Brevi note sull’assunzione del debito quale forma di pagamento nella vendita immobiliare in seno alla procedura fallimentare

Paola Rossi 30/09/20
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  • Premessa

La questione da affrontare concerne l’applicabilità alle vendite di immobili gravati da ipoteca poste in essere in seno alla procedura fallimentare dell’istituto giuridico normato dall’art. 508 c.p.c., inteso quale forma di pagamento del prezzo.

La giurisprudenza di legittimità riferita a casi coinvolgenti procedure fallimentari ante riforma (c.d. Vecchio rito) riteneva applicabile la prefata disposizione (cfr. Cassazione Civile n. 1712 del 11/07/1967 Il Foro Italiano Gennaio 1968, Cassazione Civile n. 5449 del 19/10/1981 Banca dati DeJure – Arch. Civ. 1982,22, Cassazione Civile n. 5916 del 27/05/1995 in Il fall. 1996 e in Il Caso.it, Cassazione Civile n. 10909 del 25/07/2002 in Banca dati DeJure).

In particolare la Suprema Corte di Cassazione n. 5916/1995 ha ribadito: «(…) In adesione a tali precedenti[1], va dunque riconosciuto che il generale richiamo alle norme del processo di esecuzione contenuto nell’art. 105 L.F., in quanto compatibili con le disposizioni della legge speciale, non trova ostacolo nella esecuzione di una vendita, quale quella nella fattispecie effettuata sotto il controllo degli organi fallimentari, i quali ben possono individuare, come modalità di pagamento, quella (non necessariamente consistente nel versamento del prezzo) di accollo del debito ipotecario da parte dell’aggiudicatario. La fissazione di tali modalità rientra infatti nei poteri del G.D. in tema di liquidazione dell’attivo, à sensi degli artt. 108 e 109 L.F., tenuto conto, fra l’altro, che il soddisfacimento dei creditori ipotecari, nell’ambito di tale liquidazione, costituisce un’operazione autonoma rispetto alla ripartizione di altre attività (Cass. 3015-71; 4474-77; 394-78), ove sia comunque rivolta a realizzare un risultato conforme al comune interesse dei creditori.

Il richiamo operato dalla disciplina fallimentare al rito civile consente dunque agli organi fallimentari di spaziare nella scelta di modelli diversi, per soddisfare le esigenze della collettività dei creditori (Cass. 5641-90, in parte motiva), col solo limite che i modelli prescelti non arrechino pregiudizio alla massa. Se dunque l’accollo del debito ipotecario da parte dell’aggiudicatario non costituisce se non una modalità del pagamento del prezzo di aggiudicazione, da effettuarsi sotto il controllo degli organi della procedura, non possono dirsi violate le norme sul riparto fallimentare.

Può aggiungersi che, come ha esattamente osservato il tribunale, il proposto accollo non costituisce una rinegoziazione del credito, al di fuori della procedura concorsuale, inerendo la proposta stessa alla fase ultima dell’aggiudicazione, relativa al versamento del prezzo. (…)» (enfasi aggiunta).

Il D. Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006 e successivamente il D. Lgs. n. 169 del 12 settembre 2007 nonché da ultimo il D.L. n. 83 del 27 giugno 2015, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 132 del 6 agosto 2015 hanno innovato la fase di liquidazione dell’attivo in seno alla procedura fallimentare.

In particolare, per quanto di interesse, la compatibilità delle norme del codice di rito, considerata fattispecie residuale, può trovare luogo solo ove nel programma di liquidazione il curatore fallimentare abbia previsto la ipotesi di vendita con la modalità di cui all’art. 107 comma 2 Legge Fallimentare[2].

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  • Un recente caso di applicazione

La questione circa l’applicabilità dell’istituto giuridico normato dall’art. 508 c.p.c., quale forma di pagamento del prezzo, è stata recentemente affrontata dal Tribunale di Milano Sezione Fallimentare -2^ Civile (RG 1038/13 sub 1) con il provvedimento del 21/09/2017 riferito ad una procedura fallimentare post riforma 2006.

Nel caso veniva proposta la istanza di assunzione del debito ai sensi dell’art. 508 c.p.c. da parte dell’aggiudicatario della procedura competitiva di vendita di immobili nonché da parte del cessionario del credito assistito dall’ipoteca sull’immobile (il creditore originario aveva presentato la domanda di ammissione al passivo e veniva ammesso).

L’istanza veniva rigettata dal Giudice Delegato sull’assunto della non applicabilità alle vendite fallimentari della disciplina di cui all’art. 508 c.p.c. per le motivazioni di seguito riportate:

«i) la riforma della legge fallimentare introdotta con il D Lgs 6/2005 ha modificato l’art. 105 l.f. eliminando il rinvio alle norme del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione, rappresentando l’ipotesi di cui all’art. 107 co 2 l.f. fattispecie residuale di applicazione delle norme del cpc;

ii)l’ordinanza che ha disposto la vendita non richiama né prevede l’applicazione della disposizione codicistica invocata dagli istanti;

iii) in sede concorsuale è inderogabile il soddisfacimento dei creditori mediante distribuzione delle somme ricavate secondo la disciplina dell’art. 110 l.f. con piano di riparto predisposto dal curatore e soggetto al contraddittorio dei creditori concorrenti;

iv) la determinazione del compenso al curatore spetta la Tribunale e non può essere rimessa ad un accordo tra creditore e aggiudicatario. »

In seno al procedimento di reclamo ex art. 26 Legge Fallimentare avverso il provvedimento del Giudice Delegato il Tribunale, preso atto che l’ordinanza di vendita emessa dallo stesso Giudice Delegato non escludeva esplicitamente l’applicazione delle norme del codice di procedura civile, disponeva diversamente.

Il Collegio meneghino ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale di merito in punto di applicabilità in ambito fallimentare della disposizione di cui all’art. 508 c.p.c. in ragione della quale, «in caso di aggiudicazione di un bene gravato da pegno o ipoteca, l’aggiudicatario può essere autorizzato dal giudice ad accordarsi con il creditore pignoratizio o ipotecario ad assumere il debito con le garanzie ad esso inerenti, liberando il debitore e limitandosi a versare solamente la parte del prezzo occorrente per le spese e la soddisfazione degli altri creditori che potranno risultare capienti (Tribunale Milano 24-5-2017 g.d. Simonetti, Tribunale Milano est. Lupo 23 agosto 2017; Tribunale di Firenze 09 maggio 2015).» (enfasi aggiunta)

Nello specifico il Collegio osserva:

  1. la modifica dell’art. 105 Legge Fallimentare operata dalla riforma fallimentare del 2006 in generale consente al curatore la scelta della modalità di vendita degli assets appresi all’attivo, ma, nella cornice della competitività. La riforma non ha inteso creare un sistema rigido ed escludere l’applicazione delle norme del codice di procedura civile. Peraltro l’art. 107 comma 2 Legge Fallimentare (si veda precedente nota 2) prevede l’applicabilità delle norme del codice di rito, in quanto compatibili, se il curatore ne faccia espressa previsione nel programma di liquidazione.

La valutazione della compatibilità dell’art. 508 c.p.c. va effettuata in concreto atteso che in  generale il pagamento del prezzo mediante assunzione del debito non è incompatibile con la liquidazione concorsuale.

Si pensi che, nel caso di vendita dell’azienda, di rami, di beni e rapporti in blocco, la facoltà di procedere al pagamento mediante accollo di debiti da parte dell’acquirente viene espressamente prevista dalla Legge Fallimentare solo se non viene alterata la graduazione dei crediti (cfr. art. 105 ultimo comma Legge Fallimentare [3]);

  1. l’assunzione del debito della procedura fallimentare verso il creditore ipotecario con liberazione della procedura stessa può avvenire a precise condizioni:
  • rispetto dei principi della competitività e della par condicio creditorum;
  • versamento delle spese prededucibili di procedura e di quelle specifiche imputabili al bene in punto di non alterazione delle cause di prelazione;
  • la proposta di assunzione del debito da parte dell’aggiudicatario assume i medesimi effetti di un riparto parziale delle somme derivanti dalla liquidazione del bene e la comunicazione ai creditori del provvedimento autorizzativo può garantire il rispetto del principio del contraddittorio in ossequio agli artt. 110 e ss Legge Fallimentare.

Solo in caso di omesso reclamo del provvedimento autorizzativo potrà procedersi al trasferimento del bene;

  • il creditore ipotecario deve accettare l’accollo dell’aggiudicatario con liberazione immediata della procedura fallimentare in luogo del versamento del prezzo (trattasi di diritto disponibile);
  • le somme da versare alla procedura fallimentare per spese e prededuzioni e il loro quantum non possono essere oggetto di accordo tra l’aggiudicatario e il creditore ipotecario. La competenza del Tribunale fallimentare per la liquidazione del compenso del curatore fallimentare rimane invariata;
  • la vendita dovrà avvenire nel rispetto della competitività e pertanto qualsiasi aggiudicatario potrà avvalersi della facoltà di cui all’art. 508 c.p.c.

Nello stesso senso a favore della possibilità per qualsiasi aggiudicatario di avvalersi della facoltà di versamento del prezzo con le modalità di cui all’art. 508 c.p.c. (oltre il versamento delle spese di procedura generali e specifiche imputabili al bene e fermo restando il pagamento dei tributi dovuti) si è pronunciato anche il Tribunale di Bergamo con provvedimento del 13/03/2019 in seno al procedimento di reclamo ai sensi dell’art. 26 Legge Fallimentare. Nel caso si trattava di vendita competitiva disposta ai sensi dell’art. 107 comma 1 Legge Fallimentare e, peraltro, nel bando di vendita non era stata neanche menzionata la possibilità di assunzione dei debiti da parte dell’aggiudicatario[4].

Occorre anche tenere in considerazione che con riguardo ai mutui fondiari vige l’art. 41 comma 5 del D.Lgs. n. 385/1993.

La norma individua una specifica ipotesi di assunzione del debito, insensibile all’autorizzazione del Giudice (“dell’esecuzione”), nella forma di subentro nel contratto di finanziamento stipulato dal debitore configurando una tipologia di accollo con regole sue proprie e distinte dalle previsioni di cui all’art. 508 c.p.c.

La questione rileva atteso che l’espropriazione fondiaria può essere iniziata o proseguita successivamente alla dichiarazione di fallimento diversamente dalle procedure esecutive individuali promosse da altri creditori.

  • L’istituto dell’assegnazione

Negli ultimi tempi, in punto di liquidazione dei beni in seno alla procedura fallimentare, è stato oggetto di intervento giurisprudenziale di merito l’istituto dell’assegnazione il cui discorso tuttavia è diverso e più complesso rispetto all’istituto di cui all’art. 508 c.p.c.

L’assegnazione è stata ritenuta incompatibile con il sistema della procedura fallimentare sia per le peculiari modalità di liquidazione dell’attivo che per le norme che regolano il successivo riparto delle somme realizzate nel rispetto del principio cardine, a garanzia dei creditori, della par condicio creditorum.

L’incompatibilità della c.d. assegnazione-vendita trova fondamento nella carenza (mancanza) della “competitività” richiesta dalla Legge Fallimentare per la sostanziale limitazione dei soggetti potenzialmente interessati a partecipare alla vendita (si veda Cassazione Civile n. 5069 del 22/07/1983 in Giurisprudenza Commerciale 1984, II 265 – Tribunale di Roma 17/04/1996 De Jure- Giur. Merito 1996, 646[5]).

Recentemente il Tribunale di Larino-Sez. Fallimenti 10 novembre 2016, in Il Caso.it, ha ritenuto applicabile (al particolare caso esaminato) l’istituto dell’assegnazione nel rispetto del principio della par condicio creditorum e sulla base di un apprezzamento discrezionale del Giudice Delegato che ne valuta la convenienza rispetto alla vendita fermo restando il versamento in favore della procedura fallimentare da parte del creditore aspirante alla assegnazione di «un importo pari al valore dei crediti dei creditori che hanno diritto di prelazione anteriore rispetto al proprio, nonché la quota parte delle spese della procedura che gravano sul bene medesimo. »[6].

  • Conclusioni

L’applicabilità alla liquidazione fallimentare della c.d. assegnazione-vendita immobiliare è fortemente discutibile per i limiti sopra esposti.

Nel mentre l’applicabilità alla liquidazione fallimentare dell’istituto giuridico normato dall’art. 508 c.p.c., inteso quale forma di pagamento del prezzo nel caso di vendita di immobili gravati da ipoteca, trova conforto sia da parte della giurisprudenza di legittimità che di merito.

Il provvedimento del Collegio meneghino del 21/09/2017 per la chiarezza e la organicità con cui ha affrontato, anche operativamente, la questione dell’applicabilità dell’art. 508 c.p.c. è molto interessante tenuto conto che da tempo e, in particolare, nel momento attuale aggravato dalla emergenza sanitaria COVID-19 sono sotto gli occhi di tutti le “difficoltà” che incontrano gli organi fallimentari nella liquidazione degli assets immobiliari che possono essere interessati dalla prefata disposizione.

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Note

[1] Il riferimento è alla Cassazione Civile n. 1712 del 11/07/1967 in Il Foro Italiano Gennaio 1968 e alla Cassazione Civile n. 5449 del 19/10/1981 Banca dati DeJure – Arch. Civ. 1982,22

[2] L’art. 107 Legge Fallimentare al comma 2 recita: « (…) Il curatore puo’ prevedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili (…) ».

[3] Art. 105 Legge Fallimentare: « (…) Il pagamento del prezzo può essere effettuato mediante accollo di debiti da parte dell’acquirente solo se non viene alterata la graduazione dei crediti. (…)»

[4] Altri casi:

Tribunale di Verona n. 22-23/12/2016 «In caso di vendita in sede fallimentare, ove risulti che sull’immobile aggiudicato sussistono iscrizioni ipotecarie solo a favore dell’aggiudicatario, in difetto di ulteriori iscrizioni e di ragioni creditorie che possano trovare capienza sul bene stesso, può essere limitato il versamento del prezzo ex art. 585 c.p.c. a quanto risultante opportuno per oneri e spese, tenuto conto dell’offerta. » (massima Il Fallimentarista 17/02/2017)

Tribunale di Roma 09/06/1999 «In virtù del richiamo dell’art. 105 l. fall. alle disposizioni del c.p.c. relative al processo di esecuzione, trova applicazione alle vendite fallimentari la norma dell’art. 585, comma 2, c.p.c. la quale prevede che, se l’immobile è stato aggiudicato a un creditore ipotecario, il giudice dell’esecuzione può limitare, con un suo decreto, il versamento del prezzo alla parte occorrente per le spese e per la soddisfazione degli altri creditori che potranno risultare capienti: tale norma però, trasportata in sede fallimentare, deve essere coordinata con gli art. 109 e 111 l. fall. » (massima DeJure – Fonte: Foro padano 2000, I, 301 (nota di: DI GRAVIO) Giur. merito 2001, 387 (s.m)

Cassazione n. 13013 del 31/05/2006: « (…) Quando, però, aggiudicatario sia un creditore ipotecario, il giudice ha il potere discrezionale, esercitabile anche senza istanza di parte, di limitare con decreto il versamento a quanto dovuto per le spese e la soddisfazione dei creditori che potranno risultare capienti.

 In tale caso il giudice opera, evidentemente di ufficio, una sorta di compensazione giudiziale sul prezzo.

Occorre avvertire che si tratta di compensazione che in relazione alla natura del procedimento esecutivo, caratterizzato dall’esistenza di un titolo, prescinde dall’accertamento concreto delle condizioni richieste dall’art. 1243 c.c..

L’esercizio del potere presuppone il diritto del creditore ipotecario a soddisfarsi con prelazione rispetto a qualsiasi altro creditore concorrente.

Il che significa che il giudice deve accertare se l’immobile è gravato da privilegi o ipoteche di grado poziore ed in caso di esito affermativo dell’accertamento non può emettere il decreto.

Nonostante l’ambigua formula dell’art. 585 c.p.c. si ritiene che l’aggiudicatario deve versare per intero la somma che residua alla soddisfazione del proprio credito, anche se essa non sia da utilizzare tutta per soddisfare gli altri creditori capienti, perchè l’eventuale supero potrà essere distribuito ai creditori non capienti ed essere restituito al debitore.

L’aggiudicatario è in ogni caso tenuto a versare la somma occorrente a coprire le spese, salvo che non abbia proceduto al pignoramento e sostenuto le spese del procedimento, anche se l’ammontare del suo credito non risulta interamente coperto.(…) » in Banca dati DeJure

[5] Cassazione Civile n. 5069 del 22/07/1983: « (…) Nell’affrontare il problema relativo al coordinamento fra il sistema normativo della legge fallimentare e la disciplina dell’esecuzione forzata contenuta nel codice di rito, è di fondamentale importanza la considerazione, acutamente formulata in dottrina, che il sistema di liquidazione dell’attivo delineato dalla legge fallimentare tende alla trasformazione in danaro dei beni del fallito per il successivo riparto tra i creditori, talché non rimane spazio per inserire l’assegnazione forzata nella procedura concorsuale, con la quale appare perciò incompatibile. Né va trascurato di considerare che il sistema legislativo sulla disciplina delle vendite si dimostra completo, così da non richiedere il ricorso all’analogia per colmare lacune che non esistono. Appare inoltre esatto l’altro rilievo dei giudici di merito, secondo cui l’assegnazione altererebbe la par condicio creditorum. Essa favorirebbe, infatti, il creditore assegnatario a preferenza degli altri ed altererebbe, inoltre, il normale corso del procedimento fallimentare, caratterizzato da riparti parziali successivi. Per quanto concerne poi, la cosiddetta assegnazione-vendita, la sua incompatibilità con la struttura del fallimento è insita nel fatto che la limitazione degli offerenti ai soli creditori restringerebbe il potenziale ammontare del ricavato delle vendite fallimentari. Giova rilevare, inoltre, che per la liquidazione dei beni immobili del fallito la legge fallimentare prevede un formalismo assai intenso e certamente superiore a quello richiesto dal codice di rito, tant’è che prescrive come regola il ricorso alla vendita con incanto, mentre nell’esecuzione singolare l’art. 569 c.p.c., attribuisce la priorità alla vendita senza incanto, ammettendo il sistema dell’incanto solo se il giudice dell’esecuzione lo ritenga più vantaggioso. (…).» (in Giur. comm. 1984, II,265)

Tribunale di Roma 17/04/1996: «Nella procedura fallimentare non è applicabile, in tema di liquidazione dell’attivo, la disciplina ordinaria del codice di rito circa l’assegnazione forzata, giacché il richiamo alle norme del codice di procedura civile – in quanto compatibili – è circoscritto a quelle concernenti la vendita di beni mobili o immobili. » (Fonte: Giur. merito 1996, 646)

[6] Si riporta il testo conclusivo del caso specifico esaminato dal Tribunale di Larino « (…) Venendo al caso di specie, si ritiene che l’istanza di assegnazione presentata dalla Banca di San Marino S.p.A. possa essere accolta, con le precisazioni e secondo le modalità di cui si dirà. Infatti:

  • il bene, libero e quindi immediatamente disponibile per un potenziale acquirente, è stato posto in vendita due volte, la seconda ad un prezzo inferiore di ¼ rispetto al primo tentativo, e nonostante una compiuta pubblicizzazione dell’avviso non sono state formulate offerte;
  • esso, nonostante il servizio di vigilanza predisposto, subisce continui atti predatori, che ne stanno progressivamente minando l’integrità e dunque l’appetibilità sul mercato (gli impianti elettrici dello stabilimento e dei macchinari vengono continuamente danneggiati dai furti di rame);
  • l’unica manifestazione di interesse che è pervenuta fuori dai canali del programma di liquidazione non era affatto accoglibile (ed infatti non è stata accolta) poiché prevedeva prezzi e tempi di pagamento del tutto incompatibili con lo stesso (e per altro il curatore ha riferito che ad essa l’offerente non ha più dato corso);
  • il bene per il quale è stata formulata la richiesta di assegnazione è l’unico cespite acquisito all’attivo fallimentare, con la conseguenza che l’assegnazione consentirebbe alla procedura di avviarsi alla fase di chiusura;
  • il creditore richiedente l’assegnazione è titolare, sul complesso richiesto, di ipoteca per un importo di gran lunga superiore al valore di assegnazione;
  • non vi sono creditori che avrebbero diritto ad essere preferiti al richiedente;
  • un nuovo tentativo di vendita non avrebbe senso (tenuto conto di quanto sin qui accaduto) ove esso si svolgesse ad un prezzo base pari a quello precedente, né vi sono indici da quali poter desumere in alcun modo che un ulteriore esperimento (ed i costi a ciò necessari) consentirebbe di collocare il plesso ad un prezzo superiore a quello per il quale il creditore chiede l’assegnazione;

Ciò posto, al fine di garantire la par condicio dei creditori, appare necessario che il curatore, preliminarmente, inviti ciascuno di essi a manifestare il proprio interesse all’assegnazione del bene; inoltre, ogni creditore che si renda disponibile all’assegnazione (e quindi anche la Banca di San Marino) dovrà versare in favore della procedura un importo pari al valore dei crediti dei creditori che hanno diritto di prelazione anteriore rispetto al proprio, nonché la quota parte delle spese della procedura che gravano sul bene medesimo.

P.Q.M.

Manda al curatore affinché, previa determinazione dei costi della procedura gravanti sul cespite oggetto di assegnazione, inviti i creditori concorsuali a manifestare il proprio interesse ad ottenere l’assegnazione per un importo pari al prezzo base dell’ultimo tentativo di vendita, con avvertenza che dovranno comunque essere versate le spese di procedura e quelle dei crediti con diritto di prelazione anteriore a quello del creditore richiedente. Riserva all’esito, ogni ulteriore provvedimento. (…)»

Paola Rossi

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