Corte di Cassazione: sentenza su reato di maltrattamenti

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Il reato di maltrattamenti disciplinato all’articolo 572 del codice penale, per la sua configurazione  non richiede che vittima e carnefici siano sposati o convivano da lungo tempo, quello che rileva è la continuità del comportamento aggressivo e intimidatorio.

Indice

1. Il reato di maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi è disciplinato dall’articolo 572 del codice penale.
In seguito alla riforma introdotta con la 1/10/ 2012 n. 172 questo articolo punisce con la reclusione da due a sei anni chi, fuori dei casi indicati nell’articolo 571 del codice penale, maltratta una persona della famiglia o convivente, oppure una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per motivi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Se dai maltrattamenti dovesse derivare una lesione personale grave si applica la reclusione da quattro a nove anni, dovesse derivare una lesione molto grave si applica la reclusione da sette a quindici anni, se dovesse derivare la morte si applica la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Si tratta di un reato abituale, per il quale l’autore deve compiere più comportamenti maltrattanti, e doloso, vale a dire che l’autore deve intenzionalmente maltrattare la vittima.
Nel caso nel quale la persona che subisce i maltrattamenti abbia meno di quattordici anni, la reclusione viene aumentata a discrezione dell’autorità giudiziaria.
L’articolo 572 del codice penale, rubricato “maltrattamenti contro familiari o conviventi” recita:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti dei quali al presente articolo si considera persona offesa dal reato.
Il legislatore ha inteso tutelare l’integrità psicofisica di persone che fanno parte di contesti familiari o parafamiliari.
Il capo IV del titolo XI, che ha come oggetto i reati contro l’assistenza familiare, sono contraddistinti dal fatto che l’offesa ha origine nel gruppo familiare.
Più specificamente, viene salvaguardato il legame giuridico tra persone che appartengono alla stessa famiglia o a un vincolo ad essa assimilabile.
Si tratta di reato proprio perché può essere commesso esclusivamente da persone che hanno un particolare vincolo nei confronti del soggetto passivo.
La norma si fonda sulla centralità che assume lo stabile vincolo affettivo e umano da proteggere contro fenomeni di sopraffazione e può discendere, sia da un rapporto familiare, sia da un rapporto di autorità, che deriva dallo svolgimento di una professione, di un’arte oppure da rapporti di cura e di custodia.
In una simile fattispecie trova penale rilevanza la figura del mobbing, quel comportamento vessatorio e denigratorio che assurge il lavoratore come semplice prestatore di energie lavorative, con l’intenzione di indurlo a licenziarsi.
Il mobbing può rientrare nel concetto di maltrattamenti esclusivamente quando l’ambiente lavorativo abbia natura parafamiliare.
Il reato di maltrattamenti è un reato abituale, vale a dire, caratterizzato da comportamenti di per sé leciti, ma che assumono carattere illecito a causa del loro protrarsi.
I comportamenti possono essere commissivi oppure omissivi, se sussistano in capo al soggetto agente dei doveri di protezione.
Il dolo è generico, e consiste nella coscienza e volontà di infliggere una serie di sofferenze alla vittima.
Il reato in questione assorbe i reati di ingiuria, percosse e minacce, così come assorbe le lesioni personali lievi o molto lievi, quando colpose.
Se le lesioni sono volontarie, i due reati concorrono.
Allo stesso modo, non sono assorbite le lesioni gravi o molto gravi, e neanche la morte (se volontarie).
Se, al contrario, le lesioni gravi o molto gravi o la morte sono una conseguenza non voluta dal soggetto agente, si applicano le aggravanti delle quali al comma 2.

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2. La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43986/2022 ha ribadito che per integrare il reato di maltrattamenti non rilava che il rapporto tra la vittima e il reo sia stato formalizzato in un matrimonio, come non ha rilievo la durata della convivenza, che può essere anche di breve durata. Quello che rileva è la continuità del comportamento aggressivo e minaccioso da parte del responsabile nei confronti della persona offesa.
La decisione chiude una vicenda che ha visto come protagonista un uomo, condannato in primo e secondo grado per il reato di maltrattamenti in famiglia.
La stessa decisione è stata contestata da parte dell’imputato, secondo il quale perché si possa integrare il reato del quale all’articolo 572 del codice penale, si dovrebbe instaurare una convivenza more uxorio con la persona offesa allo scopo di avere l’unione familiare che la norma si pone la finalità di proteggere.
La Suprema Corte ha respinto il motivo perché nel caso specifico, in sede di merito, ai fini della condanna, è stata valorizzata la continuità dei comportamenti aggressivi e minacciose dell’imputato ai danni della persona offesa, nel periodo che va dall’agosto 2017 all’agosto del 2018, con un’unica sospensione di due mesi.
I fatti sono confermati anche dagli altri elementi di prova raccolti, come i referti medici, le testimonianze, le foto dei messaggi inviati dall’imputato e le dichiarazioni degli ufficiali di Polizia Giudiziaria.
L’ipotesi in questione rientra nel contesto trattato in precedenza dalla stessa Cassazione nella sentenza n. 17888/2021 che ha ritenuto integrato il reato di del quale all’articolo 572 del codice penale, non esclusivamente in relazione alle famiglie fondate sul matrimonio, ma anche ai rapporti sentimentali che si caratterizzano per una convivenza di breve durata.

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Con un taglio pratico, l’opera affronta i principali istituti legati ai rapporti familiari, mediante l’analisi della normativa e della giurisprudenza più recente.In particolare, vengono trattati la separazione ed il divorzio e tutte le conseguenze patrimoniali e personali che derivano dalla cessazione degli effetti matrimoniali.Spazio è poi dedicato alle unioni civili e ai conviventi, nonché alla posizione del nascituro, quale discusso titolare di diritti.Completa l’opera la trattazione della tutela penale delle obbligazioni nascenti dal matrimonio, quali l’assistenza e la prestazione del mezzi di sussistenza.Giuseppe CassanoDirettore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre un centinaio di saggi in tema, fra volumi, trattati, saggi e note.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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