Corte d’appello di Caltanissetta – Sezione per i minorenni – decreto 18/ 7/2002 – ric. B. (riforma decreto T.M. Caltanissetta 11 – 12/ 6/2002)

sentenza 19/04/07
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ADOZIONE DI MINORI STRANIERI – minore di nascita e cittadinanza albanese – provvedimento di adozione del minore emesso dalla competente Autorità giudiziaria straniera in favore di donna cittadina albanese, coniugata con cittadino italiano, residente anagraficamente in un Comune della Repubblica – validità ed efficacia in Italia – sussiste salvo si accerti che, in dipendenza di una comprovata “frode” processuale, detto provvedimento non sarebbe stato adottato dall’A.G. straniera – ingresso del minore straniero nel territorio della Repubblica con “visto” rilasciato alla madre dall’Autorità consolare italiana nello stato estero di provenienza, in luogo dell’autorizzazione rilasciata dalla Commissione per le Adozioni Internazionali – legittimità – stato di abbandono del minore (ritenuto dal Tribunale, che ha rigettato su tale presupposto l’istanza formulata dalla madre adottiva per conseguire l’affidamento del medesimo minore, allontanato dalla residenza materna e ricoverato temporaneamente in una struttura di accoglienza) – “fictio iuris” – applicabilità alla fattispecie della disciplina dettata dalla Legge 476/1998 (ritenuta dal Tribunale) – fattispecie non prevista dalla medesima legge – preventiva dichiarazione di idoneità all’adozione di minori stranieri nei riguardi della madre cittadina albanese e del coniuge cittadino italiano da parte del Tribunale minorile competente in funzione della residenza in Italia dei medesimi coniugi – necessità – esclusione – istanza per conseguire l’affidamento del minore da parte della madre adottiva – accoglimento.  


CORTE D’APPELLO – CALTANISSETTA
Sezione per i Minorenni
 
LA CORTE D’APPELLO DI CALTANISSETTA – SEZIONE PER I MINORENNI riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati:
               Dott. Giovanni RUSSO             – Presidente
                 Dott. Sergio     DE NICOLA      – Consigliere rel.
                 Dott. Gabriella CANTO             – Consigliere
                 Dott. Antonio GUARINO         – Comp. privato
                  Dott. A. Maria CAMMARATA    – Comp. privato
 
ha pronunziato il seguente
DECRETO
nel procedimento iscritto al n°55/2002 del registro degli affari civili da trattarsi in Camera di consiglio sul reclamo proposto da:
 
B. Liljana, nata a Tirana (ALBANIA) il 00/ 0/1954, res.nte nel Comune di G., ed ivi elettivamente domiciliata nella via Ventura n°49, presso lo studio dell’Avv. Giulio Piazza che la rappresentata e difende per mandato rilasciato a margine del ricorso depositato;
 
per conseguire la revoca e/o la modifica del decreto camerale deliberato dal Tribunale per i minorenni di CALTANISSETTA in data 11 – 12/6/2002, che ha rigettato l’istanza formulata dalla B. il 28/ 5/2002 per conseguire l’affidamento del minore B. G., e la conseguente revoca del precedente decreto immediatamente esecutivo emesso dallo stesso T.M. in data 3 – 4/ 4/2002 con il quale il suddetto minore era stato allontanato dalla residenza della B., e collocato in via d’urgenza nella Comunità “San Giuseppe” del Comune di S., con l’imposizione del divieto di prelevamento – e di visita – allo stesso minore da parte della reclamante.
            All’odierna udienza camerale, le parti hanno concluso:
               l’Ufficio del Procuratore Generale (intervenuto per legge): ha formulato – con nota scritta depositata in Cancelleria – parere contrario all’acco-
glimento del reclamo;
               il difensore della reclamante: insiste nelle istanze e domande formulate.
PREMESSO CHE
la ricorrente B. Lilijana, con ricorso depositato il 9/ 4/2002, deduceva di essere cittadina albanese, e di avere contratto matrimonio nel territorio della Repubblica il 24/11/1997 con il cittadino italiano D. Benito (……..) acquisendo per effetto del matrimonio la doppia cittadinanza (italo-albanese): e riferiva di avere adottato – con provvedimento reso dalla Autorità giudiziaria albanese competente a deliberare nella medesima materia – un minore albanese dichiarato in stato di abbandono dalla stessa A.G. straniera, al quale sono state assegnate le generalità di “B. R.”. In conseguenza dell’affidamento del minore alla sua persona, la ricorrente nel febbraio 2002 ha fatto ingresso in Italia con il suddetto minore, per il quale aveva richiesto preventivamente, ed ottenuto, il necessario visto di ingresso, rilasciatole dall’Ambasciata d’Italia nella città di TIRANA.
Essendo stato informato dell’ingresso in Italia – e dello stabilimento nella città di G. (dove la B. ed il D. hanno stabilito la propria residenza) – del suddetto minore, il Tribunale per i minorenni di CALTANISSETTA, con il richiamato decreto camerale 3 – 4/ 4/2002 assunto in via d‘urgenza, senza preventiva audizione della madre adottiva, allontanava il piccolo R. dalla medesima madre adottiva, disponendone il ricovero nella citata struttura assistenziale, applicando alla fattispecie la disciplina che regola nell’ordinamento nazionale l’affidamento (e l’adozione)dei minori (e segnatamente, gli artt. 8, 9, 10 della Legge 4/ 5/1983 n.184).
La B. ha quindi impugnato il decreto di allontanamento dalla dimora familiare del bambino concessole in adozione dall’A.G. albanese, deducendo che nella fattispecie non ricorrevano i requisiti individuati dall’art.10 della medesima legge 184/1983, difettando in particolare lo stato di abbandono del suddetto minore: cosicchè, essendo il piccolo R. figlio adottivo della B. in ragione del richiamato provvedimento giurisdizionale straniero, non avrebbe neppure potuto essere dichiarato in stato di adottabilità. In particolare, l’appellante invocava l’applicazione dell’art.34 della stessa Legge 184/1983, interpretando tale norma nel senso che al minore (evidentemente, nato all’estero o cittadino straniero) entrato, e dimorante, in Italia sulla base di un provvedimento straniero di adozione (o di affidamento per scopo adottivo), devono essere riconosciuti, a decorrere dalla data dell’ingresso nel territorio della Repubblica, i medesimi diritti che competono al minore italiano che si trovi in stato di affidamento familiare.
Ha quindi specificamente censurato la B. l’assunto che aveva indotto il Tribuna-
le minorile a disporre l’allontanamento del piccolo R. dalla sua dimora, assimilando la situazione del minore a quella regolata dalla legge 31 dicembre 1998 n.476 (che disciplina l’istituto dell’ “adozione internazionale”), mentre doveva considerare che “Il rapporto di coniugio tra la signora B. ed il signor D. è cosa diversa e distinta dalla adozione alla quale il D. è estraneo, sia giuridicamente che materialmente”.
Pertanto, con l’emissione del provvedimento impugnato, il Tribunale minorile aveva praticamente sottratto il piccolo R. alla potestà della B., quale suo genitore individuato tale dal richiamato provvedimento dell’A.G. albanese, la cui validità ed efficacia non poteva essere disconosciuta, essendo sia l’appellante che il minore cittadini di uno Stato estero (appunto, l’Albania) che non ha neppure ratificato la “Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale” aperta alla firma nella città dell’Aja il 29/ 5/1993: dovendo viceversa ritenersi regolata la fattispecie unicamente dalle leggi 31/ 5/1995 n°218 e 4/ 5/1983 n°184.
Deduceva quindi la B. che la corretta applicazione delle leggi richiamate, ed il rispetto del principio del contraddittorio processuale (“… che avrebbe dovuto almeno consigliare al Tribunale per i minorenni di comunicare fin dall’inizio alla signora B. che si era di fatto aperta una procedura di adottabilità, senza poi parlare della omessa notifica del provvedimento nella con testualità dell’apprensione del bambino”), dovevano indurre il Tribunale minorile a considerare che “l’unico obbligo imposto dalla legge a carico della B. era quello di comunicare entro sei mesi che suo figlio alloggiava, insieme a lei presso la abitazione del D., salvo poi entro un anno dal concessole visto di ingresso, fare rientro in Albania”.
            Sulle richiamate premesse in fatto e diritto, la ricorrente chiedeva a questa Corte, in via preliminare, di sospendere la provvisoria esecuzione del decreto di allontanamento del piccolo R. – che il Tribunale minorile aveva emesso “inaudita altera parte” – affidandolo alla medesima B., in applicazione del richiamato art.34 della Legge 4/ 5/1983 n°184.
            Sentita quindi da questa Corte nella fase istruttoria del relativo procedimento camerale, la B. riferiva:
– di risiedere nella città di G. dalla data in cui ha contratto matrimonio con il cittadino italiano D. Benito;
– di avere casualmente assistito, in occasione di un viaggio effettuato in Albania nel mese di aprile dell’anno 2001 (per le nozze di una sua sorella), ad una trasmissione televisiva nel corso della quale era stato presentato il caso del piccolo R. che si trovava in stato di abbandono ed era stato provvisoriamente accolto dall’Istituzione albanese “Hannah e Razafa”, che si occupa delle adozioni di minori privi dei genitori, o comunque in stato di abbandono: cosicché, essendo stata formulata nella stessa trasmissione un invito ad offrire la disponibilità per l’eventuale adozione del suddetto minore, ella aveva risposto all’appello, richiedendone poi formalmente l’adozione, che è stata successivamente deliberata dalla competente Autorità giudiziaria albanese;
– che la propria madre è titolare in Albania di una azienda a conduzione familiare operante nel settore della produzione di bevande rinfrescanti, alla cui gestione anche lei collabora “pur risiedendo parte dell’anno a G.”.
            La difesa della ricorrente produceva inoltre la copia di una nota esplicativa inoltrata dall’Ambasciata d’Italia nella città di TIRANA in data 29/ 3/2002 al “Centro Visti” ed al “Reparto Adozioni” del Ministero italiano degli Affari Esteri, nella quale si riferiva che:
– il minore nel cui interesse è stato emesso il decreto impugnato “è stato adottato secondo la legge albanese dalla Signora Lilijana B., munita di doppia cittadinanza sia albanese che italiana, coniugata col cittadino italiano Benito D.”;
– valutando che la fattispecie non configurasse un’ipotesi di adozione internazionale, la suddetta Autorità riteneva di qualificare la condizione del suddetto minore come “familiare a seguito” (in base all’art.29 del Testo Unico 286/1998 comma 1 e comma 2);
– risultando la B. titolare della doppia cittadinanza (albanese, ed italiana), la medesima
Autorità valutava applicabile alla fattispecie “l’ipotesi prevista dall’art.15 del Decreto interministeriale del 12 luglio 2000 che prevede l’ipotesi di ricongiungimento familiare del cittadino straniero che intende ricongiungersi con un familiare residente in Italia, cittadino italiano, e con il quale risulti essere (nella fattispecie in esame) figlio minore a carico”.
            La Corte, con decreto camerale 8-17/ 5/2002, ritenuta la natura tipicamente “interinale” della deliberazione con la quale il Tribunale minorile aveva disposto l’allontanamento, dichiarava inammissibile il reclamo proposto.
            All’esito della conoscenza del suddetto decreto emesso dalla Corte, la B. odierna reclamante inoltrava allo stesso Tribunale formale istanza con la quale chiedeva – ai sensi del citato art.34 L. 184/1983 – l’affidamento del piccolo R..
            L’istanza di affidamento veniva peraltro rigettata, con il successivo decreto 11-12/
6/2002, oggetto della presente impugnazione, dal T.M. di CALTANISSETTA, che – a sostegno della decisione sfavorevole per la B. – richiamava una nota inoltrata allo stesso Ufficio Giudiziario dalla Commissione per le Adozioni Internazionali presso la Presidenza del Consiglio nella quale si esprimeva la valutazione che “l’adozione del minore da parte della B. Liljana avrebbe dovuto avvenire ai sensi della legge vigente in Italia e non secondo quella albanese”.
Muovendo quindi dal presupposto interpretativo secondo cui nella fattispecie considerata, “l’adozione del minore avrebbe dovuto essere regolata dall’art.29 L. n.184/ 83 (come modificato dalla L. n.476/98), non essendo previsto nel nostro ordinamento che il coniuge con doppia nazionalità sia legittimato ad adottare direttamente nel paese di origine e ad introdurre il minore in Italia”, e dal rilievo che la medesima Commissione      “… ritenuta l’insanabilità della situazione venutasi a creare e non essendo la medesima abilitata ad autorizzare la permanenza in Italia del minore – ha interessato del problema la competente Autorità dello Stato albanese, onde appurare se si debba procedere al rimpatrio del minore in Albania (tramite il Servizio Sociale Int.le) ovvero se l’Autorità albanese intenda procedere ad una nuova adozione del minore da parte dei coniugi italiani secondo le procedure, da applicarsi al caso in esame, di cui alla L. n.184/1983, cosi come modificata dalla L. n.476/98 di ratifica della Convenzione dell’Aja del 29/ 5/1983 ”, il Tribunale minorile ha valutato di non potere revocare (né modificare) il proprio precedente decreto 4/ 4/2002 che ha disposto l’allontanamento del minore dalla madre adottiva (e la sua conseguente istituzionalizzazione), “nelle more della comunicazione delle opportune indicazioni da parte dello Stato albanese”, rigettando l’istanza di affidamento.
Il decreto di rigetto dell’istanza di affidamento è stato quindi tempestivamente impugnato dalla B., la quale ha sostanzialmente riproposto nel reclamo depositato le medesime ragioni – in fatto, e diritto – già formulate nel precedente ricorso, dichiarato inammissibile da questa Corte.  
   Disposta quindi l’anticipazione all’odierna udienza camerale della trattazione del reclamo per decidere sulla richiamata istanza formulata in via preliminare, in considerazione dell’urgenza di procedere all’esame nel merito delle ragioni individuate a sostegno della richiesta per conseguire la revoca del decreto di allontanamento del piccolo R. formulata nell’interesse della B., quest’ultima compariva personalmente all’odierna udienza camerale, e dichiarava che non avrebbe allontanato il bambino dal luogo in cui ella ha stabilito la propria residenza in Italia (nella via Aldesio Sammito del Comune di G.), acconsentendo inoltre a sottoporsi alle verifiche che la Corte avesse stabilito nell’ipotesi di eventuale accoglimento del reclamo.
Tutto quanto premesso, la Corte  
OSSERVA
Il reclamo depositato nell’interesse della cittadina albanese B. Lilijana avverso il decreto camerale 11–12/ 6/2002 emesso dal Tribunale per i minorenni di CALTANISSETTA, appare fondato.
Rileva preliminarmente questa Corte l’assoluta peculiarità della fattispecie considerata – ben evidenziata dall’Autorità consolare italiana nella richiamata nota informativa depositata dalla difesa della B. nella fase istruttoria della impugnazione proposta per conseguire la revoca del decreto di allontanamento emesso dal Tribunale minorile in via d’urgenza – per essere la reclamante una cittadina albanese, che ha conseguito l’adozione del piccolo R. dalla competente Autorità giudiziaria dello Stato estero ove è pure nato il minore adottato, il quale ha a sua volta acquistato la cittadinanza albanese: circostanze, queste, che non consentono – neppure in via analogica – di applicare alla fattispecie considerata la disciplina dell’ “adozione internazionale” contenuta nella Legge 31/12/1998 n°476 (che ha ratificato per l’Italia la richiamata Convenzione de l’Aja 29/ 5/1993).
            Considera, inoltre, la Corte che anche lo “stato di abbandono” individuato nel precedente decreto interinale dal Tribunale minorile – che lo ha assunto quale presupposto per procedere all’iscrizione della procedura di adottabilità nell’interesse del piccolo R. – in via di fatto contrasta con la circostanza che il suddetto minore, dalla data in cui è entrato nel territorio dello Stato italiano ove lo ha condotto la madre adottiva in forza dell’autorizzazione all’ingresso (legalmente) rilasciatole dalla Ambasciata d’Italia nella città di Tirana, ha comunque convissuto con la stessa madre (e con il D., suo coniuge): né risulta documentato agli atti dell’istruttoria assunta dal Tribunale minorile – per quanto può essere desunto dall’esame dei primi accertamenti effettuati dall’Autorità di polizia delegata dall’Ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale minorile, e dal Presidente dello stesso Tribunale – che la B. (od il coniuge) abbiano attuato nei riguardi del bambino, nel pur breve periodo intercorso dal suo arrivo nella città di G. (dove i Signori B. – D. risiedono, anche anagraficamente), alcuna condotta che possa avere indotto una situazione di (concreto) pregiudizio nei riguardi dello stesso minore.
            Pertanto, già nel precedente decreto con il quale è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse della B. contro il decreto (interinale) che disponeva l’allontanamento, questa Corte ha rilevato che, “la configurazione di tale stato quale presupposto dell’iscrizione della procedura (e dell’allontanamento del minore dalla madre adottiva) appare quasi una ^fictio iuris^ “.
            Considera, inoltre, la Corte adita che non risultano (ancora) effettuate le verifiche – valutate necessarie nel precedente decreto di inammissibilità – dirette ad accertare se il provvedimento di adozione del piccolo R. in favore della B. deliberato dal Giudice Altica XHOXHAJ del Tribunale del Distretto Giudiziario di TIRANA il 31/12/2001, nel quale si attesta che la suddetta madre adottiva risiedeva (alla stessa epoca) nella città di TIRANA (nella via “K.”, “nei palazzi dei perseguitati, palazzo B/2/7”), e che la medesima B. “è impiegata presso la società dei prodotti di bevande rinfrescanti ^B.^ con la paga mensile di 35.000 leke”, sarebbe stato deliberato, secondo la legge sostanziale che regola la materia nello Stato di ALBANIA, anche nell’ipotesi in cui le suddette circostanze fossero risultate non veritiere: ovvero qualora venisse accertato che la B. – in contrasto con le dichiarazioni rese all’A.G. albanese – risiedeva invece stabilmente (oltre che, anagraficamente) nel territorio della Repubblica italiana, nella città di G., e che non esercitava nello stato dell’Albania alcuna attività lavorativa, ovvero, si accerti che ella lavorava in Italia.
            Valuta, infatti, questa Corte che solamente una puntuale verifica sulla (illiceità) del provvedimento straniero di adozione, conseguente alla falsità – (eventualmente) riscontrata – delle circostanze riferite dalla B. nel corso della relativa istruttoria, consentirebbe di decidere in ordine a tale fattispecie, come se il suddetto provvedimento – formalmente legittimo – non fosse stato emesso.
            Pertanto, pur apparendo (formalmente) giustificato l’allontanamento del piccolo R. dalla madre adottiva n considerazione della circostanza che la condizione di cittadina albanese della B. – e la duplice cittadinanza acquisita dal piccolo R. – avrebbero potuto agevolare il trasferimento del minore dal territorio dello Stato italiano da parte della madre adottiva per raggiungere qualsiasi altra destinazione fuori dall’Italia, valuta la Corte che non sussistendo nella fattispecie considerata alcun (attuale) pregiudizio indotto dalla convivenza del minore con la reclamante (e con il coniuge), il provvedimento adottato in via interinale dal Tribunale minorile – che lo ha allontanato dalla dimora familiare inserendolo in una struttura di accoglienza – ed il successivo decreto (definitivo) con il quale lo stesso Tribunale ha rigettato la richiesta formulata dalla medesima B. per conseguire l’affidamento del piccolo R. alla sua persona, che costituisce l’oggetto dell’odierna impugnazione, determinano nei riguardi del minore, che si trova ancora nella primissima fase della crescita (essendo prossimo a compiere il quindicesimo mese di vita), una deprivazione di assistenza in ambiente familiare, e la conseguente mancanza di cure personalizzate che costituiscono invece una esigenza primaria del bambino nella fase della primissima infanzia, rivelandosi quindi potenzialmente pregiudizievole per il suo sviluppo psico-affettivo.
            Maggiormente, poi, si configura pregiudizievole l’attuale condizione di vita del piccolo R., in quanto il Tribunale minorile non ha previsto alcun limite di durata all’inserimento del bambino nella struttura “protetta” individuata nel decreto impugnato, ed alla concomitante (totale) interruzione dei rapporti fra il minore e la madre adottiva, laddove lo “sradicamento” (ambientale, ed affettivo) determinato dalla c.d. “istituzionalizzazione”, deve essere necessariamente circoscritto entro un lasso temporale predefinito, rendendosi in ogni caso necessaria la (anticipata) previsione di un termine di durata dell’inserimento di minori in strutture comunitarie (o, lato sensu, “assistenziali”), successivamente alla pronuncia della sentenza 13/ 7/ 2000 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che – nella fattispecie esaminata nel relativo procedimento – ha accolto il ricorso proposto alla stessa Corte dalla madre di due minori inseriti da un Tribunale per i minorenni italiano presso una struttura di accoglienza, ove tali minori sono stati ininterrottamente ospitati dal settembre dell’anno 1997 all’aprile del 1999, incontrando la madre in sole due occasioni (caso “Scozzari – Giunta”). Nella richiamata sentenza della C.E.D.U. – prescindendo dalle specificità del caso esaminato (certamente aggravato per avere uno dei minori subito maltrattamenti, ed attenzioni sessuali, da parte del personale addetto alla vigilanza dei minori ospitati nella medesima struttura di accoglienza) – appare significativo che la Corte europea ha rilevato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, con riferimento “al ritardo con il quale sono stati organizzati gli incontri fra la madre ed i suoi bambini”, ed al “numero insufficiente degli incontri” (due nell’arco di diciassette mesi).
Valuta quindi questa Corte che l’art. 8 della richiamata Convenzione europea – entrata in vigore dall’ 1/11/1998 (cfr., il Protocollo n°11 integrativo del testo originario, che ha attribuito alla C.E.D.U. le funzioni già esercitate dalla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo) – intitolato “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, sancendo quale “diritto fondamentale” dell’individuo “il rispetto della sua vita privata e familiare” con l’espressa previsione dei casi in riferimento ai quali tale diritto può essere limitato           dall’ “autorità pubblica” – fra i quali appare rilevante, con riferimento alla fattispecie considerata nel presente decreto, quella che fa riferimento alla necessità di assicurare “la protezione dei diritti e delle libertà altrui” – può essere interpretato nel senso di tutelare la posizione soggettiva – e la corrispondente “aspettativa” – del genitore di salvaguardare il legame affettivo nei riguardi dei figli minori, e contemporaneamente il diritto dei medesimi figli ad essere difesi dai comportamenti pregiudizievoli (eventualmente) posti in essere in loro danno dai genitori, con l’ (eventuale) sacrificio della prima aspettativa, attuata attraverso l’allontanamento dei minori dalla dimora familiare (e la corrispondente attenuazione dei rapporti con i genitori). Pertanto, la necessità di prevedere un limite temporale di durata ai collocamenti di minori in centri di accoglienza (o nelle Comunità educative) discende dalla richiamata interpretazione dell’art.8 della Convenzione, e
dall’esegesi delle modifiche legislative apportate all’istituto dell’affidamento dalla Legge 28 marzo 2001 n.149, che ha corrispondentemente integrato la citata L.1841983, prevedendo un limite generale di efficacia ai provvedimenti di istituzionalizzazione (fissato al 31/12/2006: art. 2, quarto comma), con la formulazione di una chiara opzione preferenziale per l’istituto dell’affidamento familiare rispetto all’inserimento dei minori nelle strutture espressamente individuate dalla medesima legge (le “comunità di tipo familiare”, ovvero, in mancanza di tali strutture, gli istituti di assistenza pubblici o privati, privilegiando in ogni caso le prime per l’inserimento di minori “di età inferiore a sei anni”: art.2, secondo comma).  
In ogni caso, il limite di durata dell’allontanamento deve essere fissato quanto meno nei casi in cui sia prevista – come si verifica per il piccolo R. – l’ “interruzione”(ovvero, la sospensione, come ha disposto il Tribunale minorile nei riguardi della B.) dei rapporti fra i minori ed i genitori: considerato, inoltre, che nel decreto reclamato la durata della permanenza del minore nella struttura individuata dal Tribunale minorile, viene sostanzialmente a dipendere da una circostanza che prescinde totalmente dalla sfera di influenza dello stesso Tribunale, ovvero dall’esito delle verifiche delegate all’Autorità albanese sulla legittimità della procedura in esito alla quale il piccolo Gian R. è stato dichiarato figlio adottivo della B., ed alla eventuale assunzione di ulteriori determinazioni dell’Autorità (giudiziaria, od amministrativa) albanese dirette a definire in modo (ipoteticamente) difforme la condizione giuridica dello stesso minore. 
            Considerato quindi che le ragioni addotte a sostegno del reclamo proposto, sommariamente delibate, non appaiono allo stato delle verifiche effettuate pretestuose, o comunque del tutto prive di fondamento, la Corte ritiene di dover revocare il provvedimento di allontanamento del bambino dalla dimora della madre adottiva ed il conseguente inserimento dello stesso minore nella Comunità “San Giuseppe” nel Comune di S..
            Il piccolo R. B., nelle more della definizione del giudizio per l’eventuale dichiarazione dello stato di adottabilità, deve essere quindi affidato alla reclamante, alla quale peraltro la Corte valuta di dover prescrivere il divieto di allontanarsi (con il piccolo R.) dal luogo di attuale dimora, senza darne preventiva comunicazione al Servizio territoriale, parimenti incaricato con il presente decreto di vigilare sull’inserimento del minore nel nucleo familiare della B.. Il Servizio sociale istituito dall’Amministrazione comunale di G. deve essere corrispondentemente incaricato di svolgere nei riguardi della B. affidataria del minore un’attività di sostegno, e di controllo, diretta a verificare che non siano attuate condotte pregiudizievoli per lo sviluppo psico-educativo del bambino, con l’onere di riferire sulle modalità dell’inserimento del piccolo R. nel nucleo B.-D. trasmettendo al Tribunale minorile (e alla Corte delegante) relazioni informative periodiche, entro il 31/10/2002, ed alle successive scadenze trimestrali.        
P. Q. M.
sentito l’Ufficio del Procuratore Generale;
visti gli artt. 10 – 34 L. 4/ 5/1983 n°184 – 739 C.P.C.;
REVOCA
i decreti camerali deliberati dal Tribunale per i minorenni di CALTANISSETTA in data 3/ 4/2002 e 11/ 6/2002, disponendo l’immediata riconsegna del minore B. G. (nato a TIRANA il 00/00/2001) alla Signora B. Liljana (nata a TIRANA il 00/00/0000), e la conseguente cessazione dell’inserimento dello stesso minore nella Comunità di accoglienza “San Giuseppe” nel Comune di S..
 
AFFIDA
il minore B. G. (nato a TIRANA il 21/ 4/2001) alla Signora B.
Liljana (nata a TIRANA il 00/00/0000);
 
DELEGA
il Servizio sociale istituito dall’Amministrazione comunale di G. per curare l’esecuzione del presente decreto, e per vigilare sull’inserimento del minore B. G. nel nucleo familiare dell’affidataria, svolgendo nei riguardi della B. affidataria del minore un’attività di sostegno, e di controllo, diretta a verificare che non siano attuate condotte pregiudizievoli per lo sviluppo psico-educativo del bambino, con l’onere di riferire sulle modalità dell’inserimento del piccolo R. nel nucleo B.-D. trasmettendo al Tribunale minorile (e alla Corte delegante) relazioni informative periodiche, entro il 31/10/2002, ed alle successive scadenze trimestrali.        
 
PRESCRIVE
alla Signora B. Liljana, quale affidataria del minore B. G., di non allontanarsi dal luogo di attuale dimora, senza darne preventiva comunicazione al Servizio incaricato di svolgere l’attività di sostegno e di controllo delegata con il presente decreto.
 
MANDA al Cancelliere per le comunicazioni ai destinatari del decreto, e gli ulteriori adempimenti di rito.
Così deciso nella Camera di Consiglio in CALTANISSETTA, il 18 luglio 2002.
Il Consigliere estensore                                                          IL PRESIDENTE

sentenza

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