Corte d’appello di Caltanissetta – sent 19 gennaio 2006 (n°53 /06) – (conferma Trib monocratico Caltanissetta 26.11.2001, che ha dichiarato l’imp colpevole del delitto di resistenza a p.u.).

sentenza 12/04/07
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Delitti dei privati contro la pubblica amministrazione – resistenza a un pubblico ufficiale – atto arbitrario del p.u. – causa di esclusione della punibilità prevista dall’art.4 D.L.vo Lgt. 14 settembre 1944 n°288 – non è configurabile nei casi in cui l’attività svolta dal p.u. è consentita dalla legge – accertamento della violazioni alla disciplina della circolazione stradale – compilazione del verbale – richiesta di effettuare la contestazione nella sede del comando di appartenenza dei pp.uu. accertatori – non è atto arbitrario – fattispecie. 
 
         La causa di esclusione della punibilità prevista dall’art.4 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 19 settembre 1944 n°288, che dichiara non punibili le condotte di violenza, minaccia e resistenza a ******************, e gli altri delitti previsti dal Capo II° del Libro II° Cod pen (Delitti dei privati contro la pubblica amministrazione), qualora tali condotte siano state determinate quale reazione dell’agente all’operato dello stesso **** (o dell’incaricato di pubblico servizio, o del pubblico impiegato) il quale abbia superato “con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”, è configurabile solamente quando il comportamento richiesto dal p.u. al soggetto nei cui riguardi l’attività di servizio viene espletata, non sia necessario per il conseguimento delle finalità cui è preordinata l’attività istituzionale del p.u.
            Nel caso in cui il conducente di un’autovettura sia sottoposto ad un controllo su strada da parte di appartenenti all’Arma dei Carabinieri i quali rilevino, dall’esame della documentazione amministrativa in possesso dello stesso conducente, la palese contraffazione del contrassegno attestante la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione, configurato quale illecito amministrativo dall’art.193 del Decreto Leg.vo 30 aprile 1992 n°285 ( Obbligo dell’assicurazione di responsabilità civile), la necessità di procedere al contestuale accertamento della relativa violazione, legittima la richiesta formulata dai pp.uu. accertatori allo stesso conducente di trasferirsi nella sede del comando di appartenenza per procedere ai relativi adempimenti burocratici, mentre tale richiesta avrebbe ecceduto i limiti entro i quali l’attività del p.u. può essere considerata “non arbitraria” qualora fosse stata motivata dall’esigenza di procedere all’identificazione dello stesso conducente, le cui generalità potevano essere rilevate dalla patente di guida, apparentemente non contraffatta, di cui era fornito.
Ricade nell’ambito delle facoltà discrezionali degli Operatori di polizia di stabilire nel singolo caso se le attività di rilevamento, e contestazione, di violazioni alle norme che regolano la circolazione stradale – anche se costituiscono meri illeciti amministrativi – possano essere effettuate nello stesso luogo in cui la violazione è stata accertata, ovvero richiedano il trasferimento della persona sottoposta alla verifica in altro luogo.
Configura il delitto di resistenza a p.u. sanzionato dall’art.337 Cod pen la condotta del conducente di un’autovettura fermato mentre circolava con un’autovettura priva della richiesta copertura assicurativa, il quale abbia rallentato le operazioni di verbalizzazione, chiedendo di essere autorizzato ad allontanarsi dalla sede del comando di appartenenza dei pp.uu. accertatori, prendendo poi a pugni la porta di ingresso avendola trovata chiusa, ed abbia quindi ripetutamente inveito con atteggiamento minaccioso all’indirizzo degli stessi pp.uu.
R E P U B B L I C A   I T A L I A N A
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
LA CORTE DI APPELLO DI *************
SECONDA SEZIONE PENALE
composta dai Magistrati:
1. ********   DOTT. ****** -Presidente
2. **************. ******   -Consigliere rel. est.
3 NAPOLI         DOTT. ******* -Consigliere
Udita la relazione della causa fatta in Camera di Consiglio dal Cons. ****************, sentiti il Pubblico Ministero, rappre- sentato dal Dott. *****************, ******************************, ed il difensore, ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nel procedimento penale contro:
***, elett.te dom.to a;
                                                     libero – contumace
APPELLANTE
avverso la sentenza del Tribunale di Caltanissetta, in composi- zione monocratica, in data 26/11/2001, con la quale è stato riconosciuto colpevole del reato contestato nel capo “B)” della imputazione, e condannato – concesse le circostanze atte- nuanti generiche – alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Con i benefici della sospensione condizionale della medesima pena, e della non menzione della condanna nei certificato del Casellario giudiziale spediti a richiesta di soggetti privati.
Con la stessa sentenza, è stato dichiarato non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato in ordine al reato p. e p. dall’art. 485 C.p. – così riqualificato il fatto contestato nel capo “A)” della rubrica – perché l’azione penale non doveva essere iniziata per mancanza di querela;
ed è stata formalmente dichiarata la falsità del contrassegno di assicurazione in sequestro, ordinandone la cancellazione.
IMPUTATO
A) del reato p. e p. dall’ art.489 (in relazione all’ art. 477) C.p., perché faceva uso di un certificato di assicurazione dallo stesso falsificato, e palesemente contraffatto.
B) del reato di cui all’ art.337 C.p., per avere usato violenza nei confronti dei carabinieri *** Gaetano e *** *******, al fine di opporsi agli stessi che stavano procedendo a raccogliere la comunicazione di notizia di reato relativo al fatto contestato nel capo “A)”, e ad identificare il reo;
violenza consistita nel dire che avrebbe perso la pazienza e che non sapeva che cosa poteva succedere, aggiungendo: “A VUI V’********* SI MI ROVINATI”, dando altresì un pugno contro una porta dell’ufficio degli operanti.
In ******, il 9/3/2000.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Il rappresentante dell’Ufficio del Procuratore ****- rale: ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
Il difensore dell’imputato: insiste nei motivi di appello depo- sitati.
N° 53/2006    Reg. Sent
 
N.715/2002    Reg. Gen.
 
N.1069/2000 Reg. N.R.
         
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
S E N T E N Z A
 
in data 19/01/2006
 
 
 
Depositata in Cancelleria
 
il
    Il**************1
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Addì _____________
redatt ______sched_
N.________________
 
Art. Camp. pen
 
 
 
 
MOTIVI IN FATTO E DIRITTO
Con sentenza deliberata dal Tribunale monocratico di ************* nell’udienza dibattimentale in data 26/11/2001, *** ******** è stato riconosciuto colpevole del reato di uso di un certificato di copertura assicurativa per la responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione stradale, risultato falso e “pale-
semente contraffatto”; e per il delitto di resistenza a ****************** (art. 337 C.p.), nei riguardi degli appartenenti all’Arma dei CARABINIERI (il Brigadiere ***’ ******* ed il Carabiniere *** Stefano) che avevano proceduto al controllo su strada nel corso del quale era stata rilevata la predetta falsificazione: ed è stato condannato – per il solo delitto di resistenza a p.u. (contestato nel capo “B” dell’imputazione rubricata), concesse le circostanze attenuanti generiche – alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo in ogni caso all’imputato i benefici della sospensione condizionale della medesima pena sospesa, e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
Con la stessa sentenza, il primo Giudice ha dichiarato non doversi proce- dere nei riguardi dell’appellante per il delitto di falsità in scrittura privata (art.485 C.p., così riqualificato il fatto contestato nel capo “A” dell’imputazione) perché l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela. 
La sentenza in esame è stata appellata – nella parte relativa alla predetta condanna – dal difensore del ***, il quale ne ha chiesto l’integrale rifor- ma, e l’assoluzione dell’imputato con formula ampia (perché il fatto non sussi- ste: primo motivo d’appello), ovvero ai sensi del terzo comma dell’art. 530 C.p.p., in quanto nella fattispecie doveva ritenersi sussistente l’esimente spe- ciale prevista dall’art.4 D.L.Lgt. 19 settembre 1944 n°288, potendo ritenersi “arbitraria” la condotta posta in essere dai sunnominati appartenenti all’Arma dei Carabinieri che avevano effettuato la suddetta verifica, per avere gli stessi impedito al *** di allontanarsi dall’edificio in cui è situato il Presidio di appartenenza dei medesimi C.c. dove era stato convocato (secondo motivo).
 Chiamato quindi il processo all’odierna udienza per la trattazione dibatti- mentale nel presente grado – dichiarata preliminarmente la contumacia dell’im- putato (non comparso seppure fosse stato ritualmente citato) – le parti hanno formulato le conclusioni epigrafate.   
L’appello non è fondato.
Considera, infatti, la Corte che il primo Giudice – con approfondita motiva- zione, esente da vizi logici o da profili di contraddittorietà, strettamente anco- rata alle risultanze processuali – ha rilevato che l’attività di servizio espletata dai militari dell’Arma dei CARABINIERI nei cui riguardi il *** ha posto in essere la condotta minatoria, e la reazione violenta, in conseguenza della quale l’appellante è stato poi denunciato, non ha travalicato l’ambito delle competenze istituzionali attribuite ai medesimi, configurandosi come attività dovuta, la cui (eventuale) omissione – che pure l’imputato aveva espressa-mente sollecitato – avrebbe determinato l’incriminazione degli stessi militari, ovvero, quanto meno il promuovimento di un’iniziativa disciplinare nei loro riguardi.
Nella fattispecie considerata, infatti, l’attività di accertamento della con- dotta penalmente rilevante realizzata attraverso l’utilizzo dell’attestato di stipula della copertura assicurativa per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli a motore (c.d. “**** Auto”), e l’altra – concorrente con la prima – di rilevamento delle violazioni amministrative conseguenti alla riscontrata (evidente) “falsità” del medesimo attestato, ai sensi del D. Leg.vo 30 aprile 1992 n°285 (nuovo Codice della Strada, art.193: Obbligo dell’assicurazione di responsabilità civile. ….2.Chiunque circola senza la copertura dell’assicurazione è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire unmilione a lire quattromilioni”), richiedevano che i Pubblici Ufficiali accertatori nei cui confronti è stata attuata la richiamata condotta delittuosa, esaminassero la  documentazione amministrativa dell’autovettura con la quale il *** stava (irregolarmente) circolando – (evidentemente) sprovvista della prescritta copertura assicurativa – dovendo in particolare procedere al sequestro oltre che del contrassegno risultato falso – che costituiva inoltre il corpo di reato del delitto di falso per il quale il *** è stato parimenti denunciato, e suc- cessivamente incriminato dall’Ufficio del Pubblico Ministero procedente – anche al sequestro (amministrativo) dell’autovettura di cui l’appellante aveva la dispo- nibilità, previsto come adempimento obbligatorio dalla legge generale di depenalizzazione (L.24 novembre 1981 n°689, primo comma dell’art.13: E’ sempre disposto il sequestro del veicolo a motore o del natante posto in circolazione senza essere coperto dalla assicurazione obbligatoria).
Il compiuto svolgimento delle suddette attività – tutte sicuramente ricadenti nel novero dei compiti di istituto (e dei doveri di servizio) assegnati ai militari dell’Arma nei cui riguardi l’imputato ha posto in essere la condotta incriminata, per la quale è stato condannato dal primo Giudice – rendeva effettivamente necessario che il *** si trasferisse con i suddetti accertatori presso la sede del Reparto ove essi prestavano servizio(il Nucleo Operativo Radiomobile
della Compagnia Carabinieri nel Comune di MUSSOMELI).
Premesso, quindi, che l’attività espletata dai predetti appartenenti all’Arma dei CARABINIERI costituiva lo svolgimento di attività dovute, rileva la Sezione deliberante che anche la richiesta formulata al *** di spostarsi dal luogo in cui era stato fermato trasferendosi negli uffici del suddetto Reparto era giustificata dal numero degli atti (e verbali) da predisporre, e non invece dalla esigenza di procedere all’accertamento delle generalità – e quindi, all’identifi- cazione – dell’odierno imputato: identificazione che i suddetti Carabinieri avevano già effettuato attraverso l’esame della patente di guida, della quale il *** era provvisto, avendo regolarmente conseguito la relativa abilita- zione;
né sono stati rilevati segni di contraffazione di tale documento che     avrebbero effettivamente richiesto – se fossero stati riscontrati – di procedere inoltre alla compiuta identificazione dell’appellante, legittimando quindi (maggiormente) la richiesta di spostarsi dal luogo in cui il controllo su strada era stato effettuato per raggiungere la sede del predetto Comando.
Considera, infatti, la Corte decidente che l’”arbitrarietà” prevista quale presupposto scriminante della eventuale reazione aggressiva (verbale, o fisica) nei riguardi del Pubblico Ufficiale secondo il citato art.4 D. Lgs.vo Lgt. n°288/1944 (“Non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”), avrebbe potuto configurarsi solamente qualora la suddetta richiesta di raggiungere la sede del Comando di appartenenza fosse stata motivata dall’(asserita) esigenza di procedere alla identificazione dell’appellante, laddove detta attività non risultasse necessaria: perché il soggetto sottoposto a controllo è stato già identificato, essendo in possesso di documenti atti a provare l’identità delle persone, validi e non contraffatti; ovvero, anche nell’ipotesi in cui il soggetto da controllare fosse sprovvisto di un documento di identità valido, qualora altro soggetto in ipotesi qualificato – si pensi ad un altro militare dell’Arma dei CARABINIERI, o ad un appartenente ad altro Corpo di polizia – dichiari all’accertatore di conoscere personalmente il soggetto controllato).
Si aggiunga, in ogni caso, che rientra nel novero delle facoltà (e regole di condotta) discrezionali degli Operatori di polizia di stabilire nel singolo caso se le attività di rilevamento di violazioni (anche amministrative) possano essere effettuate “su strada”, ovvero richiedano di trasferirsi con la persona sottoposta alla verifica in altro luogo: decisione che, si ritiene, non possa essere contra- stata,né tantomeno può rendere non punibile – scriminandola – la condotta vio-
lenta (o minatoria) posta in essere nei confronti degli stessi Operatori.
Premesso, dunque, che nella fattispecie in esame, l’odierno appellante è stato richiesto di spostarsi – con l’autovettura della quale aveva la disponibilità nella circostanza – allo scopo di consentire la formalizzazione dell’accertamen- to delle richiamate violazioni (penali, ed amministrative), e che in ogni caso il *** ha aderito alla richiesta, raggiungendo – accompagnato dai sud- detti accertatori – gli uffici del Reparto ai quali questi erano addetti, occorre verificare se possano configurare l’ “arbitrarietà” scriminante ai sensi del citato art.44 D. Lgs.vo n°288/1944 le condotte poste in essere dagli accertatori du- rante la permanenza dell’imputato in tale luogo.
A tale riguardo, nell’atto di appello depositato, il difensore del *** individua la pretesa arbitrarietà dell’operato dei pp.uu. accertatori nel divieto che questi avrebbero opposto allo stesso imputato impedendogli di allontanarsi,
nel momento in cui questi lo aveva ripetutamente richiesto, asserendo di “sen- tirsi male”:
……… (omissis) TESTE ***’: Diceva di sentirsi male, però quando è arrivato là…..
GIUDICE: Rispetto alle minacce che ha profferito, è stata contestuale que- sta….. cioè mentre mina….o minacciava e diceva che si sentiva male?.
TESTE ***’: E lui, contemporaneamente, “mi sento male”, “voglio uscire”.
GIUDICE: Cioè cronologicamente come si sono svolti?………
 TESTE ***’: …si è alzato di scatto, ha dato subito un pugno alla porta dell’ufficio, poi voleva uscire, quà e là, poi gli abbiamo detto: “firma i verbali e te ne puoi andare, cioè non è nessuno che ti sta trattenendo.
Però c’era bisogno proprio della sua presenza, perché c’era un verbale di sequestro, la compilazione del verbale del contrassegno e cose. Cioè, quindi, non potevo lasciarlo andare (cfr., deposizione Brigadiere ***’, ud. dibat- timentale 26/11/ 2001, pp. 18-19 della trascrizione della fonoregistrazione in at-
ti).
Nello stesso atto di appello, il difensore del *** ha rilevato che “Il fatto che il *** doveva firmare degli atti non assume alcuna rilevanza atteso che la mancata sottoscrizione dell’interessato non inficia la validità del- l’atto. In tali casi il p.u. evidenzia attestandolo il motivo della mancata sotto- scrizione. Va da sé quindi come l’aver trattenuto l’imputato in caserma costi- tuisce “l’atto arbitrario” da cui è poi scaturita la reazione del ***. L’attività dei Carabinieri, volta alla contestazione della contravvenzione amministrativa, alla dichiarazione di elezione di domicilio e quant’altro, è certamente legittima, ma appare di contro “arbitrario” il non avere consentito al ***, dietro espressa richiesta, di allontanarsi dalla caserma”.
Considera dunque la Corte decidente che il rilevato diniego è stato formu- lato, peraltro, in forma solo verbale, né – per quanto si desume dalle richiamate asserzioni – alcuna coazione, fisica o morale, è stata esercitata dagli accerta- tori nei confronti del *** per impedirgli di allontanarsi dall’edificio che ospita il Reparto di appartenenza degli stessi, cosicché, per quanto hanno pure riferito gli stessi militari dell’Arma nelle rispettive deposizioni dibattimentali – né l’appellante ha contraddetto la circostanza – questi non ha dato corso al propo- sito manifestato con la suddetta richiesta verbale, per la sola ragione che ha trovato la porta di accesso all’edificio chiusa:   
…… GIUDICE: Ma c’è stato, proprio, materialmente questo suo tentativo di uscire e qualcuno lo ha trattenuto?
TESTE ***’: Siccome la porta della caserma è sempre chiusa, c’era sempre….
GIUDICE: Ma lui ha raggiunto la porta, ha cercato di uscire?
TESTE MICCICCHE’: Si, ………, ha cercato di uscire, ci scappava cioè, ….si è alzato subito perché era nell’ufficio dove c’era la porta, sì e nò erano tre metri. Quindi noi ci siamo girati dall’altra parte (deposizione Brigadiere ***’ 26/11/2001, trascrizione cit., p.20)
GIUDICE: A noi interessa sapere cosa è successo in Caserma.
TESTE ***: …Allora, una volta condotto in Caserma, appunto, abbiamo iniziato la redazione, diciamo, degli atti inerenti il discorso dell’assicu- razione e via dicendo. Senonchè il *** si è iniziato ad agitare e con fare minaccioso, nella fattispecie il brigadiere compilava gli atti, io mi trovavo nell’in–
gresso della Stazione.
GIUDICE: Chi altri era presente?
TESTE ***: …successivamente è venuto un militare della Stazio- ne dipendente di ****** che, appunto, appena ha sentito gridare è accorso; anche lui dice: “Cosa sta succedendo? Che cosa è successo?”. Che, logica- mente, inizialmente ci ha aperto la porta, no? Perché altrimenti non potevamo
entrare, dopodiché si è allontanato e poi è venuto nuovamente quando ha sentito queste urla….Allora, inizialmente il *** con un fare minaccioso ci ha detto, dice: “Lasciate perdere, levate tutto da mezzo – dice – altrimenti io perdo la pazienza – dice – va a finire male, oggi va a finire male”. Al che gli abbiamo detto, dice: “Stai calmo, cerca di stare calmo, il tempo che facciamo gli atti e vai via – dice – e ci sbrighiamo”.
In un primo tempo sembra che si è calmato, poi lo abbiamo fatto accomo- dare lì nella saletta, appunto, nella sala d’attesa della Caserma, al che si è scagliato  ver….cioè, si è alzato …tutto ad un tratto, si è scagliato verso la porta, ha dato un pugno alla porta che è in acciaio, facendo, appunto, rumore e ha detto, dice: “Voglio andar via, lasciatemi andare, voglio andar via”.
Ulteriormente gli abbiamo detto: “Cerca di stare calmo”, al che anche il militare di ****** è intervenuto, dice: “Ma che cosa sta succedendo?” Cerca di stare calmo – dice –  stiamo finendo, dacci il tempo di fare gli atti – dice –      stiamo finendo., “No, voglio andare via, voglio andare via”. Abbiamo continuato a fare gli atti, verso la fine ha iniziato a profferire delle parole minacciose nei nostri confronti,non so se è il caso di….
GIUDICE: Si, le può ripetere.
TESTE ***: “Siete dei figli di puttana, mi stati cunsumannu – dice – se mi rovinate io vi ammazzo, se mi rovinate vi ammazzo a tutti e due” (cfr., la deposizione del Carabiniere *** Stefano, resa nella stessa udienza del 26/11/2001, pp. 22-24).
Si deve, quindi, rilevare che il *** non ha comunque provato – né ha offerto di provare, limitandosi alla mera asserzione indimostrata della relativa circostanza – che la sua condotta sia stata diversa da quella che i sud- detti pp.uu. accertatori hanno riferito nelle richiamate deposizioni dibattimentali in primo grado: e non ha neppure provato che questi abbiano posto in essere nei suoi riguardi (od in suo pregiudizio),atti o comportamenti idonei a configura-
rare la pretesa “arbitrarietà” scriminante prevista dall’art.44 cit.
Considera, quindi, la Corte decidente di richiamare – condividendolo –l’orientamento interpretativo espresso nella subiecta materia dalla giurispru- denza di legittimità, la quale ha configurato l’ “arbitrarietà scriminante” prevista dalla norma in esame, nei soli casi in cui si accerti “il compimento deliberato di un atto di ufficio, non per il raggiungimento del fine perseguito dalla legge, ma per capriccio, per malanimo, per settarietà, per vessazione, per prepotenza o per altri simili motivi” (cfr., CASS, Sez. VI^ penale, sent. 29/ 9/1971 n°765, rif. Ced RV 119355, ******************, est. *****, imp. **********, rif Ced RV 119355): requisiti, quelli indicati, che non si rinvengono nella fattispecie consi- derata, essendo certamente legittima (e comunque, non vietata) la condotta posta in essere dal Brigadiere ***’ e dal Carabiniere ***: né è stato provato dall’appellante – ed invero neppure dedotto – che essi abbiano assunto comportamenti vessatori, né hanno usato mezzi di costrizione fisica o di coartazione morale nei suoi riguardi (cfr., Tribunale TORINO, sent. 15/ 2/ 1983, edita in Foro It., 1984, II^, c.469, che ha ritenuto scriminato il reato p. e p. dall’art.337 C.p. nel caso del soggetto che ha reagito alla arbitraria violenza fisica usata nei suoi riguardi da pp.uu., quando la reazione difensiva sia propor- zionata alla entità delle offese ed egli non abbia potuto esercitare nessuna altra forma di difesa per contrastare l’aggressione subita; v. anche, Tribunale MILANO, sent. 8/ 4/1983, in Foro It., 1983, c.469, che ha ritenuto sussistente la scriminante in esame, nei riguardi di una donna in stato di detenzione che aveva reagito con la forza, ingiuriandola, al tentativo di costringerla a subire una perquisizione personale “invasiva” in occasione di un colloquio con i fami- liari, non essendo prevista questa forma di controllo dalle disposizioni impartite al personale di custodia; Tribunale Santa Maria Capua Vetere, sent. 4/11/1991, ibidem, 1993, c.591, ha escluso la punibilità per lo stesso delitto di resistenza a p.u. nei riguardi dell’addetto al controllo degli ingressi in un locale discoteca che si era opposto al tentativo posto in essere da un addetto alle forze dell’ordine libero dal servizio per accedere in detto locale omettendo di corrispondere il prezzo del biglietto, limitatosi ad esibire il tesserino personale di riconoscimento senza chiarire le ragioni connesse al servizio poste a fondamento della sua pretesa, avendo ritenuto il collegio giudicante che tale condotta doveva considerarsi arbitraria e comunque trasmodante i limiti delle proprie attribuzioni
istituzionali da parte del medesimo p.u. perché realizzata con aggressività, prepotenza e sopraffazione).  
Escluso, pertanto, che il Brigadiere ***’ ed il Carabiniere SCAR- PATI abbiano travalicato – in nessuna fase del loro intervento istituzionale – i richiamati limiti di condotta, si deve valutare se il comportamento posto in essere dall’appellante nei riguardi degli stessi sia idonea a configurare la sussi- stenza del delitto di resistenza a p.u. per il quale il *** è stato ricono- sciuto colpevole dal primo Giudice.
Considera, dunque, la Sezione deliberante che tale condotta – consistita nello sferrare un pugno contro la porta di accesso all’edificio in cui è situata la sede del citato presidio territoriale dell’Arma dei Carabinieri, al cui interno il *** si trovava, accompagnando tale gesto con urla e la pronuncia di espressioni minatorie, ed ingiuriose, nei riguardi dei pp.uu. che nello stesso frangente stavano compiendo la richiamata attività istituzionale – ne ha certa- mente ostacolato il regolare espletamento, in quanto ha provocato la (tempo- ranea) interruzione dell’attività di compilazione dei verbali di accertamento che l’imputato avrebbe dovuto sottoscrivere: né si ritiene rilevante la circostanza evidenziata dal difensore dell’appellante secondo la quale, nel caso di rifiuto della sottoscrizione il verbale poteva comunque essere formato validamente, con l’attestazione resa dal verbalizzante del motivo di tale mancanza, in quanto la suddetta reazione fisica posta in essere dall’appellante, seppure non sia stata rivolta contro la persona dei pp.uu. accertatori, ne ha comunque ostaco- lato il regolare espletamento.
Secondo l’univoco orientamento interpretativo dei Giudici di legittimità, infatti, l’elemento materiale della fattispecie incriminatrice p. e p. dall’art.337 C.p. è costituito dall’attuazione di una condotta, violenta o minatoria, attuata anche in forma indiretta, che in concreto determini un impedimento – ovvero, solamente un ostacolo – allo svolgimento della pubblica funzione (cfr., in ter- mini, CASS., Sez. VI^ pen. sent. 19/1/2006 n°10899, rif. Ced RV 10899, imp **********; in termini, v. stessa Sez., sent. 17/12/1985 n°4325, rif Ced RV 172844, imp *****, che ha individuato l’elemento soggettivo del delitto in esa- me “nella coscienza e volontà dell’agente di usare violenza o minaccia per opporsi al soggetto tutelato mentre sta compiendo o si sta adoperando per compiere il proprio atto d’ufficio o di servizio, senza che abbia rilevanza il fatto che la violenza o minaccia cada su cose anziché sulle persone, quando essa sia idonea ad impedire, o comunque, turbare od ostacolare l’attività funzionale del pubblico ufficiale”: massima ufficiale; v. anche la precedente stessa Sez. sent. 26/11/1966 n°20, rif Ced RV 103356, imp. Accarinti, che ha ritenuto sussistente l’elemento materiale del delitto di resistenza a p.u. nel caso in cui la violenza o minaccia sia esercitata dall’agente, “con volontà cosciente e libera”, nei confronti del custode giudiziario che ha ricevuto in consegna un bene mobi- le sottoposto a sequestro, per impedirgli di trasferire detto bene dal luogo dell’esecuzione a quello di deposito, ovvero, “nel fatto di opporsi a che l’ufficiale giudiziario compia tutte le formalità prescritte dalla legge, tra cui la verbalizza- zione del sequestro: v. massima ufficiale). 
Non appare, quindi, rilevante – per escludere la sussistenza dell’elemento materiale del delitto per il quale l’odierno imputato è stato condannato dal primo Giudice – la richiamata deduzione difensiva, peraltro smentita dalle risultanze processuali, secondo la quale in ogni caso la condotta realizzata dal MANCU- SO non avrebbe ostacolato (in concreto) l’attività di verbalizzazione espletata dal sunnominato Brigadiere ***’, in quanto “Dalla ricostruzione dei fatti fornita dal teste *** è emerso che il Brigadiere *** che compilava gli atti ed il *** non si trovavano nella stessa stanza (cfr, pagg. 27 e 28 trascr. Ud. del 26-11-2001). Sicchè il Brigadiere *** si trovava nella condi- zione di compiere tranquillamente l’atto nel suo ufficio poiché l’imputato aveva consegnato proprio al *** la patente di guida (cfr. pag. 11 trascr. ud. 26-11-2001). Non si comprende come la reazione del *** al diniego della richiesta di andare via abbia potuto impedire l’esercizio dell’attività del p.u. atteso che l’azione non è stata diretta nei confronti del Brigadiere *** che peraltro si trovava in un’altra stanza”.
La suddetta ricostruzione non considera, infatti, che in seguito alla rea- zione violenta, verbale e fisica (seppure rivolta contro un oggetto, e non contro le persone dei pp.uu. accertatori), anche il Brigadiere ***’ ha interrotto la richiamata attività istituzionale di compilazione dei verbali di sequestro (del contrassegno falsificato, e dell’autovettura), raggiungendo l’imputato, il Carabiniere *** e gli altri Carabinieri della Stazione di ****** che conoscendo personalmente il *** si adoperarono per calmarlo:
……TESTE ***’: Ha fatto le minacce a noi, pure.
 GIUDICE:  Quindi voi l’avete fatto calmare prima?
 TESTE ***’: L’abbiamo fatto calmare, poi c’erano i colleghi di ****** che lo conoscevano e gli hanno detto: “Stai calmo, ma com’è”, (…….) se lo sono portati dall’altra parte.E nel frattempo noi abbiamo completato il sommario di processi verbali e il verbale di sequestro” (v., deposizione Brigadiere ***’, trascrizione fonografica del resoconto ud. 26/11/2001 cit, p.19).
Si deve, infatti, desumere dalla citata deposizione, che anche il suddetto Brigadiere intervenne per indurre il *** a desistere dal comportamen- to che stava attuando, cosicché dovette interrompere  – o quanto meno, rallen- tare,  seppure solo temporaneamente – l’attività di compilazione alla quale si stava dedicando. Considera, dunque, conclusivamente la Corte decidente che nella fatti- specie considerata l’imputato ha posto in essere una reazione – verbale, e fisica seppure non l’abbia rivolta contro le persone dei pp.uu. accertatori – evidentemente finalizzata ad evitare il completamento dell’attività istituzionale che gli stessi pp.uu. (e specificamente, il Brigadiere ***’) stavano realizzando: reazione che ha in concreto determinato quanto meno il rallentamento della medesima attività, e l’ha dunque ostacolata, ed ha quindi perfezionato, sul piano oggettivo, la fattispecie delittuosa di resistenza a pubblico ufficiale punita dall’art.337 C.p.;
mentre, sul piano soggettivo, detta reazione era evidentemente preor- dinata ad ottenere che gli stessi pp.uu. accertatori – e specificamente, il *****- diere ***’ che vi si stava dedicando – desistesse dal portare a termine la compilazione dei verbali, e conseguentemente rinunciasse ad eseguire il sequestro dell’autovettura – previsto come atto amministrativo obbligatorio dal- la richiamata normativa – determinato dal rilevamento della mancanza della copertura assicurativa obbligatoria.
Per le considerazioni svolte, la sentenza appellata deve essere quindi confermata, e l’appellante condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali per il presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Visti gli artt. 592 – 605 C.P.P.;
LA CORTE
conferma la sentenza emessa dal Tribunale monocratico di CALTA-
NISSETTA in data 26/11/2001, appellata da *** ********,
che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Stabilisce il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
*************, 19 gennaio 2006.
      Il Consigliere estensore                                                        
Il Presidente
 

sentenza

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