Corte di Appello Caltanissetta, Prima Sezione Penale, ordinanza 20-4-2006 con cui la Corte ha respinto l’ecezione di costituzionalità della legge sull’inappellabilità delle pronunce di proscioglimento.

sentenza 11/05/06
Scarica PDF Stampa
REPUBBLICA   ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Appello Caltanissetta
Prima Sezione Penale
La Corte di Appello di Caltanissetta così composta:
dott. ********************               Presidente
dott. ***********************      Consigliere
dott. *************                           Consigliere         
riunita in Camera di Consiglio ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Decidendo sull’eccezione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 10 legge 46/2006 che introduce il principio dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento formulate all’esito del giudizio di primo grado, da parte del Pubblico Ministero;
ritenuto che il Procuratore ******** presso la Corte di Appello di Caltanissetta ha dedotto la violazione degli artt. 3, 111 e 112 Costituzione;
OSSERVA
Occorre innanzi tutto rammentare come per costante interpretazione giurisprudenziale sia della Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione il nostro ordinamento costituzionale non prevede quale principio garantito alle parti quello del doppio grado di giurisdizione di merito poiché i principi fondamentali sussistenti in tema di impugnazione si esauriscono nella previsione contenuta dall’art.111 Cost. secondo cui contro le sentenze e contro i provvedimenti giurisdizionali sulla libertà personale è sempre ammesso il solo ricorso per cassazione per violazione di legge.
Proprio in applicazione di detto fondamentale principio costituzionale tutte le previsioni di limiti alla proponibilità dell’appello sono state, ripetutamente, dichiarate costituzionalmente legittime e le relative eccezioni di costituzionalità ritenute manifestamente infondate; al proposito infatti occorre innanzi tutto rammentare che la Corte Costituzionale ha respinto le pur numerose eccezioni di costituzionalità sollevate con riferimento all’art. 443 c.p.p. che prevede l’inappellabilità da parte del Pubblico Ministero delle sentenze di condanna emesse al termine del giudizio abbreviato, argomentando  che il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità dei poteri processuali del P.M. e dell’imputato ed escludendo così che detta norma violasse anche il principio della parità delle parti (Corte Costituzionale ord. 21 dicembre 2001 n.421).
Inoltre la Corte Costituzionale ha contestualmente affermato che il potere d’impugnazione del Pubblico Ministero non costituisce un’estrinsecazione necessaria dell’obbligo di esercizio dell’azione penale mentre le limitazioni al potere di interporre appello non possono ritenersi costituzionalmente illegittime in relazione alla disciplina dettata in tema di diritti inviolabili della persona e del diritto di difesa (Corte Cost. ord.165/2003).
Peraltro va rammentato come anche altre ipotesi di inappellabilità delle pronunce di primo grado sono state ritenute legittime e ciò pur se a svantaggio della posizione processuale dell’imputato; al proposito infatti è stato stabilito in relazione all’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda che:” E’ manifestamente infondata l’eccezione di legittimita’ costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen. nella parte in cui – comma terzo – dichiara inappellabili le sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali sia stata applicata la sola pena dell’ammenda; l’impossibilita’ di appellare siffatte sentenze infatti non lede ne’ il diritto di difesa ne’ quello di parita’ di trattamento dell’imputato: il primo perche’ e’ sempre garantito con il ricorso per Cassazione il riesame della vicenda processuale, non trovando d’altro canto il doppio grado di giurisdizione garanzia nel sistema costituzionale; il secondo perche’ uguale trattamento e’ riservato a situazioni similari, mentre per evenienze diverse (contravvenzioni punite con l’arresto e delitti) e’ previsto diverso trattamento (possibilita’ di appello, Cass.5418/1994). 
E così ancora è stata ritenuta costituzionalmente legittima l’esclusione dell’appellabilità delle sentenze di patteggiamento; al proposito infatti ha statuito la Suprema Corte che:” E’ manifestamente infondata, in riferimento all’art. 24 Cost., la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 444 cod. proc. pen., come del successivo art. 448, nella parte in cui essi non consentono alla parte privata l’appello avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto la tutela del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento non implica necessariamente la garanzia del doppio grado di giurisdizione di merito, ed e’ pertanto compatibile con la soppressione di un grado del processo (Cass. 3397/1991).
Affermato pertanto, pur con riferimento a situazioni differenti, che il principio del doppio grado di giurisdizione di merito non è costituzionalmente garantito deve derivarne, gioco forza, la piena discrezionalità nel disciplinare lo stesso da parte del legislatore ordinario sicchè nessuna violazione degli artt. 3 e 112 Costituzione può configurarsi.
Al proposito va poi segnalato che il differente trattamento riservato alle parti processuali, imputato e pubblico ministero, rispetto alle sentenze emesse all’esito del giudizio di primo grado sembra trovare ulteriori giustificazioni in una lettura complessiva dell’ordinamento processuale.
Infatti occorre segnalare come sia assai significativo che i principi delle convenzionali internazionali, contenuti nel Patto internazionale sui diritti civili e politici e nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, stabiliscano che solo il condannato per fatti penalmente rilevanti ha diritto alla revisione, al riesame o alla rivalutazione del caso da parte di un organo giurisdizionale di diversa od ulteriore istanza, così come l’art. 24 della Costituzione prevede il diritto all’assistenza del difensore in ogni stato e grado del giudizio.
Sussiste quindi una previsione normativa di grado superiore, nazionale ed internazionale, che sancisce il diritto dell’imputato alla revisione del giudizio di primo grado da parte di un Giudice superiore mentre nulla prevede in ordine all’ugual diritto della pubblica accusa.
E che nel sistema delle impugnazioni la posizione processuale delle parti sia sostanzialmente differenziata è valutazione che trova fondamento con particolare riferimento all’unico mezzo di impugnazione straordinaria prevista dal nostro ordinamento, la revisione, concessa soltanto per la sopravvenienza di prove, o per l’eventuale insorgenza di contrasto tra decisioni, che possa giovare alla posizione processuale dell’imputato mentre il giudicato costituisce ostacolo insormontabile per l’esercizio dell’azione penale esauritasi nel giudizio definitivo ed inidonea ad essere riproposta pur nell’eventualità del rinvenimento di prove decisive a carico dell’imputato definitivamente prosciolto.
E così analogo trattamento differenziato, che costituisce ulteriore riprova della differente posizione processuale tra le parti nel giudizio di impugnazione, è la previsione contenuta nell’art. 587 c.p.p. in tema di effetto estensivo secondo cui in ipotesi di processo cumulativo, l’impugnazione proposta da uno solo degli imputati può giovare anche agli altri purchè non sia fondata su motivi esclusivamente personali, che sancisce quindi altra fattispecie di revoca del giudicato in favore dell’imputato non appellante con l’introduzione di un caso di evidente trattamento differenziato delle parti rispetto al giudizio di impugnazione.
Altresì infondata è, a giudizio di questa Corte, la questione di costituzionalità dell’art. 1 legge 46/2006 in relazione all’art. 111 Costituzione ed al principio contenuto nello stesso articolo di svolgimento del processo in condizioni di parità tra le parti.
Invero va al proposito osservato come il principio del contraddittorio tra le parti inserito dal comma 2° dell’art. 111 Costituzione trova esplicazione nella particolare disciplina dettata dal comma 4° della stessa norma secondo cui “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova” sicchè detta asserzione costituzionale ha specificamente ad oggetto non il sistema delle impugnazioni, ad essa sostanzialmente estranea, quanto la fase della formazione della prova dinanzi al Giudice di primo grado.
Peraltro è appena il caso di segnalare che la ratio legis dell’introduzione del nuovo art.111 va individuata nella volontà espressa del legislatore costituzionale di garantire il principio del contraddittorio nella formazione della prova anche a quei casi, audizione di imputati di reati connessi, che antecedentemente alla nuova previsione costituzionale sembravano sfuggire alla regola della cross-examination introdotta dal nuovo processo penale con grave nocumento per la posizione processuale dell’imputato.
Non può pertanto, a giudizio di questa Corte, ritenersi che una norma costituzionale inserita per bilanciare la posizione processuale delle parti in fase di formazione della prova, evitando così che una di esse godesse di una condizione di vantaggio nella possibilità di formare atti aventi forza di prova non alla presenza di un Giudice terzo ed imparziale, possa ora essere interpretata quale impositiva di un generale principio di assoluta parità di poteri processuali a fronte della pronuncia di primo grado.
Nè peraltro può ritenersi costituzionalmente illegittimo l’art. 10 della stessa legge 46/2006.
Al proposito infatti occorre ricordare che stabilito il principio per cui il doppio grado di giurisdizione è principio non costituzionalmente garantito ne deriva la piena discrezionalità del legislatore di trattare differentemente i mezzi di gravame proposti anteriormente all’entrata in vigore della legge e quelli proponibili successivamente.
Peraltro il differente trattamento non può essere stigmatizzato al punto da essere considerato illegittimo poiché la citata legge sull’inappellabilità non ha soltanto modificato i caratteri del giudizio di appello ma altresì profondamente modificato quelli del ricorso per cassazione. Invero con l’introduzione della rilevabilità nel giudizio per cassazione dei vizi riguardanti il contrasto tra la motivazione della sentenza di primo grado e gli atti processuali, il giudizio dinanzi la Suprema Corte viene profondamente trasformato ed acquista un’ampiezza dapprima sconosciuta con la necessaria conseguenza che non soltanto l’art. 10 della predetta legge non può ritenersi costituzionalmente illegittimo, stante che il doppio controllo sulla motivazione viene assicurato dal nuovo giudizio di cassazione, ma l’intera nuova previsione normativa è evidentemente conforme a costituzione in quanto il ricorso per cassazione del Pubblico Ministero avverso la sentenza di proscioglimento di primo grado è riformulato in termini di tale ampiezza da doversi ritenere assicurato il profondo controllo di ogni vizio del procedimento.
Né peraltro in tale sede può discutersi della legittimità costituzionale del “nuovo” giudizio di cassazione poiché l’applicazione di tali norme è del tutto estranea al presente giudizio di appello. 
Alla luce delle suesposte considerazioni pertanto l’eccezione proposta dal Procuratore Generale di Caltanissetta deve dichiararsi manifestamente infondata.
P.Q.M.
Dichiara manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale formulata dal Procuratore Generale di Caltanissetta e dispone procedersi oltre.
Caltanissetta lì 20-4-2006
 
Il Presidente
 
 

sentenza

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento