Cos’è la maternità surrogata? Il principio dell’Unione Europea dell’interesse superiore del minore e l’ordinamento giuridico italiano in materia di surrogazione di maternità

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In questi giorni il dibattito politico è incentrato, tra gli altri argomenti, su tematiche che riguardano il diritto di famiglia: unioni civili, convivenze di fatto, stepchild adoption e maternità surrogata, che qui andremo ad esaminare.

Per maternità surrogata si intende la pratica secondo cui una donna (c.d. madre portante) assume l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al parto per conto di una persona o di una coppia, a cui si impegna a consegnare il nascituro.

Questa procedura, che dovrebbe essere sul piano etico un scelta personalissima, sul piano giuridico è vietata per legge in molti paesi, tra cui l’Italia: l’art. 12 c. 6 della Legge 19 febbraio 2004 n. 40, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, dispone che “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.

Sul tema, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Civile, n. 24001 dell’11 novembre 2014 si è occupata della questione esaminando il caso qui di seguito esposto.

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni di Brescia, con ricorso, chiese dichiararsi lo stato di adottabilità di un bambino, riferendo che i genitori erano sottoposti a procedimento penale per il delitto di alterazione di stato, sospettandosi la non veridicità della loro dichiarazione di nascita del minore, in quanto la madre aveva subito in passato un intervento di isterectomia ed il padre era affetto da oligo-spermia. Il Tribunale, con decreto, comunicata la richiesta del P.M. ai coniugi, nominò un curatore speciale per il minore e affidò quest’ultimo ai servizi sociali con collocazione presso i presunti genitori. Costituitisi, i coniugi dichiararono che la madre non era in realtà madre biologica del minore, il quale era stato generato grazie a surrogazione di maternità conformemente alla legge ucraina, che consente tale pratica. Il Tribunale, accertato mediante consulenza tecnica di ufficio che anche il marito non era padre biologico del minore, dichiarò lo stato di adottabilità di quest’ultimo, dispose il collocamento del medesimo presso una coppia da scegliersi tra quelle in lista per l’adozione nazionale, sospese i coniugi dall’esercizio della potestà di genitori e nominò un tutore, con le seguenti motivazioni: dagli accertamenti effettuati era risultato che i coniugi non erano genitori biologici del minore; la pratica della maternità surrogata, così come la fecondazione eterologa, in Italia è vietata dalla L. 40/2004 art. 14; la legge ucraina consente tale pratica a condizione che gli ovociti non appartengano alla donna che esegue la gestazione e che almeno il 50 % del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia committente, onde il contratto di surrogazione di maternità concluso dai coniugi italiani con la gestante era nullo anche secondo la legge ucraina; la denuncia della filiazione era avvenuta in frode alla disciplina dell’adozione; i coniugi avevano da tempo superato l’età in cui è consentita l’adozione di un neonato, e inoltre per tre volte erano state in precedenza respinte loro domande di adozione per “grosse difficoltà nella elaborazione di una sana genitorialità adottiva”.

Successivamente, la Corte d’Appello di Brescia ha poi respinto l’appello dei coniugi per i seguenti motivi: essendo pacifico che neppure il marito è padre biologico del minore, era stata violata anche la legge ucraina sulla maternità surrogata, la quale ammette tale pratica solo a condizione che almeno il 50 % del patrimonio genetico del nascituro appartenga alla coppia genitoriale committente, e dunque era irrilevante l’allegazione, da parte degli appellanti, della liceità, secondo la legge ucraina, della donazione di ovociti nella fecondazione extracorporale (eseguita nell’ambito della surrogazione di maternità); il certificato di nascita ucraino, benché debitamente apostillato, non poteva essere riconosciuto in Italia ai sensi della L. 218/1995 art. 65 essendo contrario all’ordine pubblico, atteso che la L. 40/2004 vieta qualsiasi forma di surrogazione di maternità e la stessa fecondazione eterologa; veniva a mancare in capo al minore lo status di figlio legittimo degli appellanti, e da ciò conseguiva de plano l’accertamento della situazione di abbandono – e dunque lo stato di adottabilità – del minore stesso ai sensi della L. 183/1984 art. 8, dato che il bambino, nato in Ucraina ed accudito dai coniugi italiani , non era assistito dai genitori o da altri parenti; il predetto accertamento costituiva l’unico oggetto del procedimento in corso, onde erano inammissibili le deduzioni degli appellanti circa la loro idoneità genitoriale e la violazione del diritto del minore a rimanere nella famiglia che lo aveva accolto sin dalla nascita, nonché la reiterazione dell’istanza di affido provvisorio in attesa dell’esito della domanda di adozione proposta ai sensi della L. 183/1984 art. 44 lett. a); l’allontanamento del minore dal nucleo familiare degli appellanti era giustificato dal comportamento di questi ultimi, i quali avevano volontariamente eluso la legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita e avevano falsamente dichiarato di essere i suoi genitori naturali.

In seguito, i coniugi italiani hanno proposto ricorso per cassazione. Quindi, con sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Civile, n. 24001 dell’11 novembre 2014, i giudici di legittimità hanno affermato, per quanto interessa in questa sede, che “va osservato che l’ordinamento italiano – per il quale madre è colei che partorisce (art. 269, terzo comma, c.c.) – contiene, all’art. 12, comma 6, l. n. 40 del 2004, cit., un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un’altra donna; divieto non travolto dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale parziale dell’analogo divieto di fecondazione eterologa, di cui all’art. 4, comma 3, della medesima legge, pronunciata dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 162 del 2014 (nella quale viene espressamente chiarito come la prima delle due disposizioni sopra indicate non sia “in nessun modo e in nessun punto incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi perdurante validità ed efficacia”). Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali. Vengono qui in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato.” Inoltre, continua la sentenza, “Neppure può sostenersi che il divieto in discussione si pone in contrasto con la tutela del superiore interesse del minore, da considerare preminente “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi” ai sensi dell’art. 3 della Convenzione di New York richiamata nel ricorso. Il legislatore italiano, invero, ha considerato, non irragionevolmente, che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando, come detto, all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo della parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico. E si tratta di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale non attribuisce al giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto.”.

Pertanto, con questa sentenza, la Suprema Corte ha confermato che in Italia la surrogazione di maternità è una pratica vietata e sanzionata penalmente, in quanto contraria all’ordine pubblico. Si sottolinea, continuano i Giudici, che l’ordinamento giuridico italiano affida soltanto all’istituto dell’adozione la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il minore, progetto che non può, invece, essere regolato dal mero accordo delle parti private.

Nel caso di specie, è interessante la parte della sentenza in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto inesatto il riferimento dei ricorrenti alle sentenze gemelle Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Quinta Sezione, 26 giugno 2014, Mennesson c. Francia, ric. n. 65192/11, e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Quinta Sezione, 26 giugno 2014, Labassee c. Francia, ric. n. 65941/11.

Nel provvedimento dei Giudici di legittimità, infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo “… ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento discrezionale ai singoli Stati sul tema della maternità surrogata, in considerazione dei delicati interrogativi di ordine etico posti da tale pratica, disciplinata in maniera diversa nell’ambito dei paesi membri del Consiglio d’Europa, e ha ravvisato il superamento di detto margine nel difetto di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il nato e il padre committente allorché quest’ultimo sia anche padre biologico (difetto di riconoscimento che, rileva la Corte, viola il diritto al rispetto della vita privata del figlio, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, comprendente il diritto all’identità personale sotto il profilo del legame di filiazione).”

Nel caso qui esaminato, invece, tra il padre committente ed il minore non sussiste alcun legame biologico, motivo per cui la Corte di Cassazione ha ritenuto non corretto il riferimento dei ricorrenti alle sopra citate sentenze.

In ogni caso, è importante porre in evidenza l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui “… contrasterebbe con l’art. 8 della Convenzione il rifiuto da parte di uno Stato membro di riconoscere valore giuridico al rapporto di parentela, validamente formatosi in un Paese estero, tra l’uomo e la donna che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata e il bambino nato dalla donna che ha messo a disposizione il proprio utero per portare a termine la gravidanza”.

Oltre a ciò, si segnala la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. II, del 27 gennaio 2015 (Ricorso n. 25358/12 – Paradiso e Campanelli c. Italia),  riguardo ad una coppia di coniugi italiani che si era recata in Russia per sottoscrivere un contratto con una società al fine di avere un bambino attraverso la pratica della maternità surrogata.

I funzionari del Consolato italiano a Mosca, prima di rilasciare i documenti necessari per portare il minore in Italia, sospettando il ricorso alla maternità surrogata, inviavano all’anagrafe del Comune di residenza dei coniugi, alla Prefettura, alla Procura della Repubblica e al Ministero degli Affari Esteri una nota per comunicare i loro dubbi. A seguito del rifiuto dell’Ufficio di Stato Civile di trascrivere il certificato di nascita del minore,  la coppia veniva indagata per il reato di cui all’art. 567 c.p. per alterazione di stato e di cui all’art. 72 della L. 183/1984 per violazione della disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori.

Il Tribunale per i Minorenni di Campobasso, dopo avere accertato l’assenza di un legame biologico con i presunti genitori attraverso il test del d.n.a., disponeva l’allontanamento del minore e il suo affidamento ai servizi sociali.

Di fronte a questa decisione, i coniugi ricorrevano alla Corte di Strasburgo che sentenziava la violazione dell’art. 8 CEDU da parte dello Stato Italiano, colpevole di non avere considerato il legame familiare che si era creato tra la coppia ed il minore e di avere causato, di conseguenza, la rottura di una famiglia è una interferenza molto grave. Secondo i Giudici, pur essendo necessario porre rimedio ad una situazione illegittima, l’adozione della misura dell’affidamento del bambino ai servizi sociali non è giustificabile, non sussistendo tra l’altro un pericolo immediato, in quanto l’Autorità italiana doveva tenere conto dell’interesse superiore del minore, a prescindere dalla natura biologica del rapporto parentale.

Concludendo, ancora una volta si vuole porre all’attenzione del lettore che, quando si tratta di decisioni in materia di responsabilità genitoriale, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto il principio dell’interesse superiore del minore ai sensi del  Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003.

Dott. Assenza Carmelo

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