Come redigere l’atto d’appello di diritto penale

Redazione 04/12/19
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In presenza di due indirizzi interpretativi contrapposti, nel primo motivo si segue l’indirizzo più favorevole al nostro assistito. È d’obbligo (almeno) un secondo motivo su circostanze, pena e benefici. È opportuno non superare i tre motivi.

Il caso

Tizio, incensurato e in crisi economica, veniva arrestato in flagranza di reato giacché, una volta entrato all’interno di un supermercato della città di residenza, asportava dagli scaffali, previa effrazione dei sistemi di sicurezza antitaccheggio, caffè, biscotti e alcuni altri generi alimentari di poco valore; sottratti tali prodotti egli li occultava nelle maniche del giubbotto e all’interno di una borsa che portava con sé. Varcata la linea delle casse Tizio veniva fermato dal personale di sicurezza del supermercato. In particolare, l’azione furtiva si era svolta sotto gli occhi di uno degli addetti alla sicurezza, il quale ne aveva seguito tutti i gesti e gli spostamenti e aveva scelto di bloccarlo alla barriera delle casse piuttosto che durante le operazioni di sottrazione e occultamento. Tratto a giudizio dinanzi al Tribunale monocratico per il reato di furto aggravato ai sensi del combinato disposto degli artt. 624 e 625, comma 1, n. 2, c.p., Tizio sceglieva di accedere al rito abbreviato e, al termine della discussione, veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione oltre alla multa di euro 154,00 con riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto alla contestata aggravante, della sospensione condizionale della pena e della diminuente dovuta al rito. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto più opportuno a tutelare le ragioni del proprio assistito.

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Come leggere la traccia

La traccia richiede di redigere un atto a tutela delle ragioni di Tizio, condannato all’esito di giudizio abbreviato dal Tribunale a quattro mesi di reclusione e alla multa di 154 euro per il furto aggravato di diversi oggetti da un supermercato. L’atto da predisporre è dunque un atto di appello che tenda alla riforma della sentenza di primo grado in senso più favorevole all’imputato. Al fine di individuare il contenuto dell’atto è opportuno valorizzare uno specifico elemento fornito dalla traccia: il fatto che l’azione furtiva commessa da Tizio avviene sotto il controllo degli agenti addetti alla vigilanza, i quali, difatti, riescono a bloccare l’imputato alla barriera delle casse, prima che
egli possa definitivamente allontanarsi con la merce. Tale dettaglio consente di sostenere che la condotta posta in essere da Tizio è qualificabile in termini di tentativo di furto, anziché come furto consumato. Dopo aver dato atto dell’orientamento contrastante seguito dalla giurisprudenza di legittimità, il difensore dovrà dunque citare il recente pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel quale si è affermato che la condotta di sottrazione di merce dai banchi vendita di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, allorché l’autore sia fermato dopo il superamento delle casse, senza aver pagato la merce prelevata, è qualificabile come furto tentato. Conseguentemente, occorrerà chiedere la riqualificazione giuridica del fatto ai sensi degli artt. 624 e 56 c.p. e la rideterminazione della pena alla luce della diminuzione prevista dal legislatore per la forma tentata. In via subordinata, infine, potrà essere formulato un motivo teso al riconoscimento della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4 c.p.

Riferimenti normativi
Artt. 624 e 625, comma 1, n. 2); 62, n. 4); 175 c.p. Artt. 438 e ss., 568 e ss. c.p.p., 529, 530 e 531, 605 c.p.p.

Principi giuridici di riferimento

Secondo un primo orientamento, la sottrazione di merce con superamento delle casse andrebbe qualificata come furto consumato, atteso che, nei casi in cui il responsabile abbia superato la barriera delle casse, nulla rileva che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del centro commerciale addetto alla vigilanza. Si osserva che in un supermercato la sorveglianza culmina nel passaggio obbligato dalla cassa da parte del cliente che, fino a quel momento, è autorizzato a portare con sé la merce prelevata, a nulla rilevando che egli non la lasci in vista, avendola riposta nelle tasche dell’abito o in un qualsiasi contenitore. È solo al momento del passaggio della barriera delle casse che la condotta del reo si manifesta, cioè al momento in cui egli superi le casse senza mostrare gli oggetti prelevati, e quindi senza pagarne il prezzo. È, dunque, in quel momento che si configura la condotta di illegittimo possesso della merce asportata, indipendentemente dal monitoraggio svolto dal personale del supermercato. Da ultimo ha sostenuto la tesi del furto consumato: Cass. pen., n. 1701/2014, secondo la quale allorché l’avente diritto o persona da questi incaricata sorvegli l’azione furtiva, così da poterla interrompere in qualsiasi momento, il delitto non può ritenersi consumato neanche con l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole, perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e controllo diretto dell’offeso.

Ne consegue che il momento consumativo del delitto di furto sarebbe da individuarsi nell’impossessamento realizzato dall’autore occultando la merce in modo da eludere i controlli del personale abilitato, ovvero asportando le placche antitaccheggio, mentre il superamento delle casse varrebbe a rivelare la volontà di non effettuare il pagamento dovuto. Secondo altro differente indirizzo giurisprudenziale, in caso di sorveglianza continua, da parte del personale di vigilanza, dell’azione criminosa, può ritenersi integrata solo la fattispecie del furto tentato, atteso che i beni prelevati dagli scaffali ed occultati non potrebbero ritenersi usciti dalla sfera di vigilanza e di controllo di detto personale, che potrebbe, in qualsiasi momento, interrompere tale azione. Si sostiene, in particolare, che, rispetto al momento della semplice sottrazione, è l’effettivo impossessamento del bene che segna il passaggio dal mero tentativo al delitto consumato; possesso che si realizza allorché la persona offesa abbia perso il controllo diretto della merce asportata. Sul contrasto sono state di recente chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno affermato che la condotta di sottrazione di merce dai banchi vendita di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, allorché l’autore sia fermato dopo il superamento delle casse, senza aver pagato la merce prelevata, è qualificabile come furto tentato (Cass. pen., Sez. Un., n. 52117/2014).

Un secondo pronunciamento della Cassazione a Sezioni Unite, n. 38344/2014, senza entrare nel merito della questione, ha valorizzato un secondo profilo, del tutto rilevante in relazione al caso di specie. La sentenza trae origine da un’altra ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della questione concernente la configurabilità della fattispecie di furto tentato o furto consumato nell’ipotesi in cui il soggetto prelevi merci dai banchi di un supermercato e la occulti, quando l’azione si svolga sotto il controllo costante del personale addetto di vigilanza. La Corte, pur non esaminando la questione per difetto di rilevanza nel caso di specie, coglie l’occasione per affermare il diverso principio in base al quale, nel caso in cui la condotta furtiva riguardi una pluralità di cose di pertinenza dello stesso detentore, nello stesso contesto spaziale e temporale, se l’agente si impossessa di alcuni beni senza riuscire ad impossessarsi di altri, l’azione complessa, essendo progressiva, deve essere considerata unica, giacché la parte più rilevante già consumata assorbe quella in itinere: il soggetto attivo risponderà, pertanto, dell’unico reato di furto consumato delle cose sottratte, non residuando spazio per configurare il furto tentato con riferimento ai beni non sottratti, né tantomeno un’ipotesi di concorso tra furto consumato e furto tentato. Per quanto invece attiene alle circostanze aggravanti del furto si segnalano due orientamenti giurisprudenziali di legittimità, di cui il primo con riguardo all’aggravante dell’uso di mezzo fraudolento di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 2, delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’iter criminoso, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astu
zia, scaltrezza volta a sorprendere la contraria volontà del detentore ed a vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa della cosa. Tale insidiosa, rimarcata efficienza offensiva non si configura nel mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita a self service, trattandosi di banale, ordinario accorgimento che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a difesa del bene. Si consideri, inoltre, come la medesima giurisprudenza specificava che in tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della violenza sulle cose (art. 625, numero 2, c.p.), non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla res oggetto dell’impossessamento, ben potendosi l’aggravante configurare anche quando la violenza venga posta in essere nei confronti dello strumento materiale apposto sulla cosa per garantire una più efficace difesa della stessa: ciò che si verifica in caso di manomissione della placca magnetica antitaccheggio inserita sulla merce offerta in vendita nei grandi magazzini, destinata ad attivare i segnalatori acustici ai varchi d’uscita.

Infine, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione intervenivano altresì nel 2013 circa la condizione di procedibilità richiesta dal reato di furto affermando che il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituito non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso, inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie ossia una detenzione qualificata, un’autonoma relazione di fatto con la cosa che implichi il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Sostiene allora la Cassazione che tale relazione di fatto con il bene non ne richiede necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può configurare anche in assenza di un titolo giuridico nonché quando si costituisce in modo clandestino o illecito. Ne discende che, in caso di furto di una cosa esistente in un esercizio commerciale, persona offesa legittimata alla proposizione della querela è anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando abbia l’autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce.

Redazione dell’atto

ECC. MA CORTE DI APPELLO DI … PER IL TRAMITE DELLA SPETT. LE CANCELLERIA DELL’ON. TRIBUNALE DI … ATTO DI APPELLO E CONTESTUALI MOTIVI

Il sottoscritto Avv. …… del Foro di ……, difensore di fiducia, giusta nomina stesa in calce al presente atto, del Sig. Tizio, nato a ….., il……, ivi residente alla via ….., condannato nel procedimento penale n. …… R.G.N.R., n. …… R.G. Dib., alla pena di mesi quattro di reclusione
TERMINI L’art. 585 c.p.p. prevede che il termine per proporre appello è di 15 giorni per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall’art. 544 comma 1; di 30 giorni nel caso previsto dall’art. 544 comma 2; di 45 giorni nel caso previsto dall’art. 544 comma 3 c.p.p.

COMPETENZA L’art. 596 c.p.p. stabilisce che sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale decide la Corte d’appello; contro le sentenze della Corte d’assise decide la Corte d’assise d’appello; contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari (salvo quanto disposto da art. 428 c.p.p.) decidono la Corte di appello e la Corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della Corte di assise.me alla multa di euro 154,00 oltre alle spese processuali per il reato p. e p. dagli artt. 624 e 625, comma 1, n. 2), c.p. dalla sentenza n. ……. R.G. sent. pronunciata dal Tribunale di ….. in composizione monocratica in data ….., con motivazione contestuale, nella spiegata qualità e nell’interesse del predetto imputato dichiara di proporre APPELLO avverso la suindicata sentenza di condanna emessa nei confronti di Tizio con specifico riferimento a tutti i capi della stessa e, in particolare, in punto alla: – qualificazione giuridica del fatto reato; – accertamento delle circostanze del reato; – determinazione della pena; – concessione dei benefici. Si enunciano a sostegno della presente impugnazione i seguenti

MOTIVI

I) Erronea qualificazione del fatto contestato come furto consumato anziché tentato. Il giudice di prime cure riteneva provata al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di Tizio in ordine al reato allo stesso ascritto sulla base di un ragionamento giuridico non scevro da vizi e, pertanto, non condivisibile e quivi contestato. Anzitutto, del tutto erronea appare la qualificazione del fatto contestato all’odierno prevenuto in termini di delitto consumato anziché tentato. A ben vedere, la condotta posta in essere dall’imputato parrebbe potersi suddividere in due frazioni distinte. Un primo segmento durante il quale Tizio asporta, ossia sottrae, dagli scaffali del supermercato alcuni prodotti di genere alimentare (la c.d. amotio), occultando gli stessi sulla propria persona e in una borsa che portava seco.

Quindi, un secondo frangente in cui avvicinatosi alle casse, si limitava a pagare uno solo dei generi alimentari asportati dal supermercato. Lo svolgimento dell’intera sequenza veniva “monitorata” da uno scrupoloso addetto alla sicurezza che non perdeva mai d’occhio l’odierno prevenuto, sino a quando egli decideva di intervenire e bloccarlo una volta oltrepassata la barriera delle casse.

Orbene, proprio l’ultima delle circostanze di fatto testé descritte permette di ritenere non perfezionatasi la fattispecie incriminatrice di cui all’imputazione giacché ne parrebbe insussistente l’elemento costitutivo dell’impossessamento della refurtiva. Invero, la continua sorveglianza del personale di sicurezza del negozio parrebbe condurre a ritenere che i beni prelevati dagli scaffali ed occultati non sarebbero fuoriusciti dalla sfera di vigilanza e controllo di detto personale e, per l’effetto, nemmeno di quella del legittimo proprietario di quei beni. Quest’ultimo ben avrebbe potuto, in qualsiasi momento, interrompere l’azione illecita perpetrata dall’imputato. Pertanto, se l’elemento della sottrazione certamente risulta perfezionatosi nel caso di specie, non altrettanto parrebbe potersi sostenere con riferimento, come detto, al vero e proprio impossessamento dei beni oggetto del presunto furto; impossessamento che non si è mai effettivamente realizzato grazie alla costante vigilanza dell’addetto alla sicurezza di cui si è fatto cenno. Tale mancanza nella fattispecie tipica degraderebbe, dunque, l’illecito oggetto della presente procedura da delitto consumato a semplice tentativo ex art. 56 c.p. La lettura che quivi si propugna trova riscontro anche nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. S

OGGETTI LEGITTIMATI

L’art. 571 c.p.p. stabilisce che sono soggetti legittimati: l’imputato, anche mediante un procuratore speciale, il suo difensore al momento del deposito della sentenza di I grado, il tutore per l’imputato soggetto alla tutela, il curatore speciale per l’imputato soggetto alla tutela e il curatore speciale per l’imputato incapace di intendere e volere. MOTIVI

L’art. 581 c.p.p. prevede tra i requisiti dell’appello l’enunciazione specifica dei capi, punti e dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi del fatto che sorreggono ogni richiesta anche istruttoria. La mancata indicazione dei motivi comporta l’inammissibilità dell’impugnazione ex art. 591 c.p.p.

A tal uopo, occorre rilevare come in merito si sia registrato l’affermarsi di orientamenti giurisprudenziali di legittimità contrastanti. Secondo un primo orientamento il fatto di cui al presente capo d’imputazione dovrebbe essere qualificato in termini di furto consumato, atteso che a nulla rileverebbe che il contegno illecito sia stato tenuto sotto il costante controllo del personale del centro commerciale addetto alla vigilanza. Di diverso avviso un opposto orientamento, secondo cui in ipotesi di reato della specie di quella odierna, il delitto di furto non può considerarsi consumato, bensì unicamente tentato, giacché rispetto al momento della semplice sottrazione è l’effettivo impossessamento del bene che segna il confine dal mero tentativo al delitto consumato. Possesso che si realizzerebbe, secondo detta opzione ermeneutica, allorché la persona offesa abbia definitivamente perso il controllo e la vigilanza diretta del bene di proprietà. Tale contrasto interpretativo è stato recentemente rimesso alla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione da due ordinanze “gemelle”.

Ciò nonostante le stesse Sez. Un. si sono già espresse su di un’ipotesi ricostruttiva similare ma riguardante il diverso delitto di rapina impropria aggravata. Ci si riferisce, segnatamente, alla nota sentenza Reina, n. 34952/2012. In quest’ultimo arresto la Corte ebbe a statuire che, fino a quando il bene sottratto non sia uscito dalla sfera di sorveglianza del possessore, questi risulta in grado di recuperarla, di modo che la condotta di apprensione della cosa dovrebbe essere derubricata, in tale fattispecie, a mero tentativo. Quella da ultima descritta rappresenta una presa di posizione che parrebbe andare nella direzione indicata dalla scrivente difesa e che, recentemente, risulta essere stata ripresa da quelle stesse Sez. Un. n. 52117/2014 proprio in un’ipotesi di furto in supermercato. Invero, il Supremo Consesso ha ritenuto che la condotta di sottrazione di merce dai banchi vendita di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, allorché l’autore sia fermato dopo il superamento delle casse e senza aver pagato la merce prelevata, sia qualificabile come furto tentato. Alla luce di quanto esposto, la sentenza di primo grado va integralmente riformata riqualificando la contestazione di cui al capo d’imputazione quale delitto tentato anziché consumato con conseguente rideterminazione della pena in misura maggiormente favorevole al prevenuto. II) Mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4), c.p.; mancata concessione del beneficio della non menzione e, in ogni caso, eccessività del trattamento sanzionatorio. Non corretta appare altresì la mancata concessione all’imputato della circostanza attenuante generica del danno patrimoniale di speciale tenuità giacché la quantità e la qualità della merce effettivamente sottratta nel tentativo di furto risultano, nel complesso, di scarso valore economico. Il riconoscimento del predetto elemento incidentale del reato comporterebbe una ulteriore rideterminazione in melius della pena inflitta all’odierno prevenuto. Infine, non corretta risulta la mancata concessione a Tizio del beneficio della non menzione ex art. 175 c.p., vanamente richiesto al termine del giudizio di prime cure, giacché ne parrebbero sussistere tutti i requisiti prescritti dalla legge. In via del tutto subordinata rispetto alle richieste anzidette si rileva, in ogni caso, l’eccessività della pena in concreto irrogata stante il non particolare disvalore del fatto reato, attese le precarie condizioni economiche in cui versa Tizio e, pertanto, si insta affinché venga riformulato il trattamento sanzionatorio di cui alla sentenza di primo grado. Per quanto sopra esposto, con riserva di meglio specificare i motivi testé enunciati ovvero di proporne di nuovi anche attraverso memoria defensionale, il sottoscritto difensore rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ecc. ma Corte d’Appello adita, in accoglimento delle doglianze esposte, riformare l’impugnata sentenza del Tribunale di ……. e, per l’effetto, in via principale, riqualificare il fatto reato in termini di delitto tentato ex art. 56 c.p. anziché consumato con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio; in ogni caso riconoscere al prevenuto la circostanza attenuante generica di cui all’art. 62, n. 4), c.p., applicando la relativa diminuzione di pena, e il beneficio della non menzione ex art. 175 c.p.; Infine, in via di subordine, comunque riformare la pena comminata applicandola in misura coincidente o prossima al minimo edittale. Luogo e data Avv. ………….

NOMINA A DIFENSORE DI FIDUCIA

Il sottoscritto Sig. Tizio, nato a ……, il ………, ivi residente alla via …., imputato come in atti nel summenzionato procedimento penale nomina quale difensore di fiducia l’Avv. …… del Foro di ……, cui conferisce ogni e più ampia facoltà da legge prevista. Dichiara, altresì, di essere stato informato delle caratteristiche e dell’importanza dell’incarico, delle attività da espletare, delle iniziative ed ipotesi di soluzione, della prevedibile durata della procedura nonché di aver ricevuto tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento sino alla conclusione dell’incarico; inoltre, dichiara di aver ricevuto un preventivo scritto relativo alla prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo tra oneri, spese, anche forfettarie e compenso professionale. Sono stati resi noti gli estremi della polizza assicurativa. Dichiara, infine, di eleggere domicilio ai fini e per gli effetti del presente procedimento presso e nello studio del predetto difensore.

In fede. Tizio È autentica Avv. ………

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Redazione

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