CONCORDATO STRAGIUDIZIALE

Redazione 02/01/00
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Dott. Ugo Colangelo
1.1 Premessa – 1.2 Elementi e presupposti del concordato stragiudiziale – 1.3 Liceità – 1.4 Prova e patti di preferenza – 1.4 Le insidie del concordato stragiudiziale: vademecum per la sopravvivenza del legale d’azienda.

1.1 Premessa
Un elemento che accomuna tutte le imprese di qualunque dimensione è il problema del recupero crediti. Si tratta di un aspetto della vita aziendale che nelle imprese di grandi dimensione assume un ruolo secondario, stante la possibilità di mandare il credito non riscosso a perdita senza gravi impatti sul bilancio, mentre nelle piccole imprese può creare momentanee e talora anche serie crisi economiche.
Tolta l’ipotesi canonica del ricorso per ingiunzione (laddove il debitore abbia ancora denari e/o beni aggredibili) o dell’istanza di fallimento quali strumenti ad efficacia deterrente, una delle possibilità di recupero prospettate alle aziende creditrici, in caso di paventato o addirittura sopravvenuto stato di insolvenza, è la proposta di concordato stragiudiziale. Tale contratto costituisce una forma di espressione dell’autonomia privata e nasce dal tentativo del debitore di superare lo stato d’insolvenza attraverso la corresponsione di una percentuale variabile della somma dovuta, al fine di evitare la dichiarazione di fallimento o l’assoggettamento ad altra procedura concorsuale. In pratica il concordato stragiudiziale si risolve nella ricerca del consenso dei creditori (tutti) ad un progetto di salvataggio dell’impresa attraverso una serie di accordi a contenuto dilatorio e/o remissorio, comunque subordinati alla mancata dichiarazione di fallimento ed aventi come finalità immediata la rimozione dello stato d’insolvenza.
In questo senso il concordato stragiudiziale presenta punti di contatto con la transazione in quanto in entrambi i casi le parti si fanno reciproche concessioni al fine di comporre un’insorgenda controversia.

1.2 Elementi e presupposti del concordato stragiudiziale.
La dottrina e la giurisprudenza ampiamente hanno dibattuto sulla natura giuridica del concordato stragiudiziale, tuttavia non sono giunte ad una interpretazione unitaria.
Infatti, si è detto, che se la funzione specifica è quella di evitare il fallimento eliminando lo stato di insolvenza, allora, si è obiettato, esistono innumerevoli negozi giuridici che raggiungono la medesima finalità (novazione, mutuo, sale and lease back, liquidazione, aumenti di capitale ecc.).
In realtà in tutti questi casi si confonde la funzione economico-sociale che il concordato stragiudiziale è idoneo a produrre (evitare il fallimento) con i motivi contingenti che possono spingere un imprenditore, ad esempio, a contrarre un mutuo. Si potrà allora chiamare concordato stragiudiziale solo quel solo negozio che è giuridicamente idoneo ad evitare il fallimento eliminando lo stato di insolvenza.
Il tentativo più significativo della dottrina e della giurisprudenza è stato quello di inquadrare il concordato stragiudiziale in un contratto unitario, anche se composto da singoli e separati contratti, funzionalmente collegati tra loro. Si tratta quindi di un contratto plurilaterale, complesso e atipico, a contenuto dilatorio e/o remissorio che sul piano negoziale ha la finalità di rimuovere lo stato di insolvenza del debitore con l’esclusione dal fallimento[1].
Infatti non è un caso che nella prassi quotidiana il concordato stragiudiziale si risolva in una serie di inviti ai creditori a rinunciare ad una percentuale del proprio credito per vedere soddisfatte almeno parte delle proprie ragioni; ciò si traduce in altrettanti accordi con i creditori che sono collegati da un vincolo unitario e da un nesso funzionale. E valga il vero: l’imprenditore che vuole rimuovere il proprio stato d’insolvenza ed evitare il fallimento dovrà concedere dilazioni di pagamento, novare i debiti, i creditori richiederanno fidejussioni e i fidejussori, a loro volta, dovranno essere controgarantiti. Con ciò si dimostra come il concordato stragiudiziale nella pratica è un accordo plurilaterale avente un vincolo unitario che ha come ragione comune quella di evitare il fallimento attraverso l’adempimento per l’intero di tutti gli obblighi assunti dalle parti, nessuno escluso (un adempimento parziale si trasformerebbe in un inadempimento e, trattandosi di contratti funzionalmente collegati, automaticamente si risolverebbe il concordato stesso) oltre che il necessario consenso di tutti i creditori al tentativo di salvataggio dell’impresa.
Infatti solo con il consenso di tutti i creditori (so bene quanto è difficile da ottenere e da dimostrare!) si potrà parlare di concordato, altrimenti anche una semplice remissione parziale di debito nei confronti di un creditore potrà costituire concordato[2]. Non nascondo che una parte della dottrina meno recente ha ritenuto valido quel concordato basato sull’approvazione dei soli creditori intervenuti dichiarandone l’inefficacia per quei creditori che ne fossero rimasti estranei[3]. E’ palese che l’interpretazione, pur se apprezzabile dommaticamente, si scontra con la pratica in quanto i creditori insoddisfatti possono riporre nel nulla il concordato provocando la dichiarazione di fallimento.
In questo senso è importante evidenziare la sorte delle fidejussioni che accedono al concordato stragiudiziale. Infatti se la fidejussione è sorta in funzione del concordato stragiudiziale e questo successivamente viene meno oppure viene travolto dal fallimento, le fidejussioni, che sono negozi accessori, a loro volta vengono meno ed i creditori potranno solo insinuare i propri crediti al passivo.

1.3 Liceità
Non può discutersi circa la liceità del concordato stragiudiziale così come descritto, in quanto si tratta di un atto di autonomia privata che si svolge nei confini del codice civile e della legge fallimentare, nell’ambito del libero esercizio dell’autonomia contrattuale.
E’ stato adombrato qualche dubbio dalla giurisprudenza[4] la quale ha parlato di nullità per illiceità del concordato stragiudiziale. A ben vedere però tali sentenze partono dall’assioma per cui la garanzia della par condicio creditorum è rimessa unicamente alle procedure concorsuali le quali costituiscono un numerus clausus all’autonomia dei privati, motivo per cui se l’imprenditore versa in stato di insolvenza ha l’obbligo di richiedere il fallimento (art. 6 L. F.), facendo diversamente aggrava per colpa la propria insolvenza (art. 217 L.F.) venendo meno ad un elementare obbligo di prudenza e correndo il rischio di risponderne penalmente, in concorso con i credtori[5].
Tale interpretazione prende le mosse dalla relazione ufficiale all’allora emananda legge fallimentare al cui n. 37 recitava: “La disciplina legale della cessione dei beni è sperabile che dia buoni frutti, soprattutto nel senso di eliminare quelle forme stragiudiziali di accomodamento che si risolvono in una sperequazione tra creditori e spesso in un disastro per lo stesso debitore che non raggiunge col suo totale sacrificio la liberazione”. Da ciò si dovrebbe dedurre che il concordato stragiudiziale sia una procedure concorsuale alternativa a quelle tipiche e come tale inammissibile per contrasto con norme di ordine pubblico in quanto extra legem e quindi contra legem, data la natura pubblicistica degli istituti concorsuali.
In realtà il concordato stragiudiziale non mira a garantire la par condicio creditorum né a creare una procedura contra legem tesa a regolare o ad evitare con atti di autonomia privata un provvedimento di ordine pubblico quale la dichiarazione di fallimento, ma mira ad evitare che si realizzi il presupposto del fallimento: lo stato d’insolvenza e di conseguenza il fallimento. Inoltre non ci si può limitare ad incriminare il semplice comportamento omissivo dell’imprenditore per non aver chiesto il proprio fallimento ex art. 6 L.F., nel tentativo di salvare la propria attività. Al contrario dovranno essere ritenuti rilevanti solo quei comportamenti determinati da colpa grave che aggravino il dissesto economico, per i quali dovrà essere provato il nesso di causalità.
Il fatto che questo strumento sia sovente utilizzato per tacitare solo una parte dei creditori a danno degli altri inconsapevoli, o come espediente per ritardare la dichiarazione di fallimento, rappresenta un aspetto patologico dell’istituto e non l’istituto in sé.

1.4 Prova e patti di preferenza.
Lo scoglio oggettivo su cui si infrange molto spesso il concordato stragiudiziale è la dimostrazione da parte del debitore di aver ottenuto il consenso di tutti gli altri creditori all’operazione, così da poter fornire la certezza che il creditore non incorrerà in un’eventuale azione revocatoria fallimentare o nel concorso nel reato di bancarotta. Infatti il requisito dell’assenso di tutti i creditori al concordato soddisfa unicamente le esigenze teoriche di sistemazione dell’istituto, ma non quelle pratiche.
Sappiamo benissimo che le scritture contabili dell’imprenditore fallito o dell’imprenditore che versa in uno stato di insolvenza spesso non contengono i nominativi di tutti i creditori. E’ poi prassi quasi costante che ad alcuni creditori non venga assolutamente proposto alcunché, nella speranza di chiudere l’attività senza che il creditore dormiente si faccia vivo, o ancora che vengano preferiti e tacitati i creditori più “aggressivi” con pagamenti in percentuale di gran lunga superiore a quella riservata ai creditori “remissivi”.
Da un punto di vista probatorio per il concordato non è prevista la forma scritta ma valgono i limiti previsti dall’art. 2721 e 2726 del codice civile; inoltre se il concordato ha ad oggetto il trasferimento di un bene per il quale è richiesta la forma ad substantiam, anche questo dovrà avere la forma ad substantiam. E’ ultroneo ricordare che la forma scritta è comunque nell’interesse sia del debitore sia del creditore.
Essendo il concordato stragiudiziale un contratto si rinvia agli artt. 1418 e ss.gg., 1427 e ss.gg., 1441 e ss.gg., 1447 e ss.gg. e 1453 e ss.gg. del codice civile. La declaratoria di nullità del concordato stragiudiziale ha efficacia ex tunc.
L’eventualità che vi siano creditori dissenzienti comporta, in teoria, che possono aversi dei patti di preferenza e che alcuni creditori possano essere pagati integralmente, in quanto non vige la regola della par condicio creditorum[6].

1.4 Le insidie del concordato stragiudiziale: vademecum per la sopravvivenza del legale d’azienda.
Il concordato stragiudiziale può assumere le forme della cessione pro solvendo, del mandato a liquidare, del mandato in rem propria, della cessione di beni ex art. 1977 cod. civ. e tutte quelle altre forme che si rivelino giuridicamente idonee ad evitare il fallimento mediante il superamento dello stato di insolvenza.
Il rischio principale che si corre nell’accettare con superficialità una proposta di concordato stragiudiziale è:
1. l’assoggettamento ad azione revocatoria fallimentare ex art 67 L.F.;
2. il concorso nel reato di bancarotta semplice ex art. 217 L.F. .
Si rende necessaria una procedura che consenta, con buone probabilità, di dimostrare la buona fede del creditore che intende avvalersi di questo strumento rapido di riscossione del credito. La proposta di concordato stragiudiziale dovrebbe contenere almeno i seguenti elementi minimi:
1. l’esplicito riferimento che si tratta di un concordato stragiudiziale (non è assolutamente fondamentale, ma avverte il creditore sul tipo di operazione che viene posta in essere);
2. l’indicazione di una percentuale di pagamento del credito;
3. la clausola di tacitazione dei creditori, con cui si dichiara che non avranno più null’altro a pretendere;
4. l’indicazione che tale proposta è stata formulata a tutti i creditori con i quali si sta cercando o si è raggiunto già un accordo in tal senso.
Si tratta di elementi che depongono a favore della serietà della proposta di concordato stragiudiziale, anche se la stessa è poi tutta da dimostrare.
Più in generale, soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni con un costante flusso di merci e servizi, è importante monitorare la puntualità nei pagamenti, provvedendo ad inviare subito non oltre due solleciti di pagamento in caso di inadempimento. Se l’esito permane negativo occorre effettuare immediatamente (tenuto conto anche dell’entità del credito) una serie di visure alla camera di commercio e al tribunale per verificare se sono state proposte istanze di fallimento, procedure monitorie o pignoramenti (spie di uno stato di insolvenza patologico), se sono stati elevati protesti o se l’impresa è già soggetta a procedure concorsuali. In questi casi, a meno che non sia già stato dichiarato il fallimento, siano stati elevati protesti o siano stati già trascritti pignoramenti immobiliari et similia, converrà accordarsi con il debitore su una dilazione di pagamento e successivamente o interrompere i rapporti con il debitore potenzialmente insolvente oppure fornire la merce con pagamento in contrassegno. Infatti in caso di successivo fallimento nessun tribunale potrà esperire con successo un’azione revocatoria fallimentare in quanto la presenza di procedure monitorie o la presentazione di istanze di fallimento antecedenti l’accordo con il debitore poi fallito non possono considerarsi come conoscenza effettiva dello stato di insolvenza non essendo il creditore tenuto ad effettuare tali ricerche ogni volta che deve riscuotere un credito. Presupposto della revocatoria è la conoscenza effettiva e concreta dello stato di insolvenza.
Lo stesso discorso vale anche e soprattutto nel caso di proposta di concordato stragiudiziale.
Diversamente accettare sic e simpliciter una proposta di concordato stragiudiziale significa avventurarsi senza protezione nella foresta delle procedure concorsuali.

Dott. Ugo Colangelo

Sarei felice di poter scambiare opinioni ed esperienze con quanti abbiano affrontato in concreto il problema o abbiano osservazioni e suggerimenti al riguardo, scrivendomi al seguente indirizzo ugocolangelo@libero.it.

[1] Cass. 26 febbraio 1975, n. 770 in Rep. Giust. Civ., 1975, voce “Fallimento”, n. 170; Cass. 15 ottobre 1957, n. 3848, in Rep Giust. Civ. 1959, voce “Fallimento”; Petrucci voce “Concordato stragiudiziale” in Enc. Dir. VIII, Milano, 1961.
[2] Provinciali, Trattato di Diritto Fallimentare, III, Milano, 1974;. In Giurisprudenza: App. Catania 11 febbraio 1956 in Rep. Giust. Civ. 1956, voce “Fallimento”, n. 213; App. Firenze 17 febbraio 1964, in Rep. Giust. Civ. 1964 voce “Fallimento” n. 237; Trib. Parma 4 marzo 1981, Dir. Fall. 1982, II, 741; Trib. Roma 22 ottobre 1982, Dir. Fall. 1983, II, 1155
[3] Rocco, op. cit.; De Semo, Diritto Fallimentare, Padova, 1968. In Giurisprudenza: Cass. 16 marzo 1979, n. 1562, Rep. Giust. Civ., 1979, voce “Fallimento” n. 155;
[4] Trib. Ferrara 28 giugno 1980, Giur. Comm. 1981, II, 306; Appello Roma 1 luglio 1985, Fallimento 1986, 971
[5] Cass. pen. 23 ottobre 1978 Giust. Pen. 1979, II, 357 e Cass. Pen.1980, 919, Appello Roma 1 luglio 1985, Fallimento 1986, 971; Trib. Napoli 17 luglio 1987, Dir. Giur. 1987, 552
[6] Trib. Salerno 4 luglio 1951, Dir. Fall. 1952, I, 314

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