La Consulta apre al bilanciamento tra attenuanti e recidiva reiterata

La Corte costituzionale dichiara illegittimo il divieto di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva nel sequestro estorsivo.

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Corte costituzionale – sentenza n. 151 del 22-09-2025 (dep. 16 ottobre 2025)

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Indice

1. Il fatto


La Corte di Assise di Roma, sezione prima, era chiamata a decidere sulle accuse mosse nei confronti di due soggetti, imputati – in concorso tra loro e con un terzo (separatamente giudicato), nonché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso – di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 cod. pen.), lesioni personali aggravate (artt. 582 e 585 cod. pen.), rapina aggravata (art. 628, primo e terzo comma, numero 1, cod. pen.), indebito utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-ter cod. pen.) fermo restando che, per tutti i suddetti reati, a uno degli imputati era stata contestata anche «la recidiva specifica e reiterata».
Orbene, tenuto conto che codesta Corte aveva ritenuto corretta la qualificazione giuridica dei fatti oggetto d’imputazione, quest’organo giudicante stimava come potessero essere riconosciute all’imputato “recidivo” le attenuanti generiche, pur prendendo però atto che, alla luce di quanto sancito dall’art. 69, co. 4, c.p., il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, rispetto all’aggravante contestata, avrebbe dovuto essere arrestata a quello di equivalenza, quand’anche le prime fossero state «ritenute di peso specifico superiore rispetto ai profili espressi dalla ritenuta recidiva reiterata». Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli.

2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 69


Alla luce della vicenda giudiziaria summenzionata, la Corte di Assise capitolina sollevava, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, commi primo e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, «con riferimento al reato di cui all’art. 630 c.p., vieta la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62 bis c.p. sulla recidiva reiterata ex art. 99, commi 2 e 4, c.p.».
Ordunque, se la rilevanza di siffatte questioni era fatta risalire in virtù di quanto enunciato in precedenza, oltre alla stregua anche delle seguenti considerazioni: “Tale rilevanza, per il rimettente, si apprezzerebbe anche sotto altro angolo visuale, dal momento che, in caso di condanna, la pena detentiva minima applicabile «dovrebbe necessariamente essere pari ad anni trenta di reclusione». Ai sensi dell’art. 81, quarto comma, cod. pen., infatti, se commessi da soggetti ai quali venga applicata la recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., l’aumento di pena per i reati contestati in continuazione con quello più grave (qui, il sequestro di persona a scopo di estorsione) «non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena» stabilita per quest’ultimo. Poiché il minimo edittale per il sequestro estorsivo è fissato in venticinque anni di reclusione, per il giudice a quo l’esito finale del calcolo dovrebbe restituire una pena «pari ad anni trentatré [e] mesi quattro di reclusione», contenuta in trenta anni per effetto del criterio moderatore di cui all’art. 78, primo comma, numero 1), cod. pen.
Seguendo l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità (di cui vengono citate alcune pronunce), solo se le circostanze attenuanti generiche potessero essere considerate prevalenti sulla recidiva reiterata, verrebbe esclusa l’applicazione del «limite minimo di aumento della pena in continuazione» fissato dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., che invece opera anche quando il giudice consideri le attenuanti come equivalenti alla recidiva reiterata”, per quanto invece riguardava la non manifesta infondatezza, la Corte territoriale romana, dopo avere ricostruito preliminarmente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, riteneva non rispondente ai principi emergenti dal panorama giurisprudenziale tratteggiato «la previsione del divieto di bilanciamento in termini di prevalenza sulla recidiva reiterata ex art. 99, comma 4, c.p. delle circostanze attenuanti generiche, riferita alla fattispecie criminosa di cui all’art. 630 c.p.», denotandosi a tal proposito come il Giudice delle leggi avrebbe posto tre rationes decidendi alla base delle sentenze di accoglimento finora pronunciate sulla disposizione qui censurata e reputa che «la questione odierna partecipi di tutte le ragioni» suddette.
In particolare, per il rimettente, un primo gruppo di pronunce (richiamandosi, ad esempio, la sentenza n. 251 del 2012) avrebbe valorizzato la «non trascurabile divaricazione tra la pena prevista per il reato base e quella applicabile all’esito della ritenuta attenuante», ritenendola compatibile con i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), di offensività della condotta (art. 25, secondo comma, Cost.) e di proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato (art. 27, terzo comma, Cost.), solo nella misura in cui venga salvaguardato il potere del giudice di operare «un ordinario bilanciamento» e «di valutare prevalenti le attenuanti rispetto alla recidiva reiterata», considerato che, anche nel caso di specie, esisterebbe «una divaricazione importante» tra la pena prevista per il reato base e quella prevista per il reato circostanziato: per il primo, «pur volendo attestarsi sul minimo edittale, si avrebbero venticinque anni di reclusione», mentre per il secondo, considerando le attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. nella loro «massima ampiezza applicativa, si arriverebbe ad una pena di sedici anni ed otto mesi di reclusione», oltre a dedurre al contempo che, dovendosi applicare la disciplina di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen., la suddetta divaricazione sarebbe «ancor più sproporzionata», poiché la pena irrogabile sarebbe comunque pari a trenta anni di reclusione.
Orbene, ad avviso del giudice a quo, non sarebbe per sé «trasmodante nell’arbitrio» la «blindatura in termini di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche» rispetto alla recidiva reiterata dal momento che è limitatamente al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, e «ancor di più se il fatto risulta commesso in continuazione con altri delitti», che, «in ragione del severissimo quadro punitivo contemplato in una forbice sanzionatoria assai ristretta», l’applicazione della disposizione censurata produrrebbe una «abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata», con un «aggravio sanzionatorio» manifestamente irragionevole, in quanto tendente al «raddoppio della pena per un fatto che, oggettivamente identico, sia commesso da un recidivo reiterato anziché da un soggetto incensurato».
Del resto, sempre per il giudice rimettente, la Corte costituzionale (sentenza n. 94 del 2023) avrebbe già riconosciuto alle circostanze attenuanti – senza distinzioni tra quelle comuni e quelle ad effetto speciale – «una necessaria funzione riequilibratrice» della marcata divaricazione di cui si è finora discusso, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui, in relazione a tutti i reati puniti con l’ergastolo, non consente «alle attenuanti tutte – dunque anche le attenuanti generiche – di prevalere sulla ritenuta recidiva reiterata».
Tra l’altro, sempre per il giudice a quo, con un secondo fascio di pronunce, la Consulta avrebbe messo in luce l’esigenza «di bilanciare la particolare ampiezza della fattispecie del reato non circostanziato che accomuna condotte marcatamente diverse», e che, per questo, «necessitano di essere differenziate nella determinazione del trattamento sanzionatorio», facendosene conseguire da ciò che, alla fattispecie astratta disegnata dall’art. 630 cod. pen., sarebbe possibile «ascrivere una casistica molto vasta ed eterogenea», alla luce delle «differenze non trascurabili di contesto, durata e modalità attuative del sequestro di persona a scopo di estorsione».
Ciò posto, «l’urgenza di applicare una pena proporzionata» non potrebbe spingere l’interprete «fino all’estrema conclusione, a questo punto obbligata», di considerare – «pur di evitare l’asprissimo carico sanzionatorio» illustrato – ogni fatto di sequestro estorsivo come di lieve entità ex art. 311 cod. pen., anche quando, come nella specie, non ne dovessero ricorrere i presupposti.
Del resto, aggiungeva sempre il rimettente, neppure l’applicabilità dell’art. 311 cod. pen. potrebbe escludere la necessità di una diversa ed ulteriore circostanza capace di assolvere alla medesima funzione mitigatrice, «ma per ragioni diverse» visto che le circostanze previste dagli artt. 311 e 62-bis cod. pen. non sarebbero affatto sovrapponibili, essendo quelle generiche «un flessibile strumento che consente di valorizzare profili soggettivi che sfuggono al giudizio oggettivo sulla lieve entità del fatto», come appunto sarebbe necessario nel caso di specie.
Quanto alla terza ratio decidendi enucleabile dalla rassegna della giurisprudenza costituzionale in materia, il giudice a quo sosteneva che un ulteriore insieme di pronunce avrebbe riguardato «attenuanti strettamente legate al carattere personale – e dunque più marcatamente individuale – della responsabilità penale», ritenendosi, quindi, che le argomentazioni spese, in quelle occasioni, con riferimento alle attenuanti di cui agli artt. 89 e 116, secondo comma, cod. pen. (relative, rispettivamente, al vizio parziale di mente e al cosiddetto concorso anomalo nel reato) si possano «esportare […] nel caso odierno», alla luce del «carattere soggettivo delle attenuanti generiche».
Ebbene, per la Corte capitolina, a tal proposito, sarebbe necessario riconoscere la possibilità di valorizzare anche situazioni sopravvenute rispetto al fatto di reato, comunque inerenti alla persona dell’autore e indicative di una sua minore pericolosità, dato che sarebbe certamente contrario ai principi costituzionali di proporzionalità ed eguaglianza irrogare a due soggetti – entrambi recidivi reiterati e autori di un identico fatto di sequestro estorsivo – «la medesima, massima sanzione», qualora per uno solo di essi ricorressero anche i presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche (ad esempio, per «un esemplare comportamento processuale, una piena collaborazione successiva ai fatti, la dimostrazione di un sincero pentimento, ecc.»).
In definitiva, per la Corte d’assise di Roma, la disposizione censurata, vietando al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti generiche sulla ritenuta recidiva reiterata, comporta, in relazione al reato di cui all’art. 630 cod. pen., innanzitutto la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto ostacola la finalità rieducativa della pena, e ciò in quanto risulterebbe negata la possibilità di irrogarne una che, suscettibile di modulazione in riferimento a fatti diversi, rifletta il concreto disvalore del reato commesso e sia proporzionata alla pericolosità soggettiva del reo, «soprattutto laddove siano accertati reati connessi che determinano l’incremento sanzionatorio di cui all’art. 81, c. 4 c.p.» dal momento che, in tal modo, il condannato sarebbe portato a «maturare una profonda avversione e disprezzo emotivo per tutto quanto avvertito come ritorsivo ed immeritato», disponendosi «al rifiuto di una pena ritenuta eccessiva e profondamente ingiusta».
Infine, sempre la Corte romana, non sarebbe poi nemmeno «sostenibile» che la valutazione della pericolosità sociale dell’agente, «di cui certamente la recidiva è espressione», possa rivestire «un rilievo esclusivo ed assorbente, annullando il peso specifico di elementi diversi, tali da essere comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo» visto che, ragionando in tal guisa, sarebbero altrimenti lesi i principi della necessaria proporzione della pena rispetto all’offensività del fatto e della indispensabile individualizzazione del trattamento sanzionatorio, presidiato dai restanti parametri costituzionali evocati nella motivazione dell’ordinanza (artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, primo comma, Cost.).

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3. La soluzione adottata dalla Consulta


La Consulta – dopo avere ripercorso l’iter giudiziario che aveva determinato il suo intervento nel caso di specie, stimandosi al contempo le questioni prospettate ammissibili e compiuta una sintetica ricostruzione della giurisprudenza costituzionale che aveva affrontato questioni analoghe a quelle oggetto del presente giudizio – reputava come le questioni sollevate dal rimettente fossero fondate.
In particolare, ad avviso del Giudice delle leggi, sussisteva indubbiamente un ampio scarto tra la pena base prevista per il reato non circostanziato (pari, nel minimo, a venticinque anni di reclusione) e quella risultante dall’applicazione delle attenuanti generiche (sedici anni e otto mesi di reclusione), e ciò già a causa della particolare severità della cornice edittale di partenza e, quindi, a prescindere dall’ulteriore effetto derivante dalla necessità di applicare l’aumento di pena nell’elevata misura prevista dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., qualora, come accade nella specie, il sequestro estorsivo sia commesso dal recidivo reiterato in continuazione con altri reati, essendo stato chiarito che «l’entità concreta della diminuzione di pena dipende ovviamente dall’entità della pena base […] ben potendo tale diminuzione tradursi, rispetto ai delitti più gravi, in vari anni di reclusione in meno» (sentenza n. 73 del 2020, richiamata dalla sentenza n. 197 del 2023).
Difatti, una volta presosi atto di come il rimettente fosse ben consapevole che, finora, la giurisprudenza di legittimità aveva più volte considerato manifestamente infondate analoghe questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento al divieto di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva reiterata, sebbene, a quanto consta, relativamente a reati diversi da quello oggi in esame (citandosi all’uopo le più recenti pronunce della Corte di Cassazione, Sezione quinta penale, sentenza 9 gennaio-24 aprile 2025, n. 15889; Sezione quarta penale, sentenza 21 giugno-10 ottobre 2024, n. 37215; n. 29723 del 2024), tuttavia, per la Corte costituzionale, nel contesto della complessiva vicenda sottoposta al suo vaglio, riteneva necessario che gli sia restituita, nel giudizio di bilanciamento con la recidiva reiterata, la possibilità di fare applicazione, nella sua massima estensione, di un’ulteriore attenuante che, come appunto quella di cui all’art. 62-bis cod. pen., consenta di valorizzare profili anche diversi da quelli che possono fondare il riconoscimento della lieve entità del fatto, già sottratta alla sfera di operatività della disposizione censurata in relazione al sequestro estorsivo.
Ebbene, sempre per i giudici di legittimità costituzionale, i principi costituzionali evocati richiedevano che tale esigenza venisse soddisfatta dato che la medesima Consulta ha affermato che l’eccezionale rigore della pena base del sequestro estorsivo «è solo parzialmente mitigato dalla possibilità di applicare […] la circostanza attenuante del fatto di lieve entità» (sentenza n. 113 del 2025) e che quest’ultima «non “assorbe”, in linea di principio, le attenuanti comuni […], che hanno propri e distinti presupposti di applicabilità. Considerazioni, queste, estensibili, mutatis mutandis, anche […] alle attenuanti generiche (art. 62-bis cod. pen.)» (sentenza n. 68 del 2012).
Tra l’altro, proprio le attenuanti generiche, per la Corte di legittimità (costituzionale), possono svolgere un ruolo essenziale rispetto a condotte astrattamente rientranti nell’ampio modello legale di cui all’art. 630 cod. pen., ma caratterizzate da un minor “bisogno di pena” per risvolti diversi da quelli oggettivi del fatto e attinenti, piuttosto, ad aspetti soggettivi dell’autore del reato o a caratteristiche “atipiche” di quest’ultimo, trattandosi di una funzione che può dispiegarsi in relazione a profili non solo precedenti o concomitanti rispetto alla commissione del reato, ma anche successivi (come la collaborazione processuale, non integrante le specifiche attenuanti tipizzate dal legislatore nei commi quarto e quinto dell’art. 630 cod. pen.), tanto più se si osserva che la giurisprudenza costituzionale, che ha scrutinato la disposizione censurata, ha tradizionalmente inteso impedire – sin dalla sentenza n. 251 del 2012 – che una «abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva» andasse «a detrimento delle componenti oggettive del reato».
Orbene, soprattutto a fronte di una risposta sanzionatoria di «eccezionale asprezza» (sentenza n. 68 del 2012), per il Giudice delle leggi, la medesima necessità si pone anche rispetto a caratteristiche peculiari attinenti al singolo fatto di reato o al suo autore e, dunque, alla vicenda delittuosa intesa nella sua globalità, che solo le attenuanti generiche sono in grado di intercettare, tenuto conto altresì del fatto che la Corte costituzionale ha già chiarito che il principio di proporzionalità «esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018)» (sentenza n. 73 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 197 e n. 94 del 2023 e n. 55 del 2021).
Dunque, se e proprio rispetto al reato in esame si è precisato che il medesimo principio «mira ad assicurare che la reazione sanzionatoria a un fatto di reato, pur offensivo del bene giuridico e colpevolmente realizzato, non risulti eccessiva rispetto alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del fatto» (sentenza n. 113 del 2025), la riscontrata sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche – anche negli angusti limiti ancora oggi segnati dal secondo comma dell’art. 62-bis cod. pen. – può appunto costituire espressione di ridotta gravità del reato, sul versante oggettivo o soggettivo.
Tal che se ne faceva discendere da ciò che, nella commisurazione, in concreto, del trattamento sanzionatorio stabilito in astratto in misura estremamente severa, di tale profilo il giudice deve poter tenere conto «senza essere vincolato a ignorarlo in ragione soltanto della recidiva reiterata dell’imputato, trattandosi di una circostanza, quest’ultima, che nulla ha a che vedere con la gravità oggettiva e soggettiva del singolo fatto di reato, cui la pena – in un sistema orientato alla “colpevolezza per il fatto”, e non già alla “colpa d’autore”, o alla mera neutralizzazione della pericolosità individuale – è chiamata a fornire risposta» (sentenza n. 141 del 2023).
D’altronde, il censurato divieto normativo, applicato al reato di cui all’art. 630 cod. pen, sempre per i giudici di legittimità costituzionale, ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalità della pena presidiato dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., trattandosi di un principio il quale «si oppone a che siano comminate dal legislatore – e conseguentemente applicate dal giudice – pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato» (sentenza n. 188 del 2023, che richiama la sentenza n. 141 del 2023), e impone, invece, di evitare una risposta punitiva che sarebbe immancabilmente avvertita come ingiusta dal condannato, in contrasto con la finalità rieducativa della stessa» (sentenza n. 56 del 2025).
Chiarito ciò, per i giudici di legittimità costituzionale, risultava inoltre essere leso anche il principio di individualizzazione della pena, che ammette esclusivamente una risposta sanzionatoria «il più possibile “individualizzata”, e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di “personalità” della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost.» (sentenza n. 222 del 2018, richiamata dalla sentenza n. 73 del 2020), così come si reputava oltre tutto violato pure il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), perché, sempre per la Corte, sarebbe irragionevole applicare il medesimo severo trattamento sanzionatorio a due soggetti, entrambi recidivi reiterati e autori di un identico fatto di sequestro estorsivo, qualora a vantaggio di uno solo di essi ricorressero anche i presupposti per un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
Infine, si considerava come il divieto di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva reiterata contrasti per di più con il principio di offensività presidiato dall’art. 25, secondo comma, Cost., il quale «esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali» (sentenza n. 188 del 2023, che richiama, sul punto, le sentenze n. 205 del 2017, n. 105 del 2014 e n. 251 del 2012).
Il Giudice delle leggi, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede, relativamente al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all’art. 630 cod. pen., il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, di cui all’art. 62-bis cod. pen., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..

4. Conclusioni: illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva nel reato di sequestro a scopo di estorsione


Fermo restando che l’art. 69, co. 4, c.p., com’è noto, prevede che le “disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”, per effetto della pronuncia qui in commento, tale precetto normativo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede, relativamente al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all’art. 630 cod. pen., il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, di cui all’art. 62-bis cod. pen., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
Va da sé quindi che, alla luce di tale pronuncia, ove si contesti un reato di questo genere, è adesso possibile per il giudice riconoscere la prevalenza di siffatte attenuanti sulla recidiva reiterata.
Questa è dunque la novità che connota la decisione esaminata nel presente scritto.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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