Il terzo, ritenuto intestatario fittizio di beni oggetto di confisca di prevenzione, può limitarsi a far valere la propria titolarità ovvero è legittimato a censurare anche i presupposti della misura? Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. Il fatto
- 2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: il terzo, intestatario fittizio di beni oggetto di confisca di prevenzione, può limitarsi a rivendicare la titolarità ovvero è legittimato a contestare anche i presupposti della misura?
- 3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
- 4. Conclusioni: nella confisca di prevenzione di beni fittiziamente intestati a un terzo, questi può rivendicare solo la titolarità, senza poter contestare i presupposti della misura, deducibili esclusivamente dal proposto
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1. Il fatto
La Corte di Appello di Bari confermava un provvedimento emesso dal Tribunale della medesima città, Sezione misure di prevenzione, che aveva disposto, ai sensi dell’art. 18, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, la confisca dei beni nei confronti del proposto, nonché dei terzi ritenuti intestatari fittizi, rilevando per il primo la sussistenza della pericolosità ex artt. 1, lett. b), e 4, lett. b) e c), D.Lgs. cit..
Ciò posto, avverso il suddetto decreto proponevano ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia e procuratori speciali, il proposto nonché i terzi interessati. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: il terzo, intestatario fittizio di beni oggetto di confisca di prevenzione, può limitarsi a rivendicare la titolarità ovvero è legittimato a contestare anche i presupposti della misura?
I ricorsi summenzionati venivano assegnati alla Quinta sezione che, a sua volta, ne disponeva la rimessione alle Sezioni unite ai sensi, rilevando un contrasto giurisprudenziale in ordine alla legittimità del terzo intestatario a far valere con l’impugnazione anche l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto.
In particolare, la Sezione rimettente evidenziava come all’orientamento maggioritario – secondo cui il terzo può rivendicare esclusivamente l’effettività titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, mentre non è legittimato a proporre questioni relative all’applicazione della misura nei confronti del proposto – se ne contrapponevano altri due, uno minoritario che riconosce tale più ampia legittimazione e un altro ancora, definito “intermedio“, che consente al terzo di contestare il profilo della perimetrazione temporale dell’acquisto del bene ovvero i presupposti oggettivi della confisca di prevenzione.
3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite, dopo avere delimitato la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale (nei seguenti termini: “Se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo possa rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni confiscati ovvero sia legittimato a contestare anche i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso”, richiamavano gli orientamenti nomofilattici, formatisi in subiecta materia, nei seguenti termini: “Il primo indirizzo, maggioritario, assume che il terzo possa solo rivendicare l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a proporre qualsivoglia questione relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, quali la condizione di pericolosità dello stesso, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, trattandosi di doglianze che solo il proposto può avere interesse a far valere (in questo senso, fra le molte altre, Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2024, omissis, Rv. 286441 – 01; Sez. 1, n. 35669 del 11/05/2023, omissis, Rv. 285202 – 01; Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 280249 – 01; Sez. 6, n. 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278454 – 03; Sez. 2, n. 31549 del 6/6/2019, omissis, Rv. 277225 – 04; Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, omissis, Rv. 266141 – 01; da ultimo, Sez. 5, n. 4946 del 29/10/2024, dep. 2025, omissis, non mass.).
Sez. 2, G., cit., muove dalla considerazione che il terzo intestatario può ottenere il più favorevole dei risultati e, cioè, la revoca della confisca, solo dimostrando che la titolarità del bene è reale e non meramente fittizia. Fornita la prova di tale dato, per il terzo sono del tutto indifferenti le sorti della misura di prevenzione – personale e reale – disposta nei confronti del proposto, proprio perché si tratta di una vicenda processuale inidonea a produrre effetti negativi nei suoi confronti. In sostanza, il terzo sarebbe portatore di un mero interesse di fatto all’esito della procedura che, tuttavia, non può costituire il fondamento della legittimazione processuale, individuabile solo a fronte di un interesse giuridicamente tutelato. Ammettere la possibilità che il terzo intestatario possa contestare i presupposti applicativi della misura si tradurrebbe in una lesione del fondamentale principio secondo cui la legittimazione ad agire deve essere identificata in relazione alla titolarità del diritto oggetto del giudizio, non potendosi consentire al terzo di farsi latore di una sorta di intervento ad adiuvandum in favore del proposto. Tale orientamento si confronta anche con l’opposta tesi, per la quale l’interposizione fittizia, riconducibile all’istituto civilistico della simulazione relativa del contratto, non individua di per sé una condotta illecita. Al riguardo, si sottolinea come proprio la disciplina dettata dall’art. 1414 cod. civ. preveda che, se le parti hanno inteso concludere un contratto diverso da quello apparente, tra le stesse ha effetto il contratto dissimulato. Ne consegue che, nei rapporti interni tra terzo simulato proprietario e reale titolare del bene, prevale non già il dato formale insito nella fittizia intestazione, bensì il dato reale. Il che, riportando il tutto nell’ambito di interesse delle misure di prevenzione, determina che l’unico soggetto legittimato a chiedere la restituzione del bene – anche nell’ambito del rapporto interno con il fittizio intestatario – è il titolare reale dello stesso, non potendo il terzo agire in giudizio per far valere quello che è un diritto altrui. Altre pronunce (Sez. 6, n. 17519 del 27/02/2024, omissis, Rv. 286418 -01) si soffermano sulla nozione di interesse ad impugnare nel procedimento penale. In proposito si sottolinea che, a differenza di quanto accade per le impugnazioni civili, che presuppongono un processo di tipo contenzioso, “l’interesse in sede penale non è basato sul concetto di soccombenza, quanto, piuttosto, su una prospettiva utilitaristica, consistente nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, omissis, Rv. 251693 – 01; Sez. U, n. 42 del 03/12/1995, dep. 1996, omissis, Rv. 203093 – 01)”. Da ciò conseguirebbe il limite ai temi deducibili dal terzo, in quanto l’unico aspetto del contendere che lo coinvolge direttamente attiene alla confutazione della sostanziale disponibilità del bene da parte del proposto (Sez. 6, n. 5094 del 09/01/2024, G., Rv. 286058 – 01, par. 3). A sostegno di tale orientamento è stato anche rilevato (Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, leardi, Rv. 280249 – 01) come lo stesso risulti conforme ai principi generali che regolano i requisiti di ammissibilità delle impugnazioni: ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. l’impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi “(…) non ha interesse”. L’interpretazione sistematica di tale disposizione, coordinata con le norme che disciplinano le impugnazioni in materia di misure di prevenzione (artt. 10 e 27 D.Lgs. n. 159 del 2011), implica l’esistenza di un interesse concreto che sussiste solo in relazione alla contestazione della fittizietà dell’intestazione, atteso che, in caso di accoglimento, la restituzione dei beni non spetterebbe al proposto, bensì al terzo intestatario. Tale conclusione non viene inficiata – osserva Sez. 5, leardi – dalle previsioni dell’art. 18, commi 2 e 3, D.Lgs. cit., secondo cui, in caso di morte del proposto, “il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa” (art. 18, comma 2) e la richiesta può essere proposta “nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare” (art. 18, comma 3). Oltre al fatto che le richiamate disposizioni hanno carattere speciale “insuscettibile di interpretazione estensiva”, si rileva che l’interesse dei terzi intestatari a censurare anche i profili inerenti ai presupposti oggettivi e soggettivi della misura si lega, per un verso, all’impossibilità del proposto di difendersi e, per altro, alla particolare qualità da essi rivestita. Sez. 1, J., cit., a sua volta, sottolinea come la carenza di interesse del terzo intestatario, che abbia dedotto anche l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, emergerebbe in ogni caso ove, affrontando le questioni dal terzo proposte in ordine logico, risultasse in giudizio la fittizietà della titolarità dei beni: in sostanza, stabilita nei suoi confronti la estraneità alla proprietà dei beni, la delibazione delle ulteriori questioni non potrebbe avere per lui utilità concreta. In mancanza di prova dell’effettiva titolarità del bene, ove pure venisse accolto il ricorso del terzo avente ad oggetto i presupposti soggettivi e oggettivi della misura personale e patrimoniale, la conseguenza sarebbe la revoca della confisca, con restituzione al soggetto ritenuto effettivo titolare, vale a dire il proposto. Ne conseguirebbe che il terzo non otterrebbe alcun risultato concretamente utile. D’altro canto, in modo simmetrico, si osserva che è stato ritenuto inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto che si limiti a dedurre l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva del bene in capo al terzo intestatario, mentre è stato ritenuto ammissibile il ricorso, sempre del proposto, che, senza negare l’esistenza del rapporto fiduciario, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all’ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l’applicazione del provvedimento (Sez. 6, n. 40176 del 17/09/2024, omissis, non mass.; Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, omissis, Rv. 281389 – 01; Sez. 1, n. 50463 del 15/06/2017, omissis, Rv. 271822 – 01; Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, omissis, Rv. 266141 – 01; Sez. 6, n. 48247 del 01/12/2015, omissis, Rv. 265767 – 01). (…) Il secondo orientamento minoritario sostiene che, in tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato e ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto. Così si è espressa Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, omissis, non mass, sul punto, che ha ravvisato l’interesse a ricorrere del terzo interessato allorché l’impugnazione sia concretamente idonea a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante. Tale nozione, osserva Sez. 1 omissis, trova origine in Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, omissis, Rv. 275953 – 02, che hanno chiarito come la sussistenza dell’interesse ad impugnare debba fondarsi sulla prospettazione contenuta nel mezzo di impugnazione e non sull’effettiva fondatezza della pretesa azionata. Nel caso esaminato da Sez. 1, omissis, cit., il terzo interessato rivendicava l’effettiva “contitolarità” dei beni sequestrati, oltre a contestare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione nei confronti del proposto, dal che la ritenuta legittimazione ad impugnare, in ragione dell’orientamento, condiviso dalla pronuncia in esame, iniziato da Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272608 – 01 (nello stesso senso, Sez. 5, n. 10407 del 12/12/2018, dep. 2019, omissis, non mass.). Tale ultima decisione ha sottolineato la specificità delle misure di prevenzione rispetto al sequestro e alla confisca penale e ha ritenuto che il terzo possa contestare l’esistenza dei presupposti per l’adozione della misura di prevenzione nei confronti del proposto, sia quello soggettivo della pericolosità sociale, sia quello oggettivo inerente alla sproporzione di valore fra i beni e la capacità economica di fonte lecita o all’omessa valutazione della lecita provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto del bene. La sentenza in esame ha, quindi, riconosciuto la sussistenza di un interesse del terzo a censurare i presupposti oggettivi e soggettivi della misura di prevenzione, sempre che vi sia, però, la contestuale rivendicazione della proprietà dei beni e la contestazione della loro fittizia intestazione. Si osserva, quindi, che l’orientamento interpretativo prevalente “risentirebbe di una considerazione ex post della sorte dei motivi di impugnazione secundum eventum litis, che invece debbono essere valutati ex ante nella loro attitudine distruttiva della pretesa fatta valere, e che quindi, nel rispetto del fondamentale diritto di difesa, possono essere anche articolati su piani concorrenti e/o graduati”. La medesima sentenza si è soffermata sull’atto simulato. In proposito argomenta che non si può ritenere che l’intestazione simulata di un bene costituisca di per sé una situazione illecita, se non è preordinata al conseguimento di fini contrari alla legge, se il reale proprietario dissimulato non è un soggetto socialmente pericoloso o autore di gravi delitti e se i beni non hanno provenienza illecita, come del resto conferma la disciplina civilistica della simulazione ex artt. 1414 e ss. cod. civ. Da ultimo, sposa l’orientamento minoritario anche Sez. 6, n. 45849 del 30/10/2024, omissis, non mass., secondo cui comprimere la facoltà del terzo di contrastare i presupposti soggettivi della misura che incidono, significativamente, sul diritto di proprietà si pone in contrasto con il rispetto del principio del contraddittorio, elevato a principio cardine di ogni processo dagli artt. 6 CEDU e 111 Cost., e con l’osservanza delle garanzie da riconoscersi al diritto di difesa, in tutte le possibili estrinsecazioni. A supporto di tali conclusioni, la decisione richiama anche la recente Direttiva 2024/1260/UE, che si occupa, in più punti, della posizione dei terzi, prevedendo che ne vengano garantiti i diritti di difesa.
(…) Un terzo orientamento, che può ritenersi intermedio, prevede due diverse declinazioni, che si sono progressivamente evolute. (…) La prima, espressa da Sez. 5, n. 8984 del 19/01/2022, omissis (non mass, sul punto e che richiama Sez. 1, n. 13375 del 20/09/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272703 – 01), ritenuta dall’ordinanza di rimessione più vicina all’orientamento maggioritario perché comunque “a maglie strette”, consente al terzo di interloquire sulla confiscabilità del bene solo con riferimento alla “perimetrazione temporale della pericolosità del proposto, quando il bene confiscato fuoriesca da essa, nelle misure di prevenzione, o esorbiti il canone della ragionevolezza, nella confisca c.d. allargata, ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen.” Si ritiene, pertanto, che il terzo intestatario possa “essere ammesso a documentare la datazione del suo acquisto per espungerla dall’area temporale della pericolosità del proposto; pericolosità che, dunque, viene in esame soltanto in via mediata e non già come motivo principale di censura consentito al ricorrente che sia terzo intestatario fittizio”. In termini si sono espresse anche Sez. 1, n. 12478 del 21/11/2023, dep. 2024, omissis, non mass., sia pure in forma di obiter, e Sez. 5, n. 513 del 14/10/2022, dep. 2023, omissis, non mass., che tende a favorire l’accettazione del nuovo orientamento, prospettandolo quale “più recente e condivisibile lettura della (…) linea interpretativa maggioritaria”. (…) La seconda declinazione riconosce l’interesse del terzo a censurare i presupposti oggettivi della confisca di prevenzione, escludendo solo quelli soggettivi, riguardanti la pericolosità sociale del proposto. Si colloca in quest’ambito, Sez. 1, n. 19094 del 15/12/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 281362 – 01 – in tema di confisca ex art. 240-ó/s cod. pen., ma i cui argomenti sono estesi alle misure di prevenzione -, secondo cui il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre la fittizietà dell’intestazione, anche la mancanza dei presupposti legali per la confisca, tra cui la ragionevole distanza temporale tra acquisto del bene e commissione del reato che legittima l’ablazione. La pronuncia – che riguardava, in fase di esecuzione, la sola doglianza del terzo rimasto estraneo alla fase di cognizione – richiama, anzitutto, il principio di effettività della tutela giurisdizionale da assicurare al terzo, sancito dalle fonti convenzionali e costituzionali, a fronte di procedure tese alla ablazione della proprietà. Si osserva come sia da evitare il frazionamento delle facoltà difensive, limitando quelle del terzo alla sola possibilità di introdurre elementi tesi ad incrinare la prospettata fittizietà della intestazione del bene, e sia, invece, necessario ammettere le doglianze rivolte a contestare i presupposti oggettivi della confisca. Per la sentenza in esame, quindi, il terzo deve poter contestare i presupposti oggettivi della confisca, quand’anche gli stessi siano già stati oggetto di contraddittorio su impulso dell’imputato/proposto, poiché altrimenti si finirebbe col presumere la fittizietà della titolarità, invero non ancora definitivamente accertata. D’altra parte, osserva Sez. 1, omissis, l’effettività della tutela giurisdizionale del terzo non può spingersi, con riguardo alle misure di prevenzione, fino a consentire il sindacato sulla pericolosità sociale del proposto, trattandosi di diritto di difesa esclusivo di tale ultimo soggetto, con esclusione dei casi di decesso del proposto (in termini, Sez. 6, n. 39228 del 16/09/2024, omissis, non mass.). Aderisce a questa stessa impostazione, sempre in un caso di incidente di esecuzione promosso dal terzo rimasto estraneo al giudizio di cognizione, anche Sez. 2, n. 25529 del 03/06/2022, omissis, non. mass., la quale pone, però, l’attenzione non sulla perimetrazione temporale della pericolosità del proposto, bensì sulla ritenuta sproporzione valoriale tra capacità finanziarie e investimenti, ferma restando la titolarità del diritto di difesa sul fatto di reato o sulla condizione di pericolosità esclusivamente in capo all’accusato e non a soggetti diversi. Nella medesima prospettiva volta a riconoscere al terzo intestatario la possibilità di contestare, quanto meno, i presupposti oggettivi della confisca di prevenzione, pare porsi anche l’ordinanza di rimessione che richiama, al riguardo, l’ambito normativo unionale, disciplinato dalla Direttiva 2014/42/UE e, più di recente, dalla Direttiva 2024/1260/UE che prevede la novità, rispetto alla precedente, della confisca di patrimonio ingiustificato collegata a condotte criminose (art. 16) – categoria nella quale potrebbe confluire la confisca di prevenzione – e introduce anche uno statuto dettagliato per i terzi interessati. A questo proposito, si richiama il considerando 48 della Direttiva 2024/1260/UE ove si prevede che l’interessato – nozione in cui rientra il terzo destinatario di confisca disposta nei confronti del proposto, ex art. 3, n. 10), lett. c) – abbia l’effettiva possibilità di contestare il provvedimento di confisca, con impugnazione dinanzi a un organo giurisdizionale, e si sancisce che le contestazioni comprendano “anche i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili sulla base dei quali i beni in questione sono considerati come derivanti da condotte criminose”. Secondo i giudici rimettenti, quest’ultimo riferimento ai “fatti specifici” e agli “elementi di prova” sulla relazione fra condotte criminose e beni confiscati potrebbe evocare la possibilità della contestazione, da parte del terzo, quanto meno dei presupposti oggettivi della confisca di prevenzione. Inoltre, il considerando 48 sembra costituire una chiave interpretativa dell’art. 24 della Direttiva, che regola i mezzi di ricorso, disponendo che “le persone interessate dai provvedimenti di congelamento di cui all’art. 11 e dai provvedimenti di confisca di cui agli artt. da 12 a 16 godano del diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale al fine di salvaguardare i propri diritti”. In particolare, il secondo comma di tale enunciato richiede agli Stati di assicurare i diritti di difesa, compresi il diritto di accesso al fascicolo, il diritto a essere ascoltati su questioni di diritto e di fatto e, se del caso, il diritto all’interpretazione e alla traduzione, anche alle persone interessate dalla confisca per patrimonio ingiustificato collegato a condotte criminose, ai sensi dell’art. 16”.
Ciò premesso, le Sezioni Unite ritenevano come andasse data continuità all’orientamento maggioritario che, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, ammette che quest’ultimo possa rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati.
Al riguardo, gli Ermellini reputavano prima di tutto opportuno evidenziare che il procedimento di prevenzione presenta, rispetto al processo penale, connotazioni e finalità del tutto autonomi, al punto che, anche alla luce delle varie riforme succedutesi nel tempo, è ormai incontestata la piena autonomia delle cadenze, delle acquisizioni e degli epiloghi decisori che contraddistinguono il primo rispetto al secondo, notando però al contempo come ciò non tolga, tuttavia, che, trattandosi di un procedimento giurisdizionale che coinvolge profili attinenti ai diritti fondamentali, costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, alcuni principi generali, quali la imparzialità del giudice, il diritto di difesa, la “equità” del rito, la scansione per gradi e l’impulso pubblico alla relativa celebrazione, finiscano per trovare una naturale allocazione, anche se, per ciascuno dei principi evocabili, la proiezione del procedimento finisca per calibrarne l’essenza visto che, come ha ricordato la Corte costituzionale (sentenza n. 24 del 2019), l’esecuzione delle misure di prevenzione comporta una restrizione della libertà personale sancita dall’art. 13 Cost.; restrizione che certamente consegue alle prescrizioni che ineriscono alla sorveglianza di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 8, comma 2, D.Lgs. n 159 del 2011, le quali – anche laddove non sia disposto l’obbligo o il divieto di soggiorno – determinano, ad esempio, l’obbligo di fissare la propria dimora e di non allontanarsene senza preventivo avviso all’autorità, nonché il divieto di uscire o rincasare al di fuori di certi orari. Conseguentemente, i giudici di piazza Cavour facevano discendere da quanto appena esposto come le misure in questione intanto possano considerarsi legittime, in quanto rispettino i requisiti cui l’art. 13 Cost. subordina la liceità di ogni restrizione alla libertà personale, tra i quali vanno in particolare sottolineate la riserva assoluta di legge (rinforzata, stante l’esigenza di predeterminazione legale dei “casi e modi” della restrizione) e la riserva di giurisdizione”.
Quanto, poi, alle misure patrimoniali, si faceva presente come la Consulta non abbia mancato di puntualizzare come “pur non avendo natura penale, sequestro e confisca di prevenzione restano peraltro misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addiz. CEDU)”, dovendo, pertanto, essere soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione dei diritti in questione, tra cui – segnatamente -: a) la loro previsione attraverso una legge (artt. 41 e 42 Cost.) che possa consentire ai propri destinatari, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte EDU sui requisiti di qualità della “base legale” della restrizione, di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure (art. 1 Prot. addiz. CEDU); b) la necessità della restrizione rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti (art. 1 Prot. addiz. CEDU) e, pertanto, la proporzione rispetto a tali obiettivi, requisito di sistema anche nell’ordinamento costituzionale italiano per ogni misura della pubblica autorità incidente sui diritti dell’individuo, alla luce dell’art. 3 Cost.; c) l’applicazione quale esito di un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – rispetti tuttavia i canoni generali di ogni “giusto” processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 CEDU, nel suo “volet c/V/7”), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta.
Da tutto ciò si giungeva all’ulteriore considerazione secondo cui l’azione di prevenzione, che si esprime attraverso una “proposta” formulata ai sensi degli artt. 5 e 17 del D.Lgs. n. 159 del 2011, mira all’applicazione di determinate misure nei confronti di soggetti che rispondano a requisiti di pericolosità o il cui patrimonio risulti in tutto o in parte frutto di non giustificato accumulo, derivante proprio da quelle condizioni soggettive, riconducibile a condotte illecite o legalmente presunte tali.
La regiudicanda di prevenzione, dunque, per la Corte di legittimità, essendo un soggetto e un oggetto definiti, produceva già un primo e significativo corollario: il destinatario della misura di prevenzione è parte necessaria (e ineludibile) del procedimento di prevenzione, tanto se esso abbia ad oggetto l’applicazione di una misura di prevenzione personale, quanto se esso concerna l’applicazione di una misura di carattere patrimoniale.
Del resto, a sostegno di codesto assunto, il Supremo Consesso reputava come il dato normativo, d’altra parte, apparisse essere univocamente orientato in questo senso, visto che gli artt. 4 e 16 D.Lgs. n. 159 del 2011 chiamano in causa i “soggetti destinatari” delle misure di prevenzione, definendoli sul piano dei “requisiti” soggettivi che costituiscono i presupposti indefettibili per legittimare i titolari del potere di “azione-proposta” ad attivare la domanda di intervento giurisdizionale di prevenzione proprio (ed esclusivamente) “nei confronti” di quelle persone, tenuto conto altresì del fatto come sia in tale senso perspicuo, anche, il valore semantico da annettere alle espressioni che cadenzano il rito nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria, secondo la previsione dettata dall’art. 7 del richiamato codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.
Il primo comma di tale disposizione, in effetti, prevede la celebrazione del procedimento in pubblica udienza “quando l’interessato ne faccia richiesta”: interessato che non può che coincidere con il soggetto nei confronti del quale la proposta è formulata, alla luce della ratio della previsione, originata dalle note decisioni della Corte EDU sulla cui base la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 93 del 2010) ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e dell’art. 2-ter legge 31 maggio 1965, n. 575, nella parte in cui non consentivano che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolgesse, davanti al Tribunale e alla Corte d’Appello, nelle forme dell’udienza pubblica mentre, ai sensi del secondo comma, solo nei confronti dell’”interessato”, ossia tecnicamente il proposto, è stabilito l’obbligo dell’assistenza da parte di un difensore di ufficio cui notificare l’avviso di udienza (ove non sia stato designato uno di fiducia).
Testuale, del resto, è poi la distinzione tra le “parti” del procedimento e le “altre persone interessate”, dal momento che il presidente è chiamato a comunicare o notificare, distintamente, a ciascuno di tali differenti soggetti (uno solo dei quali annoverabile, evidentemente, nella categoria della “parte” privata necessaria) l’avviso di fissazione della data dell’udienza fermo restando che, solo con riguardo al destinatario della misura l’art. 7, secondo comma, D.Lgs. cit. prevede che l’avviso di udienza debba contenere, oltre alla data, all’ora e alla facoltà di presentare memorie (come previsto per i terzi in esame), anche “la concisa esposizione dei contenuti della proposta”, facendo così riferimento ad una sorta di contestazione relativa ai presupposti sui quali la richiesta di misura e, dunque, l’azione di prevenzione, si fonda.
Analogamente, sempre ad avviso del Supremo Consesso, solo per il proposto ed il suo difensore il quinto comma del già menzionato articolo prevede il rinvio dell’udienza in caso di legittimo impedimento, denotandosi contestualmente come ali disposizioni trovaino applicazione, in quanto compatibili (cfr. art. 23 del codice antimafia), anche nel procedimento applicativo di una misura di prevenzione patrimoniale.
Nelle disposizioni specificamente dettate dal D.Lgs. n. 159 del 2011 in ordine all’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, tra l’altro, si ricavano ulteriori elementi che differenziano il soggetto destinatario della misura e il terzo, dal momento che, se i termini di efficacia del sequestro previsti dall’art. 24, comma 2, D.Lgs. cit. (e 27, comma 6, D.Lgs. cit., per il giudizio di appello) sono sospesi per le medesime cause previste per i termini della custodia cautelare, riferibili al solo proposto e al suo difensore, l’allegazione sulla legittima provenienza dei beni è attribuita al proposto, essendo postulato testualmente che “Il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza” (art. 24, comma 1, D.Lgs. cit.).
Le allegazioni relative alla sproporzione e alla provenienza illecita dei beni, dal canto loro, spettano esclusivamente al proposto, tanto che il secondo periodo del primo comma dell’art. 24 D.Lgs. cit., prevede espressamente che “in ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale”.
Ma, per la Cassazione, v’è di più.
È invero lo stesso art. 23 D.Lgs. cit., che, nel secondo comma, espressamente enuclea la posizione dei “terzi” che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, stabilendone la “chiamata” ad “intervenire all’udienza in camera di consiglio: tale locuzione è espressiva, sul piano processuale, di uno ius ad loquendum diverso da quello che caratterizza il diritto di “partecipare” come parte.
Dunque, per gli Ermellini, i “terzi” restano tali anche sul piano del rito, giacché la loro legittimazione (ancor prima di qualsiasi richiamo alla categoria dell’interesse) è circoscritta alla posizione di diritto sostanziale che essi vantano sui beni oggetto del sequestro e del futuro provvedimento ablatorio di confisca.
D’altronde, è ben vero che il terzo comma della disposizione ora in esame, nel tracciare i poteri processuali di quanti sono chiamati a “intervenire” nel procedimento, si esprime in termini del tutto generici, stabilendo che costoro possono “svolgere le loro deduzioni, con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca”, non consentendo, quindi, di delimitare ex ante il contenuto dei relativi petita, così com’è altrettanto vero che il loro “titolo” partecipativo è circoscritto al diritto di cui sono (o appaiono essere) portatori, giacché, altrimenti, non vi sarebbe più alcuna distinzione tra il destinatario della proposta – indiscutibile parte necessaria del procedimento – e coloro che, in via del tutto eventuale, vantino diritti sui beni sequestrati, come pure è ulteriormente specificato dal quarto comma dello stesso art. 23 D.Lgs. cit..
Il ragionamento non cambia del resto anche – e forse soprattutto – ove vengano in discorso, come nel caso concreto, terzi la cui titolarità dei beni sia frutto di asserita intestazione fittizia, essendo al riguardo dirimente osservare che a norma dell’art. 26 D.Lgs. cit., laddove venga accertato che tutti o parte dei beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, il giudice con il provvedimento che dispone la confisca dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione.
Il secondo comma della medesima disposizione, dal canto suo, stabilisce, poi, una serie di ipotesi in cui i trasferimenti si presumono, fino a prova contraria, fittizi, il che – contrariamente a quanto previsto dall’art. 1414 cod. civ. che si limita a stabilire l’inefficacia del contratto simulato fra le parti – configura, per la Corte, nel caso di confisca di prevenzione, l’interposizione fittizia come contratto contra legem, in quanto teso a frustrare la funzione preventiva della confisca volta a ripristinare la effettiva “legalità” del patrimonio del proposto il quale, in forza della sua pericolosità sociale, abbia illecitamente acquisito la titolarità effettiva del cespite, da assoggettare, conseguentemente, al provvedimento di ablazione, tanto più se si considera che, diversamente ragionando, il terzo intestatario fittizio vedrebbe la propria legittimazione ad intervenire nel procedimento di prevenzione circoscritta alla contestazione della ritenuta fittizia intestazione dei beni.
Se, pertanto, la titolarità fittizia equivale a nessuna titolarità, ciò vuol dire che il terzo è legittimato esclusivamente a dimostrare la coincidenza tra situazione formale e situazione sostanziale, essendo questo l’unico tema del contendere in capo al soggetto fittiziamente “interposto”.
Oltre a ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano per di più che, pure nella giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di procedimento di prevenzione, è dato cogliere spunti di differenziazione tra la posizione del soggetto destinatario della misura e quella del terzo, essendo stato sottolineato che, nel procedimento di prevenzione per l’applicazione di misure reali, l’omessa citazione del terzo, a differenza della vocatio del proposto, non determina la nullità del procedimento, ma una semplice irregolarità che non inficia il procedimento medesimo, e quindi l’applicazione della misura, ferma restando la facoltà dell’extraneus di esplicare – successivamente e in modo compiuto – le sue difese provocando un incidente di esecuzione (Sez. 5, n. 4743 del 14/11/2024, e Sez. 1, n. 6742 del 20/11/2024; Sez. 6, n. 26346 del 09/05/2019; Sez. 1, n. n. 1686 del 21/04/2010; Sez. 1, n. 28032 del 22/06/2007), oltre a essere stato affermato, con orientamento consolidato, che il terzo interessato, in quanto portatore di un interesse meramente civilistico, può stare in giudizio solo a mezzo di difensore munito di procura speciale alle liti ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen., soggiacendo alla regola della domiciliazione ex lege presso quest’ultimo, al pari di quanto previsto nel processo civile dall’art. 83 cod. proc. civ. (Sez. 6, n. 30637 del 09/07/2024; Sez. 5, n. 4357 del 21/10/2022; Sez. 5, n. 22623 del 03/05/2022; Sez. 5, n. 880 del 26/11/2020).
Il ricorso a tale mandato speciale, quindi, per le Sezioni unite, poggia sulla sostanziale “estraneità” del terzo alla domanda di prevenzione e al conseguente giudizio instaurato nei confronti di coloro che manifestano (o hanno manifestato) una condizione di pericolosità, al pari di quanto avviene nel processo penale per le parti private diverse dall’imputato, la cui partecipazione al giudizio, riguardando rapporti e interessi di natura civilistica, mutua anch’essa la propria disciplina dalle regole che presiedono il processo civile, essendo, quindi, “la natura eventuale della partecipazione del terzo al giudizio di prevenzione che richiede che questi conferisca al difensore una procura speciale, che attesti sia la volontà di partecipare, che i suoi limiti” (Sez. 2, n. 13723 del 30/11/2022), in perfetta simmetria con quanto stabilito dall’art. 7 D.Lgs. n. 159 del 2011 che esclude che il terzo possa avvalersi di un difensore di ufficio.
Tal che se ne faceva discendere che l’interesse del terzo a prendere parte al giudizio di prevenzione non può che risiedere nella scelta di tutelare nell’ambito di tale sedes il proprio interesse a dimostrare l’effettiva titolarità del bene di cui si assume la fittizietà.
Sempre ad avviso del Supremo Consesso, per giunta, ulteriori elementi di sostegno a tale conclusione possono rinvenirsi nella recente decisione della Corte EDU, 20/01/2025, Garofalo e altri c. Italia visto che, in tale pronuncia, la Corte di Strasburgo, sulla base di un’attenta ricostruzione del quadro normativo di riferimento e delle puntualizzazioni offerte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ha svolto importanti notazioni circa la ratio e la funzione della confisca di prevenzione.
Al riguardo, infatti, la Corte EDU ha osservato come tale misura richieda un apprezzamento diagnostico orientato a verificare se, in un determinato periodo, il proposto abbia, in via presuntiva e sulla base di determinati indici di riconoscimento, conseguito la disponibilità di beni di valore eccedente rispetto al reddito lecitamente conseguito e la cui origine lecita non possa essere dimostrata.
Dunque, osserva la Corte europea, la misura ablatoria assolve ad una funzione di prevenzione in senso generale, tesa a far comprendere che “il crimine non paga”, trattandosi di un intento, questo, peraltro non dirimente agli effetti della individuazione della natura della confisca, in quanto indifferentemente presente tanto nelle misure di carattere punitivo che in quelle che perseguono obiettivi diversi dal momento che il fattore determinante, sempre secondo siffatta Corte, per individuare la natura non punitiva della confisca è, invece, la sua funzione ripristinatoria (par. 126-133), osservandosi in proposito che la misura in questione presenta vari elementi che la rendono comparabile alle misure (civili) volte ad impedire l’arricchimento ingiustificato, piuttosto che alle sanzioni di natura penale dato ch Lol scopo della confisca è quello di rimuovere dal circuito economico legale beni acquisiti illecitamente; sicché il nucleo portante della misura finisce per ruotare attorno al bene piuttosto che alla persona, come d’altra parte traspare dalla circostanza che la confisca, a certe condizioni, può essere disposta anche nei confronti di beni appartenenti a terzi che li abbiano ereditati o acquistati.
In questo contesto la Corte EDU precisa, peraltro, che la misura trova applicazione solo per i beni di cui è presunta l’origine illecita, al precipuo scopo di impedire l’arricchimento ingiusto, venendo al riguardo richiamati i parametri elaborati con orientamento costante in sede di giustizia costituzionale, vale a dire: la c.d. correlazione temporale, in base alla quale la misura può aggredire solo i beni acquisiti durante il periodo in cui il proposto ha presumibilmente commesso reati lucrogenetici; il rapporto di proporzione tra profitti illeciti e il valore dei beni da confiscare (cfr. in tal senso anche Corte cost., sent. n. 24 del 2019).
Orbene, alla stregua di tali principi, la Corte di Strasburgo conclude che la confisca mira a garantire che il crimine “non paghi” e a prevenire l’arricchimento ingiusto (“ensure that crime does not pay and to prevent unjust enrichment”), sottraendo all’individuo interessato e ai terzi che non abbiano un valido diritto sui beni da confiscare i profitti derivanti da attività criminali.
Di conseguenza essa ha natura ripristinatoria e non punitiva (“restorative and not punitive nature”). Ciò postula una correlazione necessaria tra il quadro patrimoniale preesistente all’ablazione e la sua riconduzione a legalità, attraverso (e nei limiti) della confisca.
In altri termini, la confisca di prevenzione vede – proprio per soddisfare la sua funzione – patrimonio di sospetta origine illecita e proposto legati fra loro da una corrispondenza biunivoca, rispetto alla quale il terzo fittizio intestatario assume una qualità eventuale ed accessoria, in quanto, in presenza dei relativi presupposti, l’azione di prevenzione è destinata a prevalere sulla titolarità apparente dei beni oggetto di confisca.
Logico corollario che se ne può trarre è quindi, per la Suprema Corte, che, soltanto ove l’intestatario che si assume fittizio rivendichi la propria qualità di titolare effettivo dei beni, la sua qualità di proprietario reale può legittimare il suo “intervento” nel procedimento di prevenzione, secondo le linee e nei limiti tratteggiati dal già esaminato art. 23 del codice antimafia.
Ordunque, dopo essere fatto presente che, come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, i diversi orientamenti interpretativi hanno fondato le loro conclusioni sulla nozione di interesse ad impugnare, declinata in termini non sempre convergenti e talora impropriamente sovrapposta a quella di legittimazione, le Sezioni unite stimavano opportuno svolgere alcune puntualizzazioni su tale aspetto, utili, a loro avviso, per la soluzione dell’odierno contrasto, il che era effettuato nella susseguente maniera: “Ancorché concettualmente interdipendenti, dovendo la domanda essere assistita da entrambi i requisiti, legittimazione ed interesse sono nozioni diverse: la legittimazione è correlata alla titolarità di una situazione giuridica soggettiva astrattamente meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, mentre l’interesse postula che, mediante l’impugnazione, si consegua, in termini di concretezza ed attualità, un’utilità mediante la rimozione del pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato. Preliminarmente occorre, quindi, accertare se chi ha proposto l’impugnazione sia o meno titolare di un interesse qualificato legittimante l’azione proposta. La verifica della legittimazione precede logicamente quella dell’interesse. Infatti, solo dopo avere accertato la sussistenza di una situazione giuridica soggettiva rilevante per l’ordinamento si deve stabilire se l’azione proposta possa comportare, in termini di concretezza ed attualità, la modifica della sfera giuridica del ricorrente. L’interesse a impugnare (art. 568, comma 4, cod. proc. pen.), quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve, quindi, essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento e sussiste solo se il mezzo dì impugnazione proposto sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione dell’atto pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (cfr., Sez. U, n. 28911 del 28/09/2019, omissis, Rv. 275953-02; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, omissis, Rv. 244110 – 01; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, omissis, Rv. 239397 – 01; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, omissis, Rv. 206169 – 01; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, omissis, Rv. 203093 – 01; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, omissis, Rv. 202269 – 01; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, omissis, Rv. 202018 – 01; Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, omissis, Rv. 193743 – 01). Sono questi gli elementi qualificanti dell’interesse ad impugnare e il criterio di misurazione dello stesso, visto sia in negativo (rimozione di un pregiudizio) che in positivo (conseguimento di una utilità), è un criterio comparativo tra dati processuali concretamente individuabili: il provvedimento impugnato e quello che il giudice ad quem potrebbe emanare in accoglimento dell’impugnazione (cfr., Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, omissis, Rv. 251693 – 01). (…) Le considerazioni sinora svolte rilevano ai fini della soluzione del quesito posto. Il terzo che si assume intestatario fittizio del bene oggetto di confisca è legittimato ad intervenire nel procedimento di prevenzione solo per rivendicare la qualità di proprietario effettivo del bene oggetto di ablazione e, quindi, di titolare di una situazione astrattamente meritevole di tutela secondo l’ordinamento. Il suo interesse sussiste in termini di “concretezza” e “attualità”, laddove mediante l’impugnazione si miri ad ottenere l’annullamento della confisca con riferimento alla fittizietà dell’intestazione e il riconoscimento della propria posizione giuridica qualificata. La domanda attraverso la quale il terzo rivendica la titolarità effettiva del bene deve essere accompagnata dalla specificazione degli elementi che fondano il suo diritto e che in via diretta e immediata comprovano la propria titolarità non fittizia. Al contrario, la contestazione da parte del terzo della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del proposto, oltre a provenire da soggetto non legittimato, sarebbe sorretta da un interesse di mero fatto, derivante indirettamente dall’esito della procedura principale, cui l’ordinamento non attribuisce rilievo giuridico alla luce delle considerazioni in precedenza svolte (così, tra le altre, cfr.: Sez. 2, omissis, cit.; Sez. 6, omissis, cit.; Sez. 6, omissis, cit.; Sez. 6, n. 48761 del 14/11/2023, omissis, cit.; Sez. 1, omissis, cit.; Sez. 6, omissis, cit.). Di conseguenza, l’interesse del terzo a prendere parte al giudizio di prevenzione risiede nella richiesta di riconoscimento della proprietà effettiva del bene di cui il provvedimento impugnato assume l’intestazione fittizia al terzo stesso”.
Terminato codesto excursus di ordine giurisprudenziale, i giudici di legittimità ordinaria, a questo punto della disamina, affermavano come l’esegesi, volta ad escludere che l’intervento partecipativo del terzo possa estendersi fino a contestare i presupposti applicativi della misura, trovi conferma anche nelle fonti internazionali e nel diritto unionale, citandosi all’uopo i seguenti precetti normativi: “L’art. 12 (Confisca e sequestro) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (adottata dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 con la Risoluzione n. 55/25 e aperta alla firma a Palermo il 12 dicembre 2000), al settimo comma, stabilisce che “Gli Stati Parte possono considerare la possibilità di richiedere che un reo dimostri l’origine lecita dei presunti proventi di reato o altri beni che possono essere oggetto di confisca, nella misura in cui tale richiesta è coerente con i princìpi del loro diritto interno e con la natura del procedimento giudiziario e di altri procedimenti”. L’ottavo comma prevede poi che “L’interpretazione delle disposizioni del presente articolo non deve ledere i diritti dei terzi in buona fede”. Analogamente l’art. 31 (Congelamento, sequestro e confisca) della Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003 e aperta alla firma a Merida dal 9 all’ 11 dicembre dello stesso anno, all’ottavo comma stabilisce che “Gli Stati Parte possono esaminare la possibilità di esigere che l’autore di un reato dimostri l’origine illecita dei presunti proventi del crimine o di altri beni confiscabili, nella misura in cui tale esigenza è conforme ai principi fondamentali del loro diritto interno ed alla natura dei procedimenti giudiziari e di altri procedimenti”. Il successivo nono comma sancisce che “L’interpretazione delle disposizioni del presente articolo non deve in alcun caso pregiudicare i diritti di terzi in buona fede”. Dalle disposizioni indicate emerge la tutela dei “terzi in buona fede” che non possono essere pregiudicati dalla confisca e a cui è consentito allegare la propria buona fede e, dunque, l’effettivo diritto di proprietà sul bene ritenuto nella disponibilità dell’autore del reato. Alle medesime conclusioni si giunge esaminando le disposizioni dettate in materia dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, conclusa a Strasburgo, l’8 novembre 1990. L’art. 22 (Riconoscimento delle decisioni straniere), al primo comma, prevede che “Nell’esaminare le richieste di cooperazione ai sensi delle sezioni 3 e 4, la Parte richiesta riconosce qualsiasi decisione giudiziaria presa nella Parte richiedente per quanto riguarda i diritti rivendicati dai terzi”. Il secondo comma precisa che “Il riconoscimento può essere rifiutato se: a) i terzi non hanno avuto sufficiente possibilità di far valere i propri diritti”. L’art. 27, relativo al contenuto della richiesta di cooperazione in ordine alla confisca, al terzo comma, lett. c), dispone che debbano contenere l’indicazione “se i terzi hanno avuto la possibilità di rivendicare i propri diritti, documenti che comprovino tale circostanza”. La Convenzione indica che non vi è assimilazione con l’autore del reato in quanto il terzo, colpito dalla confisca, deve avere avuto sufficiente possibilità di far valere i propri diritti; ossia i diritti che egli può “rivendicare” in quanto proprietario. (…) Con riferimento al diritto dell’Unione europea, viene in rilievo la recente Direttiva 2024/1260/UE del 24 aprile 2024 sulla confisca che andrà attuata in tutti gli Stati membri entro il 23 novembre 2026. La nuova Direttiva – che ha sostituito, ad ogni effetto, i precedenti strumenti di normazione comunitaria quali “l’azione comune 98/699/GAI del Consiglio, la decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, la decisione quadro 2005/212/GAI, la decisione 2007/845/GAI e la direttiva 2014/42/UE” – persegue la finalità di armonizzare le legislazioni degli Stati membri sul tema della confisca in materia penale. Nel sottolineare al considerando 7 come “in questo contesto, il termine “procedimento in materia penale” è un concetto autonomo del diritto dell’Unione interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ferma restando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”, la Direttiva introduce, sulla falsariga di modelli già noti nel sistema italiano, due forme di confisca non fondate sulla condanna, una delle quali – menzionata dall’art. 16 e qualificata come “confisca di patrimonio ingiustificato collegato a condotte criminose” – presenta caratteristiche del tutto analoghe alla confisca quale misura di prevenzione patrimoniale antimafia. Senza entrare nel contenuto di dettaglio della disposizione, può affermarsi che il contenuto dei considerando posti a fondamento della Direttiva evidenziano una marcata differenziazione tra chi viene assoggettato, in quanto ritenuto autore dell’illecita accumulazione patrimoniale, alla procedura giurisdizionale destinata a concludersi con la statuizione sulla confisca, nelle sue diverse configurazioni (si vedano, al riguardo, i considerando 29, 34, 46, 47 e 48) e i reali proprietari dei beni, quali soggetti terzi ai quali deve essere assicurata una specifica tutela tesa a salvaguardare la propria posizione, “compreso il diritto a rivendicare la proprietà del bene interessato” (v. considerando 28 e 33). Ad analoghe conclusioni si giunge esaminando lo stesso articolato della Direttiva. L’art. 3, n. 10, lett. c), nel definire la qualità di “interessato” dal provvedimento di confisca, distingue la posizione di colui che subisce la misura ablatoria perché ritenuto autore dell’illecito incremento patrimoniale rispetto al “soggetto terzo i cui diritti in relazione ai beni oggetto di un provvedimento di congelamento o di confisca siano pregiudicati direttamente da tale provvedimento”. Ponendo la disposizione l’accento sulla situazione di carattere sostanziale che lega il terzo al bene, ne definisce al contempo anche l’ambito di intervento nel procedimento, necessariamente limitato a far valere i fatti costitutivi di quel diritto che si assume illegittimamente compromesso. È, inoltre, significativo che la norma preveda la necessità di un pregiudizio “diretto”, da ciò potendo trarsi un ulteriore elemento in ordine al fatto che, simmetricamente, l’interesse di cui il terzo è portatore deve essere anch’esso diretto e, dunque, necessariamente collegato all’effettiva titolarità del bene oggetto della misura. La circostanza che la Direttiva, sul piano delle garanzie difensive, faccia comune riferimento “alle persone interessate dai provvedimenti di confisca”, con particolare riguardo al rispetto dell’obbligo di informazione e alla previsione di mezzi adeguati di ricorso, non sta affatto a significare che la normativa unionale abbia inteso assimilare, sotto il profilo dell’interesse a ricorrere, le diverse posizioni dell’autore dell’illecita accumulazione e quella dei terzi, dovendo l’ambito delle facoltà difensive pur sempre essere riferito alla titolarità del diritto sostanziale che il provvedimento ablatorio verrebbe a compromettere. Del resto, è lo stesso contenuto dell’art. 24, che regola i mezzi di ricorso, che avvalora tale conclusione, laddove, pur affermando che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che le persone interessate dai provvedimenti di congelamento e di confisca di cui agli artt. da 12 a 16 godano di un ampio ed effettivo diritto di difesa, con riguardo alla posizione dei terzi sancisce, al comma 7, che “possono far valere un diritto di proprietà o altri diritti patrimoniali”. Da qui la non pertinenza della tesi che intende desumere dallo strumento normativo sovranazionale un vincolo per l’ordinamento nazionale ad “allargare”, sul versante delle esigenze difensive, l’oggetto delle domande e delle pretese da far valere in sede di prevenzione. Non vi è, dunque, alcun rischio di un preteso “frazionamento” delle facoltà difensive, dal momento che queste debbono essere comprese tra le prospettazioni legittimamente devolvigli e il diritto che il terzo è abilitato a far valere. È dunque in tale ambito, per come si osserverà innanzi, che deve riconoscersi e assicurarsi al terzo – in piena aderenza a quanto espresso al riguardo dalla Direttiva e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2007/C 303/01) – il pieno esercizio del diritto di difesa”.
Terminato anche questo excursus di ordine, in questo caso, normativo, alla luce delle argomentazioni svolte, le Sezioni unite giungevano alla conclusione secondo la quale il ritenuto intestatario fittizio dei beni intanto ha un diritto di interlocuzione nel procedimento di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale in quanto rivendichi un proprio effettivo diritto sui beni oggetto del provvedimento ablatorio, facendosene discendere da ciò la carenza di interesse del terzo a proporre questioni relative ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, quali la condizione di pericolosità dello stesso, la sproporzione tra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, oltre che la legittima provenienza del bene e la perimetrazione temporale dell’acquisto da parte del proposto, trattandosi di doglianze che solo il proposto può avere interesse a far valere.
Di conseguenza, per la Corte di legittimità, andavano disattesi sia l’orientamento minoritario che quelli, alternativi, definiti come “intermedi”, visto che entrambi incorrono nelle obiezioni di cui innanzi si è detto, giacché non si confrontano correttamente con la nozione di legittimazione ed interesse, quali delineati da queste Sezioni Unite con orientamento consolidato.
Con specifico riferimento all’ulteriore orientamento “intermedio” che ammette che il terzo possa contestare la datazione dell’acquisto del bene, laddove una simile prospettazione sia unicamente volta ad espungere il bene dall’area della pericolosità del proposto, siffatte Sezioni osservavano come essa finisca per ridondare in un’inammissibile intervento ad adiuvandum della posizione del proposto.
Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour, reputavano come la corretta perimetrazione della legittimazione e dell’interesse, che fondano l’intervento del terzo nel procedimento di prevenzione patrimoniale, rendesse opportuno soffermarsi anche sugli oneri probatori che gravano sul terzo al fine di confutare la fittizietà dell’intestazione, il che veniva compiuto nei seguenti termini: “Al riguardo, resta fermo che, in tema di sequestro e confisca di beni intestati a terzi correlati all’applicazione di misure di prevenzione, incombe sull’accusa l’onere di provare, sulla base di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, l’esistenza di situazioni idonee ad avallare concretamente il carattere puramente formale di detta intestazione, e, corrispondentemente, la disponibilità effettiva dei beni da parte del proposto. Ciò in quanto – laddove non operino le presunzioni di fittizietà, pur sempre relative, di cui al secondo comma dell’art. 26 D.Lgs. n. 159 del 2011 – deve applicarsi la disciplina generale sulla prova della disponibilità indiretta dei beni in capo al soggetto proposto, in ossequio a quanto previsto dall’art. 20 D.Lgs. cit., secondo cui il Tribunale ordina il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta “risulta” poter disporre direttamente o indirettamente (Sez. 1, omissis, cit.; Sez. 1, n. 6745 del 05/11/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 280528 – 01; Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, omissis, non mass, sul punto, che richiama, sul tema, Sez. 2, n. 6977 del 09/02/2011, omissis, Rv. 249364 – 01). È, infatti, in questa prospettiva che si inscrive l’ampia estensione dei poteri di indagine patrimoniale funzionali all’applicazione della confisca di prevenzione che si rinviene nel D.Lgs. n. 159 del 2011. L’art. 19 D.Lgs. cit. consente, infatti, un’attività investigativa a forma libera, non soggetta a limitazioni temporali, sia da parte degli organi titolari del potere di proposta, sia attraverso le iniziative eventualmente disposte ex officio dal Tribunale durante il corso del procedimento di prevenzione: attività che può essere svolta non solo nei confronti del proposto, ma anche nei confronti dei familiari e di coloro che possono assumere la qualità di terzo intestatario dei beni di cui si ritiene che il primo possa, in tutto o in parte, poter disporre direttamente o indirettamente. Le indagini patrimoniali, infatti, sono dirette a raccogliere qualunque elemento indicativo della fittizia intestazione dei beni, destinato a formare il patrimonio indiziario su cui si fonda la richiesta e l’applicazione della misura della confisca. Intanto, infatti, il giudice, con il decreto che dispone la confisca, può dichiarare la nullità dei relativi atti di disposizione, in quanto abbia “accertato” che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi (art. 26, comma 1, D.Lgs. cit.). Il primo passaggio della catena dimostrativa della scissione tra titolarità formale del bene e impiego delle risorse, inerendo ai presupposti applicativi della misura ablatoria, spetta sempre alla pubblica accusa (ex multis, Sez. 5, Celentano, cit.; Sez. 2, n. 18569 del 12/03/2019, omissis, non mass.; Sez. 1, n. 13375 del 20/9/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272703 – 01). Il terzo, infatti, per definizione, non è il soggetto portatore di pericolosità. Egli, invece, ha un onere di allegazione che consiste nel confutare la tesi accusatoria, secondo la quale egli è un mero intestatario formale, ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua proprietà e nella sua esclusiva disponibilità. E rispetto a tale thema probandum il diritto di difesa del terzo non incontra limitazioni di sorta allorché l’indicazione probatoria sia volta a contestare le circostanze indotte dall’accusa che riverberano sul fatto costitutivo del diritto fatto valere. L’ambito di allegazione da riconoscersi al terzo deve essere il più ampio possibile, altrimenti rendendosi privo di contenuto il diritto azionabile, e deve comprendere tutti i fatti positivi anche contrari o presuntivi rispetto a quelli su cui si fonda la ritenuta disponibilità del bene in capo al proposto. Non solo, pertanto, circostanze volte a dimostrare di avere sostenuto, iure proprio e con esclusione di qualsiasi interferenza determinata dai proventi illeciti del proposto, l’acquisto del bene, ma anche quelle dirette a contestare la valenza indiziante degli elementi ricostruttivi e dichiarativi in forza dei quali si sostiene che l’intestazione del bene sia avvenuta nomine alieno. E a tale fine sarà la dialettica del processo, con il dispiegarsi del contraddittorio, a consentire di ricostruire in maniera esaustiva le vicende relative all’intestazione o al trasferimento del bene al terzo, tenendosi necessariamente conto della specificità di ogni vicenda che, in ragione della natura assai variegata che le contraddistingue, non potrà che formare oggetto di un attento scrutinio riservato al giudice del merito. In un giudizio che coinvolge la proprietà, uno dei diritti fondamentali del sistema giuridico italiano e convenzionale, emerge, infatti, nitida la necessità di un accertamento esaustivo che, in ossequio anche al principio di effettività del diritto di difesa, rifugga da scorciatoie ed automatismi probatori e si fondi su un quadro circostanziato che renda legittima e proporzionata la privazione, nei confronti del proposto e dei terzi che non abbiano un valido diritto sui beni da confiscare, dei profitti derivanti da attività criminali”.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “In caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittizia mente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati, senza poter prospettare l’insussistenza dei presupposti applicativi della misura, deducibile soltanto dal proposto”.
4. Conclusioni: nella confisca di prevenzione di beni fittiziamente intestati a un terzo, questi può rivendicare solo la titolarità, senza poter contestare i presupposti della misura, deducibili esclusivamente dal proposto
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo possa rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni confiscati ovvero sia legittimato a contestare anche i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso.
Le Sezioni unite, difatti, nella decisione qui in commento, a fronte di un contrasto giurisprudenziale insorto su tale questione, reputavano di dare seguito all’orientamento maggioritario, stabilendo che, nella confisca di prevenzione su beni intestati fittiziamente a un terzo, quest’ultimo può far valere solo la propria titolarità dei beni confiscati, senza potere contestare anche i presupposti della misura, deducibili solo dal proposto.
Dunque, alla luce di tale arresto giurisprudenziale, in relazione a tale misura ablatoria, il terzo può rivendicare la sola titolarità dei beni confiscati, senza potere prospettare anche l’insussistenza dei presupposti applicativi della misura, che compete solo al proposto.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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