Brevi considerazioni su alcune cruciali questioni in materia condominiale

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Peculiare forma di comproprietà contraddistinta dalla convivenza di beni sia di proprietà individuale esclusiva sia comuni, posti in relazione di accessorietà rispetto ai primi, il condominio è una comunione forzosa e perpetua di parti comuni di un edificio avente una disciplina costituita per alcuni profili, da norme specifiche e derogatorie e, per gli altri, da un generico rinvio a quelle previste per la comunione in generale.

Proprio questa particolare scelta tecnico – legislativa è all’origine delle molteplici questioni emerse ed affrontate in giurisprudenza perché rispetto a molte di esse è mancata e continua a mancare, malgrado la recente legge n 220/2012 che entrerà in vigore il 18 giugno 2013, una risposta normativa precisa e/o univoca.

Al riguardo già con riferimento allo stesso concetto di condominio sono comparsi dubbi circa la sua estensione minima e massima ovvero alla riconducibilità in questa figura del condominio parziale, di quello “minimo” e del cd “supercondominio”, che hanno indotto la giurisprudenza ad effettuare precisazioni in merito ai requisiti e alla disciplina concreta applicabile. E’ stata in questo senso affermata la sussistenza di un condominio parziale laddove vi siano opere o impianti destinati dalla legge o dal titolo legale a servire solo una parte dei comproprietari, con il conseguente onere delle spese di manutenzione e di conservazione solo a carico di questi ultimi; è stato qualificato come condominio anche quello formato da due soli condomini delimitando nel contempo la disciplina applicabile (esclusione del principio maggioritario ma richiamo alle norme stabilite dall’art 1105 cc); è stata giustificata l’appartenenza del supercondominio alla categoria in esame con l’applicazione della relativa disciplina in ragione del collegamento funzionale dei vari edifici distinti ed autonomi con una serie di impianti o servizi comuni a tutti gli edifici e si è specificato altresì che per la sua costituzione non è necessaria una specifica manifestazione di volontà né del costruttore né di tutti proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio ma è sufficiente il semplice fatto materiale dell’esistenza di questo collegamento.

Sul punto la legge n 220/2012 con i nuovi artt. 1117 e 1117 bis C.C. non solo recepisce in toto le citate posizioni giurisprudenziali in tema di requisiti e di ambito di applicabilità ma fornisce altresì un dettagliato, ma non tassativo, elenco di beni da considerare iuris tantum oggetto di comunione tra i quali figurano ex novo i pilastri, le travi portanti, i sottotetti, gli impianti per il condizionamento dell’aria, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione nonché quelli per la ricezione radiotelevisiva, precisando che nel novero dei proprietari vanno inclusi anche i titolari di multiproprietà immobiliare, che il condominio viene in essere ipso iure et de facto, senza necessità di specifiche manifestazioni di volontà e che la presunzione di condominialità può essere superata sia da un titolo contrario sia nel caso in cui la cosa per caratteristiche strutturali o destinazione oggettiva serva in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte esclusiva dell’immobile.

Particolarmente acceso risulta, invece, il dibattito sulla natura, parziale o solidale, della responsabilità dei condomini per le obbligazioni assunte dall’amministratore nell’interesse dell’intero condomino in relazione al quale la giurisprudenza appare divisa in due orientamenti.

Da un lato i fautori della tesi maggioritaria sostengono la natura solidale dell’obbligazione fondando le proprie argomentazioni sull’esegesi degli articoli 1294, 1123 e 1292 CC. Dalla lettura combinata di queste norme si desumerebbe che la solidarietà costituisce la regola generale nelle fattispecie di più soggetti obbligati per una medesima prestazione se dal titolo o dalla legge non risulta diversamente, con conseguente eventuale obbligo dell’adempimento della totalità a carico di ognuno, senza che alcuna incidenza possa avere al riguardo il criterio di riparto degli oneri condominiali avente rilevanza meramente interna.

Dall’altro i sostenitori della tesi della parziarietà affermano che alle obbligazioni assunte nell’interesse del condominio vadano applicate analogicamente i criteri dettati dagli artt. 752 e 1295 CC per le obbligazioni ereditarie con possibilità per l’amministratore del condominio di recuperare le somme anticipate rispetto ad ogni condomino solo nei limiti della rispettiva quota, come avviene nei rapporti interni perché nel caso in esame, come in materia ereditaria, si è in presenza di obbligazioni propter rem, contraddistinte da uno stretto collegamento tra le stesse e la titolarità della quota di proprietà rispetto alle quali la solidarietà viene meno.

A suffragare la tesi minoritaria sono poi inaspettatamente intervenute le S.U. della Cassazione Civile con la pronuncia n 9148 del 08.04.2008 nella quale è stato sviluppato un interessante iter argomentativo: da un lato è stata confutata la tesi maggioritaria giudicando sia l’art 1294 CC che l’art 1292 CC come norme descrittive degli effetti della solidarietà, equivoche rispetto alla sua ratio e perciò inidonee a fornire elementi per accertarne la sussistenza; dall’altro è stata sottolineata la necessità di verificare l’esistenza, nella fattispecie in esame, di tutti i presupposti della solidarietà costituiti dalla pluralità di debitori, dalla medesima causa obligationis e dall’indivisibilità della prestazione. Sennonché nelle obbligazioni del condominio difetterebbe, come sottolineato dalle S.U., proprio l’indivisibilità, poiché il pagamento di una somma di denaro è senza dubbio una prestazione divisibile per cui il criterio di riparto indicato nell’art 1123 cc è l’unica regola, è la disciplina delle obbligazioni condominiali tout court, senza distinguo tra profilo interno ed esterno.

La pronuncia delle S.U. non ha posto fine al dibattito giurisprudenziale in quanto ad essa sono seguite pronunce sia conformi che difformi. L’argomento principe alla base del suddetto revirement giurisprudenziale ovvero l’indivisibilità quale requisito indefettibile dell’obbligazione solidale, è stato oltre tutto fortemente criticato dalla dottrina che ritiene inaccoglibile una simile interpretazione restrittiva dell’ambito di operatività della presunzione di solidarietà passiva, perché priva di significato e di utilità l’art 1294 CC attesa l’incontroversa natura solidale delle obbligazioni indivisibili.

Altra dottrina, sempre in chiave critica, ha inoltre evidenziato che la restaurazione del criterio della parziarietà, vigente nel codice civile abrogato e nel diritto romano, nel solo ambito delle obbligazioni contrattuali contratte dall’amministratore di condominio, oltre ad essere eccessiva rispetto alle esigenze di giustizia sostanziale manifestatesi a livello economico e sociale in questo settore, si pone addirittura in palese contrasto sia con il principio di uguaglianza codificato nell’art 3 Cost. che con quello del giusto processo previsto dall’art 111 Cost.

La legge n 220/2012 in proposito sembra schierarsi a favore della tesi maggioritaria ripristinando in parte il principio della solidarietà passiva in relazione ai debiti condominiali. In effetti dal combinato disposto dei nuovi art. 63, 67 disp att C.C. e 1135 n 4 C.C. emerge che in materia, malgrado l’obbligo, posto a carico dei creditori, di preventiva escussione dei condomini morosi e la previsione di un fondo speciale d’importo pari all’ammontare dei lavori per la copertura delle spese per le opere di manutenzione straordinaria e per le innovazioni, sussiste una solidarietà passiva assimilabile, quanto a modalità, a quella locatizia in caso di cessione del contratto. Ad un attento esame, il legislatore della riforma in più occasioni stabilisce espressamente che si tratta di responsabilità solidale come per esempio nei confronti del nudo proprietario e dell’usufruttuario in relazione al pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale, del subentrante nei diritti di un condomino rispetto al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente e del cedente diritti su unità immobiliari rispetto ai contributi maturati fino al momento della trasmissione all’amministratore della copia autentica del titolo di trasferimento del diritto.

Quanto ai poteri dell’assemblea e al quorum necessario per l’approvazione delle tabelle millesimali, nel silenzio sia dell’art 1123 CC che del primo comma dell’art 68 delle disp att del CC nella sua originaria versione, la giurisprudenza, previamente individuata la natura giuridica delle tabelle millesimali, ha adottato due opposte opzioni interpretative. Secondo la prima l’adozione delle tabelle millesimali sarebbe un negozio di accertamento per cui sarebbe necessaria l’unanimità dei consensi mentre per l’altra sarebbe un atto non dispositivo ma meramente ricognitivo di criteri legali di ripartizione delle spese per il quale sarebbe sufficiente l’approvazione a maggioranza.

Le S.U. della Corte di Cassazione Civile con la pronuncia n 18477 del 09.08.2010 non solo hanno convalidato la seconda tesi ma hanno fornito a sostegno di questa scelta una motivazione ben argomentata e puntuale, ribadendo che la tabella millesimale serve solo ad esprimere in termini aritmetici un preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini già fissato dalla legge, senza incidere in alcun modo su di essi. In definitiva la tabella millesimale non sarebbe altro che la trasposizione in forma intellegibile di un rapporto di valore già stabilito. Inoltre, nella citata motivazione, per individuare il quorum necessario per l’approvazione, la Suprema Corte muove da una puntuale esegesi letterale dell’art 69 disp att del CC e dall’art 1138 cc secondo il seguente iter logico: le tabelle sono allegate al regolamento di condominio, il regolamento di condominio è adottato a maggioranza dall’assemblea, ergo le tabelle devono essere approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio in assenza di espressa disposizione contraria.

Sul punto la legge n 220/2012, con le modifiche apportate all’art 1138 C.C. e agli artt. 68 e 69 delle disp att. C.C., ha fatto definitivamente chiarezza sotto due profili. Da un lato ha ribadito che le tabelle millesimali vanno redatte, ove non precisato dal titolo ai sensi dell’art 1118 C.C., in base al valore proporzionale di ciascuna unità espresso in millesimi e che sono uno strumento per il funzionamento del condominio ai fini della ripartizione delle spese e della costituzione dell’assemblea e della validità delle relative deliberazioni e non già un requisito necessario per la costituzione dello stesso. Dall’altro ha fissato in modo inequivocabile la disciplina da applicarsi in caso di rettifica o revisione delle tabelle di ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali distinguendo due fattispecie ed i relativi quorum. In effetti mentre in generale per la rettifica e/o modifica è richiesta l’unanimità, in due casi, in presenza di errore o di uno squilibrio di valore di oltre un quinto conseguente a sopraelevazione, incremento di superfici o incremento o diminuzione di unità immobiliari, anche nell’interesse di un solo condomino, è ritenuta sufficiente la maggioranza stabilita nell’art 1136 comma 2 C.C.

Altrettante criticità, infine, si sono delineate relativamente alla figura dell’amministratore, ai suoi requisiti soggettivi e alla sua legittimazione processuale attiva e passiva.

Riconosciuto in modo pressoché unanime che l’incarico di amministratore non sottintende l’esistenza di un ente di gestione con eventuale, unitaria ed autonoma responsabilità ma si configura semplicemente come un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza con conseguente applicabilità della relativa disciplina nei rapporti tra amministratore e condomini, ci si è interrogati a lungo in giurisprudenza se la funzione di amministratore potesse essere svolta anche da una persona giuridica o soltanto da una persona fisica.

La tesi restrittiva argomentava la preclusione dall’ufficio di amministratore di condominio per la persona giuridica con la natura essenzialmente fiduciaria del mandato e con la circostanza che le norme del codice civile sull’amministrazione dei condomini, ivi comprese quelle relative al controllo giudiziale dei relativi atti, sembrano implicitamente presupporre che l’amministratore sia una persona fisica.

La tesi favorevole, al contrario, obiettava che le norme in tema di condominio non prevedono limiti di scelta per l’assemblea (nulla recita nello specifico l’art 1129 CC) e che l’elemento fiduciario non risultava ontologicamente incompatibile con la struttura societaria potendo questa essere sottoposta al sindacato giudiziario previsto dall’art 1129 CC analogamente a quanto avviene per la persona fisica.

A dirimere definitivamente il contrasto, in adesione alla tesi favorevole, sono intervenute le S.U. della Cassazione Civile con la pronuncia n 22840/2006 che, da un lato, ha in parte svalutato la valenza fiduciaria del mandato conferito all’amministratore e, dall’altro, ha riconosciuto al mandato conferito ad una persona giuridica la stessa affidabilità di quello a favore di una persona fisica. D’altra parte, ulteriore conferma della validità della posizione assunta dalle S.U. della Cassazione Civile è costituita, a parere di chi scrive, dalle stesse attribuzioni conferite all’amministratore dall’art 1130 CC atteso che per nessuna di esse è indefettibile l’esecuzione da parte di una persona fisica.

In proposito la legge n 220/2012, malgrado le rivoluzionarie modifiche introdotte in materia di nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore, non si è occupata direttamente di alcune delle questioni succitate, implicitamente confermando le tesi giurisprudenziali in tema di personalità giuridica del condominio e di inquadramento giuridico del rapporto condomini – amministratore nello schema del mandato.

Ne consegue che poiché il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio, sia esso ad nutum o per i casi di giusta causa indicati invia esemplificativa e non tassativa nel nuovo art 1129 CC, si configura come un giudizio di risoluzione anticipata e definitiva del rapporto di mandato andranno applicati i principi generali in tema di riparto dell’onere della prova dell’inadempimento dell’obbligazione, con obbligo per i condomini di provare la fonte del diritto e soltanto di allegare la circostanza dell’inadempimento di contro all’onere dell’amministratore di provare il fatto estintivo della pretesa di revoca ovvero l’avvenuto, puntuale adempimento degli obblighi di gestione.

Con riferimento ai soggetti giuridici legittimati a svolgere la funzione di amministratore di condominio, il legislatore della riforma ha invece recepito espressamente la tesi delle S.U. favorevole alla nomina di società richiedendo nel nuovo art 71 disp att. C.C. il possesso dei requisiti soggettivi ivi elencati in capo a persone fisiche che rappresentano l’organizzazione societaria (socio illimitatamente responsabile, amministratore, dipendente incaricato a svolgere questo compito).

Alla legge n 220/2012 va comunque riconosciuto il merito sia di aver valorizzato e responsabilizzato il ruolo di gestore di patrimonio altrui rivestito dall’amministratore, sia di aver ridefinito sotto molteplici aspetti la relazione amministratore – condomini in chiave preventivo e/o risolutiva del contenzioso. In questo senso nei nuovi artt. 71 bis disp att C.C., 1130, 1130 bis e 1135 C.C. sono indicati in maniera precisa i requisiti soggettivi necessari, i compiti e gli obblighi dell’amministratore in tutte le fasi di svolgimento del suo incarico (ivi compresa quella del passaggio di consegne), sono previste polizze assicurative e fondi speciali di importo pari all’ammontare dei lavori, sono elencate le condotte legittimanti la revoca per giusta causa e specificati gli adempimenti fiscali e contabili per redazione, tenuta e conservazione del rendiconto annuale e dei registri condominiali ai fini di un’effettiva trasparenza del suo operato e di una maggior tutela degli interessi di tutti i condomini.

In ultimo, in tema di legittimazione processuale, se incontroversa risulta la legittimazione attiva grazie all’esplicita previsione contenuta nel primo comma dell’art 1131 CC (che così dispone: “nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art 1130 CC o dei maggiori poteri conferiti dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore…può agire in giudizio…”) non altrettanto può dirsi per quella passiva a causa dell’equivocità del contenuto dei successivi commi dell’art 1131 CC, che appare ancora più evidente se rapportata a quanto disposto dagli artt 1132 e 1136 CC.

In merito, in giurisprudenza si sono formati due orientamenti opposti. Secondo il primo la legittimazione dell’amministratore a resistere in giudizio non avrebbe limiti anche rispetto alle azioni di natura reale rivolte contro il condominio e concernenti le parti comuni dell’edificio sussistendo per l’amministratore un solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente su i suoi poteri rappresentativi, di riferire all’assemblea. Questa opzione interpretativa tuttavia appare inadeguata e non esente da critiche perché si pone in contrasto sia con la competenza dell’assemblea a deliberare in merito alle liti passive prevista dal comma 4 dell’art 1136 CC sia con la facoltà per i condomini di dissociarsi dalle liti in caso di soccombenza stabilita dall’art 1132 CC.

In base al secondo orientamento giurisprudenziale, invece, fondato su un’interpretazione complessiva degli ultimi commi dell’art 1131 CC e degli artt. 1132 e 1136 CC l’amministratore di condominio, nelle controversie non rientranti tra quelle che possono essere autonomamente proposte ai sensi del 1 comma dell’art 1131 CC, non sarebbe legittimato a resistere in giudizio per il condominio senza l’autorizzazione dell’assemblea, ma convocato in giudizio, sarebbe obbligato ad avvisare al più presto l’assemblea stessa per le decisioni del caso.

Le S.U. della Cassazione Civile intervenute sul punto con la sentenza n 18332/2010 hanno invero prospettato una soluzione intermedia tra le due tesi sopra descritte, al fine di contemperare l’esigenza di una tempestiva difesa con quella del diritto di scelta dei condomini in merito all’azione giudiziaria da adottare, affermando che l’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art 1131 commi 2 e 3 C.C. può anche costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dell’assemblea ma deve, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione da parte del giudice.

Siffatta pronuncia delle S.U. non è tuttavia riuscita a porre fine al dibattito giurisprudenziale. Ne costituisce prova evidente la circostanza che addirittura nello stesso anno 2012 la Sez. II della Corte di Cassazione Civile ha aderito in un primo momento alla seconda tesi nella pronuncia n 4988 del 28.03.2012, poi a quella intermedia nella n 11841 del 12.07.2012 e recentemente alla prima con la n 16901 del 04.10.2012.

Né indicazioni risolutive in questo senso sono state fornite dal legislatore della riforma. Nella legge n 220/2012 in effetti non si rinviene una precisa presa di posizione in merito alla legittimazione processuale attiva e/o passiva dell’amministratore ma soltanto una semplice indicazione, nel nuovo art 69 disp att. C.C., dell’amministratore quale unico legittimato passivo per conto del condominio limitatamente ai giudizi riguardanti la revisione delle tabelle millesimali.

In tale quadro appare pertanto indispensabile un ulteriore, decisivo intervento chiarificatore da parte delle S.U.

Gaspari Alessandra

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