Compensazione legale e giudiziale: la pronuncia delle Sezioni Unite

Filippo Franze 02/12/16
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Le Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite, in virtù della funzione nomofilattica attribuitagli dall’ordinamento, ha espresso recentemente alcuni considerevoli principi di diritto riguardanti l’ambito di operatività dell’istituto della compensazione legale qualora il credito eccepito da parte convenuta sia stato accertato in un separato giudizio con sentenza non ancora passata in giudicato.

Il Codice Civile introduce all’art. 1243 due distinte tipologie di compensazione, la forma legale che si verifica quando coesistono due crediti tra loro omogenei, liquidi ed esigibili e la forma giudiziale che opera nell’eventualità in cui il credito opposto non è liquido ma di facile e pronta liquidazione. In quest’ultimo caso il Giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente e sospendere in via cautelare la condanna fino all’accertamento del controcredito. Secondo un’opinione consolidata nella giurisprudenza, la certezza sull’esistenza del diritto opposto in compensazione sarebbe requisito essenziale del suddetto credito il quale, per considerarsi effettivamente liquido ed esigibile, necessita di essere definito sia nell’an che nel quantum debeatur. La finalità estintiva e satisfattoria dell’istituto della compensazione non potrebbe, altrimenti, raggiungersi nel caso in cui residui la possibilità di contestare in un momento successivo l’obbligazione fatta valere dall’eccipiente (Cass. sentenze nn. 620 del 1970, 6820 del 2002, 25272 del 2010, 8338 del 2011, 16844 del 2012). Qualora il predetto requisito non venisse rispettato, la determinazione dell’ammontare del credito opposto (id est la sua liquidazione) assumerebbe una valenza meramente provvisoria, dunque, verrebbe connotata da gravi profili di incertezza. L’onere di provare il titolo costitutivo alla base del controcredito incombe, pertanto, sulla parte che ha formulato l’eccezione di compensazione.

Di diverso avviso si è dimostrata, invece, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione la quale, con sentenza del 17 ottobre 2013, n. 23573, ha affermato la possibilità per il convenuto di eccepire la sussistenza di un credito reciproco anche se questo risulta essere sub iudice, ovverosia non definito con una pronuncia passata in giudicato. La Suprema Corte ha sostenuto che, mentre l’omogeneità e la coesistenza dei due crediti attengono all’insieme dei requisiti sostanziali necessari per l’operare dell’istituto, il presupposto di liquidità del credito (e annessa certezza del diritto) interesserebbe soltanto l’aspetto processuale relativo alle modalità di accertamento del credito cui è previsto, ai sensi del primo e del secondo comma dell’art. 1243 c.c, un regolamento diverso all’attuarsi della compensazione legale ovvero della compensazione giudiziale. La fattispecie attinente al credito contestato dinanzi ad altro Giudice dovrebbe, quindi, suscitare l’applicazione in via analogica dell’art. 35 c.p.c. che, in combinato disposto con il secondo comma dell’art. 1423 c.c., prevede apposite misure di coordinamento tra l’azione instaurata per il soddisfacimento del credito principale e il giudizio inerente al controcredito.

In risposta all’ordinanza interlocutoria Cass. Sez. III, 11 settembre 2015 n. 18001, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno deciso di non accogliere il revirement attuato dalla Terza Sezione con la sentenza n. 23573 del 2013 e, per converso, hanno aderito all’orientamento tradizionale secondo cui i requisiti di omogeneità, esigibilità, liquidità e certezza sono propri sia della compensazione legale che di quella giudiziale, non potendo ammettersi l’eccezione suddetta qualora il controcredito risulti contestato nell’an. In primo luogo, la Suprema Corte ha evidenziato come i sopra menzionati poteri di sospensione e condanna con riserva non possano in alcun modo ritardare la decisione sul credito principale, subordinandola al definitivo accertamento dell’esistenza del debito opposto in compensazione. L’art. 1423, comma 2 c.c. contempla unicamente la sospensione per crediti di facile e pronta liquidazione, ipotesi che deve ritenersi esclusa ove venga ravvisata la necessità di invocare l’applicazione degli artt. 295 o 337, comma 2 c.p.c. Ciò susciterebbe un notevole contrasto con i principi di ragionevole durata del processo legittimando, così, un esercizio della facoltà di sospendere il processo all’infuori dei casi tassativamente previsti dal legislatore. In secondo luogo, l’applicazione degli artt. 1423, comma 2 c.c. e 35 c.p.c può riconoscersi in via esclusiva qualora “a decidere i contrapposti crediti sia il giudice dinanzi al quale essi sono contemporaneamente dedotti, mentre il meccanismo previsto dall’art. 35 c.p.c., è attivabile nel solo caso in cui il giudice del credito principale non possa conoscere di quello opposto in compensazione”. E ancora: “le norme di cui agli artt. 34, 35, 36, 40, 295 e 337 c.p.c., sia che la controversia sull’esistenza del controcredito sorga nel giudizio sul credito principale, sia che già penda dinanzi ad un giudice di pari grado o superiore, non rilevano sulla speciale disciplina delineata dall’art. 1243 c.c., comma 2, perchè le norme sulla competenza per accertare l’esistenza del controcredito sono estranee alla compensazione giudiziale, come da tempo risalente avvertito da questa Corte”.

Per i suddetti motivi, le Sezioni Unite, pur dichiarando inammissibile il ricorso (in quanto il credito opposto in compensazione era divenuto incontrovertibile già da prima della notifica dell’appello), hanno affermato ai sensi dell’art. 363, comma 3 c.p.c. i seguenti principi di diritto:

A) “Le norme del codice civile sulla compensazione stabiliscono i presupposti sostanziali, oggettivi, del credito opposto in compensazione: liquidità – che include il requisito della certezza – ed esigibilità. Verificata la ricorrenza dei predetti requisiti, il giudice dichiara l’estinzione del credito principale per compensazione – legale – a decorrere dalla coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda.

B) Se il credito opposto in compensazione è certo, ma non liquido, nel senso di non determinato, in tutto o in parte, nel suo ammontare, il giudice può provvedere alla relativa liquidazione se è facile e pronta; quindi, o può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale fino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, o può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione.

C) Se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro giudizio già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione (art. 35 cod. proc. civ.) il giudice non può pronunciare la compensazione, nè legale nè giudiziale.

D) La compensazione giudiziale, di cui all’art. 1243 c.c., comma 2, presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenzadipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. In tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale, e va parimenti esclusa l’invocabilità della sospensione contemplata in via generale dall’art. 295 c.p.c., o dall’art. 337 c.p.c., comma 2, in considerazione della prevalenza della disciplina speciale del citato art. 1243 c.c.”.

Sentenza collegata

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