Le competenze digitali in Italia e le nuove prove INVALSI

Le competenze digitali tra prove invalsi, premi e paradossi: l’Italia connessa che inciampa ancora sulla tastiera

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Ogni volta che un politico annuncia “più digitale per tutti”, da qualche parte uno studente di seconda superiore si connette a una videolezione con il microfono spento, un dipendente pubblico tenta di salvare un PDF come immagine, e una nonna clicca su un banner truffaldino convinta che serva per rinnovare la tessera sanitaria.
Siamo la nazione del “tutti su Internet”, ma anche del “nessuno ci ha spiegato come si fa davvero”.
Nel 2025, l’Italia è uno dei Paesi europei con il più alto tasso di diffusione di smartphone e social media, ma continua a registrare livelli critici di competenze digitali reali, quelle che fanno la differenza tra un utente connesso e un cittadino consapevole. In questo scenario si collocano due iniziative importanti e apparentemente slegate, ma profondamente convergenti: le nuove prove INVALSI sulle competenze digitali e il Premio nazionale promosso da Repubblica Digitale.
Due facce della stessa medaglia: misurare da un lato, valorizzare dall’altro. Ma soprattutto, interrogarsi su che cosa significhi davvero essere digitalmente competenti nel 2025. E se possiamo ancora permetterci di confondere il “saper fare clic” con il “saper decidere online”.
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Indice

1. INVALSI 2025: le competenze digitali diventano (finalmente) misurabili


Per la prima volta, l’INVALSI — l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione — ha inserito una prova sulle competenze digitali tra quelle ufficialmente somministrate agli studenti delle scuole superiori (grado 10, ovvero seconda superiore).
La prova è stata effettuata su base campionaria, coinvolgendo 498 scuole selezionate in tutto il territorio nazionale, ed è stata costruita in coerenza con il quadro europeo DigComp 2.2, il framework di riferimento per le competenze digitali dei cittadini europei.
E la vera novità è che non si è trattato di una semplice indagine o autovalutazione, ma di una prova strutturata, operativa, somministrata online, con quesiti progettati per misurare le abilità concrete degli studenti in quattro aree fondamentali:

  • Comunicazione e collaborazione
  • Alfabetizzazione su dati e informazioni
  • Sicurezza digitale
  • Creazione di contenuti digitali

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2. I risultati: luci promettenti, ombre persistenti


Sorprendentemente (ma non troppo), i risultati sono stati decisamente migliori di quelli in Italiano e Matematica, a riprova del fatto che, forse, ai giovani non serve essere motivati sul digitale: lo vivono. Ma questo basta?

1. Le percentuali (e l’entusiasmo misurato)
Ecco i dati:
91 % degli studenti ha ottenuto almeno un livello intermedio in Comunicazione e Collaborazione.
89 % ha raggiunto lo stesso risultato nell’Alfabetizzazione su informazioni e dati.
85 % ha mostrato competenze di sicurezza digitale almeno intermedie.
84 % ha raggiunto il livello minimo richiesto nella Creazione di contenuti digitali.
Risultati notevoli, che segnalano una familiarità diffusa con l’ambiente digitale, ma anche una parziale illusione di competenza: saper usare uno strumento non equivale a comprenderne le logiche, gli impatti e i rischi.

2. Le distorsioni sociali: meno marcate, ma non azzerate
Una delle criticità storiche del nostro sistema educativo è il legame strettissimo tra successo scolastico e background socio-economico (il famigerato indice ESCS). Nelle prove digitali, il legame si attenua — probabilmente perché il digitale, a livello operativo, è ormai trasversale — ma non scompare.
Gli studenti con maggiore accesso a device personali, connessioni stabili, genitori scolarizzati e contesto culturale favorevole ottengono punteggi più alti anche qui. La disuguaglianza digitale, insomma, non si annulla: si maschera meglio.

3. Il Premio nazionale per le competenze digitali: tra buone pratiche e vetrine virtuose


Nel frattempo, fuori dalla scuola, c’è chi lavora da anni per colmare il divario digitale. E per dare visibilità a questi sforzi, è nato il Premio nazionale per le competenze digitali, promosso da Repubblica Digitale, l’iniziativa strategica del Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio, in collaborazione con Invitalia.

1. Chi può partecipare?
Il premio si rivolge a enti pubblici e privati, associazioni, università, scuole, aziende, fondazioni, centri di ricerca e terzo settore, con progetti già attivi che promuovano le competenze digitali secondo una delle seguenti categorie:

  • Inclusione digitale: iniziative per anziani, migranti, disoccupati, persone fragili.
  • Digitale contro il divario di genere: empowerment tecnologico per donne e ragazze.
  • Digitale per l’educazione: esperienze scolastiche innovative per studenti e docenti.
  • Competenze specialistiche ICT: progetti di upskilling e reskilling per lavoratori e universitari.

2. Quali sono i criteri di valutazione?

  • Impatto sociale misurabile
  • Accessibilità e replicabilità
  • Innovazione metodologica
  • Adozione di risorse educative aperte (OER)
  • Coerenza con DigComp e con la Strategia nazionale per le competenze digitali

3. Obiettivo: non solo premiare, ma diffondere
La filosofia alla base del premio è chiara: non basta fare bene, bisogna far sapere che si può fare bene. Il valore aggiunto non è solo il riconoscimento pubblico, ma la possibilità di replicare, adattare e diffondere modelli virtuosi in altri territori, scuole, contesti educativi.

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4. Ma allora, che cosa intendiamo per “competenza digitale”?


Ed è qui che il discorso si fa più serio. O forse più filosofico. Perché una definizione tecnica esiste, ed è anche ben articolata:
“La competenza digitale è l’uso sicuro, critico e responsabile delle tecnologie digitali per l’apprendimento, il lavoro e la partecipazione alla società.”
(DigComp, Commissione Europea)
Ma nella pratica quotidiana, cosa vuol dire? Significa:

  • Sapere che non tutto ciò che trovi su Google è vero.
  • Riconoscere un tentativo di phishing prima che sia troppo tardi.
  • Non condividere immagini altrui su WhatsApp “per ridere”.
  • Capire la differenza tra pubblico e privato, tra consenso e abuso.
  • Saper scrivere una mail di lavoro e non un messaggio su Telegram alle 23.
  • Imparare a leggere un’informativa privacy e dire “no grazie” quando serve.

La competenza digitale è alfabetizzazione civica nella società connessa. È saper usare strumenti digitali senza essere usati da essi.

5. Il paradosso italiano: utenti, ma non cittadini


Il grande paradosso italiano è tutto qui: usiamo il digitale, ma non lo comprendiamo davvero.

  • Le imprese si digitalizzano a macchia di leopardo, ma manca il capitale umano formato.
  • I giovani sanno editare video ma non riconoscono una fake news.
  • Gli insegnanti usano strumenti innovativi, ma senza una formazione sistemica.
  • Le PA rilasciano SPID e CIE, ma lasciano i cittadini in fila per capire come funziona l’identità digitale.

Il divario digitale, oggi, non è solo un divario tecnologico. È culturale, metodologico, intergenerazionale, linguistico.
Ed è per questo che servono strumenti strutturati come le prove INVALSI, per misurare. E iniziative sistemiche come il Premio nazionale, per valorizzare.

6. Conclusioni: e adesso?


Non servono miracoli, né grandi piani astratti. Servirebbe:

  • Investire sulle competenze digitali come materia trasversale, dalla scuola primaria fino all’educazione degli adulti.
  • Formare chi forma, perché senza insegnanti aggiornati non c’è cittadinanza digitale.
  • Sostenere le iniziative locali, che spesso hanno più impatto dei piani nazionali.
  • Semplificare, ma anche alfabetizzare: la tecnologia non può sostituire la comprensione.
  • Misurare seriamente le competenze, ma senza umiliare chi parte svantaggiato.

Postilla ironica (ma nemmeno troppo)
La prossima volta che ti chiedi “ma se ci sono le prove INVALSI digitali, allora siamo a posto?”, pensa a tuo zio che ha chiesto a ChatGPT se poteva ricaricare il Postepay parlando al microfono.
Pensa alla collega che ha stampato una PEC “per protocollarla”.
Pensa a te stesso che hai accettato tutti i cookie senza leggere nulla… perché avevi fretta.
Ecco: c’è ancora molto da fare.

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Avv. Luisa Di Giacomo

Laureata in giurisprudenza a pieni voti nel 2001, avvocato dal 2005, ho studiato e lavorato nel Principato di Monaco e a New York.
Dal 2012 mi occupo di compliance e protezione dati, nel 2016 ho conseguito il Master come Consulente Privacy e nel 2020 ho conseguito il titolo…Continua a leggere

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