Comunione legale dei coniugi e conto corrente

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Quando ci si sposa, salvo diversa ed espressa volontà  si entra automaticamente nel regime di comunione legale.

Il conto corrente aperto dopo le nozze dal marito o dalla moglie diventa in modo automatico comune, di proprietà a metà di ognuno dei due.

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L’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio

La casa coniugale è il teatro della vita familiare, fulcro degli interessi e delle abitudini in cui si realizza la vita della famiglia. La notevole complessità delle problematiche connesse all’abitazione si ripercuote inevitabilmente sulla sua assegnazione, in sede di separazione o divorzio.Non v’è dubbio, infatti, che, in occasione della crisi matrimoniale, l’assegnazione della casa adibita a residenza della famiglia rappresenti uno dei motivi di maggior conflitto, in quanto vengono a scontrarsi esigenze e diritti contrapposti, tutti oggetto di esplicita tutela costituzionale: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti e dell’organizzazione domestica; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata.Il legislatore, nel regolamentare la materia – che non riesce a fornire un’apprezzabile soluzione a tutti i problemi sociali e giuridici –, ha spostato l’attenzione dai genitori alla famiglia, composta anche dai figli, i cui interessi devono essere prioritariamente privilegiati, all’evidente scopo di salvaguardare il bisogno dei minori (o anche dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti o portatori di handicap) di mantenere inalterati i rapporti con l’ambiente in cui sono vissuti.Quindi solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita è l’unico motivo che può spingere a sacrificare (limitare) il diritto di proprietà.Giuseppe Bordolli, Consulente legale in Genova ed esperto di diritto immobiliare. Svolge attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. È collaboratore del quotidiano Condominio 24 Ore on line e cartaceo e di varie riviste di diritto immobiliare. Autore di numerose pubblicazioni in materia di condominio, mediazione immobiliare, locazione, divisione ereditaria, privacy, nonché di articoli e note a sentenza. È mediatore e docente in corsi di formazione per le professioni immobiliari

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Il conto corrente per coniugi in comunione dei beni

L’articolo 177 lettera a) del codice civile, stabilisce che rientrano nella comunione gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio.

Ci rientrano anche i proventi dell’attività lavorativa separata di ognuno, se allo scioglimento della comunione, non sono stati consumati.

Si può dedurre che in caso di coppia sposata in comunione dei beni, le somme sul conto corrente intestato al marito appartengono alla comunione stessa e spettano anche alla moglie.

Lo stesso principio vale anche al contrario, vale a dire per il conto intestato alla moglie nei confronti del marito.

Si tratta di un diritto virtuale, che non può essere esercitato quando la coppia è unita e sposata.

La moglie che dovesse chiedere al marito di dare a lei la metà dei soldi che lui ha versato in banca, al fine di spenderla per i suoi bisogni personali, avrebbe come risposta un rifiuto.

Nonostante la presenza della comunione, l’intestatario del conto non è tenuto a dividere la giacenza.

I diritti del coniuge sulla metà delle somme depositate in banca dall’altro coniuge non possono essere fatti valere quando la coppia è ancora unita, ma in caso di separazione, quando si procede alla divisione dei beni.

Come si dividono gli acquisti fatti durante il matrimonio, si dividono anche i soldi non ancora spesi, compresi quelli depositati sul conto corrente.

A questo proposito si dice che per non fare avere niente alla moglie, i soldi dovrebbero essere spesi  prima  della divisione e acquistare beni di utilizzo personale, che non rientrano nella comunione e non devono essere divisi con l’ex coniuge.

Leggi anche:”La comunione legale dei beni, in che cosa consiste e quando può finire”

Gli acquisti con i soldi del conto in comunione legale

Se il conto corrente in comunione è tenuto con i redditi di lavoro di uno dei due coniugi, lo stesso è li può spendere come vuole, anche per fini personali, non dovendo rendere conto all’altro coniuge, che non può accampare pretese sugli acquisti.

Secondo la giurisprudenza (Trib. Padova, sent. n. 1981/2011) in relazione al saldo attivo di un conto corrente bancario in regime di comunione dei beni intestato a uno dei coniugi e nel quale ci siano guadagni dell’attività lavorativa svolta dallo stesso, lui o lei entra a fare parte della comunione legale dei beni esclusivamente in caso di scioglimento della stessa, che vine posto in essere con la separazione dei coniugi.

In quel momento si ha la titolarità comune dei coniugi sul saldo.

Il conto corrente in comunione e morte di uno dei coniugi

Se uno due coniugi muore, la comunione si scioglie e anche il conto corrente che era intestato al defunto.

Il coniuge superstite ottiene subito, in qualità di contitolare, perché in comunione dei beni, la metà del conto, mentre l’altra metà la dovrà dividerla con gli altri eredi.

La vendita di beni personali con accredito sul conto corrente in comunione

Quando uno dei due coniugi è titolare di una casa che ha acquistato prima di sposarsi o che gli è stata donata o abbia ricevuto in eredità, ci sono dei casi nei quali nei quali il bene non entra in comunione legale con l’altro coniuge.

Ci si chiede che cosa succede se decide di vendere tale immobile e di depositare i relativi soldi del prezzo sul conto corrente in comunione oppure se la somma venga “assorbita” in modo automatico nella comunione.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Cas. sent. n. 1197/2006), il corrispettivo della vendita, anche se accantonato sul conto corrente in comunione, resta sempre diviso dal resto del deposito bancario e resta nella titolarità del coniuge che ha venduto il bene personale.

Il bene non rientrava nella comunione e non ci rientra neanche il relativo prezzo derivato dalla vendita.

Il conto corrente cointestato in regime di separazione dei beni

La questione non si pone per le coppie in regime di separazione dei beni dove ognuno resta proprietario dei suoi beni, comprese le somme residue depositate in banca.

Il conto corrente intestato al marito resta suo e non va diviso in caso di separazione.

Lo stesso vale per la moglie.

L’unica eccezione è relativa all’ipotesi di conto corrente cointestato, perché la cointestazione fa scattare una donazione della metà del deposito, che prende il nome di donazione indiretta, e la moglie è titolare della metà dei soldi in banca.

Nei rapporti con la banca vige il principio di solidarietà, attiva e passiva, vale a dire che sia il marito sia la moglie possono prelevare più della loro quota, anche l’intera somma.

La banca, da parte sua non può opporre ostacoli, però resta l’obbligo, nei rapporti personali con l’altro coniuge, di restituirgli la sua parte.

Se il conto è in privo di soldi e la banca avanza un credito, può chiedere l’intero importo sia al marito sia alla moglie.

Il coniuge che paga l’intero debito alla banca, si può rivalere nei confronti dell’altro nei limiti della sua metà.

Nonostante la cointestazione del conto corrente faccia presumere che ci sia stata l’intenzione di eseguire una donazione, è sempre ammesso dimostrare il contrario.

Si può provare che dietro la cointestazione, si nascondeva un intento simulatorio e che lo scopo perseguito dalle parti era un altro, come il volere  agevolare il coniuge nell’eseguire operazioni bancarie, vale a dire prelievi e versamenti, anche per conto dell’altro.

Esempio:

in  una coppia sposata in regime di separazione dei beni l’uomo cointesta il suo conto corrente, sul quale gli vengono accreditati gli stipendi, anche alla moglie per consentirle di prelevare dal bancomat e allo sportello quando ne ha bisogno, al fine di provvedere alle spese necessarie alle esigenze della casa.

In simili circostanze, anche se formalmente il conto sia cointestato ad entrambi i coniugi, il marito non è tenuto a versare la metà delle somme alla moglie, perché si tratta di una simulazione

(Cass. sent. n. 1149/2004).

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L’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio

La casa coniugale è il teatro della vita familiare, fulcro degli interessi e delle abitudini in cui si realizza la vita della famiglia. La notevole complessità delle problematiche connesse all’abitazione si ripercuote inevitabilmente sulla sua assegnazione, in sede di separazione o divorzio.Non v’è dubbio, infatti, che, in occasione della crisi matrimoniale, l’assegnazione della casa adibita a residenza della famiglia rappresenti uno dei motivi di maggior conflitto, in quanto vengono a scontrarsi esigenze e diritti contrapposti, tutti oggetto di esplicita tutela costituzionale: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti e dell’organizzazione domestica; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata.Il legislatore, nel regolamentare la materia – che non riesce a fornire un’apprezzabile soluzione a tutti i problemi sociali e giuridici –, ha spostato l’attenzione dai genitori alla famiglia, composta anche dai figli, i cui interessi devono essere prioritariamente privilegiati, all’evidente scopo di salvaguardare il bisogno dei minori (o anche dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti o portatori di handicap) di mantenere inalterati i rapporti con l’ambiente in cui sono vissuti.Quindi solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita è l’unico motivo che può spingere a sacrificare (limitare) il diritto di proprietà.Giuseppe Bordolli, Consulente legale in Genova ed esperto di diritto immobiliare. Svolge attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. È collaboratore del quotidiano Condominio 24 Ore on line e cartaceo e di varie riviste di diritto immobiliare. Autore di numerose pubblicazioni in materia di condominio, mediazione immobiliare, locazione, divisione ereditaria, privacy, nonché di articoli e note a sentenza. È mediatore e docente in corsi di formazione per le professioni immobiliari

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Dott.ssa Concas Alessandra

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