Contratti derivati del Comune di Venezia: sentenza dell’High Court

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A cura di Luca Zamagni e Matteo Acciari – Axiis Network Legale
La recente sentenza dell’High Court of Justice sui contratti derivati del Comune di Venezia: le Sezioni Unite della Cassazione approdano (finalmente) a Londra
>>>Leggi la sentenza dell’High Court of Justice<<<

Indice

1. Un precedente in controtendenza

La sentenza dell’Alta Corte di Giustizia di Londra (Commercial Court) pubblicata il 14/10/2022 e riguardante una controversia insorta tra il Comune di Venezia e due istituti di credito italiani, avente a oggetto dei contratti finanziari derivati di tipologia interest rate swap collar sottoscritti dalle parti nell’anno 2007, presenta aspetti di particolare rilevanza.
Tale decisione, occorre evidenziarlo subito, non costituisce la prima pronuncia inglese concernente i derivati degli Enti territoriali e locali italiani ma, a ben vedere, si pone in netta discontinuità rispetto all’orientamento giurisprudenziale che la precede, nettamente favorevole alle ragioni degli intermediari finanziari[1].
Si tratta di una sentenza di primo grado che, destinata con ogni probabilità ad essere appellata dalle banche, non può essere considerata come un precedente consolidato. Nondimeno, alla stessa va riconosciuta una peculiare importanza.
In particolare, la portata (non solo simbolica) della marcata discontinuità che la decisione in esame ha segnato può essere meglio compresa avendo chiaro quanto il consolidamento di un dato indirizzo giurisprudenziale giochi un ruolo centrale in un sistema di common law fondato sul principio dello stare decisis, ossia sulla cogenza del precedente giudiziario rispetto al ruolo creativo dell’interpretazione[2].

2. Il caso

Riassumendo la vicenda controversa: il Comune di Venezia aveva sottoscritto, nell’anno 2007, contratti derivati con due istituti di credito su modulistica contrattuale (proposta dalle stesse banche) predisposta dall’ISDA (International Swap Dealers Association) che designa la legge inglese quale governing law del rapporto contrattuale e attribuisce la giurisdizione, in caso di eventuali liti, alle Corti inglesi. Gli strumenti finanziari sottoscritti dall’Ente locale con le banche erano stati da queste strutturati e proposti in sostituzione di un precedente derivato, a suo tempo sottoscritto dal Comune con altra banca e avente come sottostante un’emissione obbligazionaria (il cd. Rialto Bond).
Nella prospettiva di effettuare la ristrutturazione dell’indebitamento obbligazionario, il Comune di Venezia si era determinato a estinguere il derivato precedentemente sottoscritto, ma ciò avrebbe comportato ingenti esborsi, in ragione del mark to market negativo dello swap.
Le banche proponevano quindi all’Ente di stipulare un IRS Collar che “assorbisse” il mark to market negativo della precedente operazione (ponendolo così, di fatto, a loro carico) nelle condizioni della nuova operazione.
Conseguentemente, gli swap sottoscritti dal Comune di Venezia con le controparti bancarie “nascevano” con mark to market considerevolmente negativo per l’Ente e ciò generava, a carico dello stesso e nel tempo, consistenti passività (riconducibili in parte anche alle note congiunture finanziarie e al crollo dei tassi registratosi negli anni successivi alla stipula).

  1. [1]

FORMATO CARTACEO

Compendio di Diritto internazionale privato

Caratterizzato da una esposizione chiara e da una impostazione rigorosa, il volume nasce dall’esigenza di disporre di un testo di rapida consultazione in cui reperire le fonti del diritto internazionale privato sintetizzate in maniera schematica e corredate dalle interpretazioni offerte da dottrina e giurisprudenza.  In particolare, l’opera analizza le norme dettate dalla legge n. 218/95 e dalle varie fonti di diritto dell’Unione europea, che hanno contribuito all’affermazione del fenomeno noto come «comunitarizzazione» del diritto internazionale privato. È presente un glossario utile per disporre di una rapida panoramica della materia.   Andrea Sirotti GaudenziÈ avvocato e docente universitario. Svolge attività di insegnamento presso vari Atenei e centri di formazione. È responsabile scientifico di alcuni enti, tra cui l’Istituto nazionale per la formazione continua di Roma e ADISI di Lugano. Direttore di collane e trattati giuridici, è autore di numerosi volumi, tra cui «I ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo», «Il nuovo diritto d’autore», «Manuale pratico dei marchi e brevetti», «Trattato pratico del risarcimento del danno», «Codice della proprietà industriale». Magistrato sportivo, attualmente è presidente della Corte d’appello federale della Federazione Ginnastica d’Italia. I suoi articoli vengono pubblicati da diverse testate. Collabora stabilmente con «Guida al Diritto» del Sole 24 Ore.

Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore 2021

3. La sentenza inglese e Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020

La rilevanza della pronuncia in esame risulta ancora più evidente, ove si consideri che la netta presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana (operata con la nota sentenza n. 8770/2020) non aveva influito, fino ad allora, sugli orientamenti della giurisprudenza inglese in materia[3].
Al contrario, proprio ai principi di diritto affermati dalla Corte nomofilattica italiana l’Alta Corte di Giustizia di Londra (occupatasi dei derivati del Comune di Busto Arsizio) aveva riconosciuto nel 2021 un impatto assai “ridotto”[4], sottolineando come la validità di un contratto derivato stipulato da un Ente pubblico italiano e regolato dal diritto inglese debba essere valutata caso per caso, non potendo essere l’approccio della giurisdizione inglese “formalistico” come quello della giurisdizione italiana[5].
Con la sentenza in commento si assiste pertanto, almeno in parte, a un revirement maturato proprio dalla profonda riconsiderazione dei principi e dei ragionamenti proposti dalle nostre Sezioni Unite. A scanso di equivoci, occorre subito rimarcare che la Corte inglese, per decidere il caso controverso, non ha applicato il diritto italiano (pur trattandosi di una controversia tra soggetti giuridici italiani), ma ha avuto come riferimento la “governing law” contrattuale scelta dai paciscenti (appunto, il diritto inglese). Ed è proprio in ossequio alle regole (sostanziali e processuali) inglesi – e con riferimento ad alcuni aspetti peculiari e di decisiva importanza della vicenda – che il giudice ha ritenuto necessario richiamarsi al diritto italiano e all’ermeneutica che di esso è stata offerta dalla nostra Corte di legittimità.
In particolare, negli snodi centrali, l’Alta Corte di Giustizia ha preso come “bussola interpretativa” proprio la decisione n. 8770/2020 delle Sezioni Unite, così pervenendo a dichiarare la nullità degli swap sottoscritti dalle parti poiché, a suo dire, stipulati dal Comune di Venezia in difetto della relativa capacità (lack of capacity).
In merito a tale difetto e al fatto che l’ordinamento inglese consenta (rectius, richieda) di ragionare intorno al tema della capacità a contrarre avendo come riferimento anche i principi che governano la materia nell’orizzonte di un diverso Paese (nel caso di specie, l’Italia), il giudice londinese, con la sentenza in commento, ha espresso le seguenti, incisive argomentazioni: “L’interpretazione del termine “capacità” ai fini della norma è […] in ultima analisi una questione di politica. A mio avviso, è importante ricordare lo scopo della norma, che è quello di determinare quali sistemi legislativi saranno utilizzati, in base alle norme di conflitto inglesi, per decidere se una “società” ha la capacità di esercitare il diritto legale di stipulare un contratto vincolante con un terzo. Se questo riassume accuratamente lo scopo della norma, allora ritengo, seguendo l’approccio di Auld LJ nella causa Macmillan [1996]1 WLR 387, che al concetto di “capacità” debba essere attribuito un significato più ampio, “internazionalista”, e non debba essere limitato alla definizione ristretta data dal diritto interno inglese.”.
Nel caso di specie, la carenza è stata ritenuta ricorrere, alla luce delle precise indicazioni rese dai giudici di legittimità italiani, per le quali è preclusa agli Enti locali italiani: (i) la sottoscrizione di derivati speculativi e (ii) la contrazione di indebitamento per finalità diverse dal finanziamento di investimenti (cfr. art. 119 comma 6 Cost.).
Orbene, nel caso di specie, la Corte londinese ha ritenuto che le operazioni in derivati concluse dagli Enti locali italiani avessero proprio carattere speculativo. Ciò (in piena analogia con quanto più volte statuito dalla giurisprudenza italiana[6]) per via del significativo squilibrio delle opzioni cap e floor nella struttura collar dell’IRS (cfr. art. 3 Decreto Ministeriale n. 389/2003, come interpretato dalla Circolare MEF del 27/05/2004).
La Corte inglese, nel caso di specie, ha messo pure in relazione l’idoneità dello swap a produrre debito con l’assorbimento del mark to market del precedente derivato. Più in generale, secondo quanto precisato con la sentenza in commento (ancora in linea con la giurisprudenza di legittimità italiana), se il derivato prevede il pagamento di un up front all’Ente, tale up front deve essere considerato e trattato come indebitamento e, pertanto, soggiace al precetto costituzionale di cui all’art. 119 comma 6 Cost.
In particolare, il giudice londinese ha evidenziato quanto segue: “[…] il tasso di interesse minimo che Venezia si impegnava a pagare non era allineato alla curva dei tassi a termine al momento della stipula del contratto. Essa ha comportato l’assunzione da parte di Venezia di un nuovo e significativo rischio (ossia quello di dover pagare alle Banche interessi al livello floor pur ricevendo pagamenti di interessi a un tasso molto più basso) che non si presentava nell’ambito del Rialto Bond. […] Esisteva una differenza molto significativa tra l’MTM del cap e quello del floor, tale per cui Venezia forniva alle Banche una protezione di valore significativamente superiore a quella che otteneva dalle Banche. […] Sono convinto che l’importo pagato dalle Banche a Bear Stearns e poi “incorporato” nei termini delle Operazioni costituisse un “upfront” ai fini dei principi di Cattolica […] Il fatto che l’”upfront” in questo caso non sia stato pagato per neutralizzare uno squilibrio nell’MTM delle rispettive obbligazioni, ma che le rispettive obbligazioni siano strutturate in modo sbilanciato per coprire il costo dell’”upfront” non annulla le questioni di equità interbancaria riconosciute dall’articolo 42, paragrafo 2, lettera i), né i limiti dell’articolo 119, paragrafo 6, come stabilito nella sentenza Cattolica.”.
Alla luce dei “vizi” riscontrati, analizzati secondo i canoni interpretativi forniti dalle Sezioni Unite della Cassazione civile, la Corte inglese ha accertato e dichiarato il difetto di capacità contrattuale dell’Ente ed è quindi approdata – sempre in conformità al diritto inglese – alla declaratoria di nullità dei contratti oggetto di lite: “la restrizione agli enti locali di stipulare derivati speculativi che la Cattolica traeva dall’articolo 119, paragrafi 4 e 6, della Costituzione aveva l’effetto che gli enti locali non avevano alcun potere sostanziale o capacità giuridica di stipulare tali transazioni […]. Applicando il diritto inglese […] l’inevitabile conseguenza della mia conclusione che, sulla base degli argomenti relativi alla speculazione e/o all’indebitamento, Venezia non aveva il potere sostanziale o la capacità giuridica di concludere le Operazioni, è che esse sono nulle”.

4. Conseguenze della declaratoria di nullità dei contratti secondo il diritto inglese

Anche le conseguenze derivanti dall’accertamento della nullità (che, calate nella prospettiva ermeneutica italiana, condurrebbero alla ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dal soggetto cui la nullità giova) sono valutate nella sentenza in commento alla luce della governing law contrattuale. Ragion per cui, con la pronuncia de qua, si assiste a un importante “correttivo” a favore delle banche, per quanto riguarda specificamente la determinazione delle somme da liquidare all’Ente.
E infatti, sulla scorta di una complessa analisi dei precedenti giudiziari in argomento, la Corte inglese ha tutelato l’affidamento delle banche che, dopo aver sottoscritto i derivati con il Comune di Venezia, hanno quasi contestualmente (come da prassi in questi casi) stipulato, con altre controparti bancarie, dei back to back swap (ossia dei derivati di copertura, di segno “uguale e contrario” a quelli sottoscritti con l’Ente).
Tale scelta – secondo il giudice inglese – ha configurato una cd. change of position dalla quale verosimilmente deriverà la drastica riduzione delle poste “risarcitorie” da corrispondere all’Ente (riduzione da determinare concretamente, nel caso di specie, con separati e successivi provvedimenti).

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Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore 2021

Note
[1] Tra gli altri precedenti citiamo, a titolo esemplificativo, Deutsche Bank AG London v Comune di Busto Arsizio [2021] EWHC 2706 (Comm) e Dexia Crediop S.p.A. v Comune di Prato [2017] EWCA Civ 428.
[2] Per un sintetico ed efficace approfondimento cfr. Calzolaio E., Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law, in Contratto e Impresa, n. 4, 1 ottobre 2020, p. 1447 e ss.
[3] Barcellona M., La Cassazione e i derivati: tra pessime argomentazioni e condivisibili conclusioni, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 2, 1 marzo 2022, p. 451 e ss.
[4] Per approfondimenti De Gioia Carabellese P. e Lembo M., I derivati italiani visti dal common law inglese (e dal British statute). Una analisi della decisione della High Court sul contratto speculativo “Busto Arsizio v Deutsche Bank”, in Le Società, n. 5, 1 maggio 2022, p. 603 e ss.
[5] Per approfondimenti Garofalo A.M., Un anno dopo le Sezioni Unite: e` davvero nella causa il rimedio migliore per gli swap conclusi da clienti disinformati?, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 2, 1 marzo 2022, p. 472 e ss.
[6] Cfr., ad es., Corte d’Appello Milano n. 2393/2020, Trib. Milano n.  3845/2017, Trib. Chieti n. 894/2016 e Trib. Milano n. 11658/2016

Avv. Luca Zamagni

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