Come deve essere inteso il fatto in materia di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza

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(Annullamento con rinvio)

Il fatto 

La Corte d’Appello di Torino, previa riqualificazione del fatto, originariamente contestato come riciclaggio, condannava l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di cui agli artt. 110, 615 ter e 56-640 bis c.p..

L’imputato, invece, era stato assolto in primo grado dal reato di cui all’art. 648 bis c.p. e, a seguito dell’impugnazione proposta dal Pubblico ministero, la Corte d’Appello aveva pronunciato sentenza di condanna per i reati di cui agli artt. 110, 615 ter e 56-640 bis c.p., indicati come reati presupposti nell’originaria contestazione relativa al delitto di riciclaggio.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza d’appello proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che a sua volta aveva dedotto i seguenti motivi: 1) inosservanza dell’art. 521 c.p.p. per essere l’imputato stato condannato per una fattispecie criminosa del tutto diversa, non prevedibile e incompatibile rispetto a quella contestata; in particolare, richiamati i principi espressi dalla Corte di legittimità in ordine alla sussistenza della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, il ricorrente deduceva come vi sarebbe stata una trasformazione radicale delta fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, dalla quale sarebbe disceso un concreto ed effettivo pregiudizio dei diritti di difesa; 2) illogicità nella valutazione delle prove testimoniali non essendo il ribaltamento decisorio stato accompagnato da una motivazione rafforzata ed essendo stato ritenuto attendibile il un testimone che, ad avviso del ricorrente, aveva dato versioni differenti nel corso del procedimento solo sulla base di una circostanza (quella della chiusura del conto), di contro irrilevante rilevandosi al contempo che l’unico teste disinteressato, sentito tre volte senza avere mai riferito circostanze tra loro contraddittorie, sarebbe diventato l’unico teste inattendibile.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito innanzitutto, dopo essersi fatto presente che, da un lato, l’imputato era stato chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 648 bis c.p., per avere provveduto ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di una somma di denaro, distratta da ignoti, ricevendola su un conto corrente intestato a terza persona, ma aperto nel suo interesse, dall’altro, la Corte d’Appello aveva ribaltato la pronuncia assolutoria di primo grado in ordine al delitto di riciclaggio, condannando l’imputato per i reati di cui agli artt. 640 ter e 615 ter c.p., previsti nella contestazione come delitti presupposto, come siffatta operazione fosse in contrasto con l’art. 521 c.p.p., come dedotto dal ricorrente, che aveva lamentato di non essere stato posto in condizione di interloquire sulla riqualificazione del fatto, operata solo nella sentenza di appello.

Ciò posto, si evidenziava a tal riguardo come la Corte di Cassazione ,da tempo oramai, abbia avuto modo di osservare che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa in guisa tale che l’indagine, volta ad accertare la violazione del principio suddetto, non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. Un., n. 16 del 19.6.1996; Sez. Un. n. 36551 del 15.7.2010) rilevandosi al contempo che le norme, che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 c.p.p.), hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato: esse, quindi, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicché non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma solo nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato; in altri termini, la nozione strutturale di fatto, contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, rispondendo, quindi, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e sentenza (oggetto del potere del giudice) all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (in questi termini Cass., Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008; Cass., Sez. 5, n.3161 del 13/12/2007).

Termina questa disamina in ordine a quanto statuito dalla Cassazione in subiecta materia, per quanto concerne la giurisprudenza elaborata dalla CEDU, gli Ermellini facevano presente, sempre nella decisione qui in commento, che la Corte di Strasburgo, nella sentenza 11 dicembre 2007 – Drassich c. Italia, ha affermato che “poiché l’atto di accusa svolge un ruolo fondamentale nel procedimento penale, l’art. 6, § 3, lett. a) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce all’imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti e sui quali si basa l’accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti” osservandosi, in particolare, che in materia penale, “un’informazione precisa e completa delle accuse a carico di un imputato e dunque la qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe considerare nei suoi confronti, è una condizione fondamentale dell’equità del processo” dato che l’art. 6 lett. a) della Convenzione non impone che l’anzidetta informazione sia data con modalità particolari; il diritto dell’imputato va però tutelato tenendo conto della necessità, ai sensi dell’art. 6 § 3, lett. b) della Convenzione, che egli possa utilmente preparare la sua difesa rimarcando al contempo che “se i giudici di merito dispongono, quando tale diritto è loro riconosciuto nel diritto interno, della possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, essi devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva. Ciò implica che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell’accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l’accusa, ma anche e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti”.

Orbene, a fronte di tale pronunciamento, i giudici di piazza Cavour notavano come, alla luce dei principi contenuti nella sentenza Drassich, la Corte di Cassazione abbia precisato che il rispetto della regola del contraddittorio – che deve essere assicurato all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente alla previsione dell’art. 111 Cost, comma 2, secondo la lettura integrata alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla CEDU – impone esclusivamente che tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa“, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato e tale condizione che non si verifica in due occasioni: da un lato, quando l’imputato o il suo difensore abbiano avuto, nella fase di merito, la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione; dall’altro, quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei possibili (si potrebbe dire “non sorprendenti“) epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24.9.2012; Cass., Sez. 5, n. 1697 del 25.9.2013; Sez. U. n. 31617 del 26.6.2015; Sez. 6, n. 11956 del 15.2.2017).

Ebbene, alla luce di quanto precede, rilevava il Collegio come nel caso in scrutinio si fosse verificata la violazione dell’art. 521 c.p.p. posto che il reato di riciclaggio si pone in termini di incompatibilità con i reati presupposti posto che, per rispondere del primo, occorre non avere commesso il reato presupposto, come reso evidente dalla clausola di riserva, espressa dall’art. 648 bis c.p. fermo restando che la condanna per i reati presupposti non è uno sviluppo prevedibile del fatto originariamente contestato, ma corrisponde quindi a una sostanziale immutazione del fatto rilevandosi al contempo che, né, peraltro, l’iter concreto di svolgimento del processo aveva evidenziato la prevedibilità della qualificazione operata dalla Corte d’Appello atteso che, sia la sentenza di primo grado che l’appello della Parte pubblica, oltre alle difese del ricorrente, erano tutti incentrati sulla sussistenza o meno del delitto di riciclaggio senza alcun riferimento ai reati presupposti, pacificamente non attribuibili al ricorrente.

In tale contesto, per il Supremo Consesso, deve ritenersi realizzata una lesione del diritto di difesa dal momento che la Corte d’Appello non avrebbe potuto procedere alla qualificazione giuridica operata, sia pure preceduta dall’avere invitato le parti ad interloquire sul punto, dopo essersi ritirata una prima volta in camera di consiglio per la decisione.

Si imponeva, pertanto, per la Suprema Corte, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando il mutamento del fatto, operato in decisione, può comportare la violazione del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza così come previsto dall’art. 521 cod. proc. pen..

Difatti, in tale pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, nonché richiamando quanto postulato dalla Corte EDU nella nota sentenza Drassich, dopo essersi fatto presente che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa in guisa tale che l’indagine, volta ad accertare la violazione del principio suddetto, non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione e che la nozione strutturale di fatto, contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, rispondendo, quindi, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e sentenza (oggetto del potere del giudice) all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi, viene altresì affermato che, affinché il principio summenzionato non venga violato, occorre che tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa“, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato fermo restando però che tale condizione non si verifica in due occasioni, ossia: 1) quando l’imputato o il suo difensore abbiano avuto, nella fase di merito, la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione; 2) quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei possibili (si potrebbe dire “non sorprendenti“) epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se la modificazione del fatto, avvenuta in sentenza, abbia o meno violato il principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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