Cassazione: il vizio parziale di mente è compatibile con il dolo

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    Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

(Riferimenti normativi: Cod. pen., artt. 43, 89)

1. Il fatto

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Latina all’esito di giudizio abbreviato in punto di affermazione della penale responsabilità di una persona accusata in ordine ai reati di rapina aggravata e porto di arma impropria, rideterminando il trattamento sanzionatorio, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’ art. 89 c.p. in regime di (ritenuta) prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione alla sussistenza di condizioni implicanti un vizio totale di mente in quanto, ad avviso del ricorrente, i giudici di merito non avevano considerato che, come accertato dallo specialista, l’imputato, al momento del fatto, versava in una fase acuta della sua patologia che aveva eliminato del tutto la sua capacità di intendere e di volere; 2) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato in ragione del disturbo di personalità dell’imputato incidente sulla sfera volitiva atteso che, secondo la difesa, nel caso in esame, al momento del fatto, il ricorrente si trovava in una condizione psichiatrica tale da escludere la sua capacità di intendere e di volere e, quindi, tale da escludere la possibilità di ritenere configurabile un reato in ragione della mancanza dell’elemento soggettivo; 3) vizio di motivazione nella parte in cui i giudici di appello avevano escluso la sussistenza di un vizio totale di mente posto che, ad avviso del difensore, la motivazione era del tutto illogica nella parte in cui la Corte di Appello aveva escluso il vizio totale di mente adducendo a sostegno della propria affermazione argomenti inconferenti ed in netto contrasto con le risultanze istruttorie e che, parimenti, del tutto illogica era la motivazione quanto al rigetto della doglianza in punto di compatibilità fra vizio di mente e dolo.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era reputato inammissibile in ragione della manifesta infondatezza di tutte le censure proposte.

Si osservava, in primo luogo, per quanto concerne il profilo concernente il paventato vizio totale di mente, come fosse sufficiente rilevare che, nel corso del giudizio di primo grado, era stata disposta una perizia che aveva concluso nel senso della assenza di condizioni tali da escludere del tutto la capacità di intendere e di volere dell’imputato il quale, pur affetto da personalità schizofrenica, “non presentava una patologia eclatante dal punto di vista pschiatrico” (cfr., pag. 3 della sentenza di secondo grado).

Oltre a ciò, era rilevato come sia stato più volte ribadito che, laddove il giudice ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle sue conclusioni e della eventuale erroneità di quelle cui fosse pervenuto il consulente di parte, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del secondo, potendo così ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in Cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen., soltanto qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice (cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. pen., 5, 13.2.2017 n. 18.975), tenuto conto altresì del fatto che, nel caso in esame, in seno all’atto di appello, la difesa si era limitata a rilevare che le indagini del perito inducevano a ritenere che l’imputato, specie valutate le crisi acute disturbi della personalità, versava in una condizione psichica atta ad acclarare una incapacità totale di mente.

Se, quindi, l’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo. (Sez. 1 – , Sentenza n. 11897 del 18/05/2018), da ciò se ne faceva conseguire come appariva essere evidente che la difesa aveva finito esclusivamente per sollecitare in sede di legittimità una rivisitazione di elementi fattuali certamente preclusa.

Di conseguenza, alla stregua di ciò, ad avviso del Supremo Consesso, occorreva, quindi, osservare che l’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito che l’agente sta compiendo, esprimono categorie giuridiche concettualmente diverse ed operanti su piani diversi, benché ovviamente la prima, come substrato naturalistico della responsabilità penale, vada accertata con criterio di priorità rispetto alla seconda.

In particolare, era rilevato che il vizio parziale di mente (art. 89 c.p.) deve valutarsi logicamente compatibile con il dolo, non essendovi contrasto fra la seminfermità mentale ed il ritenere provato il dolo posto che la coscienza e la volontà, pur diminuite, non sono inconciliabili con il vizio parziale di mente, perché sussiste piena autonomia concettuale tra la diminuente, che attiene alla sfera psichica del soggetto al momento della formazione della sua volontà, e l’intensità del dolo, che riguarda il momento nel quale la volontà si esteriorizza e persegue l’obiettivo avuto di mira dal soggetto agente (vedi per tutte: Sez. 1, n. 40808 del 14.10.2012; Sez. 6, n. 47379 del 13.10.2011).

Con la conseguenza, quindi, che, nel caso di un reato commesso da persona seminferma di mente, deve essere in ogni caso oggetto di ricognizione e verifica la sussistenza dell’elemento psicologico del commesso reato atteso che anche nella condizione di imputabilità diminuita residua pur sempre la capacità di intendere e di volere, la cui contrazione può astrattamente assumere possibile rilievo nei reati a dolo specifico.

L’autonomia concettuale e di corrispondente manifestazione esterna delle nozioni di imputabilità e di colpevolezza, pertanto, fa sì che, per i giudici di piazza Cavour, il reato di rapina può essere configurabile, e il giudice di merito deve accertare simile evenienza, indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere, scemata, del suo autore posto che è stato ritenuto che la ridotta capacita di intendere o di volere, che ne esprime la condizione psichica, può avere sicura influenza nella ricerca del dolo in reati contrassegnati da particolari doli specifici, ma di norma non in reati tipici ordinari, come l’omicidio o la lesione nei delitti contro l’integrità personale o il furto e la rapina nei delitti contro il patrimonio.

Ciò premesso, gli Ermellini facevano presente, quanto alla contestata insussistenza dell’elemento psicologico nel caso in questione, come la Corte di Appello avesse adeguatamente argomentato in ordine alla sussistenza del dolo in capo all’imputato avendo posto l’accento sul fatto che, a parte le modalità degli accadimenti (chiaramente sintomatici del dolo), l’imputato risultava avere pienamente compreso il disvalore della condotta predatoria essendosi, subito dopo i fatti, premurato di occultare abiti e coltello nel timore di essere riconosciuto.

Pertanto, anche in considerazione delle genericità delle contestazioni di parte ricorrente, non essendo evidenziabile, per la Corte di legittimità, alcuno dei vizi motivazionali deducibili in sede di legittimità, quanto all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati ascritti, le censure, essendo (stimate) incentrate tutte su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, apparivano, sempre ad avviso del Supremo Consesso, del tutto infondate.

Per le considerazioni esposte, dunque, come suesposto prima, il ricorso era dichiarato inammissibile.

4. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito che il vizio parziale di mente è compatibile con il dolo.

Difatti, in tale pronuncia, è affermato, lungo il solco di un pregresso orientamento nomofilattico, che il vizio parziale di mente deve valutarsi logicamente compatibile con il dolo, non essendovi contrasto fra la seminfermità mentale ed il ritenere provato il dolo posto che la coscienza e la volontà, pur diminuite, non sono inconciliabili con il vizio parziale di mente, perché sussiste piena autonomia concettuale tra la diminuente, che attiene alla sfera psichica del soggetto al momento della formazione della sua volontà, e l’intensità del dolo, che riguarda il momento nel quale la volontà si esteriorizza e persegue l’obiettivo avuto di mira dal soggetto agente.

Tal che ne discende che, nel caso di un reato commesso da persona seminferma di mente, deve essere in ogni caso oggetto di ricognizione e verifica la sussistenza dell’elemento psicologico del commesso reato atteso che anche nella condizione di imputabilità diminuita residua pur sempre la capacità di intendere e di volere.

E’ quindi sconsigliabile, perlomeno alla stregua di tale approdo ermeneutico, intraprendere una linea difensiva che, al contrario, sostenga l’insussistenza dell’elemento soggettivo per il sol fatto che il reato sia stato commesso da una persona affetta da seminfermità mentale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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