Clausola non punibilità art. 648 ter c.p.: quando non opera?

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Quando non opera la clausola di non punibilità di cui al quinto comma dell’art. 648 ter1 cod. pen.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 648-ter.1, co. 5)

Corte di Cassazione -sez. II pen.- sentenza n.4855 del 22-12-2022

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Milano confermava una pronuncia del G.U.P. presso il Tribunale di Monza che, a sua volta, aveva condannato alle pene di legge gli imputati in ordine ai reati di acquisto e detenzione illecita di ingenti quantità di sostanze stupefacenti del tipo marjuana ed hashish aggravati dall’art. 61 bis cod. pen. (capo 1), autoriciclaggio (capi 2 e 3), intestazione fittizia di beni (capi 5, 6, 7 e 8), detenzione illecita di marjuana (capo 9), loro rispettivamente ascritti.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponevano ricorso per Cassazione i difensori degli imputati che, tra i motivi addotti, deducevano violazione di legge in relazione all’art. 648 ter1 cod. pen., sostenendosi come, nel caso di specie, la punibilità andasse esclusa in quanto il denaro o le altre utilità erano state destinate alla mera utilizzazione personale, così come la condotta contestata, a loro volta, non risultava essere stata concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa posto le operazioni in questione erano prive della capacità dissimulatoria e non avevano ostacolato l’identificazione dell’origine delittuosa del denaro.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


I motivi summenzionati erano ritenuti infondati.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione, rilevando in primo luogo che, al fine di comprendere lo spazio operativo della clausola del godimento personale di cui al quarto comma dell’art. 648 terl cod.pen., appare chiaro che la direttrice da seguire al fine di valutarne l’operatività è proprio quella della possibile aggressione, da parte dell’autore della condotta, del bene giuridico protetto dall’art. 648 ter1 cod. pen. costituito dall’ordine economico, e ciò soprattutto con riferimento al reinvestimento di profitti illeciti costituiti da somme di denaro.
Di conseguenza, il Supremo Consesso riteneva di circoscrivere la portata applicativa di questo precetto normativo alle sole situazioni in cui il denaro o gli altri beni che derivano da un delitto non colposo presupposto non siano dallo stesso autore in qualche modo impiegati “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”, ma vengano da questo direttamente utilizzati, senza il compimento di un’attività concretamente di ostacolo dell’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Di talché, ogni attività dotata di capacità decettiva, finalizzata a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, esclude in radice la possibilità di invocare la non punibilità ai sensi del quarto comma, anche laddove consista in un utilizzo o godimento personale degli stessi.
Orbene, a fronte di ciò, si riteneva pertanto, una volta fatto presente come siffatto approdo ermeneutico sia stato già affermato da una precedente pronuncia della Sezione Seconda penale in forza della quale in tema di autoriciclaggio, l’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 648-ter.1, comma quarto, cod. pen. è integrata soltanto nel caso in cui l’agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 2 – , n. 13795 del 07/03/2019: in motivazione tale pronuncia precisa come:” il testo dell’art. 648 ter1 cod. pen. adottato dal legislatore italiano rappresenta il frutto della citata evoluzione, e del tutto logicamente deve ritenersi che abbia inteso perseguire, mediante l’utilizzo delle ampie locuzioni citate (attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative), qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale”), che tali criteri interpretativi vanno ribaditi, dovendosi tenere conto della palese volontà legislativa di punire qualsiasi attività di reimmissione nel circuito economico e finanziario di risorse provenienti dalla consumazione di precedenti attività illecite generatrici di profitti ricavabile dalla ampia dizione delle attività economiche, finanziarie, speculative o imprenditoriali richiamate dalla norma citata.
Ciò posto, i giudici di piazza Cavour, a questo punto della disamina, reputavano necessario affrontare un’altra problematica, ossia se siffatti principi si applichino anche alle situazioni in cui il provento del reato presupposto sia il denaro, bene che di per sé si presta ad essere reimmesso nel circuito economico legale e quindi ad essere sostituito con altri beni, essendo stato prospettato da entrambi i ricorsi del e della che, in quanto destinati ad utilizzo diretto da parte dello stesso autore del reato presupposto, gli acquisti effettuati con il profitto illecito del traffico di stupefacenti non integrerebbero comunque un’attività di autoriciclaggio punibile.
Ebbene, il Supremo Consesso notava a tal proposito come vi sia un primo intervento della Corte di legittimità con il quale è stato già evidenziato che “non integra il delitto di autoriciclaggio il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto” (Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016), così ribadendo la necessità, affinché operi l’esimente, che i proventi siano impiegati necessariamente dallo stesso autore del delitto presupposto, e che tale impiego non si sostanzi in attività idonea ad occultare la provenienza delittuosa del denaro oggetto di profitto.
Purtuttavia, per la Cassazione, a ben vedere, però, il caso richiamato riguardava un’operazione che, fin quando non comportava l’impiego del denaro depositato, non recava pregiudizio al bene giuridico tutelato, e ciò perché il mero versamento del denaro su un rapporto bancario intestato allo stesso autore del delitto presupposto appare privo di concreta capacità decettiva, mentre, nella fattispecie in esame, il caso era diverso posto che si trattava di uno spostamento di parte delle somme provento del traffico di stupefacenti in un paese estero, elemento già di per sé, sempre per la Corte, evocativo della volontà di nascondimento del denaro, ma anche dal successivo utilizzo dello stesso per estinguere finanziamenti o effettuare acquisti, che pur apparendo di natura personale, non possono che comportare l’inquinamento dell’economia legale, se solo si considera l’ingente ammontare delle somme impiegate nell’acquisto di immobili, compagini societarie, autovetture e motoveicoli di elevato valore.
In effetti, per i giudici di piazza Cavour, è proprio quest’ultimo profilo ad essere dirimente nel senso che lo spostamento ovvero l’impiego in qualunque forma di rilevanti somme di denaro di provenienza illecita non può beneficiare della non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648 ter1 cod. pen., anche laddove tali condotte fossero finalizzate a meglio godere del denaro stesso o a far fronte a spese personali dell’autore del reato presupposto, perché si tratta di situazioni che naturalmente incidono in maniera decisiva sull’economia legale, compromettendola, sì da risolversi in una delle condotte sanzionate dal primo comma.
Da ciò se ne faceva discendere che la non punibilità per godimento personale va limitata all’utilizzo del profitto illecito per ragioni strettamente contingenti ed esclusa quando per la pluralità degli acquisti effettuati e dei trasferimenti verso altri conti correnti si manifesti una evidente attività di trasformazione del denaro in altri impieghi e beni con chiaro intento speculativo ed effetto decettivo in quanto è proprio la ratio dell’introduzione della clausola di cui al quarto comma precedentemente esaminata a condurre in questa direzione: se l’intenzione del legislatore è stata quella di perseguire, attraverso l’introduzione della figura criminosa dell’autoriciclaggio, azioni che si sostanziassero in un inquinamento dell’economia, poste in essere dal medesimo autore del reato presupposto e successivamente a questo, questa esigenza certamente si rinviene laddove tali operazioni abbiano ad oggetto beni dal valore significativo (tra i quali certamente non possono che rientrarvi somme di denaro per decine di migliaia di euro), allorché vengano reimmessi in circolazione, ostacolando così il rinvenimento della loro origine illecita.
Quindi se il mero godimento personale può facilmente individuarsi in situazioni che coinvolgono beni primari (si pensi al caso di scuola del soggetto che dopo aver commesso il furto di un genere alimentare lo consumi), lo stesso non può dirsi per il denaro, res di per sé capace di inquinare le attività economico-finanziarie in cui è riadoperato, per lo meno quando il suo ammontare raggiunga livelli significativi e sia impiegato per l’acquisto di diversi beni mobili ed immobili ovvero per operazioni bancarie tutte poste in essere dall’autore del delitto presupposto.
Per la Corte, del resto, una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con la qui confermata esegesi del quarto comma dell’art. 648-ter1 cod, pen., essendo evidente come il reimpiego, in qualunque forma, di elevate somme di denaro determini un concreto effetto decettivo e di alterazione dell’economia legale, così come, sotto altro profilo, sarebbe paradossale non punire per autoriciclaggio operazioni coinvolgenti ingenti importi di denaro, solo perché realizzate dall’agente per finalità lato sensu personali, in quanto una tale conclusione allargherebbe la ristretta area di “privilegio” indicata al quarto comma e riferita essenzialmente ad operazioni contingenti, ponendosi così in aperto contrasto con la ratio dell’introduzione normativa, che, si ribadisce, ha inteso limitare la non punibilità ai soli casi in cui i beni provento di delitto restino cristallizzati nella disponibilità dell’agente, senza rientrare nel circuito economico legale.
Di conseguenza, andava esclusa la sussistenza di siffatta causa di non punibilità stante la molteplicità delle operazioni effettuate attraverso plurimi conti correnti tutti a servizio dell’attività di ripulitura delle somme provento del traffico illecito di stupefacenti, la pluralità di beni, mobili ed immobili, acquisiti tramite le stesse alcuni dei quali di particolare pregio e valore, la sistematica attività di pagamento tramite i profitti illeciti di rate di finanziamento o mutuo immobiliare precedentemente accesi.
Siffatte circostanze, infatti, erano reputate dalla Cassazione tutti elementi per ritenere sia che l’attività svolta avesse assunto natura finanziaria e speculativa, sia che la stessa, essendo priva della finalità dell’utilizzo contingente del profitto illecito, risultasse punibile quale complessa attività di autoriciclaggio alla quale non può applicarsi la clausola di non punibilità prevista dal quarto comma dell’art. 648 terl cod. pen..
Alla luce delle predette considerazioni era pertanto affermato il seguente principio di diritto: “la clausola di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648 ter1 cod. pen. non opera a favore dell’autore di varie fattispecie di delitto presupposto che percepiti profitti illeciti in denaro effettui sia operazioni di movimentazione bancaria sia plurimi acquisti di beni mobili ed immobili anche allo stesso intestati”.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi precisato quando non opera la clausola di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648 ter1 cod. pen. che, come è noto, stabilisce al quinto comma che, fuori “dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.
In questa pronuncia si afferma infatti che la clausola di non punibilità di cui al quarto comma (recte: quinto comma) dell’art. 648 ter1 cod. pen. non opera a favore dell’autore di varie fattispecie di delitto presupposto che percepiti profitti illeciti in denaro effettui sia operazioni di movimentazione bancaria sia plurimi acquisti di beni mobili ed immobili anche allo stesso intestati.
Di conseguenza, alla stregua di siffatto approdo ermeneutico, è sconsigliabile intraprendere una linea difensiva con cui invocare siffatta causa di non punibilità ove si verifichi una situazione di questo genere.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, quindi, proprio perché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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