Casa coniugale e assegnazione se non ci sono figli

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Quando due coniugi decidono di separarsi e procedere al divorzio, ci sono diverse questioni da valutare in relazione all’assegnazione della casa coniugale, vale a dire, sul luogo dove la coppia ha stabilito la dimora durante il matrimonio.

Ad esempio:

Una coppia decide di separarsi e successivamente di volere divorziare.

Il marito ha reddito di modesta entità e una casa di proprietà.

La moglie è disoccupata ed è nullatenente.

Al momento di concordare le condizioni del distacco, la donna chiede un assegno di mantenimento, ma siccome l’ex le può dare poche centinaia di euro, lei vorrebbe continuare a vivere nella casa familiare, della quale si è sempre occupata.

È possibile?

Di seguito la risposta, prima scriviamo qualcosa sull’assegnazione della casa coniugale.

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L’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio

La casa coniugale è il teatro della vita familiare, fulcro degli interessi e delle abitudini in cui si realizza la vita della famiglia. La notevole complessità delle problematiche connesse all’abitazione si ripercuote inevitabilmente sulla sua assegnazione, in sede di separazione o divorzio.Non v’è dubbio, infatti, che, in occasione della crisi matrimoniale, l’assegnazione della casa adibita a residenza della famiglia rappresenti uno dei motivi di maggior conflitto, in quanto vengono a scontrarsi esigenze e diritti contrapposti, tutti oggetto di esplicita tutela costituzionale: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti e dell’organizzazione domestica; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata.Il legislatore, nel regolamentare la materia – che non riesce a fornire un’apprezzabile soluzione a tutti i problemi sociali e giuridici –, ha spostato l’attenzione dai genitori alla famiglia, composta anche dai figli, i cui interessi devono essere prioritariamente privilegiati, all’evidente scopo di salvaguardare il bisogno dei minori (o anche dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti o portatori di handicap) di mantenere inalterati i rapporti con l’ambiente in cui sono vissuti.Quindi solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita è l’unico motivo che può spingere a sacrificare (limitare) il diritto di proprietà.Giuseppe Bordolli, Consulente legale in Genova ed esperto di diritto immobiliare. Svolge attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. È collaboratore del quotidiano Condominio 24 Ore on line e cartaceo e di varie riviste di diritto immobiliare. Autore di numerose pubblicazioni in materia di condominio, mediazione immobiliare, locazione, divisione ereditaria, privacy, nonché di articoli e note a sentenza. È mediatore e docente in corsi di formazione per le professioni immobiliari

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A chi viene assegnata la casa coniugale

In presenza di una separazione consensuale, con accordo di ex marito ed ex  moglie, sono i coniugi a decidere dove vada a finire la casa cointestata o di proprietà di uno dei due.

Possono stabilire che resti in capo al proprietario o venga dallo stesso donata all’altro coniuge oppure venga venduta e il ricavato diviso.

In presenza di una separazione giudiziale, che a causa del mancato accordo tra i coniugi, viene decisa dal giudice a seguito di un regolare processo, la regola è che l’utilizzo della casa spetti al coniuge al quale vengono assegnati i figli, indipendentemente da chi sia il proprietario.

Ad esempio, se il marito è proprietario dell’appartamento e la moglie ottiene la collocazione dei figli spetterà a lei restare nell’appartamento coniugale.

Il diritto cesserà quando i figli, con o senza la madre, andranno a vivere in altro luogo o acquisteranno l’indipendenza economico.

Lo scopo dell’assegnazione della casa coniugale è tutelare la prole e fare in modo che i piccoli non debbano a subire altri traumi dalla separazione.

In una coppia senza figli, la casa resta sempre al proprietario, anche se l’altro/a non ha redditi per vivere.

Se la madre, assegnataria della casa, deciderà di trasferirsi con i figli perderà la casa coniugale.

Se i figli andranno a vivere all’università e si stabiliranno lì, la madre dovrà abbandonare la casa coniugale.

Una volta che i figli abbiano hanno acquisito l’indipendenza economica, anche se non abitano ancora nella casa del padre la dovranno lasciare.

Si legga anche:”La casa familiare o casa coniugale”

A che cosa serve l’assegnazione della casa coniugale

In passato, un orientamento giurisprudenziale voleva dare all’assegnazione della casa coniugale una funzione di sostegno del reddito nei confronti del coniuge economicamente più debole.

Oggi l’indirizzo della giurisprudenza è cambiato e si è assestato in un altro senso.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, in materia di separazione e di divorzio, l’assegnazione della casa familiare deve deve essere finalizzata in modo esclusivo alla tutela dei figli, al fine di farli restare nell’ambiente domestico nel quale sono è cresciuti.

L’assegnazione della casa non può mai essere disposta come integrazione dell’assegno di mantenimento, dovuto dopo la separazione o il divorzio, allo scopo di fare fronte alle esigenze economiche del coniuge più debole.

L’assegno di mantenimento svolge la funzione di garanzia, non la casa.

Si potrebbe accordare un mantenimento più elevato nei confronti di chi non ha un’abitazione e un reddito per trovare casa, ma non si può arrivare a una “espropriazione” della proprietà.

 

La richiesta di assegnazione della casa familiare può essere avanzata esclusivamente in “presenza di figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti al fine di garantirgli una continuità di vita nello stesso ambiente e, al fine di evitare altri traumi oltre a quello che consegue  alla disgregazione del nucleo familiare.

Di conseguenza, la domanda va rigettata se dall’unione coniugale non sono nati figli e non sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda” (Trib. Salerno, sent. n. 908/2020).

I motivi dell’assegnazione della casa coniugale

Se il fine dell’assegnazione della casa coniugale è garantire ai figli di continuare a vivere  nell’ambiente nel quale sono cresciuti, ci sono dei motivi per i quali il giudice può disporre il diritto di abitazione dell’immobile nei confronti del coniuge non proprietario.

La coppia deve avere dei figli ancora minorenni o maggiorenni non autosufficienti dal lato economico.

Se i figli sono adulti o abitano per conto loro, non si procederà a nessuna assegnazione.

La casa può essere assegnata al coniuge non proprietario esclusivamente a condizione che lo stesso venga prescelto per essere il genitore “collocatario”, e i figli dovranno abitare con lui.

Ad esempio, se il giudice decide che i figli debbano abitare con la madre, la stessa avrà diritto di abitare nella casa dell’ex marito.

Se la scelta dovesse andare sull’ex marito, lo stesso continuerebbe a vivere nella sua abitazione, e potrebbe dovere pagare alla donna un assegno di mantenimento più elevato.

Come condiviso da parte della giurisprudenza, la concessione del beneficio dell’assegnazione della casa coniugale al coniuge non proprietario resta subordinata all’affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni economicamente non autosufficienti.

La nozione di convivenza che rileva ai fini dell’assegnazione della casa familiare determina la stabile dimora del figlio minorenne o maggiorenne non ancora indipendente economicamente nella stessa, anche se con eventuali allontanamenti per periodi più o meno brevi, per motivi di studio o di lavoro, purché ritorni appena possibile.

Se il figlio ha una sua casa nonostante i rari ritorni, anche se regolari, presso il precedente immobile, in qualità di ospite, si perde l’assegnazione della casa coniugale.

Ci deve essere un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione, anche se non sia quotidiana.

La Suprema Corte di Cassazione ha anche detto che

“la possibilità per il giudice del conflitto familiare di assegnare la casa all’una o all’altra parte è subordinata all’esistenza di figli minorenni o comunque non indipendenti sul piano economico, perché diversamente la sorte del bene è determinata dai diritti, reali o personali, esistenti sul bene stesso.

Mentre nel caso di figli minorenni la casa va preferibilmente assegnata al genitore presso il quale viene disposta, sulla base della valutazione giudiziale dell’interesse dei figli, la prevalente collocazione dei minori, nel caso di figli maggiorenni è corretto tener conto del desiderio di questi ultimi rispetto alla convivenza con l’uno o con l’altro genitore, per garantire ai figli un miglior benessere affettivo, nella continuità di habitat domestico”.

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