sospese tra noi nel silenzio della stanza; non erano più semplici parole, ma pietre preziose, rubini, smeraldi, diamanti, acquemarine – danzavano intorno a noi, illuminando i nostri volti. In quegli istanti, la poesia diventava il ponte gettato tra noi due. Lassù, su quel ponte, riuscivamo ad incontrarci. Sotto di noi, intorno a noi, scorreva il fiume del mistero. Ed era proprio quel mistero a darci la certezza che il nostro amore sarebbe stato più forte della morte” (da “Per sempre”). A proposito di mistero, è necessario comprendere e coltivare che l’amore di coppia è nel contempo un mistero e un ministero di vita e, pertanto, comporta non tanto rinunce quanto sacrifici (da “rendere sacro, fare azione sacra”). Costituire un ponte ideale con l’altro coniuge, condividere un momento della giornata o una passione (e non solo la passionalità), stabilire un linguaggio tutto proprio è instaurare una vera comunicazione, rispondere pure a quel dovere di assistenza familiare previsto prima solo nell’art. 143 cod. civ. tra coniugi ed ora anche nell’art. 147 cod. civ. nei confronti dei figli. Quella comunicazione che, se s’interrompe, dovrebbe essere ripristinata da un intervento del giudice (come previsto nell’art. 145 cod. civ. rimasto disapplicato) o da una di quelle relazioni d’aiuto, come la mediazione familiare.

“Tanto il tuo mondo era popolato di eventi misteriosi altrettanto il mio, al tempo del nostro incontro, era ristretto soltanto su ciò che era visibile. Non ero infastidito dai tuoi racconti, anzi, portavano una specie di polverina magica che rallegrava la mia vita. Devo ammettere che, in questa mia visione, c’era quello che una volta avevi definito «paternalismo maschilista». In fondo ero convinto che quel tipo di fantasia fosse qualcosa di molto femminile – dove femminile voleva dire un’attitudine propria di chi non deve impegnarsi seriamente nella concretezza della vita” (da “Per sempre”). Entrambi i coniugi sono tenuti ad apportare qualcosa di proprio, a cominciare dalle differenze personali, per contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 comma 3 cod. civ.): ciascuno dei due deve riconoscere e rispettare tali differenze e tali apporti. Quelle stesse differenze da cui all’inizio della relazione ci si sente attratti e, poi, se ci si distrae dall’altro, possono causare contrasti sino alla rottura della coppia.

“Quando ci si rinfaccia le cose”, ripetevi girando smarrita per casa “non si è più in due nel rapporto, ma in tre – tu, io e il tarlo che ha cominciato a rodere la nostra storia. Nell’oscurità della materia, i tarli lavorano con discrezione,” dicevi “scavano gallerie per anni e, a parte qualche minuscolo fastidio, non ti accorgi di niente. Poi un giorno posi una tazza sul tavolo e il legno cede, sprofonda e, in un istante, la superficie solida che conoscevi si trasforma in un cumulo di soffice segatura” (da “Per sempre”). Comunicazione e consapevolezza prima che il rapporto coniugale si tarli e si sbricioli: l’itinerario è indicato dall’art. 144 cod. civ. in cui si dispone, tra l’altro, che si tenga conto delle esigenze di entrambi i coniugi e di quelle preminenti della famiglia stessa. Esigenza (“esigere” ha la stessa origine etimologica di “eccitare”) significa “spingere, muovere fuori” e, pertanto, indica un moto interiore e continuo: quello che ogni coniuge deve compiere verso l’altro.

“Per un tratto i nostri sassolini sono caduti uno accanto all’altro, regolarmente. Io facevo un passo e tu ne facevi un altro della stessa lunghezza. Io ti aspettavo e tu mi raggiungevi, io ti raggiungevo e tu mi aspettavi. Eravamo convinti che saremmo andati avanti così per sempre. Invece ora cammino nel bosco e le mie impronte sono impronte solitarie. Nessuno cammina accanto a me, nessuno mi segue o mi precede. Una forbice è scesa e ha reciso i fili che ci tenevano uniti” (da “Per sempre”). La vita in coppia, a maggior ragione se legata da matrimonio, è un cammino, “muoversi, andare da un luogo all’altro, per lo più con le proprie gambe”. Non a caso la parola “coniuge” deriva da “cum”, con, insieme, e “iugum”, giogo, quindi significa “unito dallo stesso giogo”. Un cammino di cui i tre articoli del codice civile letti durante il rito, civile o concordatario, rappresentano le pietre miliari. In particolare l’art. 144 cod. civ. “Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia” dovrebbe far interrogare continuamente i coniugi su “dove vogliono andare e come ci vogliono andare”. Il legislatore, non a caso, ha usato l’espressione “indirizzo” con la quale solitamente si fa riferimento al luogo di domicilio in cui si costruisce e stabilisce una famiglia nella vita quotidiana e si fa recapitare la corrispondenza e altra forma di comunicazione: domicilio, corrispondenza e comunicazione, tra i diritti personali costituzionali inviolabili, fondamentali per la coppia e per la famiglia. “Indirizzo”, “verso diritto”: un percorso delineato dai doveri coniugali e completato da quelli verso i figli; l’art. 144 è posto, a ragione, tra gli altri due (e non prima o dopo), l’art. 143 e 1’art. 147, letti congiuntamente a compimento del rito matrimoniale. Quel percorso che s’interrompe in caso di lutto, in caso di tradimento o altro inadempimento dei doveri coniugali, in caso di “divorzio emozionale” e successivo divorzio reale.

“A te piaceva paragonare la nostra vita al corso dell’acqua. «Adesso siamo un torrente di montagna,» dicevi «scorriamo impetuosi, saltando tra i massi, creando cascate, il rumore del nostro corso riempie l’aria dalle cime alla valle. Un giorno però diventeremo dei fiumi di pianura – placidi, gonfi, pigri – e non produrremo più alcun suono, se non il fruscio che fa il vento quando accarezza i salici»” (da “Per sempre”). Essere coniugi e avere un “indirizzo concordato” (art. 144 cod. civ.): nonostante ostacoli, tempeste e deviazioni, andare e mirare verso lo stesso traguardo.

“Così succede con gli incontri; ad un dato punto della vita ci si vede, ci si attrae, ci si convince di essere fatti l’uno per l’altra, ed è proprio questa sensazione a rendere stretto il rapporto. In principio si pensa che questa convinzione abbia lo stesso potere di coesione del cemento, soltanto con il tempo ci si rende conto che ciò che unisce ha la densità variabile di un elastico. C’era un «te» prima di me e c’era un «me» prima di te e quel «te» e quel «me» hanno percorso strade differenti e, spesso, sono proprio quelle strade che, a un certo punto, ritornano a far sentire il loro irresistibile richiamo. Davanti allo straordinario che tu riuscivi a vedere nella nostra vita di tutti i giorni, io rimanevo relativamente cieco. Mi divertivo, mi svagavo, usavo la luce che tu mi inviavi, ma mai, neppure per un istante, ho pensato che il mio passo in qualche modo dovesse accordarsi al tuo. Eravamo diversi e mi sembrava importante mantenere questa diversità. Io avevo la mia individualità e tu la tua – non annullarsi a vicenda mi pareva un segno di maturità. Soltanto con il tempo, soltanto quando sono rimasto solo, ho capito che annullarsi o camminare accanto sono due realtà profondamente diverse” (da “Per sempre”). Una coppia deve maturare, prima e durante il matrimonio (o convivenza more uxorio), la consapevolezza del senso del camminare insieme, del “mettere su casa e famiglia” per non ritrovarsi, in caso di crisi irreversibile di coppia, in una situazione tale “da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla prole” (art. 151 cod. civ. “Separazione giudiziale”) o per ritrovarsi almeno capaci di elaborare una separazione consensuale.

“Quando mi avevi parlato del matrimonio, a dire il vero, io non ero affatto entusiasta. «Che bisogno c’è?» ti avevo chiesto. «Non basta il nostro sentimento?» Mi sembrava ridicolo partecipare a una cerimonia di cui non capivo il senso, ma eri stata così astuta da parlarne una domenica a casa dai miei. Mia madre si era subito infiammata e mio padre non sembrava affatto scontento. La cosa, a quel punto, mi era completamente sfuggita di mano, trasformandosi in una trama di donne compiuta alle mie spalle. Per mesi, quell’evento aveva rivitalizzato le nostre genitrici – era un continuo scambiarsi di telefonate, di accordi, di consigli” (da “Per sempre”). Bisogna essere consapevoli che un matrimonio innesca dinamiche intrapersonali e interpersonali, quelle stesse dinamiche che ci si rinfaccia in caso di crisi e che si fanno riemergere nella cosiddetta “stanza della mediazione familiare” per districarle. Occorre fare attenzione alle cosiddette “relazioni chiasmatiche”, locuzione che indica l’incrocio (chiasmo) conflittuale tra i partner e le rispettive famiglie d’origine che entrano attivamente nel conflitto di coppia infuocandolo, ognuna per sostenere le ragioni del proprio figlio. Relazioni chiasmatiche che possono diventare elemento di rottura soprattutto alla nascita del primogenito. Problematici più del passato i rapporti (e non relazioni, perché sarebbe chiedere troppo) tra suocera e nuora alimentati da pregiudizi radicati nella cultura italiana e discutibili convenzioni sociali, pensando che nella lingua francese suocera si dice “belle-mère” e nuora “belle-fille” e dimenticando l’origine pregevole dei due nomi: “suocera”, “signora” e “nuora”, “figlia o – meglio – che acquisisce un ruolo filiale”. Non si deve mai dimenticare che quando ci si innamora di qualcuno e ci si sceglie per un progetto di vita si accoglie, come nell’abbraccio o nell’amplesso, tutto di lui/lei che è l’immagine di un sistema familiare di origine (S.F.O. nel gergo) tanto che, anche in alcuni modelli di terapia familiare (o altre relazioni d’aiuto) si prevede l’inclusione virtuale o reale delle famiglie di origine. Lo scambio degli anelli nuziali rappresenta anche questo entrare nello stesso cerchio di vita che, poi, si può rivelare circolo virtuoso o vizioso.

“Io sono tuo padre, sono colui che ti ha generato, come puoi mentirmi, come puoi nasconderti? […] Tu esisti per la mia volontà, per la volontà di tua madre, come puoi pensare, dunque, che io non sia in grado di accoglierti, che io non sia in grado di prendere la tua mano come quando eri bambino e camminare insieme? Che cos’altro è la paternità se non questo continuo accogliere, questa continua capacità di rigenerare chi si è generato?” (da “Per sempre”). Paternità è porsi e porre domande, è imperscrutabilità e ineffabilità: anche questo può dare significato alla locuzione “ricerca della paternità” (art. 30 comma 4 Costituzione) che non è solo un fatto di DNA.

“A volte mi sono trovato a pensare che ciò che ci ha uniti, da subito, in maniera così forte sia stato in qualche modo la condizione dei nostri padri. Il mio non vedente – all’epoca si diceva soltanto cieco – e il tuo assente, o meglio ridotto a una sigla. […] Mentre tu dovevi fare i conti con un’assenza, io li dovevo fare con un’eccessiva presenza” (da “Per sempre”). La paternità non sia cecità, assenza o eccesso, ma sguardo d’amore, presenza nell’amore, ago della bilancia della vita.

“Negli anni dell’adolescenza – quando ogni cosa fa ribrezzo – mi sono spesso vergognato dei miei genitori e, in silenzio o a voce alta, ho rinfacciato loro molte cose. Lei l’ha sposato per pena, mi dicevo, per avere una casa calda e i catini di moplèn, lui l’ha fatto soltanto per avere una serva senza doverla pagare. Nella follia di quell’età mi ero convinto di essere figlio di una banale convenienza e che l’amplesso da cui ero nato era stato soltanto il grigio adempiere a un contratto” (da “Per sempre”). L’adolescenza (dal verbo latino corrispondente a “crescere”) dei figli comporta anche l’adolescenza della genitorialità perché i genitori devono mettersi in discussione, crescere con i figli e dare ancor di più prova del loro amore. L’educazione relazionale e sentimentale passa attraverso tutto, dagli sguardi ai gesti, e durante l’adolescenza i figli hanno ancor di più i “pori” sensibili e ricettivi.

“Che la nostra non fosse una famiglia come le altre me ne sono accorto soltanto a sei anni, al momento di entrare a scuola. Fino ad allora avevo creduto che tutti i padri tuonassero ai loro figli: “Ascolta!” mentre le madri s’aggiravano affaccendate per casa. I padri sentivano e le madri vedevano. Su questo equilibrio si reggeva il mondo” (da “Per sempre”). La famiglia non è divisione di ruoli, ma condivisione, a cominciare dalle regole. Ruoli e regole che non sono predeterminati ma sono iscritti nella natura (da “nascere”) famiglia, della vita familiare e dei membri della famiglia come si rileva dall’espressione “famiglia come società naturale” nell’art. 29 comma 1 della Costituzione o da quella scritta nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, “ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli”. Quell’ordine o morale delle famiglie di cui si parla nell’art. 570 comma 1 cod. pen. la cui condotta contraria costituisce violazione degli obblighi di assistenza familiare; come pure la previsione dei reati di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 cod. pen.) e di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) significa che in famiglia ci sono dinamiche che rientrano in un buon uso dei mezzi di correzione e in un buon trattamento in famiglia.

Il romanzo finisce con un’immagine di speranza, come il diritto con la sua attività regolativa, preventiva e sanzionatoria ambisce ad una società vivibile. Si può passare così dalla letteratura sentimentale a quella giuridica a dimostrazione che il diritto nasce dalle persone e interviene tra le persone per migliorare la loro vita.

 


[1] S. Tamaro, “Per sempre”, Giunti Editore 2011

Dott.ssa Marzario Margherita

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