Cautelare – Sequestro Conservativo – periculum in mora – fumus boni iuris – donazioni indirette – rapporto coniugale – art.143 c.c.

sentenza 22/11/07
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Per la concessione di un sequestro conservativo, oc­corre la presenza di uno specifico e determinato ri­schio di perdita della garanzia rappresentata dal patrimonio del debitore, cioè la sussistenza di una situazione di pericolo reale ed obiettiva, in cui si concreti la possibilità che il patrimonio del de­bitore venga sottratto o diminuito, in modo tale da non soddi­sfare la funzione di garanzia assegnatagli dall’art. 2470 del codice civile. Il requisito del "periculum in mora" può essere desunto, anche alternativamente, sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi, idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Non è necessario che il pericolo consista in un depauperamento in atto del patrimonio del debitore, purché esso sia desumibile alla stregua degli elementi innanzi indicati. Pertanto colui che chiede l’autorizzazione al sequestro è tenuto a fornire la piena prova della sussistenza della situazione sopra descritta, non potendo il timore del creditore dipendere da apprez­zamenti meramente astratti e personali dello stesso, essendo la sommarietà dell’indagine ri­servata esclusivamente alla valutazione della ricor­renza del diritto cautelando.
Per gli atti ascrivibili alla categoria della donazione indiretta, è sufficiente l’osservanza delle prescrizioni di forma richieste per l’atto da cui essa risulta, in quanto l’art. 809 cod. civ., mentre assoggetta le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ. alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni, non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico. I bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale.  
 
 
 
 
 
Il Giudice
sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza dell’1.12.2006, esaminati gli atti, rileva quanto segue.
*** Fabio ha chiesto l’autorizzazione al se­questro conservativo, in corso di causa, dei beni immobili e mobili di ***, sino alla concorrenza dell’importo di € 200.000,00.  
A fondamento della domanda esponeva che i coniugi avevano stipulato (pp. 1 e 2 dell’atto di citazione):
– contratto di mutuo con garanzia ipotecaria n.189.176 per l’importo di € 146.000,00 erogati dalla Bipop-Carire S.p.a.;
–  fido per € 15.493,71 da utilizzarsi mediante apertura di credito in conto corrente 58/1772;
– fido per € 5.000,00 da utilizzarsi sul conto corrente 78270;
e di avere proposto, con atto di citazione notificato al coniuge, domanda volta ad ottenere la restituzione delle rate mensili di mutuo e dei fidi scadute e da scadere essendo tali rapporti cointestati ad entrambi i coniugi ed avendo provveduto egli soltanto al pagamento delle rate scadute.
per l’acquisto degli arredi degli immobili della convenuta, uno dei quali era stato adibito a casa coniugale e l’altro locato a terzi;
per la ristrutturazione e gli impianti dell’immobile di proprietà della convenuta adibito a casa coniugale.
– Sul periculum in mora –
L’art. 671 del codice di procedura civile prevede che il giudice può autorizzare il sequestro conservativo esclusivamente se sussiste in capo al creditore un "fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito".
In virtù di tale disposizione, per la concessione di un sequestro conservativo, oc­corre la presenza di uno specifico e determinato ri­schio di perdita della garanzia rappresentata dal patrimonio del debitore, cioè la sussistenza di una situazione di pericolo reale ed obiettiva, in cui si concreti la possibilità che il patrimonio del de­bitore venga sottratto o diminuito, in modo tale da non soddi­sfare la funzione di garanzia assegnatagli dall’art. 2470 del codice civile.
In particolare il requisito del "periculum in mora" può essere desunto, anche alternativamente, sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi, idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio ( cfr. Cass.,Sez. 3, Sentenza n. 2081 del 13/02/2002; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2139 del 26/02/1998; Cass. 16.4.1996 n. 3563; Cass. 9.2.1990 n. 902; Cass. 10.9.1986 n. 5541). Inoltre non è necessario che il pericolo consista in un depauperamento in atto del patrimonio del debitore, purché esso sia desumibile alla stregua degli elementi innanzi indicati (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 902 del 1990; sent. n. 4906 del 1988).
Pertanto colui che chiede l’autorizzazione al sequestro è tenuto a fornire la piena prova della sussistenza della situazione sopra descritta, non potendo il timore del creditore dipendere da apprez­zamenti meramente astratti e personali dello stesso, essendo la sommarietà dell’indagine ri­servata esclusivamente alla valutazione della ricor­renza del diritto cautelando.
Nel caso di specie il ricorrente, in sede di interrogatorio libero, ha dichiarato: “…mia moglie non mi ha detto che venderà gli immobili di sua proprietà ma lo ha detto a mio fratello durante una lite, in un momento di rabbia…” ( cfr: verbale di udienza del 16.11.2006).
Ciò posto, appare evidente che l’affermazione della resistente, asseritamene espressa in una sola occasione ed in uno stato d’ira, anche qualora fosse dimostrata, non sarebbe tale – in assenza di ulteriori elementi obiettivi atti a comprovare l’effettiva volontà della medesima – da lasciare presumere che la stessa, al fine di sottrarsi all’adempimento delle proprie obbligazioni, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale deprezzamento del suo patrimonio, sottraendolo all’esecuzione forzata.
Inoltre il ricorrente desume il periculum in mora dalla circostanza che la resistente “ benché richiesta più volte di sopportare in proprio , o di concorrervi, il pagamento dei debiti contratti per i titoli e le ragioni esposti in atti, sempre rifiutava e manifestava al ricorrente la volontà di non pagare alcunché…” ( p.9 del ricorso per sequestro conservativo).
A tal proposito appare evidente che la mera volontà di non aderire alle richieste del ricorrente non valga a costituire prova del periculum richiesto dall’art. 671 c.p.c..
Diversamente argomentando basterebbe che il convenuto chiedesse il rigetto delle avverse domande per legittimare la concessione di un sequestro conservativo.
Peraltro l’odierno ricorrente, già con l’atto di citazione notificato in data 8.4.2005, aveva preannunciato, allegando la sussistenza del rischio di alienazione degli immobili, la proposizione di un ricorso per sequestro conservativo “nella denegata ipotesi che la convenuta persistesse nella propria inadempienza “.
Tuttavia, ad oltre un anno e mezzo di distanza dalla notifica della citazione, il ricorrente non ha allegato alcun elemento da cui desumere la sussistenza di un attuale e concreto pericolo che tali alienazioni immobiliari possano essere effettivamente realizzate.
Peraltro è pacifico che uno degli immobili dei quali il ricorrente lamenta il pericolo di alienazione sia attualmente abitato dalla resistente e dai figli. Conseguentemente non appare verosimile che quest’ultima intenda privarsi di tale immobile, allontanando i figli dall’ambiente nel quale hanno sempre vissuto, con la conseguente necessità di reperire un’altra sistemazione per la famiglia.
Inoltre l’asserita circostanza che la resistente si sia assunta, in sede di separazione, l’impegno di estinguere i debiti con le banche oltre a non assumere alcun rilievo in merito al periculum, risulta priva di ogni riscontro probatorio non essendo contenuta nella sede deputata ad accogliere siffatti accordi ovvero nelle condizioni omologate in sede di separazione consensuale.
Infine la circostanza che sulla casa coniugale sia stata iscritta un’ipoteca volontaria a garanzia del finanziamento per cui è causa non vale a costituire prova dell’esistenza di un effettivo pericolo di depauperamento della garanzia patrimoniale, considerato anche che la resistente è comunque proprietaria di un altro immobile e che se la banca soddisfacesse le proprie ragioni creditorie sull’immobile della resistente ciò eliderebbe la maggior parte dei crediti vantati dal ricorrente verso la moglie nel presente giudizio, originati proprio   dalle obbligazioni assunte dai coniugi nei confronti dell’istituto di credito.
Pertanto, con evidenza, difetta il periculum in mora e ciò solo è sufficiente a respingere il ricorso in esame.
Ad abundantiam, per quanto attiene al fumus boni iuris, come emerge dall’esame dell’atto di citazione, l’odierno ricorrente, pur allegando la cointestazione di tutti i rapporti bancari per cui è causa, ha chiesto la condanna della resistente al pagamento, non pro quota bensì per intero, di tutte le somme erogate dagli istituti di credito sul presupposto che esse riguardassero immobili di proprietà esclusiva di quest’ultima.
Ciò premesso, appare evidente che ove fosse accertata la fondatezza della domanda restitutoria essa, salvo ogni accertamento da operarsi nel giudizio di merito, non potrebbe comunque riguardare l’intero importo erogato dagli istituti di credito ma soltanto la quota del 50% di spettanza della resistente, quale cointestataria dei contratti di finanziamento dedotti in giudizio.
La fondatezza di tale conclusione risiede nelle stesse dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di interrogatorio libero: “…….abbiamo allestito una casa faraonica e io ho speso molto; non ci siamo mai accordati sulla restituzione di quanto da me speso perché andavamo d’accordo e veniva fatto tutto nell’interesse comune in quanto si trattava della casa coniugale; mia moglie non si era quindi impegnata a restituirmi alcunché….”.
Pertanto, proprio la ricostruzione dei fatti compiuta dal ricorrente, comprova che il rapporto coniugale e le esigenze della famiglia costituissero la causa degli esborsi in questione la cui natura è, dunque, ascrivibile alla categoria della donazione indiretta, per la quale è sufficiente l’osservanza delle prescrizioni di forma richieste per l’atto da cui essa risulta, in quanto l’art. 809 cod. civ., mentre assoggetta le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ. alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni, non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico.
Inoltre, in ipotesi quali quella in esame, la costante giurisprudenza sia di legittimità che di merito ha ritenuto che il rapporto coniugale, comprovi di per sé l’animus donandi quale causa delle corresponsioni effettuate, sempre che non venga compiutamente dimostrata l’esistenza di un diverso accordo tra le parti (cfr. Tribunale Roma, 24-06-1999; Trib. di Milano 17-09-1998; Cass. 23 dicembre 1992, n. 13630, in Dir. fam., 1994, I, 112; id. 31 gennaio 1989, n. 596, in Giur. it., 1989, I, 1, 1726; App. Cagliari 23 aprile 1990, in Riv. giur. sarda, 1992, 15), circostanza, quest’ultima, che non ricorre nel caso in esame stante il tenore delle dichiarazioni del ricorrente.
Inoltre la Suprema Corte ha recentemente affermato, in un’ipotesi sostanzialmente analoga a quella in esame, che i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale (cfr: Cass.,Sez. 1, Sentenza n. 18749 del 17/09/2004).  
Nell’enunciare il principio di cui in massima, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, la quale – esclusa la configurabilità, nella specie, di un mutuo endofamiliare – aveva ritenuto espressione di partecipazione alle esigenze dell’intero nucleo familiare, ai sensi della citata norma codicistica, il consistente intervento finanziario della moglie a titolo di concorso nelle spese relative alla ristrutturazione della casa di villeggiatura di proprietà del marito ma di uso familiare comune.
Pertanto, allo stato attuale, non appare sussistente il fumus boni iuris nei termini prospettati dal ricorrente.
La domanda deve essere quindi respinta per gli esposti motivi.
Spese al definitivo.
P. Q. M.
Respinge la domanda del ricorrente e rinvia la causa al 15.12.2006, ore 14 per la decisione sull’ammissione dei mezzi di prova.
Spese al definitivo.
Si comunichi via fax stante l’urgenza.
Grumello del Monte,1.12.2006.              
IL GIUDICE

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