Cultura e rete giuridica

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L’individualismo attuale, quale reazione al collettivismo, nella sua estremizzazione economica ha originato quello che Spinoza definisce una gioia originata dal fatto di sentirsi “più del giusto”, una superbia che nel privato favorisce la conflittualità la quale si proietta nel giuridico mentre nel collettivo è l’inizio di conflitti sociali e nazionali, viene meno quella che è la moderazione, coscienza dei propri limiti che non possono e non devono essere ammessi nel sistema competitivo estremizzato, una saggezza che nel pensiero contemporaneo appare troppo solenne (Abbagnano) rispetto alla semplice conoscenza aristotelica del miglior modo di condurre le cose, tento da sorvolarla, né miglior esito hanno la prudenza e la temperanza definite arcaiche rispetto alla attuale velocità tecnologica e sociale, ai mezzi che la scienza permette ma di cui occorre saperne valutare gli effetti, il superuomo nietzschiano che dovrebbe avere “il senso della terra”, nei suoi valori vitali proiettati oltre i valori tradizional,i rischia di ricadere su se stesso, nella volgarizzazione del giudizio.

L’essere viene compreso solo come eterno divenire, dove l’eroe stesso è annientato (concetto tragico) nella necessità del flusso irrazionale della vita, che nega la rappresentazione illusoria della correzione dell’essere secondo una concezione kantiana del dover-essere distaccato dalla realtà, viene assegnato un nuovo valore alla individualità che lotta sia contro le verità assolute che contro la fiducia romantica nella libertà dello spirito umano, si scoprono “verità non appariscenti” in una riunificazione di anima e corpo immersi nella ricerca del controllo della casualità, dove l’umanità possa trasformarsi da una umanità morale ad una umanità saggia (Nietzsche), non vi è quindi una perdita di responsabilità ma un inserire nell’essere la responsabilità umana del proprio giudizio, nel quale i valori superiori diventano valori estetici e quindi mondani, una saggezza dell’uomo teso verso il superamento di se stesso, ma cosciente della propria finitudine temporale da superarsi nella proiezione sull’altro.

La semplificazione del pensiero nietzschiano conduce dalla tensione eroica alla giustificazione di tutte le pulsioni più recondite dell’io, il rapporto tra superamento dei limiti, che la scienza e il pensiero umano permettono, e coscienza dei rischi che a livello individuale e sociale si accumulano è non solo superata ma bensì ignorata, l’esistere per l’esistere in una “volontà di potenza” (Heidegger) se esprime la ricerca che vi è nell’essere quale sperimentazione pura e semplice, non può ignorare l’equilibrio dinamico che nel sociale necessita al fine di una sua sostenibilità nel tempo, una ciclicità posta tra individualismo e collettivo con una responsabilità mai ben definita, in cui da una parte vi è una continua riaffermazione di una ricerca di responsabilità individuali, dall’altra un allacciarsi alle neuroscienze per la motivazione della riduzione dell’ambito di tale responsabilità, tensioni opposte che indicano i limiti dello slancio di Nietzsche, dove la necessaria intersoggettività diventa anche quella che Heidegger definisce quale “mascheramento” di una mancata condivisione comunicativa.

Nel rifiuto di un assoluto vi è l’incapacità di accettare il finito, nel negare la trascendenza non si riesce ad entrare in una dimensione etico-pratica, vivendo l’incertezza quale nuovo paradigma da cui si vuole “prendere” per sfuggire, la logica linguistica codificata della norma crea una rete a cui manca la premessa educativa dell’individuo su cui appoggiare la codificazione, l’Altro è lo specchio del proprio essere fonte di una prospettiva di responsabilità (Lévinas) in una sfumatura che va dall’accettazione al rifiuto, questo non vuol dire un accedere al profondo dell’alterità e al contempo impone una mediazione in cui Derrida vede la possibilità della violenza come “eventualità del potere” che evolva in dominio; ritorna il tema del bilanciamento dei poteri ma anche delle premesse educative, la trasformazione del decadente ducato spagnolo manzoniano di Milano nel centro illuminista del ‘700 sotto il dominio Austriaco, avvenne attraverso la duplice influenza dell’Illuminismo di Maria Teresa e Giuseppe II che si espresse non solo nella riforma giuridico-burocratica ma innanzitutto culturale.

Il carattere ripetitivo dell’oggettività ideale della norma valido e comprensibile per tutti scivola in una ripetizione indefinita (Derrida), in una messa tra parentesi del senso, dove adesso come istante puntuale scivola e sfuma, Husserl cerca di isolare la purezza dell’espressione tra la realtà empirica e l’attualità dell’oggetto reale, vi è tuttavia una difficoltà che nel superare il tecnicismo normativo affonda nel sub-strato culturale, diventando altrimenti la norma puro soliloquio aderente a se stesso, strumento di dominio e di lotta, perdendo la caratteristica dell’adesione, del convivere in un rapporto con l’altro da sé, nel venire meno della dimensione etica condivisa vi è l’illegibilità del testo quale proprietà intrinseca (Miller), essendo il diritto un tentativo di ordinare il mondo che deve affiancarsi e non precedere l’educazione nella creazione dei valori, la lettura è inevitabilmente filtrata attraverso altre letture critiche, l’interpretazione diventa una possibilità di sbagliare in una spesso insormontabile distanza dall’autenticità ontologica (de Man ) l’essere nietzschiano nella sua tensione precipita nel nichilismo sociale.

In medio stabat virtus

BIBLIOGRAFIA
T. Cowen, La media non conta più, Egea, 2015

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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