Con l’appalto di servizio l’ente pubblico si procura una utilità diretta e ne paga il relativo costo; con la concessione, invece, esso trasla su soggetti terzi (piuttosto che fornirlo in prima persona) la gestione di un servizio, destinato a favore di una

Lazzini Sonia 03/05/07
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in tema di diversità fra una concessione di servizi pubblici  ed un appalto di pubblici  servizi, merita riportare il pensiero espresso dal Tar Sicilia, Catania, con la sentenza numero 461 del 12 marzo 2007:
 
< Come è noto, la giurisprudenza pacifica individua l’elemento distintivo tra concessioni di servizi pubblici ed appalti di pubblici servizi nell’eventuale incidenza dell’onere economico a carico dell’ente pubblico appaltante o concedente. Più in particolare: è elemento tipico dell’appalto di servizi pubblici l’obbligo per la stazione appaltante di corrispondere al gestore del servizio una utilità economica, quale corrispettivo per la fornitura del servizio all’ente stesso o alla comunità da esso rappresentata (per esempio, appalto del servizio di pulizia degli uffici comunali; appalto del servizio pubblico di scuolabus per gli alunni delle scuole elementari). Viceversa, nella concessione di servizio pubblico il concessionario ritrae il proprio guadagno direttamente dal pagamento di una tariffa posta a carico degli utenti del servizio stesso (per esempio, servizio di trasporto urbano affidato a soggetti terzi che gestiscono “a proprio rischio”)>
 
nella particolare fattispecie sottoposta al giudice siciliano inoltre:
 
< Orbene, lo schema contrattuale supra delineato non prevede alcun esborso economico a carico dell’ente pubblico concedente, onde si può escludere – alla luce della pacifica giurisprudenza richiamata in precedenza – che si sia in presenza di un contratto di appalto; mentre, si delinea più chiaramente lo schema tipico della concessione di pubblico servizio, atteso che al concessionario viene conferita la facoltà di gestire il servizio e di trarne il relativo guadagno.
 
La conclusione appena raggiunta, tuttavia, non implica quella preclusione circa il regime normativo applicabile, individuata dalla controinteressata allorché ha insistito nell’inquadrare il rapporto sotto l’egida della concessione. Infatti, anche l’affidamento in concessione di un pubblico servizio non sfugge all’applicazione dei principi comunitari in tema di pubblicità della gara, concorrenzialità e non discriminazione, previsti per la materia degli appalti pubblici, pena la creazione di una “zona franca” che – sotto l’ombra di un diverso nomem iuris – consenta agli enti pubblici di eludere le disposizioni comunitarie in un settore in cui sussistono le medesime esigenze. Tale conclusione è stata affermata, non da ora, dalla giurisprudenza>
 
A cura di *************
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania – Sezione Seconda – nelle persone dei magistrati
 
 
ha pronunciato la seguente
 
S E N T E N Z A
Sul ricorso n. 5908/2004 proposto da *** s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti ************************* e *****************, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. **************, in Catania, Via Etnea 688;    
 
CONTRO
 
Comune di Palagonia, in persona del Sindaco p.t., e Responsabile Dipartimento Settore Segreteria, rappresentati e difesi dall’Avv. *************, elettivamente domiciliati in Catania, P.zza Trento n. 2, presso lo studio dell’Avv. *****************;
 
E NEI CONFRONTI  DI
 
Ditta *** ********, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. *****************, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Catania, Via Conte Ruggero n. 9;
 
Ditta *** ********, non costituita in giudizio;
 
Ditta ********o, non costituita in giudizio;
 
Ditta * Sebastiano, non costituita in giudizio;
 
Ditta * *********, non costituita in giudizio;
 
PER L’ANNULLAMENTO
 
– Della deliberazione della G.M. n. 275 del 6.10.2004 con la quale è stata indetta la trattativa privata per l’affidamento per 25 anni del servizio lampade votive elettriche nel cimitero comunale;
 
– degli atti presupposti ed in particolare della proposta di deliberazione n. 653 del 5.10.2004 ed allegati schema di convenzione, lettera di invito ed elenco ditte da invitare;
 
– di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente;
 
– della deliberazione G.M. n. 315 del 15.10.2004;
 
– del verbale di gara del 21.10.2004 con il quale è stato aggiudicato temporaneamente il servizio alla ditta *** Giuseppe;
 
E PER IL RISARCIMENTO
 
dei danni subiti dalla ricorrente per la perdita di chance;
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Palagonia e della ditta controinteressata *** ********;
 
Viste le memorie e gli atti tutti della causa;
 
Designato relatore il Referendario dott. ***************;
 
Uditi, alla pubblica udienza del 22 Novembre 2006, i difensori delle parti, come da verbale;
 
Ritenuto e considerato, in fatto ed in diritto, quanto segue.
 
FATTO
 
La società *** s.r.l. opera quale gestore/costruttore/manutentore del servizio di illuminazione votiva in diversi cimiteri.
 
In data 16.01.2004 ha invitato il Comune di Palagonia ad indire una pubblica gara per l’affidamento del servizio di illuminazione votiva del cimitero comunale, essendo venuto a scadere il rapporto di concessione col precedente gestore.
 
Il Comune interpellato, tuttavia, si è limitato ad indire una trattativa privata alla quale ha invitato solo le imprese (locali) odierne controinteressate e, all’esito della gara informale, ha aggiudicato temporaneamente il servizio (di durata venticinquennale) alla ditta *** Giuseppe.
 
Tutti gli atti di gara sono stati impugnati dalla *** s.r.l. con l’odierno ricorso, affidato ai seguenti motivi di diritto:
 
Violazione dell’art. 32 della ******** 7/2002 – violazione e falsa applicazione dell’art. 34 della ******** 7/2002 – violazione dell’art. 7 del D. Lgs. 157/95 – violazione degli artt. 1, 3, 7 e 11 della Direttiva CEE 92/50 – violazione dell’art. 97 Cost. – Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, illogicità ed irrazionalità manifesta, per disparità di trattamento – violazione del principio di par condicio;
Violazione del D. Lgs. 157/95 – violazione della Direttiva CEE 92/50 – violazione degli artt. 43 e 49 del trattato CEE – violazione dei principi di trasparenza e di parità di trattamento;
Violazione dell’******** *********, comma 2, lett. f), dell’art. 1, lett. e) e lett. i) della L.R. 48/1991 – violazione dell’art. 56 della L. 142/1990;
Violazione dell’art. 113 del D. Lgs. 267/2000;
Violazione dell’art. 87, co. 1, del T.U. Legge Comunale e Provinciale approvato con R.D. 383/1934 – Violazione dell’art. 41 del R.D. n. 827/1924.
Per resistere alla richiesta di annullamento degli atti impugnati e di condanna al risarcimento dei danni, si è costituito in giudizio il Comune di Palagonia.
 
Anche la controinteressata ditta *** ******** si è opposta all’accoglimento del ricorso, eccependone preliminarmente l’inammissibilità per carenza di interesse ad agire.
 
Con ordinanza n. 66/2005 l’istanza cautelare avanzata dalla ricorrente è stata respinta per mancanza del prescritto periculum in mora.
 
Alla pubblica udienza del 22 Novembre 2006 la causa è stata trattenuta per la decisione.
 
DIRITTO
 
A) Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire che la controinteressata fonda sul fatto che la ditta *** s.r.l. non avrebbe dimostrato la propria idoneità all’aggiudicazione del servizio, né la capacità di presentare una offerta migliore rispetto a quella dell’aggiudicataria.
 
Sul punto ci limita ad osservare che la legittimazione ad agire della ricorrente emerge pacificamente dal suo inquadramento nel novero dei soggetti potenzialmente idonei a gestire il servizio, in quanto “operatori di settore”, mentre l’interesse a ricorrere – ossia l’interesse ad ottenere un provvedimento favorevole dall’A.G. adìta, idoneo a tutelare la posizione soggettiva vantata – va ricercato nell’esigenza di tutelare già la semplice chance di aggiudicazione della gara, conseguente alla mera partecipazione ad una procedura aperta.
 
Va richiamata, in proposito, la giurisprudenza secondo la quale: “In base ai principio di libera concorrenza, di legalità e di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, l’impresa operante in un settore economico è legittimata ad impugnare il provvedimento con cui l’amministrazione disponga la stipula di un contratto a trattativa private riferito allo stesso settore e non abbia posto in essere la scelta del contraente con le debite procedure ad evidenza pubblica.” (Cons. Stato, V, 2580/2003; negli stessi termini, TAR Catania, I, 198/2003).
 
B) Passando all’esame delle censure riguardanti il merito, la prima doglianza si appunta sulla violazione delle norme indicate retro sub 1).
 
Afferma la ricorrente che il combinato disposto della normativa regionale (artt. 32 e 34 della L.R. 7/2002), di quella nazionale (art. 7 del D. Lgs. 157/95) e di quella comunitaria (art. 11 direttiva CEE 92/50) impediscono all’ente territoriale, in circostanze come quella in esame, di affidare il servizio pubblico di illuminazione votiva tramite ricorso alla trattativa privata, rendendo per contro obbligatoria l’indizione di un’asta pubblica.
 
Denuncia, poi, il comportamento discriminatorio tenuto dal Comune allorquando ha omesso di invitare la ricorrente alla gara, nonostante l’esplicita manifestazione di interesse alla partecipazione all’indicenda procedura concorsuale.
 
L’Amministrazione controdeduce affermando che il valore dell’appalto – contrariamente a quanto stimato dalla ricorrente – è inferiore alla soglia comunitaria, e che l’indizione della trattativa privata si è resa necessaria per l’urgenza creatasi a seguito della scadenza del precedente rapporto concessorio.
 
Anche la controinteressata ribadisce l’erroneità del valore del servizio indicato in ricorso e, conseguentemente, deduce la legittima applicazione delle norme sulle cd. “procedure ristrette” previste per gli appalti sotto soglia. Precisa, poi, che l’oggetto del servizio è da ravvisare tecnicamente in una concessione di servizio pubblico piuttosto che in un appalto, con il conseguente corollario della inapplicabilità della disciplina specifica dettata in materia di appalti pubblici.
 
Il Collegio ritiene che la censura sia fondata e conduca, quindi, all’accoglimento del ricorso.
 
In primo luogo, non assume rilievo dirimente la questione concernente il valore inferiore o superiore rispetto alla cd. “soglia comunitaria” del servizio in questione. Infatti, la normativa regionale richiamata dalla ricorrente (artt. 32 e 34 della L.R. 7/2002) stabilisce che l’affidamento dei servizi pubblici a mezzo di trattativa privata è ammesso quando: a) questi abbiano un valore inferiore ad Euro 25.000 (soglia, questa, che risulta sicuramente superata dal servizio oggetto di causa, a prescindere dalla contestazioni sul suo esatto ammontare); b) risultino rispettate le condizioni stabilite dall’Ente in apposito regolamento, per i servizi di valore inferiore alla soglia comunitaria.
 
Orbene, nel caso a mani:
 
1) il valore dell’appalto – ancorché contestato (Euro 125.000, secondo la stazione appaltante; Euro 546.975, secondo la ricorrente) – è certamente superiore al limite massimo che la normativa regionale pone per l’utilizzo della trattativa privata;
 
2) il Comune di Palagonia non ha adottato alcun regolamento per disciplinare l’affidamento a trattativa privata degli appalti sotto soglia, che restano pertanto assoggettati alla normativa nazionale sopra soglia;
 
3) la normativa nazionale di derivazione comunitaria (art. 7 del D. Lgs. 157/95) – in relazione agli appalti sopra soglia – descrive la trattativa privata quale strumento eccezionale cui poter ricorrere in ipotesi tipiche e particolari (precedente asta deserta, ragioni di natura tecnica/artistica, affidamento di concorso di progettazione, impellente ed imprevedibile urgenza, affidamento di servizi complementari a quello principale) che non sono certamente presenti nel caso in esame. A tal proposito, non può essere certamente condivisa la tesi difensiva del Comune, laddove fa riferimento alle pretese ragioni di urgenza gravanti sull’ente pubblico all’indomani della scadenza del contratto col precedente gestore: la scadenza del precedente rapporto (di durata, peraltro, pluriennale), infatti, è un dato ben noto all’Amministrazione comunale, che avrebbe potuto (e dovuto) attivarsi per tempo ai fini dell’individuazione del successivo gestore di un servizio di routine, caratterizzato dalla continuatività e non occasionalità.
 
A questo punto, rimane da esaminare l’eccezione sollevata dalla difesa della controinteressata avente ad oggetto la presunta natura concessoria dello strumento di affidamento del servizio prescelto dal Comune, indicata quale circostanza ostativa all’applicazione della disciplina in tema di appalti invocata da parte ricorrente.
 
Come è noto, la giurisprudenza pacifica individua l’elemento distintivo tra concessioni di servizi pubblici ed appalti di pubblici servizi nell’eventuale incidenza dell’onere economico a carico dell’ente pubblico appaltante o concedente. Più in particolare: è elemento tipico dell’appalto di servizi pubblici l’obbligo per la stazione appaltante di corrispondere al gestore del servizio una utilità economica, quale corrispettivo per la fornitura del servizio all’ente stesso o alla comunità da esso rappresentata (per esempio, appalto del servizio di pulizia degli uffici comunali; appalto del servizio pubblico di scuolabus per gli alunni delle scuole elementari). Viceversa, nella concessione di servizio pubblico il concessionario ritrae il proprio guadagno direttamente dal pagamento di una tariffa posta a carico degli utenti del servizio stesso (per esempio, servizio di trasporto urbano affidato a soggetti terzi che gestiscono “a proprio rischio”) (Cfr. C. di S., VI, 6368/2005; Corte Giustizia CE, 324/2000).
 
In sintesi, con l’appalto di servizio l’ente pubblico si procura una utilità diretta e ne paga il relativo costo; con la concessione, invece, esso trasla su soggetti terzi (piuttosto che fornirlo in prima persona) la gestione di un servizio, destinato a favore di una platea più o meno ampia di utenti, e consente al gestore di ricavarne un utile attraverso la percezione del corrispettivo pagato dai fruitori.
 
Per applicare i predetti principi al caso in esame occorre, in primo luogo, esaminare lo schema di convenzione per il servizio lampade votive predisposto dal Comune di Palagonia, allegato agli atti di causa.
 
Dagli artt. 7, 8 e 9 della predetta convenzione emerge l’obbligo gravante sugli utenti di corrispondere al concessionario un corrispettivo in denaro, distinto in tariffa di allacciamento (da corrispondere una tantum) e in canone di abbonamento (a cadenza periodica).
 
L’art. 12 prevede, poi, un onere economico gravante sul concessionario – a titolo di corrispettivo della concessione – articolato su una duplice obbligazione: a) fornire l’illuminazione per la festa patronale, per i primi 48 mesi di durata del rapporto; b) per il successivo periodo, versare la somma annua di Euro 5.000.
 
Orbene, lo schema contrattuale supra delineato non prevede alcun esborso economico a carico dell’ente pubblico concedente, onde si può escludere – alla luce della pacifica giurisprudenza richiamata in precedenza – che si sia in presenza di un contratto di appalto; mentre, si delinea più chiaramente lo schema tipico della concessione di pubblico servizio, atteso che al concessionario viene conferita la facoltà di gestire il servizio e di trarne il relativo guadagno.
 
La conclusione appena raggiunta, tuttavia, non implica quella preclusione circa il regime normativo applicabile, individuata dalla controinteressata allorché ha insistito nell’inquadrare il rapporto sotto l’egida della concessione. Infatti, anche l’affidamento in concessione di un pubblico servizio non sfugge all’applicazione dei principi comunitari in tema di pubblicità della gara, concorrenzialità e non discriminazione, previsti per la materia degli appalti pubblici, pena la creazione di una “zona franca” che – sotto l’ombra di un diverso nomem iuris – consenta agli enti pubblici di eludere le disposizioni comunitarie in un settore in cui sussistono le medesime esigenze. Tale conclusione è stata affermata, non da ora, dalla giurisprudenza (cfr. C. di S., VI, 6368/2005; C. di S., IV, 253/2002; TAR Catania, II, 198/2006; Id. 923/2003; TAR Lazio, Roma, 3377/2004; TAR Piemonte, 127/2003).
 
In conclusione, la esposta censura risulta fondata e, previo assorbimento delle altre, conduce all’accoglimento del ricorso.
 
Data la complessità della questione, si ritiene equa la compensazione delle spese processuali.    
 
P.Q.M.
 
il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania (sez. II) – accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
 
Spese compensate.
 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
Così deciso in Catania, nella camera di consiglio del 22 Novembre 2006.
 
       L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
      ******************************************
 
 
Depositata in Segreteria il 12 marzo 2007
 

Lazzini Sonia

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