Contratto preliminare stipulato da un solo coniuge

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La posizione del coniuge non stipulante rispetto al contratto preliminare stipulato dall’altro coniuge

Indice

1. L’acquisto dei beni dei coniugi in regime di comunione legale

Com’è noto, in via generale, gli acquisti compiuti dai coniugi, in costanza di matrimonio, cadono in regime di comunione legale. E, difatti, ai sensi del primo comma dell’art. 177, C.c., apprendiamo che gli acquisti compiuti da uno od entrambi i coniugi, salvo che si tratti di beni personali, cadono in comunione. (Art. 177, lett. a), C.c.).
Apprendiamo, poi, per via delle lett. b) e c) di cui alla prefata norma, che cadono, nella c.d. comunione de residuo”, i frutti generati dai beni personali di ciascuno dei coniugi ovvero i proventi della loro attività professionale, purché percepiti, ma non consumati all’atto dello scioglimento della comunione. Infine, per via della lett. d), della norma da ultimo evocata, le aziende costituite dopo il matrimonio, ma gestite da entrambi i coniugi ed, oltre, ai sensi dell’ultimo comma della norma in esame, gli utili e gl’incrementi delle aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio, ma gestite da entrambi.
Definita la predetta cornice normativa, possiamo domandarci che tipo di beni possono cadere in regime di comunione.
Di certo, si potrebbe parlare di beni immobili, nel senso, cioè, che, laddove i coniugi si determinino all’acquisto di un immobile, questi cada in regime di comunione dei beni.
Ora, proprio in materia d’acquisto d’immobili, ci par lecito chiarire quali siano le conseguenze laddove il contratto preliminare, avente ad oggetto tal tipo di cespite, sia s
stipulato da uno soltanto dei coniugi in regime di comunione legale. In particolare, quale sia, agli occhi del diritto, la posizione giuridica dell’altro coniuge non stipulante, e, cioè, se questi sia o meno legittimato ad invocare l’adempimento del promittente venditore, ricorrendo, se del caso, anche all’istituto dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 C.c.
Pertanto, concentreremo la nostra indagine, in questa breve dissertazione, non soltanto sull’aspetto poc’anzi evocato, bensì anche su quali siano le conseguenze nel caso di decesso del coniuge che abbia stipulato il contratto preliminare ed, in particolar modo, se l’altro coniuge non stipulante ed i successori siano obbligati ad addivenire alla stipulazione del contratto definitivo.
Bene. Definito il tema dell’indagine, non possiamo non iniziare se non partendo da una premessa, e, cioè, che cosa sia il contratto preliminare.
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2. Cenni sul contratto preliminare

Possiamo definire il contratto preliminare come un contratto mediante il quale le parti s’impegnano a prestare il reciproco consenso per la stipulazione d’un contratto definitivo. Nella prassi, il preliminare viene indicato anche alla voce di compromesso, mentre, il definitivo, come rogito notarile. In via generale, è con la stipulazione del contratto definitivo che si trasferisce la proprietà dell’immobile dall’alienante all’acquirente. Ai sensi dell’art. 1351, C.c., il contratto preliminare deve avere la stessa forma che assumerà il contratto definitivo. Questo significa, per stare all’esempio dell’acquisto d’un immobile, che anche il contratto preliminare, a pena di nullità, dovrà esser stipulato per forma scritta, tanto discendendo dal combinato disposto della norma da ultimo chiamata con l’art. 1350, comma primo, n. 1), C.c., a mente del quale i contratti aventi ad oggetto il trasferimento del diritto di proprietà immobiliare si stipulano per iscritto.
Qualora una delle parti non presti il proprio consenso per la stipulazione del contratto definitivo, la parte non inadempiente a tal obbligo, che abbia offerto d’eseguire la propria prestazione, potrà agire anche esecutivamente onde esperire, presso il giudice ordinario, un’azione d’accertamento dell’obbligo pretermesso e la conseguente emissione d’una sentenza che tenga luogo degli effetti del contratto definitivo non concluso ai sensi dell’art. 2932, C.c., ordinando, altresì, al Conservatore dei Registi Immobiliari, la trascrizione del titolo disponente il trasferimento della proprietà del cespite.
Si è discusso, tenendo, per un momento, in disparte l’istituto dell’obbligo di contrarre in forma specifica, se, a fronte dell’inadempimento d’una delle parti all’obbligo di contrarre il definitivo, potesse parlarsi di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare con obbligo del risarcimento del danno.
Sul punto, le Sezioni Unite Civili, hanno affermato un principio, e, cioè, che, a fronte dell’inadempimento dell’altra, la parte non inadempiente può domandare la risoluzione del contratto preliminare, ai sensi dell’art. 1453, C.c., ed il risarcimento del danno patito. (Cass. civ., Sez. Un., n. 553 del 14 gennaio 2009). In tal direzione, la giurisprudenza della Suprema Corte, ha statuito che la parte non inadempiente, oltre alla risoluzione di diritto o giudiziale ed il conseguente risarcimento dei danni asseritamente subiti, è legittimata a domandare, in alternativa, anche il recesso del contratto con conseguente diritto di ritenzione della caparra. Anzi, in tal senso, la giurisprudenza in rassegna, ha precisato che la risoluzione ed il recesso sono rimedi morfologicamente incompatibili, disomogeneità strutturali che non consentono in giudizio la trasformazione della domanda di risoluzione in quella di recesso, giacché, diversamente, verrebbe vanificata la funzione della caparra, che è quella di consentire una liquidazione anticipata e forfettaria del danno in funzione d’evitare la formazione d’ulteriore contezioso giudiziale. (Cass. civ., Sez. Un., n. 553, del 14 gennaio 2009, cit.).
Mette conto precisare, tuttavia, relativamente al concorso tra l’azione di risoluzione ed il risarcimento integrale dei danni subiti da una parte  e quella di recesso e della ritenzione della caparra dall’altra, che la giurisprudenza di legittimità ha precisato come sia abilitata la parte non inadempiente, la quale abbia chiesto in via stragiudiziale la risoluzione del contratto preliminare, ex art. 1454, C.c., a domandare, poi, in sede processuale, il recesso dal contratto con conseguente ritenzione della caparra. (Cass. civ. Sez. III, n. 16221 del 18 novembre 2002; Idem, Sez. II, n. 26206 del 3 novembre 2017).

3. La posizione del coniuge non contraente nel contratto preliminare stipulato dall’altro coniuge in regime di comunione legale.

Tratteggiati i lineamenti salienti della figura del contratto preliminare, possiamo, adesso, indagare quale sia la posizione giuridica del coniuge non acquirente rispetto al contratto preliminare di compravendita d’immobile stipulato dall’altro coniuge. Onde giungere ad una soluzione, par necessario partire dal dato normativo quivi d’interesse, e, cioè, dall’art. 177, C.c., il quale dispone che gli acquisiti d’uno ovvero d’entrambi i coniugi cadono in comunione. È pacifico che, tra i beni d’annoverare tra i potenziali acquisti dei coniugi, ricorrono anche gli immobili.
Ora, supponiamo che uno dei coniugi, in regime di comunione legale, stipuli un contratto preliminare di compravendita immobiliare con anticipata immissione nel possesso, e che, poi, il medesimo si palesi inadempiente rispetto alla stipulazione di quello definitivo. Trattandosi d’un contratto preliminare di compra vendita immobiliare stipulato in costanza di matrimonio, e, pertanto, in regime di comunione legale, si potrebbe predicare la legittimazione del coniuge non stipulante ad intervenire nel giudizio incardinato dal promissario venditore per via dell’inadempimento del coniuge stipulante. Sulla riga dell’art. 177, primo comma, C.c., saremmo orientati a concludere positivamente in merito alla legittimazione attiva del coniuge non stipulante ad intervenite nel giudizio instaurato dal promittente alienante, e ciò facendo leva sull’apparente considerazione che dal contratto preliminare stipulato dal coniuge acquirente, sorga un diritto di credito ascrivibile alla comunione legale e, come tale, esercitabile dall’altro coniuge.
Invero, a ben vedere, la soluzione al quesito, è di segno contrario. Si deve porre una premessa, e, cioè, che il contratto preliminare è un contratto ad effetti obbligatori, e non reali. Ciò significa che il contratto preliminare genera l’obbligo delle parti a prestare il reciproco consenso per la stipulazione del contratto definitivo. Con il contratto preliminare non si attua l’effetto reale del trasferimento del diritto di proprietà del cespite dal promittente alienante al promissario acquirente. Ecco, questo dato, quello dell’effetto obbligatorio, giammai reale, del contratto preliminare, ci consente di comprendere come la norma in scrutinio si occupi di acquisti, lasciando intendere, quindi, d’una attività negoziale che presupponga, necessariamente, l’effettivo trasferimento della proprietà del bene. In antitesi al diritto assoluto, qual è il diritto soggettivo di proprietà, è il diritto di credito, il quale si presenta come un diritto relativo, intercorrente tra debitore e creditore, sicché personale, non cadente in regime di comunione legale.
Se ne deduce l’assenza di legittimazione attiva del coniuge non stipulante a partecipare nel giudizio instaurato dal promittente venditore, inibito il primo finanche a domandare, in giudizio, l’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 C.c., a fronte della risoluzione del preliminare per inadempimento del coniuge stipulante richiesto dal secondo. Parimenti, a diversa soluzione non si perviene anche laddove, in esecuzione del preliminare di compravendita, vi sia stata un’anticipata immissione nel possesso del coniuge stipulante, atteso che il possesso non si trasferisce anche all’altro coniuge non essendo connesso ad un acquisto.
Quanto or ora affermato, è corroborato dalla giurisprudenza di legittimità, a mente della quale “…la comunione legale tra i coniugi di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, ovvero gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della “res” o la costituzione di diritti reali sulla medesima e non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una “res”, non sono suscettibili di cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi..”. (Cass. civ., Sez. II, n. 1548 del 24 gennaio 2008; Idem, Sez.II, n. 3185 del 4 marzo 2003; Idem, Sez. I, n. 9845 del 15 giugno 2012; Idem, Sez. II, n. 11504 del 3 giungo 2016).
In altri termini, per la giurisprudenza sopra scrutinata, il coniuge non acquirente, in quanto non parte del contratto preliminare stipulato dal coniuge contraente, non può neppure considerarsi litisconsorte necessario, ex art. 102, C.p.c., nel giudizio instaurato dal promittente alienante, ivi agente per la risoluzione del detto contratto e pertanto “…nessun diritto può accampare l’altro coniuge, il quale non è neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c.…”. (Cass. civ., Sez. II, n. 1548, cit.).

4. La sorte del contratto preliminare stipulato dal coniuge deceduto

Osservato il predetto profilo, ci accingiamo ad esaminare la sorte del contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato dal coniuge deceduto.
In una fattispecie nella quale il coniuge stipulante un contratto preliminare d’acquisto di un immobile era deceduto, il coniuge superstite, convenuto in giudizio dai promissari venditori, ne domandava in via riconvenzionale la risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione, invocando l’impossibilità economica di far fronte all’obbligazione del pagamento del prezzo a causa del decesso del proprio consorte, unico percettore di reddito del nucleo famigliare.
Nel caso scrutinato dalla giurisprudenza, il coniuge superstite, onde esimersi dall’obbligazione del pagamento del prezzo del cespite, invoca, quale causa giustificatrice di scioglimento della prestazione economica, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione.
Segnatamente, quanto alla prima, trattasi dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore. Essa, è disciplinata dall’art. 1463, C.c., a mente del quale, nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata dall’impossibilità sopravvenuta della propria prestazione perde il diritto di pretendere la controprestazione, e, anzi, è obbligata a restituire, secondo le norme sull’indebito oggettivo, quella che abbia, eventualmente, già ricevuta.
Tuttavia, la Suprema Corte respinge la tesi propugnata dal coniuge superstite, in quanto, nel caso specifico, difetta un elemento fondamentale onde poter applicare l’invocato istituto risolutivo, e, cioè, la natura generica della prestazione oggetto dell’obbligazione di pagamento del prezzo dell’immobile compromesso.
Precisamente, la prestazione economica oggetto dell’obbligazione in questione è una somma di denaro, vale a dire un genere che non perisce mai. Osservando tal dato, il Supremo Collegio giunge alla conclusione che, invero, per il coniuge superstite, il quale, comunque, aveva anch’egli prestato il proprio consenso per la stipulazione del contratto preliminare, il pagamento del prezzo dell’immobile promesso in vendita è sempre possibile, proprio perché il denaro, quale bene generico, non perisce mai, sicché sempre reperibile.
Peraltro, osservano, ancora, che l’oggetto del contratto preliminare, non era il pagamento del prezzo, bensì il consenso per la stipulazione del contratto definitivo, da cui, poi, sarebbe gemmato l’obbligo di pagamento del prezzo del cespite compromesso. Inoltre, difetterebbero anche le caratteristiche dell’evento generante l’impossibilità sopravvenuta, ossia l’imprevedibilità e l’insuperabilità, dato che il decesso del proprio coniuge, che si offre come un evento certo nel tempo, non può assumere tali caratteristiche.
Anche la tesi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta invocata, in seconda battuta, dal coniuge superstite, viene rigettata dal Supremo Collegio. Questi, precisa che la morte del coniuge, unico percettore di reddito all’interno del nucleo famigliare, non può considerarsi un evento imprevedibile e che, pertanto, la sopravvenuta incapienza patrimoniale del coniuge superstite non assume i toni di quell’eccessiva onerosità sopravvenuta idonea, come tale, ai sensi dell’art. 1467, C.c., ad estinguere la prestazione di pagamento del prezzo d’acquisto dell’immobile oggetto del preliminare.
Sintetizzando, dunque, per il coniuge superstite, che abbia preso, finanche, parte alla stipulazione del contratto preliminare con il coniuge deceduto, è sempre possibile prestar il consenso per la stipulazione del contratto definitivo ed il successivo pagamento del prezzo, a ciò non ostando neanche la sua incapienza patrimoniale rispetto alla quale, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto assumere idonee cautele quale la stipulazione d’una polizza assicurativa od altro strumento idoneo per farvi fronte.

5. La posizione degli eredi rispetto al contratto preliminare stipulato dal coniuge deceduto

Si offre alla nostra indagine un ulteriore elemento utile per comprendere quale sia la sorte del contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato dal coniuge poi deceduto.
Quale sarebbe la posizione dei successori del coniuge, poi deceduto, stipulante un contratto preliminare avente ad oggetto la prestazione del consenso per la successiva stipulazione d’un contratto definitivo con il quale si pattuiva la cessione della nuda proprietà d’un immobile riservandosene l’usufrutto. Per il Supremo Collegio, pur succedendo nei rapporti giuridici attivi e passivi del de cuius, i successori di quest’ultimo non possono, tuttavia, esser chiamati a stipulare il contratto definitivo di cessione onerosa della nuda proprietà d’un immobile cadente nell’asse ereditario.
Ciò in quanto la ritenzione del solo usufrutto per i successori del coniuge deceduto avrebbe un’utilità economica minore rispetto al complessivo valore del cespite.
Il promissario acquirente sarebbe inabilitato ad azionare, in sede processuale, il meccanismo offerto dall’art. 2932, C.c., onde ottener una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo non concluso (rectius: il trasferimento della nuda proprietà), e ciò perché difetterebbero le condizioni giuridiche ed i presupposti di fatto che consentirebbero, all’evocato istituto, d’attuare, nel contratto definitivo, la volontà che fu espressa e concordata dalle parti nel contratto preliminare.
In tal senso, la giurisprudenza della Suprema Corte, nel caso che ci occupa, chiarisce che “…l’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. deve ritenersi impossibile allorché si accerti che è mutato nella sostanza, e non può essere riprodotto nel contratto definitivo, il contenuto della controprestazione pattuita per il trasferimento di un bene…”. (Cass. Civ. Sent. n. 167 del 20 gennaio 1976). Pertanto, la soluzione offerta sarà quella di non ritener obbligati i successori a stipulare il contratto definitivo.

6. Conclusioni

Ci siam interrogati sulla sorte del contratto preliminare, avente ad oggetto la compra vendita d’un immobile, stipulato da uno dei coniugi. Su tal riga, tratteggiati, seppur succintamente, i contorni del contratto preliminare ed esaminata l’interferenza su di esso dei rimedi della risoluzione e del recesso, contestuali, rispettivamente, al risarcimento del danno ed alla ritenzione della caparra, dalla giurisprudenza abbiam appreso che il coniuge non stipulante, a fronte dell’inadempimento di quello stipulante, non è litisconsorte necessario nel giudizio radicato dal promissario acquirente, sicché inabilitato finanche ad azionare l’art. 2932, C.c.
E, continuando, nell’indagine, abbiam appreso che, a fronte del decesso del coniuge stipulante, il coniuge superstite non potrebbe sottrarsi all’obbligazione del pagamento del prezzo invocando, onde andar esente dalla prestazione, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile, atteso che il bene oggetto di tal prestazione, generico, ossia il denaro, non perisce mai, sicché sempre rimpiazzabile. Che, ancora, non osterebbe al pagamento del prezzo dell’immobile in capo al coniuge superstite, l’invocazione dell’istituto giuridico dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, stante che l’incapienza economica causata dal decesso del coniuge stipulante, unico percettore di reddito all’interno della famiglia, non si presenta come un evento imprevedibile, trattandosi d’un evento rischio che, semmai, l’altro coniuge, azionandosi diligentemente, avrebbe dovuto neutralizzare assicurandolo. Infine, abbiam appreso che, laddove il de cuius stipuli un contratto preliminare per la cessione della nuda proprietà con riserva d’usufrutto vita natural durante, i suoi eredi non potrebbero esser condannati a stipulare il contratto definitivo, attesa l’impossibilità giuridica e materiale del meccanismo giuridico ex art. 2932, C.c., azionato giudizialmente dal promissario acquirente, di rispecchiare nel definitivo la volontà espressa dalle parti originarie nel contratto preliminare.

Giovanni Stampone

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