Competenza sull’appello in materia di sequestro: la Consulta

La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, disp. att. cod. proc. pen.: vediamo come.

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, disp. att. cod. proc. pen.: vediamo come. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

Corte costituzionale -sentenza n.38 del 27-02-2025

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Indice

1. Il fatto


Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Siracusa disponeva, ai sensi dell’art. 321 del codice di procedura penale, un sequestro preventivo di un depuratore biologico consortile nell’ambito di un procedimento penale iscritto a carico di figure apicali di una società per azioni e dei grandi utenti industriali di un polo petrolchimico.
Successivamente all’adozione di siffatta misura cautelare reale, era emanato il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, il cui art. 6 ha inserito nell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. il comma 1-bis.1, ai termini del quale «[q]uando il sequestro [preventivo] ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario […].
Orbene, alla stregua di tale novum normativo, essendo (reputato) necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice dettava le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità, fermo restando che le disposizioni di cui al primo  e terzo periodo non si applicavano (e non si applicano tutt’ora) quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione.
Oltre a ciò, il giudice autorizzava altresì la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, erano state adottate misure con le quali si eraritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, tenuto conto che, in ogni cas,o i provvedimenti emessi dal giudice ai sensi dei periodi precedenti, anche se negativi, sarebbero stati trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica».
Inoltre, visto che l’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito, ha altresì inserito nell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. il comma 1-bis.2, qui censurato, in forza del quale «[n]ei casi disciplinati dal comma 1-bis.1, il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma» e preso atto che il successivo d.P.C.m. 3 febbraio 2023, tra le tante misure ivi prevedute, demandate a un successivo decreto interministeriale la definizione delle misure di bilanciamento indicate nell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen., su questa basi normative era stato adottato un decreto interministeriale, ossia quello del 12 settembre 2023, in base al quale l’amministratore giudiziario della società per azioni di cui sopra aveva chiesto al GIP del Tribunale di Siracusa di indicare se, alla luce dell’entrata in vigore del d.interm. 12 settembre 2023, dovessero seguirsi le modalità di controllo e monitoraggio e rispettarsi i valori limite di emissione indicati in tale atto, oppure quelli prescritti dalla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte III del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);
Ebbene, investito di tale istanza, il GIP rimettente aveva sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. decise con la sentenza n. 105 del 2024, con cui la Consulta, da un lato, aveva interpretato in modo costituzionalmente orientato l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, precisando che le misure di bilanciamento debbono essere precedute da adeguata attività istruttoria e sorrette da una congrua motivazione, e che la loro effettiva osservanza deve essere adeguatamente verificata, dall’altro, aveva dichiarato la disposizione censurata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevedeva che le misure in questione si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.
Orbene, se, in esito a tale sentenza, il GIP, provvedendo sull’istanza dell’amministratore giudiziario, non autorizzava la prosecuzione dell’attività produttiva del depuratore condotto sempre dalla società per azioni già menzionata in precedenza secondo le previsioni del d.interm. 12 settembre 2023, ritenendo «non ricorrenti le condizioni descritte dalla Corte costituzionale per ritenere operante una legittima procedura di bilanciamento degli interessi in gioco», a sua volta, tale decreto era stato impugnato ai sensi dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, innanzi al Tribunale di Roma. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

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2. La questiona prospettata nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale per contrasto con gli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione


Proprio in relazione al procedimento radicatosi presso il Tribunale capitolino, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma formulavano eccezione di illegittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 25 e 77 Cost. – dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen., che individua come competente a conoscere dell’impugnazione avverso il provvedimento in questione il Tribunale di Roma.
Dal canto suo, il Tribunale ordinario di Roma, sezione undicesima penale, accoglieva la predetta eccezione, sollevando questioni di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come inserito dall’art. 6 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17, denunciandone il contrasto con gli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione, «nella parte in cui […] prevede che siano impugnati dinnanzi a questo Tribunale – e non dinnanzi al Tribunale del capoluogo della provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento oggetto di gravame, così come ordinariamente stabilito dall’art. 322-bis, comma 1-bis, c.p.p. – i provvedimenti con cui il giudice abbia escluso, revocato o negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività degli stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale oppure degli impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva sottoposti a sequestro preventivo nonostante, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, siano state adottate dal Governo “misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi”».
In particolare, il giudice a quo muoveva dal presupposto interpretativo che i provvedimenti relativi alla prosecuzione o meno dell’attività produttiva dell’impianto sequestrato fossero appellabili anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, facendosene conseguire da ciò come quest’ultima disposizione avrebbe realizzato uno spostamento della competenza a conoscere dell’appello cautelare dal tribunale ordinariamente designato dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. (ossia il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato) al Tribunale di Roma, richiamandosi a tal proposito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui hanno natura amministrativa e non sono impugnabili i provvedimenti di gestione dei beni in sequestro, salvo che comportino una modifica del vincolo cautelare, tenuto conto altresì del fatto che, in presenza di un sequestro finalizzato a evitare l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o la commissione di altri reati, la determinazione delle concrete modalità di gestione del bene sequestrato avrebbe «una oggettiva idoneità ad incidere sul vincolo reale, potendo depotenziarne e persino vanificarne l’efficacia in relazione al perseguimento delle finalità per le quali lo stesso è stato disposto» (si richiamavano all’uopo le seguenti pronunce: Corte di Cassazione, Sezione terza penale, ordinanza 2 dicembre 2022-17 febbraio 2023, n. 6743 e sentenza 1° dicembre 2017-9 gennaio 2018, n. 261; Sezione prima penale, sentenza 15 settembre-16 novembre 2015, n. 45562; Sezione terza penale, sentenza 28 maggio-24 settembre 2014, n. 39181).
Rispetto in particolare al sequestro di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, per il giudice rimettente, la prosecuzione o meno dell’attività non potrebbe certo essere ritenuta una decisione di mera gestione dei beni sequestrati, avendo invece «incisive ricadute sulla stessa idoneità del sequestro a perseguire le finalità per cui è stato imposto», vale a dire, la tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza dei lavoratori, tanto più se si considera che l’appellabilità dei provvedimenti sulla prosecuzione dell’attività produttiva sarebbe già stata riconosciuta «dal vigente assetto normativo, nell’interpretazione che ne ha dato il diritto vivente» prima dell’introduzione dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, i cui tratti di novità risiederebbero solo nell’attribuzione della legittimazione a proporre appello anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, e nell’individuazione, quale giudice competente per il gravame, del Tribunale del riesame di Roma (in luogo del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento), allorché siano intervenute, ai sensi del quinto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, le misure governative di bilanciamento.
Il rimettente muoveva poi dall’ulteriore presupposto interpretativo secondo cui l’appello cautelare delineato dal comma 1-bis.2 non potrebbe essere considerato come «un gravame a contenuto vincolato».
In altre parole, il Tribunale di Roma non sarebbe tenuto in ogni caso ad annullare il provvedimento del GIP che neghi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva pur in presenza delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, ma dovrebbe invece verificare che tali misure siano state adottate nel rispetto dei requisiti procedimentali delineati dalla sentenza n. 105 del 2024 della Corte costituzionale dato che, se così non fosse, ad avviso del rimettente, non si spiegherebbe anzitutto perché i lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 6 del 2023 giustifichino la «centralizzazione» dei gravami di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.2, con l’esigenza di assicurare «uniformità di indirizzo» e «specializzazione» in una materia «complessa».
In base poi alla richiamata sentenza n. 105 del 2024, il principio per cui il giudice non può sostituire la propria autonoma valutazione in punto di bilanciamento degli interessi a quella compiuta dal Governo con l’adozione delle misure di cui al quinto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, disp. att. cod. proc. pen., per il Tribunale capitolino, varrebbe nei soli limiti in cui la compressione delle prerogative dell’autorità giudiziaria, collegata all’adozione delle misure predette, abbia durata non superiore a trentasei mesi e avvenga «per effetto di prescrizioni adottate a valle di un procedimento che presenti le caratteristiche che la stessa Corte ha delineato» mentre, in difetto, le misure di bilanciamento non potrebbero «produrre la compressione costituzionalmente legittima del potere del Giudice di negare la prosecuzione dell’attività»; potere-dovere il cui corretto esercizio dovrebbe essere vagliato dal giudice dell’appello cautelare.
Orbene, tale conclusione, per il giudice a quo, sarebbe conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul controllo incidentale, da parte del giudice penale, della conformità del provvedimento amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore (si richiamavano al riguardo le susseguenti decisioni: Corte di Cassazione, Sezione terza penale, sentenze 29 febbraio-12 marzo 2024, n. 10247 e 17 maggio-22 giugno 2023, n. 27148).
Tanto premesso, il giudice a quo riteneva come il censurato art. 104-bis, comma 1-bis.2, disp. att. cod. proc. pen. si ponesse anzitutto in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost..
In effetti, per l’organo giudicante capitolino, il particolare meccanismo di deroga alle ordinarie regole sulla competenza previsto dalla disposizione censurata – operante nelle ipotesi di procedimenti penali per reati commessi nell’ambito di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva – renderebbe non prevedibile, secondo un criterio generale fissato in anticipo, «quale sarà (se quello di Roma o quello del capoluogo della provincia in cui il reato è stato commesso) il Tribunale in concreto chiamato a pronunciarsi su determinate procedure incidentali di appello cautelare reale» poiché lo spostamento di competenza verso il Tribunale di Roma sarebbe ancorato alla scelta del Governo di adottare le misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, disp. att. cod. proc. pen., tale scelta potrebbe essere compiuta in qualsiasi momento del procedimento o del processo penale: dunque anche dopo che il giudice ordinariamente competente si sia pronunciato, in prima e in seconda istanza, sulla ricorrenza dei presupposti per l’adozione della misura cautelare e sulla prosecuzione dell’attività, eventualmente adottando le prescrizioni previste dal terzo periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, onde assicurare un bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Lo spostamento di competenza dipenderebbe pertanto, per il giudice a quo, da un atto discrezionale del Governo, sostanzialmente determinato dal maggiore o minore apprezzamento delle decisioni già adottate nella singola controversia dall’autorità giudiziaria territorialmente competente secondo le regole ordinarie.
Più in particolare, potrebbe accadere che il giudice in primo grado abbia già dettato delle proprie prescrizioni funzionali alla prosecuzione dell’attività, ovvero che abbia negato tale autorizzazione, e che il Tribunale territoriale abbia già vagliato tali provvedimenti in sede di appello cautelare ex art. 322-bis cod. proc. pen.; e che solo dopo avere preso contezza di tali decisioni il Governo si determini ad adottare misure di bilanciamento, che determinano lo spostamento della competenza di secondo grado in capo al Tribunale di Roma, limitatamente – peraltro – «alle sole ipotesi in cui il giudice locale abbia ritenuto di disattendere le misure governative e di escludere, revocare o negare l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di impresa».
Orbene, per il giudice rimettente, tale assetto si porrebbe in contrasto con l’art. 25, primo comma, Cost., il quale esige che «l’organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie» (è citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 1965); che lo spostamento di competenza da un giudice a un altro sia stabilito a priori, in base a criteri che razionalmente valutino gli interessi in gioco nel processo e siano sottratti a ogni apprezzamento discrezionale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 1 del 1965, n. 274 del 1974, n. 217 del 1993 e con l’ordinanza n. 508 del 1989); e che tale spostamento sia necessario per «assicurare il rispetto di altri principi costituzionali, come quello dell’indipendenza ed imparzialità, o […] dell’ordine e coerenza nella decisione di cause fra loro connesse» (è citata, ancora, la sentenza n. 1 del 1965).
D’altronde, lo spostamento di competenza previsto dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, disp. att. cod. proc. pen. non potrebbe essere ricondotto alla necessità di assicurare il rispetto dei principi di indipendenza e imparzialità, a meno di supporre che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva emesso dal giudice territorialmente competente secondo le regole ordinarie possa essere «indebitamente condizionato dalla sua maggiore vicinanza geografica al locus commissi delicti»; nel qual caso, tuttavia, il medesimo problema si porrebbe ove l’appello cautelare riguardasse stabilimenti o impianti ubicati nella Provincia di Roma, né potrebbero evocarsi ragioni di «ordine e coerenza nella decisione di cause fra loro connesse», atteso che la disposizione censurata sortirebbe l’effetto opposto di frazionare la cognizione di una stessa vicenda giudiziaria tra «più giudici di pari grado» (il Tribunale di Roma e quello competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.), comportando il rischio di adozione di «provvedimenti tra loro contraddittori», così come non sarebbe nemmeno pertinente il parallelismo – prospettato dalle difese degli appellanti – con l’art. 13 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), che prevede una deroga agli ordinari criteri di competenza territoriale, correlata all’ambito di efficacia territoriale del provvedimento amministrativo impugnato visto che, in tale ipotesi, il Tribunale amministrativo regionale competente sarebbe univocamente individuabile fin dall’emanazione dell’atto, laddove nel caso di specie lo spostamento della competenza territoriale potrebbe avvenire in qualsiasi fase del procedimento penale «in ragione di un’alternativa tra due giudici che è astrattamente prevista dalla legge, ma che risulta in concreto risolubile a posteriori» per effetto dell’adozione di misure di bilanciamento riferite a una specifica controversia già in corso; misure che potrebbero non essere conformi ai requisiti individuati nella sentenza n. 105 del 2024 della Consulta e ciononostante determinare una deroga – a questo punto «di fatto arbitraria» – all’ordinaria competenza territoriale.
Ciò posto, per il giudice a quo, lo spostamento di competenza previsto dalla disposizione censurata sarebbe altresì intrinsecamente irragionevole e, dunque, contrario all’art. 3 Cost..
Infatti, poiché tale spostamento riguarderebbe solo l’appello cautelare avverso il provvedimento del giudice procedente che inibisca la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti o impianti sequestrati, dopo l’adozione, da parte del Governo, delle misure di bilanciamento (e non, invece, l’appello cautelare contro la decisione che autorizzi la prosecuzione dell’attività medesima), per il Tribunale capitolino, il meccanismo delineato dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, condurrebbe a «individuare competenze diverse per l’impugnazione di provvedimenti emessi dalla stessa autorità giudiziaria ed attinenti al medesimo thema decidendum per il solo fatto del diverso atteggiarsi del relativo dispositivo», fermo restando che un simile concorso di competenze si verificherebbe anche nell’ipotesi in cui il giudice neghi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività (nonostante le misure di bilanciamento adottate dal Governo) in sede di esame di un’istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto poiché, in questo caso, il provvedimento sarebbe impugnabile: per la parte in cui ha provveduto sull’istanza di revoca, modifica o rivalutazione, innanzi al tribunale ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.; per la parte in cui ha negato la prosecuzione dell’attività, innanzi al Tribunale di Roma.
Orbene, per il giudice a quo, ciò comporterebbe, irragionevolmente, una «duplicazione di cognizione» e il rischio di adozione di provvedimenti contrastanti rispetto a temi «inevitabilmente connessi»; ad esempio, il Tribunale ordinariamente competente potrebbe, in sede di appello cautelare, modificare il vincolo cautelare, con inevitabili riflessi sulla prosecuzione dell’attività produttiva, che però egli non potrebbe valutare; oppure ancora revocare il sequestro, così «”vanificando” – con irrazionalità nell’impiego delle già limitate risorse a servizio dell’attività giudiziaria» – l’attività processuale parallelamente svolta dal Tribunale di Roma in relazione all’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento sequestrato, ritenendosi al contempo che il sistema delineato dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, disp. att. cod. proc. pen. produrrebbe effetti irrazionali anche ove presso il Tribunale ordinariamente competente ai sensi dell’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. – cui è devoluta la cognizione delle impugnazioni avverso i provvedimenti del GIP che neghino l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva prima dell’adozione delle misure di bilanciamento – sia già pendente un procedimento avente tale oggetto nel momento in cui il Governo emani le predette misure.
In effetti, in questo caso, il GIP procedente potrebbe essere chiamato a esprimersi nuovamente, alla luce delle intervenute misure di bilanciamento, sull’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, e la relativa decisione di segno negativo sarebbe impugnabile innanzi al Tribunale di Roma, con il rischio dell’adozione di provvedimenti confliggenti.
Per il giudice a quo, il censurato art. 104-bis, comma 1-bis.2, produrrebbe dunque «un intreccio e persino una sovrapposizione di competenze» tra il Tribunale ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. e il Tribunale di Roma, e ciò sarebbe foriero di «ricadute non coerenti» con l’obiettivo – asseritamente perseguito dal legislatore – di assicurare unitarietà di indirizzi applicativi e specializzazione del giudice competente a valutare la prosecuzione dell’attività produttiva nella materia de qua dato che tale obiettivo – comunque non agevole a realizzarsi, data la necessaria eterogeneità delle misure di bilanciamento, conformate alla specifica realtà produttiva di ciascuno stabilimento o impianto o infrastruttura oggetto di sequestro – non potrebbe essere perseguito mediante l’attribuzione al Tribunale di Roma della cognizione dell’appello cautelare sulle sole misure di diniego della prosecuzione dell’attività, poiché tale competenza concorrerebbe, comunque, con quella del tribunale individuato ai sensi dell’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., cui spetterebbe la cognizione sui provvedimenti di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività e su quelli relativi alle istanze di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro.
Il meccanismo delineato dalla disposizione censurata, in definitiva, ad avviso del giudice rimettente, rischierebbe di condurre a decisioni contrastanti rispetto al medesimo thema decidendum; aggraverebbe ingiustificatamente il carico di lavoro del Tribunale di Roma; e disperderebbe il patrimonio conoscitivo del giudice ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. che si sia già pronunciato sulla prosecuzione dell’attività produttiva in sede di riesame o appello cautelare, così incidendo negativamente «sull’efficacia, effettività, incisività, tempestività dell’intervento giurisdizionale», trattandosi di valori, questi, di rilievo costituzionale, il cui pregiudizio non concreterebbe un mero inconveniente pratico, assurgendo piuttosto a indice di irragionevolezza intrinseca della scelta operata dal legislatore, censurabile da parte di questa Corte al metro dell’art. 3 Cost.,
L’irragionevolezza della scelta legislativa di attribuire al Tribunale di Roma la speciale competenza di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.2, risulterebbe, infine, ancora più marcata laddove si accedesse alla tesi prospettata dalle parti appellanti, secondo cui tale organo giurisdizionale avrebbe «un ruolo di fatto ‘notarile’», perché vincolato all’annullamento del provvedimento del GIP di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva dopo l’adozione delle misure di bilanciamento perché, se così fosse, non si comprenderebbe il richiamo alla delicatezza e complessità della valutazione giudiziale, elevato dai lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 2 del 2023 a ragione giustificatrice per l’attribuzione della competenza sull’appello cautelare al Tribunale di Roma.

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3. La soluzione adottata dalla Consulta


La Corte costituzionale, dopo avere individuato la norma di riferimento, stimato le eccezioni prospettate dalle parti infondate e reputata la questione inerente contrarietà della disposizione censurata al principio del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost. infondata, giungeva a ravvisare invece fondata l’altra questione, ossia la censura formulata dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
Difatti, per il Giudice delle leggi, le incongruenze denunciate dal rimettente – lungi dal poter essere derubricate a inconvenienti eventuali di mero fatto nell’applicazione della disposizione censurata – erano effettivamente sintomatiche di una manifesta irragionevolezza della disciplina così come allo stato strutturata.
In particolare, ad avviso dei giudici di legittimità costituzionale, le incongruenze denunciate nell’ordinanza di rimessione erano condivisibili quanto meno sotto un duplice concorrente profilo.
In primo luogo, la disposizione censurata attribuisce la competenza al Tribunale di Roma a conoscere dell’appello soltanto contro il provvedimento del giudice che, a valle dell’adozione delle misure di bilanciamento, abbia negato l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, ma non contro l’eventuale provvedimento che tale autorizzazione abbia invece rilasciato, in ottemperanza alle indicazioni governative, fermo restando che, contro quest’ultimo provvedimento, resta però ammissibile un appello del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., sia pure per ragioni attinenti alla sola legittimità del decreto governativo di bilanciamento.
Infatti, in tale ipotesi, il testo della disposizione censurata – inequivocamente riferito ai soli casi in cui il giudice «abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto» – non consente di attrarre l’appello alla competenza del Tribunale di Roma; con la conseguenza che di esso dovrà continuare a conoscere il tribunale territoriale, ai sensi della lex generalis rappresentata dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen..
La disposizione censurata giunge pertanto, per la Corte, così al risultato – affatto singolare dal punto di vista sistematico – di stabilire la competenza dell’uno o dell’altro tribunale in sede di appello secundum eventum litis, ossia secondo il tenore della decisione adottata dal giudice che ha disposto il sequestro: la competenza si radicherà innanzi al tribunale territoriale, nel caso di decisione conforme al decreto di bilanciamento adottato dal Governo innanzi al Tribunale di Roma, nel caso di decisione che, all’opposto, disattenda tale decreto, con ciò determinando un risultato del tutto distonico rispetto a quello, dichiaratamente perseguito dal legislatore, di «maturare unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale» e di «mantenere una specializzazione» dell’organo giudicante in tutte le decisioni che attengono alla prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti o impianti in relazione ai quali il Governo abbia dettato specifiche misure di bilanciamento.
Tal che se ne faceva conseguire l’evidente incongruità della disciplina rispetto alla sua finalità: ciò che a sua volta si traduce in un vizio di irrazionalità, intesa quale species dell’irragionevolezza intrinseca, della legge (sentenze n. 197 del 2023, punto 5.5.4. del Considerato in diritto, n. 186 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto, e n. 166 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto).
In secondo luogo, per la Consulta, visto che lo spostamento di competenza per il solo giudizio di appello contro il provvedimento che comunque abbia negato la prosecuzione dell’attività dello stabilimento o impianto sequestrato “a valle” del decreto governativo di bilanciamento crea strutturalmente le condizioni per lo svolgimento parallelo di diversi procedimenti di appello, innanzi a diversi Tribunali, contro i provvedimenti del giudice della cautela aventi a oggetto i medesimi beni,
quest’eventualità appare specialmente problematica nell’ipotesi in cui il provvedimento che vieta la prosecuzione dell’attività nonostante le misure di bilanciamento sia stato adottato dal giudice a seguito di una istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto atteso che, in tal caso, è giocoforza concludere che il provvedimento sia impugnabile presso il Tribunale di Roma nella sola parte in cui vieta la prosecuzione dell’attività e presso il tribunale locale – da parte di tutti i soggetti indicati dall’art. 322-bis cod. proc. pen., compreso il pubblico ministero – per la parte residua il che, però, creerebbe inevitabilmente il rischio di decisioni contrastanti, e comunque non coordinate, aventi a oggetto i medesimi stabilimenti o impianti.
In altre parole, per la Corte costituzionale, la disposizione censurata consente che si svolgano giudizi di appello paralleli, innanzi a diversi tribunali, aventi a oggetto i medesimi stabilimenti o impianti di interesse strategico nazionale, con il conseguente pregiudizio non solo rispetto alla finalità, perseguita dal legislatore, di garantire l’uniformità degli indirizzi interpretativi in materia e la specializzazione dell’organo giudicante, ma anche rispetto all’esigenza di garantire, nell’immediato, decisioni tra loro coerenti rispetto al singolo procedimento cautelare avviato con il sequestro di un determinato impianto o stabilimento, il che integra, sempre ad avviso della Consulta, un ulteriore vizio di manifesta irragionevolezza della disciplina censurata.
Da tutto ciò se ne faceva quindi conseguire l’illegittimità costituzionale del secondo periodo della disposizione censurata («Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»), per violazione dell’art. 3 Cost., fermo restando che, da un lato, resta in vigore il primo periodo che estende la legittimazione attiva a proporre appello cautelare ai soggetti istituzionali ivi menzionati, in presenza delle condizioni indicate dalla disposizione all’esame, dall’altro, rientra altresì nella discrezionalità del legislatore la possibilità di accentrare la competenza nel rispetto dei principi sin qui richiamati.
I giudici di legittimità costituzionale, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiaravano quindi l’illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, limitatamente alle parole «Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.».

4. Conclusioni: illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, limitatamente alle parole «Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»


Fermo restando che l’art. 104-bis, comma 1-bis.2, disp. att. cod. proc. pen., prima che intervenisse la Consulta nel caso di specie, come è noto, prevedeva che, nei “casi disciplinati dal comma 1-bis.1[1], il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma”, per effetto della decisione qui in commento, viene meno il riferimento alle parole «Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»
Deputato a giudicare questo appello sarà adesso il Tribunale territorialmente competente secondo quanto previsto dal codice di procedura penale, vale a dire il Tribunale ordinariamente designato dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. (ossia il Tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato), essendo per l’appunto venuta meno la competenza esclusiva del Tribunale di Roma.
Questa è in sostanza la novità introdotta dalla pronuncia qui in esame.

Note


[1] Ai sensi del quale: “Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato ai sensi del comma 1. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione del provvedimento di sequestro sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria. Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui al primo, secondo e terzo periodo non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso i provvedimenti emessi dal giudice ai sensi dei periodi precedenti, anche se negativi, sono trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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