di Anna Costagliola
Il Libro II del Codice è dedicato alle «Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia» con l’obiettivo di riordinare e aggiornare tutta la delicata materia delle verifiche anti-criminalità negli appalti pubblici. Con tale disciplina si dà attuazione specifica alla delega contenuta nella L. 136/2010, la quale incaricava il Governo di provvedere alla modifica, aggiornamento ed integrazione della disciplina in materia di documentazione antimafia, frutto di una stratificazione normativa le cui principali tappe sono rappresentate dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, dal D.Lgs. 8 agosto 1994, n. 490 e dal D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.
Nella evoluzione costante della lotta alla criminalità organizzata, tra le forme di reazione dello Stato, vanno configurati i due strumenti delle comunicazioni antimafia e delle informative prefettizie. Si tratta di strumenti di reazione flessibili e tempestivi, di competenza dell’Autorità amministrativa (prefetto), idonei a rilevare e a contrastare anche il mero pericolo di infiltrazioni mafiose nelle imprese interessate. In particolare, oggetto delle informative prefettizie è costituito proprio dalla verifica dell’esistenza di «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate» (art. 84, co. 3, D.Lgs. 159/2011). L’istituto non presuppone l’accertamento di fatti penalmente rilevanti e di formali provvedimenti applicativi di misure di prevenzione, essendo sufficiente anche la mera eventualità che l’impresa possa, anche in via indiretta, favorire la criminalità. Le informative prefettizie, infatti, non mirano all’accertamento di responsabilità, ma vanno inquadrate come forme di massima prevenzione, inerente alla funzione di polizia di sicurezza, rispetto a cui assumono rilievo fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari, al di là dell’individuazione di responsabilità penali.
La disciplina introdotta dal Codice valorizza, in particolare, proprio l’istituto delle informazioni prefettizie che, sulla base dell’esperienza acquisita, si è rivelato strumento maggiormente idoneo (rispetto alle comunicazioni) a realizzare un sistema di controllo preventivo-amministrativo sul pericolo di infiltrazioni criminali nel settore degli appalti pubblici. Si è così ampliato l’elenco delle situazioni dalle quali è possibile desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, estendendolo anche ad attività ulteriori rispetto a quelle originariamente contemplate dall’art. 10 L. 575/1965 in ragione della loro suscettibilità ad essere permeabili alle infiltrazioni mafiose, anche per particolari condizioni ambientali e di contesto territoriale ed indipendentemente dal valore dei lavori.
In particolare, le fonti da cui possono essere tratte le indicazioni di «infiltrazione mafiosa» sono indicate dall’art. art. 84, co. 4, D.Lgs. 159/2011. Accanto alla previsione di tali fonti di informazione, il legislatore ha conferito al Prefetto il potere di rilevare il pericolo di infiltrazione mafiosa, oltre che da sentenze di condanna non definitiva per reati «strumentali», anche da concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa essere oggetto del condizionamento mafioso, anche indiretto (art. 91, co. 6, D.Lgs. 159/2011).
Nessuna traccia è invece desumibile dal Codice in ordine alle cd. informative atipiche o supplementari, ammesse nel vigore della previgente legislazione dalla prassi amministrativa e da una giurisprudenza particolarmente attenta al tema della prevenzione delle infiltrazioni e dei condizionamenti di tipo mafioso, nella convinzione che tali informative rinvenissero il loro referente normativo nell’art. 1septies D.L. 629/1982, oggi abrogato dal Codice antimafia. Dette informative erano fondate sull’accertamento di elementi che, pur denotando un collegamento tra l’impresa e la criminalità mafiosa, non raggiungevano tuttavia la soglia di gravità richiesta per le informative tipiche. La loro efficacia interdittiva era rimessa alla valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria dell’informativa, spettando ad essa, sulla base di un’attenta valutazione dei dati e delle situazioni concrete, la scelta di procedere o meno alla sottoscrizione del contratto ovvero di accordare la concessione o l’autorizzazione richiesta.
L’art. 91 del Codice contempla, invece, una norma di chiusura con la quale si è inteso superare e sostituire il previgente istituto delle informazioni atipiche, il cui punto critico risiedeva nella fragilità degli elementi in genere rimessi al vaglio delle Amministrazioni, apparendo essi il più delle volte incerti, inconcludenti o riferiti a circostanze accadute in tempi troppo lontani rispetto al rilascio dell’informativa, o addirittura inconferenti, in quanto riferiti a vicende estranee o marginali rispetto al rischio di infiltrazione mafiosa, ancorché venute ad interessare la giustizia penale. La nuova disciplina, pertanto, attribuisce alla responsabilità del prefetto la valutazione degli elementi che possono supportare il rilascio dell’informazione interdittiva, con l’obiettivo di conferire maggiore concretezza agli elementi oggetto di valutazione.
Rispetto alla previgente normativa, il Codice incide in modo innovativo anche sulla disciplina della durata della validità dell’informazione antimafia liberatoria, estendendola da 6 mesi ad 1 anno (per la comunicazione rimane il termine di 6 mesi) qualora non siano intervenuti mutamenti nell’assetto societario e gestionale dell’impresa oggetto di informativa (art. 86 D.Lgs. 159/2011).
La rinnovata attenzione manifestata dal legislatore per le informative prefettizie, con la individuazione di nuove tipologie di attività da sottoporre al vaglio obbligatorio delle verifiche antimafia ed una più dettagliata indicazione dei comportamenti e delle circostanze che lasciano presupporre un concreto tentativo di infiltrazione mafiosa consentirà un più efficace controllo del fenomeno, con possibilità di un adeguamento continuo del quadro normativo.