Considerazioni sull’allocazione impositiva delle risorse

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Nel numero di dicembre delle Scienze (Un progetto nei guai, 38-47, n. 568, 12/2015), Stefan Theil  parla del rischio del fallimento di un mega progetto (ABP) finanziato dall’U.E. relativo alla possibilità di simulare il funzionamento del cervello umano, quello  che rientra nei canoni della Big science dove fiumi di denaro creano da un lato la spettacolarità dall’altro la lotta per il loro controllo, il raffronto con il BRAIN versione americana della stessa ricerca iniziata nel 2013, che attualmente non sembra soffrire degli stessi problemi, evidenzia i rischi di strutture decisionali eccessivamente accentrate e opache in ambienti complessi in termini decisionali, privi della possibilità di raffronti aperti basati su dati, se in un obiettivo ingegneristico delimitato e definito la decisionalità può funzionare, in ambienti meno definiti dove vi è la necessità di continui riscontri la possibilità di fallimenti è dietro l’angolo in un difficile rapporto con la politica e la burocrazia.

Si rischia di imporre finanziamenti diretti dalle Casse dello Stato o indiretti dalle tasche dei cittadini, a programmi di sostegno o innovazione senza sapere davvero sulla loro efficacia, seguendo l’intuito e le varie pressioni lobbistiche, evitando l’analisi dei dati o mascherandosi dietro una loro fumosità (D. Karlan, Più prove, meno povertà, 48-51, n. 568, Le Scienze 12/2015), in un momento nel quale le risorse si restringono si tenta da un lato di recuperarle dai contribuenti dall’altro, non solo di indurre bensì di costringere alla spesa in settori predeterminati lobbisticamente i quali non sono di per sé i più economicamente validi, né vi è una dimostrabilità derivante da raffronti aperti e non opachi, vi è in altri termini un accaparramento settoriale delle ridotte risorse comuni, si tenta di pilotare la spesa in settori che si auto proteggono normativamente.

In economia, a parte il problema del rapporto tra posizioni realiste e strumentaliste dove a un controllo osservativo e sperimentale (Hutchinson) si contrappongono modelli predittivi validi di per sé indifferenti agli assunti teorici (Friedman), il concetto di benessere stesso tende a superare il carattere puramente materiale per ricomprendere, non solo gli aspetti immateriali dei singoli quali la conoscenza, ma anche quelli relazionali dove il benessere stesso nasce da un corretto rapporto di reciprocità tra sentimenti positivi sociali, si passa gradualmente dall’economico all’uomo relazionale fondato sulla reciprocità (Latouche), questi diventano beni relazionali acquisendo non solo un significato economico, ma divenendone obiettivo (Viale).

Zagrebelsky sottolinea la dissociazione avvenuta tra ius e lex a partire dal XVII secolo con l’assolutismo, una spinta che porta all’assolutizzazione della legge tale da permettere al potere legislativo di fare e disfare, creando una continua mutevolezza fondata solo sulla forza e gli interessi di coloro che prevalgono in quel lasso di tempo, il diritto si riassume solo ed esclusivamente nel potere legislativo, unico vincolo i termini costituzionali con i poteri e le istituzioni ad esso allegate ma sempre in un rischio di ribaltamento al prevalere di determinati poteri, il tecnicismo si perde nella mancanza di un sentire culturale diffuso, tirato a seconda degli interessi in lotta, circostanza che nel ridurre la legittimità alla legalità crea uno scetticismo diffuso nei confronti della legge, in quest’ambito rientra l’autoritarismo economico normativo e il superamento della libera scelta di spesa in favore di un suo diretto pilotaggio legislativo.

Greenspan in una sua recente intervista ci ricorda che la crisi risiede anche in un sistema fiscale instabile e nell’insostenibilità di un debito diretto a fini prevalentemente assistenziali, con una chiara riduzione sul risparmio prelevato della disponibilità all’investimento (intervista di P. Mastrolilli in La Stampa del 18/12/2015, 21), nel prevalere su quello che resta di una “normatività dell’investimento” avviene la riduzione della libertà e della possibile scelta, in un tentativo non di creare la ricchezza ma solo di accaparrare lobbisticamente una fetta delle restanti ridotte risorse, avviene pertanto la compressione dirigistica di una libertà di scelta individuale, partendo dal presupposto di una onnipotenza legislativa non temperata dallo ius, che nel favorire determinati interessi si ammanta della capacità di potere scegliere meglio del singolo senza che vi sia alcuna valida “incontestabile” dimostrazione, ma solo quali ultimi eredi di un assolutismo scientifico.

In quest’ottica, il Testo Unico non acquista il solo senso di una sistemazione razionalistica delle norme, ma diventa anche un mezzo più o meno conscio per creare una stabilizzazione della legge a fronte dell’arbitrio stesso del legislatore, dell’incertezza che la sua presunta onnipotenza crea, il moltiplicarsi dei diritti individuali che lo scorcio del ‘900 ha visto (Rodotà) viene di fatto a confliggere con il potere che il legislatore si arroga, il quale tende ad autolegittimarsi  attraverso il riconoscimento e quindi l’imposizione legislativa degli stessi, la flessibilità diventa scusa per la caoticità in un ulteriore accrescersi delle possibilità interpretative, dove lo ius negato rinasce attraverso la pressione lobbistica sulla lex ma al contempo diventa conflittuale con gli ulteriori interessi economici affermati attraverso la lex stessa.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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