Cessione del contratto condizionato e l’aspettativa giuridica

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Con la cessione del contratto si trasferisce da un soggetto (cedente) ad un altro (cessionario) il complesso dei rapporti scaturenti dallo stesso e di conseguenza se si trasferisce un contratto condizionato lo stesso rimane tale anche dopo il trasferimento. A mutare, infatti, è solo la posizione soggettiva di una parte. In verità, le norme che disciplinano la cessione del contratto consentono al cessionario di non liberare il cedente dalla responsabilità. E’ proprio tale aspetto ad assumere rilevanza ai fini del presente contributo il quale, indaga l’operatività della condizione in caso di cessione del contratto in relazione al profilo della responsabilità nel caso della lesione dell’aspettativa giuridica.

Per approfondimenti si consiglia: Compendio di diritto civile

Indice

1. Condizione sospensiva e risolutiva: ratio e differenze

L’art. 1325 c.c. disciplina i requisiti del contratto delineando quelli che sono i c.d. elementi essenziali dello stesso, accordo, causa, oggetto e forma ad substantiam ex art. 1350 c.c.. Ne consegue che un contratto per potere essere valido, a pena di nullità, necessita di tali elementi strutturali (costituzione del vincolo giuridico ex art. 1372 c.c.).
Gli elementi essenziali del contratto si contrappongono ai c.d. elementi accidentali dello stesso (condizione, termine e modo) i quali, sebbene non necessari per la sua validità (a meno che non si tratti di un elemento previsto come necessario dalla legge), nel momento in cui vengono previsti dalle parti (autonomia negoziale) assumono rilevanza giuridica incidendo sugli effetti contrattuali finali (costituire, regolare ed estinguere ex art. 1321 c.c.).  Un contratto sottoposto a condizione, dunque, può dirsi valido e perfetto ma non ancora efficace nel caso di condizione sospensiva mentre, si considera valido ed efficace quando lo stesso è sottoposto a condizione risolutiva. Il fatto che gli elementi accidentali, secondo l’opinione maggioritaria, non attengono al piano della validità, non si traduce nella mancanza di un giudizio di validità degli stessi. Infatti, con riferimento alla condizione, non sono ammesse condizioni illecite o in frode alla legge, in quanto l’ordinamento non potrebbe mai accettare un simile contrasto, e condizioni impossibili. In caso di condizione impossibile si ritiene nullo il contratto solo nel caso in cui è sottoposto a condizione sospensiva poiché verrebbe meno la funzione stessa del contratto condizionato non potendo, di fatto, svolgere alcun ruolo la condizone apposta. Nel caso di condizione risolutiva, invece, questa si ha per non apposta in coerenza con il principio di conservazione del contratto.
Nello specifico, la condizione ex art. 1353 c.c. è un elemento accidentale del contratto con le quali le parti subordinano la produzione degli effetti del contratto stipulato (condizione sospensiva) o la risoluzione dello stesso (condizione risolutiva) al verificarsi di un evento futuro e incerto che può consistere in un fatto naturale o dipendente dalla volontà di terzi (condizione casuale) o nella volontà di una delle parti o di entrambe (condizione potestativa) o mista. Ne consegue che la condizione non attenga al giudizio sulla validità del contratto, che può infatti dirsi perfetto ma, al piano degli effetti dello stesso. Nel caso della condizione sospensiva, le parti subordinano la produzione degli effetti del contratto stipulato al verificarsi di un evento futuro e incerto mentre, nel caso della condizione risolutiva al verificarsi dell’evento futuro e incerto gli effetti del contratto si considerano tamquam non esset. E’ bene precisare che non possono essere addotti come condizione gli elementi essenziali del contratto poiché in tal caso, il contratto non potrebbe dirsi perfetto spostando il focus del giudizio sulla validità dello stesso ed essendo la condizione accidentale al contratto ques’ultima non potrebbe spiegare alcun effetto.
La più importante differenza tra condizione sospensiva e risolutiva risiede nella titolarità del diritto dedotto nel contratto.  Mentra nel caso della condizione risolutiva, la parte risulta titolare del diritto  alla conclusione del contratto, nel caso della condizione sospensiva non vi è ancora il requisito per la configurazione della titolarità ma, la parte che ha interesse all’avveramento della condizione può disporre del diritto esercitando i c.d. poteri conservativi ex artt. 1356 c.c., 1361 c.c.. In tal senso si richiamano il principio di buona fede e il dovere di correttezza a cui entrambe le parti sono soggette ex artt. 1358 e 1375 c.c. in combinato al rispetto dei requisiti propri della condizione la quale, deve consistere in un evento futuro e incerto (non presente e non conoscibile dalle parti al momento della conclusione del contratto). A fortiori, per espressa previsione di legge ex art. 1355 c.c. si considera nulla la condizione meramente potestativa, che dipende cioè dalla mera volontà di una parte di liberarsi del contratto senza alcun apprezzabile interesse ricollegabile al contratto stesso, in quanto viene escluso a monte, dalla legge, il requisito dell’affidabilità. Bisogna però distinguere l’affidabilità intesa come requisito della condizione e che si traduce, appunto, nel divieto di apporre condizioni meramente potestative, dalla buona fede oggettiva e dal dovere di correttezza che, invece, rilevano sul piano del comportamento delle parti. In quest’ultimo caso, le parti, hanno il dovere di comportarsi secondo correttezza preservando le ragioni di ognuna. Inoltre, la parte che la disponibilità del bene deve attivarsi positivamente affinchè questo venga preservato a tutela dell’aspettativa della controparte (legittimo affidamento). Ne consegue, ad esempio, il divieto di tenere comportamenti, dolosi o colposi, che vadano a impedire l’avveramento della condizione, riferibile a ragion veduta, alla parte che ha interesse al non avveramento della stessa o a causarne l’avveramento avendo l’interesse opposto [1]. In tal caso l’ordinamento risponde, la dove possibile e nel caso della condizione sospensiva, con la finzione dell’avveramento della condizione ex art. 1359 c.c. intesa come sanzione alla violazione dell’obbligo di buona fede o la dove non possibile o nel caso della condizione risolutiva esperendo il rimedio caducatorio della risoluzione e/o con il risarcimento del danno (interesse negativo ex artt. 1337 e 1338 c.c.).
La ratio sottesa a tali rimedi risiede nella lesione della posizione giuridica c.d. di aspettativa. In altre parole, sebbene un contratto sottoposto a condizione sospensiva non possa produrre alcun effetto fino all’avveramento della condizione, la funzione assegnata dalle parti al contratto concluso sotto condizione comunque valido assume rilevanza giuridica in relazione al periodo di pendenza connesso ad un certo risultato. Ne consegue che, ogni comportamento di una parte a danno dell’altra che si ponga in contrasto con la funzione del contratto condizionato stipulato configura una fattispecie di inadempimento attuale e immediatamente rilevante, consistente nella violazione dell’obbligo di tenere un conmportamento improntato alla buona defe oggettiva e alla correttezza, e genera un intervento solutorio o risarcitorio.

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2. La cessione del contratto condizionato: lesione dell’aspettativa e responsabilità

La cessione del contratto, disciplinata dagli articoli 1406 e seguenti del codice civile, comporta la successione totale di un soggetto ad un altro nei rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite. In particolare, un soggetto (detto cessionario) si sostituisce ad uno dei contraenti (detto cedente) nella complessa situazione giuridica che deriva dal contratto intercorrente tra quest’ultimo con un altro soggetto (ceduto), subentrando nell’insieme delle posizioni attive e passive, sia principali che accessorie, ad esso inerenti , ossia dell’intera posizione contrattuale del cedente. Ne consegue che, qual’ora il cedente rimanga vincolato al contratto (nel caso in cui il contraente ceduto dichiari di non volerlo liberare), anch’esso continua ad essere tenuto al rispetto della buona fede oggettiva e al dovere di correttezza nel periodo di pendenza della condizione a tutela delle ragioni delle parti (aspettativa) nel caso in cui il cessionario si renda inadempiente, così come si evince dal combinato disposto dagli artt. 1358 c.c. e 1408 II co. c.c. In altre parole, a seguito della cessione del contratto condizionato, ammessa in quanto il contratto si è perfattemente concluso e perciò valido, il complesso dei rapporti inerenti al contratto si mantiene stabile così come la funzione dello stesso, realizzandosi solo un mutamento soggettivo. Ciò che cambia, quindi, è il soggetto che assume l’obbligo di comportarsi secondo buona fede a tutela dell’aspettativa la quale, assume rilevanza poiché strumentale alla funzione assegnata al contratto dalle parti. Ciò che si tutela, quindi, nel caso del contratto condizionato nella fase della pendenza della condizione è la regolarità del comportamento delle parti in relazione alla normale conformazione del contratto. Ne consegue che le parti non possano, con il proprio comportamento incidere sull’incertezza e sulla futurabilità della condizione compromettendo il decorso degli eventi nel tempo.
In merito alla struttura della cessione del contratto devono considerarsi due opposte teorie:
–      la teoria atomista che la considera come una scomposizione negoziale secondo la quale si realizzerebbero l’accollo del debito e la cessione del credito (negozio complesso);
–      la teoria unitaria che la considera come un’unica dichiarazione e un unico negozio di disposizione.
Il punto focale che consente di individuare la ratio e la funzione della cessione del contratto consiste nel capirne la struttura. In sostanza, ci si chiede se con la cessione del contratto si trasferisce il contratto come fattispecie o se essendo quest’ultima già costituitasi ed esauritesi con la stipulazione, a trasferirsi siano in realtà solo gli effetti. Propendere per l’una e non per l’altra teoria è rilevante per il presente lavoro, poiché dalla cessione del contratto intesa come fattispecie deriva che il trasferimento del contratto condizionato riguardi il contratto originario così come stipulato, mentre dalla cessione del contratto intesa come trasferimento degli effetti, deriva che nel caso del contratto condizionato a trasferirsi non è l’intero contratto ma, solo gli effetti dello stesso che coincidono con l’aspettativa intesa come fattispecie autonoma. Ne consegue che, nell’ultimo caso a trasferirsi non sia il contratto ma un semplice diritto, l’aspettativa per l’appunto. Seguendo tale impostazione, pertanto, la cessione del contratto condizionato comporta il trasferimento della titolarità dell’aspettativa dal cedente al cessionario con il venir meno del complesso degli obblighi legati al contratto originario. In sostanza, si trasferisce l’aspettativa in quanto essa stessa assume un valore economico del tutto sganciata dal diritto condizionato e perciò attuale e certa al contrario di quest’ultimo. La dicotomia nasce anche al fine di legittimare la possibilità di costituire la cessione del contratto anche in relazione ai contratti con efficacia reale. Infatti, considerando ammissibile la cessione dell’aspettativa si può ritenere ammissibile la cessione di un contratto ad effetti reali. Si pensi all’esempio in cui un soggetto Tizio riceva per donazione un’ unita immobiliare sotto condizione sospensiva che la zona in cui questa è situata venga servita dalla linea metropolitana nel termine di 10 anni. Nella fase di pendenza (10 anni) della condizione (linea metropolitana) Tizio può decidere sia di vendere il diritto futuro e dunque costituendo una vendita obbligatoria in quanto l’acquirente potrà dirsi tale solo all’avveramento della condizione, sia l’aspettativa e dunque una vendita ad effetti reali pienamente efficace sin dal momento della stipulazione del contratto.
Invero, sia che si voglia considerare l’aspettativa come un diritto autonomo o come diritto strumentale connesso al contratto originario, comunque non vengono meno il rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza a tutela del diritto nel primo caso, della regolare formazione progressiva del contratto nel secondo.

3. Conclusione

Considerare l’aspettativa come un diritto autonomo o come un diritto strumentale al diritto condizionato, sebbene comporti effetti diversi, comunque non fa venir meno il rispetto dell’obbligo di buona fede e del dovere di correttezza a cui le parti sono sottoposte. A mutare è solo l’estensione dello spazio in cui l’inadempimento può dirsi configurato nel senso che nel caso in cui l’aspettativa venga considerata come diritto autonomo  e con la cessione si realizzi il trasferimento dello stesso, l’indagine è meno stringente, dovendo considerare l’alea che lo contraddistingue. In questo caso, infatti, le parti è come se facessero una scommessa tale per cui l’obbligo della buona fede e il dovere di correttezza risultano chiaramente meno stringenti. Tuttavia, non può parlarsi di esenzione di responsabilità, quando il comportamento delle parti risulti in collisione con la funzione del trasferimento.

Note

  1. [1]

    Cass., Sez. III, 17.09.1980 n. 5291: “Rientrando nell’ambito di operatività dell’art. 1359 c.c., sia le condizioni sospensive che quelle risolutive, sia quelle positive che quelle negative, il contratto sottoposto alla condizione risolutiva, in cui l’evento dedotto in condizione sia il mancato avveramento di un fatto entro un certo tempo, non si potrà considerare risolto qualora il mancato accadimento dell’evento previsto sia casualmente ricollegabile ad un comportamento doloso o colposo del contraente avente un interesse contrario”.

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Francesca Fuscaldo

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