Cognome della madre al figlio anche nel matrimonio e in disaccordo con il marito: un’autentica rivoluzione

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Con sentenza dell’8 novembre la Corte Costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio, dichiarando illegittima la norma che prevede l’attribuzione automatica del cognome del padre al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori.

La pronuncia avviene sulla scia della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 7 febbraio 2014, che prevedeva la possibilità di attribuire al figlio anche il solo cognome della madre. La novità assoluta è rappresentata dalla circostanza che il diritto di attribuzione del cognome materno sorge a prescindere dalla circostanza di prole legittima o illegittima, di prole nata nel o fuori del matrimonio, pur in presenza di disaccordo tra i genitori. Termini ormai superati dalla legge n. 219/2012 e dal d.lgs. n. 154/2013 (Riforma Filiazione), che modificando l’art. 262 c.c. che distingueva tra figlio “legittimo” e figlio “naturale”, hanno introdotto la distinzione tra figlio nato nel o fuori del matrimonio. Attualmente l’art. 262 c.c. prevede che “il figlio nato fuori del matrimonio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti del padre e’ stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre”. Eliminando ulteriormente elementi di discriminazione, all’insegna del diritto di essere figlio in quanto tale, come anche sancito dalla dichiarazione internazionale dei diritti dell’uomo, per cui tutti sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di condizione di nascita o di sesso.

Con questa sentenza l’Italia conferma la propria vocazione di stato baluardo della difesa dei diritti civili e umani di ogni suo cittadino, consacrando il principio di eguaglianza e parità dei diritti di genere, affiancando all’eliminazione della “patria potestà” (sostituita egregiamente con la “responsabilità genitoriale”) quella della “potestà maritale”, chiaro simbolo di superiorità del marito sulla moglie, decidendo per essa e privandola di qualsiasi capacità di autodetereminazione e di libertà. Viene riaffermata dunque la pari dignità sociale e giuridica, che non viene meno se a dare il cognome al figlio è la madre che partorisce nel matrimonio oppure al di fuori. Grazie alla sentenza dell’8 novembre della Corte, portare il cognome della propria madre o quello del proprio padre, non sarà più fonte di discriminazione bensì frutto di autonoma scelta dei genitori e simbolo di libertà. Peraltro attualmente il disegno di legge riportante “modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli” – già approvato in Commissione Affari Costituzionali alla Camera, il 10 luglio 2016 – prevede tra l’altro che ai figli nati nel matrimonio – e non solo a quelli nati fuori – su accordo dei genitori, possano essere attribuiti i cognomi del padre, della madre o di entrambi alternativamente e che in caso di mancato accordo consegua l’attribuzione dei cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico.

Maria Cristina Manai

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