Breve riflessione sul vizio dell’opera appaltata, e sulla opportunità degli interventi legislativi che ostacolano le impugnazioni delle sentenze

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Un immobile di nuova costruzione (una villa posta su più piani) presenta diffuse crepe a ragnatela in quasi tutte le stanze che lo compongono, dovute – come sarà accertato in corso di CTU – al cedimento del massetto e ad altri gravi difetti del sottofondo.

La questione, che giuridicamente potrebbe sembrare banale (si tratta di vizio rilevante ex art. 1667 o 1669 cod. civ.?), ha ricevuto soluzioni diverse nei gradi di giudizio che si sono svolti.

La Corte d’Appello di Milano, infatti, con sentenza n. 1268 dell’8 maggio 2008, aveva qualificato quei difetti come rilevanti soltanto ex art. 1667 cod. civ., e, confermando la precedente decisione del Tribunale di Como, sezione distaccata di Cantù, aveva rigettato le domande del committente, che per quei difetti chiedeva di essere risarcito, per intervenuta prescrizione.

Viceversa, con la sentenza n. 9119 del 6 giugno 2012 (in calce sono riportate entrambe le sentenze), la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in tema di qualificazione del vizio ex art. 1669 cod. civ. dell’opera appaltata, ed ha cassato con rinvio la decisione della corte territoriale.

E’ in effetti ben noto che i gravi difetti di costruzione, i quali danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ., non si identificano semplicemente con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, espressamente previsti dalla citata norma, ma possono consistere in tutte le alterazioni che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera (e dunque non necessariamente la sua interezza), incidano sulla struttura e sulla funzionalità globale, menomando apprezzabilmente il godimento dell’opera medesima da parte di chi ha diritto di usarne. Pertanto, il vizio rileva anche se relativo ad elementi non strutturali della costruzione, come rivestimenti o pavimentazione.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è del tutto uniforme in questo senso, e dunque la Cassazione ha fatto corretta applicazione di consolidati principi di diritto.

Cfr., tra le molte:

  • Cass. civ. sez. II, 4 ottobre 2011 n. 20307: Il “difetto di costruzione” che, a norma dell’art. 1669 cod. civ., legittima il committente all’azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’appaltatore, come del progettista, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” o il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (conformi: Cass. civ. sez. II, 29 aprile 2008 n. 10857; Cass. civ. sez. II, 4 novembre 2005 n. 21351);

  • Cass. civ. sez. II, 6 febbraio 2009 n. 3040: Il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittima il committente alla relativa azione può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (Cass. n. 11740/2003, n. 117/2000 ed altre, precedenti e successive, conformi)”;

  • Cass. civ. sez. II, 28 aprile 2004 n. 8140: Configurano gravi difetti dell’edificio a norma dell’art. 1669 c.c. anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, ecc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati”.

Ora, se la questione, dal punto di vista giuridico, non sembra porre grandi interrogativi, qualche perplessità sorge invece, dal punto di vista della politica del diritto, avuto riguardo agli interventi legislativi, passati e annunciati, in tema di disincentivo alle impugnazioni delle sentenze.

Tra quesiti di diritto (prima introdotti e poi cancellati), aumenti esponenziali del contributo unificato, filtri di ammissibilità e limitazioni ai motivi di ricorso per Cassazione (cfr. le modifiche introdotte al codice di procedura civile dal D.L. 83/2012, convertito con modificazioni dalla L. 134/2012), il legislatore sembra porre una grande fiducia sul principio che decide bene chi decide per primo, e sembra invitare il cittadino che incorre in una sentenza ingiusta a non insistere, a lasciare perdere, ché tanto il sistema giudiziario ha altro di cui occuparsi che non accertare i torti e le ragioni.

A noi sembra invece (e la fattispecie in esame lo dimostra) che il sistema giudiziario esista apposta per ciò da cui lo si vuole, in modo non dichiarato ma sempre più evidente, sottrarre, e nell’assistere impotenti al continuo assottigliarsi delle possibilità di far valere i propri diritti (guai a protestare: “la casta degli avvocati difende i propri privilegi!”, la risposta pronta, mai nel merito, sarebbe sempre la stessa) ricordiamo le parole di *************, nel film “Tutti dentro” (1984), il cui protagonista, magistrato incorrotto che si ritrova sotto inchiesta, dichiara, ci auguriamo non profeticamente: Io mi chiedo se è ancora utile investire tante energie per l’applicazione delle leggi, o se invece, rinunciando a vacue speranze e ad aspettative mai ripagate, non ci convenisse accettare l’ingiustizia come regola e non come eccezione. Questo nella speranza, ovviamente, che almeno l’ingiustizia sia uguale per tutti”.

 

RG 14957/09

Cron. 9119

Rep. 799

U.P. 12/4/2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. ****************** – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ************** – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14957/09) proposto da:

B.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli ************************* e *********** ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via Flaminia, n. 342/B;

– ricorrente –

M. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1268/2008, depositata l’8 maggio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 aprile 2012 dal Consigliere relatore ******************;

udito l’Avv. *********** per il ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ****************************, che ha concluso per il rigetto dei primi due motivi del ricorso e per l’accoglimento del terzo e quarto motivo.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 20 luglio 1999, il sig. B.G. esponeva che: -con contratto del 4 dicembre 1992 aveva appaltato alla s.a.s. M. i lavori di costruzione di una villa nell’ambito del territorio del Comune di Carimate, con la conseguente esecuzione dell’opera appaltata tra i mesi di aprile 1993 e marzo 1994; – che, nei primi mesi del 1995, era apparsa una crepa a ragnatela nel pavimento del soggiorno al piano terra dell’edificio, seguita poi dalla comparsa di altre crepe nei pavimenti di altre stanze; – che da una verifica tecnica era emerso che l’inconveniente verificatosi era da ascrivere a gravi difetti nel sottofondo, quali la presenza di materiale incoerente e l’assenza (o scarsa efficacia) dei giunti perimetrali, che avevano comportato il ritiro degli strati sottostanti la pavimentazione; – che la società appaltatrice, nonostante la pronta denuncia dei vizi emersi dalla consulenza, non si era attivata per porre rimedio agli indicati inconvenienti; sulla scorta di tanto evocava, perciò, in giudizio dinanzi al Tribunale di Como – sez. dist. di Cantù la predetta società appaltatrice chiedendone, in via alternativa, la condanna all’eliminazione diretta dei vizi, ovvero la condanna al pagamento di una somma corrispondente al costo delle opere necessarie, oltre alla condanna al risarcimento dei danno connesso ai disagi subiti. Nella costituzione della convenuta, il giudice adito, con sentenza n. 126 del 2003, sul rilievo che i difetti riscontrati non fossero inquadrabili nel disposto dell’art. 1669 c.c., perveniva al rigetto della domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia di cui all’art. 1667 c.c., comma 3, come formulata nell’interesse della s.a.s. M.

Interposto gravame da parte del B.G., la Corte di appello di Milano, nella costituzione dell’appellata, con sentenza n. 1268 del 2008 (depositata l’8 maggio 2008), rigettava l’impugnazione e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale ravvisava la correttezza della sentenza di primo grado in ordine alla rilevata insussistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 1669 c.c., in virtù della mancata configurazione del requisito della gravità dei difetti di costruzione, per quanto risultante dagli accertamenti tecnici eseguiti, considerando, pertanto, altrettanto corretta la statuizione del Tribunale relativa alla ritenuta prescrizione del diritto azionato, poichè l’azione era stata proposta oltre il termine biennale dalla data di ultimazione dell’opera previsto dall’art. 1667 c.c., comma 3, malgrado gli inconvenienti si fossero manifestati solo dopo pochi mesi dalla consegna (e, perciò, in tempo utile per l’esperimento dell’ordinaria azione di garanzia contemplata in materia di appalto).

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il B.G., articolato in quattro motivi, in ordine al quale l’intimata società non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il difensore del ricorrente ha, altresì, depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, con tale doglianza il B. ha chiesto a questa Corte – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, poichè la sentenza impugnata risulta pubblicata l’8 maggio 2008) di stabilire se, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione previsto dall’art. 1667 c.c., comma 3, sia necessaria un’obiettiva certezza, o comunque un apprezzabile grado di conoscenza, della gravità dei difetti e della loro derivazione causale, verificando, pertanto, se fosse incorsa in violazione del citato art. 1667 c.c., la decisione impugnata con la quale la Corte di appello aveva, nel caso di specie, ritenuto di far decorrere il termine prescrizionale previsto dal menzionato dell’art. 1667 c.c., comma 3 dal verificarsi dei primi sintomi dei vizi, e non, invece, dalla data della consegna dell’elaborato peritale del febbraio 1999, che ne aveva individuato le cause.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, chiedendo a questa Corte di valutare se fosse incorsa in tale violazione la sentenza impugnata con la quale era stata motivata la data di decorrenza della prescrizione ex art. 1667 c.c., comma 3, dal semplice manifestarsi dell’inconveniente, senza dar conto di alcuna motivazione in relazione alla formazione, in capo al committente, di un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale, e ciò, tanto più in ipotesi, quale quella oggetto del giudizio, della presenza di molteplici imprese appaltatrici e della necessità di ricorrere ad accertamenti tecnici, di seguito acquisiti, e dalla cui formazione si era appresa l’effettiva consistenza dei difetti.

2.1. I primi due motivi – esaminabili congiuntamente perchè tra loro connessi – vanno dichiarati inammissibili in quanto afferiscono ad una questione nuova, ovvero quella relativa al regime di applicabilità della disciplina della prescrizione prevista dall’art. 1667 c.c., comma 3, Infatti, per quanto desumibile dalla sentenza in questa sede impugnata, si evince che l’atto di appello concerneva solo la qualificazione dei dedotti vizi ai sensi dell’art. 1669 c.c. (v. pagg. 5 e 6 della suddetta sentenza), con l’accoglimento delle domande ad essa correlate, ed il ricorrente non ha contestato tale circostanza nè ha indicato adeguatamente, avuto riguardo al contenuto del ricorso, il motivo di appello con il quale aveva proposto la complessiva doglianza riportata nei primi due motivi ora valutati.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, chiedendo a questa Corte – in virtù del citato art. 366 bis c.p.c. – di stabilire se, in presenza di vizi e difetti del massetto e del sottofondo della pavimentazione riscontrati nella generalità dei locali dell’immobile per cui era controversia, tali da interessare tutte le pavimentazioni del fabbricato e provocanti le generalizzate fessurazioni riscontrate ed il generale distacco della pavimentazione in legno, difetti dovuti al cedimento de massetto, che si sgretolava alla semplice pressione delle dita (come rilevato ed accertato dal c.t.u.), fosse incorsa nella violazione dell’art. 1669 c.c., la decisione impugnata con la quale era stata ritenuta, invece, applicabile la disciplina di cui all’art. 1667 c.c., sul presupposto, erroneo, della necessità della presenza di una situazione di potenziale pericolo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha inteso far valere il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) chiedendo a questa Corte di valutare se fosse incorsa in tale vizio la sentenza impugnata, con la quale, in presenza di una c.t.u., che aveva accertato che i difetti lamentati avevano riguardato tutte le pavimentazioni del fabbricato ed erano state causate dal cedimento del massetto (che si sgretolava alla semplice pressione delle dita), aveva affermato che il fenomeno si era diffuso solo nella zona giorno, mentre negli altri locali era rimasto limitato a due o tre episodi. Con lo stesso motivo il B. ha chiesto a questa Corte di verificare se fosse, altresì, viziata da omessa o contraddittoria motivazione la sentenza impugnata che, pur avendo riscontrato la presenza di vizi e difetti del massetto cu cui poggiava la pavimentazione, non aveva valutato l’affermazione del c.t.u. che aveva rilevato “il ridotto grado di coesione poichè la semplice pressione delle dita ne produceva lo sgretolamento” ed aveva, così, affermato non trattarsi di difetto strutturale. Infine, sempre con la stessa doglianza attinente a vizio motivazionale, ha chiesto a questa Corte di valutare se fosse incorsa in omessa motivazione la Corte di appello di Milano con la decisione impugnata mediante la quale, in presenza di vizi e difetti che avevano interessato il massetto ed il sottofondo del pavimento, aveva apoditticamente affermato che i vizi riscontrati non incidevano in modo significativo sul godimento dell’immobile, senza spiegarne le motivazioni, e, quindi, senza considerare l’incidenza di tali difetti nella loro funzione di piano d’appoggio di mobili ed infissi, ovvero nella funzione di essere superficie radiante del riscaldamento, ed ancora, e non da ultimo, nell’indiscutibile funzione decorativa che esso assolveva.

4.1. Questi due motivi – che possono essere trattati insieme per l’evidente connessione che li lega (investendo la medesima questione sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale) – sono fondati e devono, pertanto, essere accolti. Pur essendo rimesso al giudice del merito l’accertamento relativo alla idoneità dei difetti in concreto riscontrati a pregiudicare o meno la conservazione ed il godimento della costruzione appaltata ed a ricadere, quindi, rispettivamente nella previsione dell’art. 1669 o in quella dell’art. 1667 c.c., occorre evidenziare che – secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr., tra le tante, Cass. n. 81 del 2000; Cass. n. 8140 del 2004; Cass. n. 10857 del 2008 e, da ultimo, Cass. n. 20307 del 2011) di questa Corte (alla quale si aderisce) – sono configurabili come gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come nel caso in cui la realizzazione sia avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, età), purchè tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorchè ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o anche mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati.

In altri termini, il vizio che assume rilevanza ai sensi di cui al citato art. 1669 c.c. deve essere in grado di pregiudicare in modo grave (e non necessariamente globale) la funzione alla quale l’immobile è destinato, limitandone in modo notevole la possibilità di godimento (anche con riferimento ad una sola parte apprezzabile dello stesso). Siffatto pregiudizio, quindi, non deve incidere indispensabilmente sulla stabilità dell’opera, nè comportare pericolo di rovina in senso stretto, dovendosi annoverare tra i gravi difetti di costruzione, valutabili ai fini dell’applicabilità dell’art. 1669 c.c. in discorso, anche quelli che si risolvono nella realizzazione dell’opera con materiale assolutamente inidoneo pur se riguardano elementi non propriamente strutturali quali i rivestimenti o la pavimentazione. Orbene, sulla scorta di tali presupposti, la Corte milanese, pur manifestando essenzialmente adesione al suddetto orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) che incasella nell’alveo di applicabilità del menzionato art. 1669 c.c. ogni alterazione che incida in modo sensibile sugli elementi strutturali e funzionali della costruzione comportando un’apprezzabile menomazione dell’ordinario godimento dell’opera e della normale utilità cui essa è destinata, è pervenuta, alla stregua di un percorso motivazionale insufficiente e contraddittorio (con riferimento alla valutazione delle circostanze fattuali rimaste obiettivamente accertate), alla conclusione di escludere che i difetti riscontrati nella fattispecie sottoposta al suo esame – quali conseguenze ricollegabili alla cattiva esecuzione dei sottofondi della pavimentazione – potessero essere ricondotti nell’ambito delle suddette alterazioni perchè non pregiudicanti in misura considerevole la funzionalità in senso proprio e le ordinarie condizioni di utilizzo dell’abitazione. Così argomentando, infatti, la Corte territoriale, oltre alla essenziale genericità dell’impostazione valutativa dei difetti dedotti in giudizio, non ha tenuto conto delle univoche risultanze della c.t.u. in relazione alla gravità e all’ampiezza delle lesioni (generalizzate in tutte le pavimentazioni ed estese a tutto l’edificio), come tali comportanti – per stessa ammissione evincibile dalla motivazione (v. pag. 8 della sentenza) – il rifacimento integrale del massetto e, quindi, la rinnovazione e la successiva sostituzione dell’intera pavimentazione.

Alla stregua di tali emergenze il giudice di appello ha, dunque, errato nell’escludere l’insussistenza di un’imperfezione costruttiva di natura strutturale (il c.t.u. ha addirittura evidenziato che, in virtù del ridotto grado di coesione presente nella pavimentazione, sarebbe stata sufficiente la semplice pressione delle dita per produrne lo sgretolamento), come tale idonea a pregiudicare in modo duraturo una delle finiture essenziali dell’abitazione (strutturata, peraltro, su più livelli), quale il pavimento, in dipendenza della anomalia di posa del sottofondo, con la correlata necessità di demolizione dei pavimenti inesattamente messi in opera e dell’inerente massetto e della loro completa sostituzione (v., per una fattispecie analoga, Cass. n. 10857 del 2008, cit). La Corte di appello lombarda è, pertanto, incorsa nella dedotta violazione di legge (di cui al terzo motivo) e nel prospettato vizio motivazionale (esposto nel quarto motivo) nell’escludere – alla stregua di un percorso argomentativo per molti versi illogico e, in ogni caso, inadeguato – che, in presenza di vizi del massetto e del sottofondo della pavimentazione riscontrati nella generalità dei locali dell’immobile in questione (sviluppato in più piani), tali da interessare quasi tutte le pavimentazioni del fabbricato e provocanti le generalizzate fessurazioni oltre al generale distacco della pavimentazione in legno, in virtù di difetti riconducibili al cedimento del massetto (determinanti la necessità della rimozione totale del pavimento e della sua completa sostituzione), si ricadesse nell’ambito di applicabilità dell’art. 1669 c.c.

5. In definitiva, devono essere accolti il terzo e quarto motivo del ricorso, con la conseguente cassazione in proposito della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che, nel rinnovare in modo logico e sufficiente la motivazione in ordine alle emergenze fattuali obiettive scaturite dal complessivo svolgimento del giudizio (con particolare riguardo, naturalmente, alle risultanze istruttorie), si atterrà – con riferimento all’accolta doglianza relativa alla dedotta violazione di legge – al seguente principio di diritto: “il difetto di costruzione” che, a norma dell’art. 1669 c.c., legittima il committente all’esperimento della relativa azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” o il “perìcolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo particolarmente considerevole sul godimento dell’immobile medesimo, come nel caso (ricorrente nella fattispecie) in cui l’imperfezione costruttiva di natura strutturale riguardi la finitura essenziale del pavimento (nella sua quasi globalità) determinante la inutilizzabilità dell’abitazione (nel caso in questione strutturata su più livelli) a causa dell’anomalia di posa del sottofondo con correlato cedimento del massetto, in tal modo conseguendo la necessità della rimozione della pavimentazione e della sua successiva completa sostituzione”. I giudice di rinvio provvederà anche a regolamentare le spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità dei primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo e quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 12 aprile 2012.

Il Consigliere estensore Il Presidente

Depositato in cancelleria

Roma, 6 giugno 2012

Sentenza n. 1268/08

Rep. n. 1175/08

R.G. n. 3229/04

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

La Corte d’Appello di Milano, Sezione quarta civile, composta dai Sigg.:

 

DI ****************** – Presidente

************************** – Consigliere

CAROSELLA Dott. ***** – Consigliere rel.

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa civile promossa con atto d’appello notificato in data 14 luglio 2004 n. 11363 cronol. UNEP Tribunale di Como, posta in deliberazione nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2007

 

da

 

B.G., rappr. e difeso dagli Avv.ti Gianrodolfo Ferrari di Como e ****************** di Milano, presso quest’ultimo domiciliato, per procura speciale alla lite a margine dell’atto di citazione di appello

APPELLANTE

 

contro

 

M. S.a.s., con sede in Figino Serenza, in persona del suo legale rappresentante C.M., rappr. e difesa dagli ******************* di Como e ************ di Milano, presso quest’ultimo domiciliata, per procura speciale alla lite a margine della comparsa di costituzione del grado

APPELLATA

 

In punto: appello a sentenza del Tribunale di Como, sezione staccata di Cantù, n. 126/03 in data 12 novembre 2003

 

CONCLUSIONI

 

Dell’appellante:

Voglia la Corte d’Appello di Milano, ogni diversa domanda, eccezione respinta:

in riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Como, sezione staccata di Cantù, n. 126/2003

nel merito in principalità

condannare l’appaltatore al pagamento della somma di denaro corrispondente al costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti;

nel merito in subordine

condannare l’appaltatore all’esecuzione diretta delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti;

condannare in ogni caso l’appaltatore al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi da liquidarsi anche in via equitativa determinati in corso di causa.

Spese di entrambi i gradi rifuse.

In via istruttoria

Ove ritenuto opportuno si chiede supplemento di C.t.u., affinché il consulente, ispezionati i luoghi:

abbia a descrivere lo stato attuale dei pavimenti, specificando se i difetti descritti nelle precedenti relazioni peritali si siano ulteriormente aggravati;

in caso affermativo, abbia a specificarne la portata e le cause, evidenziando gli eventuali, ulteriori costi necessari per la loro eliminazione, indicando se tali episodi possano ancora aggravarsi;

dica se il cedimento del massetto possa avere in futuro effetti dannosi sull’impianto di riscaldamento;

abbia a precisare se tali danni, ove ritenuti esistenti, siano emendabili e con quali costi.

 

Dell’appellata:

Voglia l’adita Corte d’Appello di Milano, per tutti i titoli e le causali esposte in narrativa della comparsa di risposta, previe le necessarie e opportune declaratorie, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa avversaria:

preliminarmente

accertato e dichiarato che le domande formulate nell’atto di appello “nel merito in principalità” e “nel merito in subordine” sono nuove, dichiararne l’inammissibilità ai sensi dell’art. 345 c.p.c.;

nel merito:

rigettare l’appello proposto in quanto infondato in fatto e in diritto per tutte le ragioni esposte in narrativa nonché negli atti di primo grado da intendersi richiamati e trascritti, quindi confermare la sentenza impugnata;

in ogni caso:

con vittoria di spese diritti e onorari del presente grado di giudizio, gravati di oneri fiscali.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto di citazione notificato in data 20 luglio 1999, G.B., premesso: che con contratto del 4 dicembre 1992 aveva appaltato alla S.a.s. M. di C.M. & C. i lavori di costruzione di una villa in comune di Carimate; che l’opera era stata realizzata tra i mesi di aprile del 1993 e marzo 1994; che nei primi mesi dell’anno 1995 era comparsa una crepa a ragnatela nel pavimento del soggiorno al piano terra dell’edificio, seguita poi dall’evidenziarsi di nuove crepe nei pavimenti di altre stanze; che da una verifica tecnica era emerso che l’inconveniente derivava da gravi difetti nel sottofondo, quali la presenza di materiale incoerente e l’assenza – o scarsa efficacia – dei giunti perimetrali, che avevano comportato il ritiro degli strati sottostanti la pavimentazione; che l’appaltatrice, nonostante la pronta denuncia dei vizi emersi dalla consulenza, non si era attivata per porvi rimedio; tutto ciò premesso, conveniva la predetta società in giudizio, avanti al Tribunale di Como, sezione staccata di Cantù, chiedendone, in via alternativa, la condanna all’eliminazione diretta dei vizi, ovvero la condanna al pagamento di somma corrispondente al costo delle opere necessarie, oltre che la condanna al risarcimento del danno connesso ai disagi subiti.

La convenuta, costituitasi, in via preliminare eccepiva la decadenza e, comunque, la prescrizione dell’azione ai sensi dell’art. 1667 c.c., o dell’art. 1669 c.c., ove ritenuto applicabile. Per ogni ipotesi, contestava la fondatezza della domanda nel merito, ponendo in dubbio l’esistenza di un nesso causale tra le opere da essa eseguite e gli inconvenienti lamentati.

Con sentenza n. 126/03 in data 12 novembre 2003 il Tribunale, risolta l’ultima questione in senso favorevole alle aspettative dell’attore – alla stregua delle risultanze della C.t.u., analiticamente richiamate – e ritenuto, tuttavia, che i difetti riscontrati non fossero inquadrabili nel disposto dell’art. 1669 c.c., perveniva al rigetto della domanda, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia ex art. 1667, comma 3, c.c.

Contro tale sentenza proponeva appello, avanti a questa Corte, G.B., con atto di citazione notificato in data 14 luglio 2004, affidato ad un unico motivo-

L’appellata, costituitasi, resisteva al gravame, chiedendone il rigetto con rifusione di spese.

All’udienza del 10 maggio 2007, esaurita la fase di trattazione, le parti precisavano le conclusioni sopra trascritte, sulle quali la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi finali.

 

Motivi della decisione

 

L’appellante denuncia l’erroneità dell’impugnata sentenza per avere escluso che i vizi costruttivi riscontrati, pur correttamente ricondotti a responsabilità dell’impresa appaltatrice, presentassero un grado di gravità tale – per estensione, natura ed incidenza economica – da poter essere positivamente inquadrati nel disposto dell’art. 1669 c.c.

Nel richiamare le diffuse argomentazioni svolte nel corso del giudizio di primo grado circa l’ambito di applicazione della suddetta disposizione normativa, in particolare imputa al primo giudice di non aver considerato che il fenomeno di fessurazione e avvallamento che aveva interessato i pavimenti di tutti i vani dell’immobile, rappresentava la conseguenza del cedimento degli strati sottostanti, in particolare del massetto, e, quindi, di una struttura essenziale del fabbricato, che risultava fortemente compromessa sotto il profilo della funzionalità, con la rilevante incidenza sul piano economico attestata dall’onere di spesa stimato necessario per la relativa sistemazione.

Di conseguenza, sulla base di un’implicita contestazione dell’applicabilità alla fattispecie della normativa sull’appalto, che ha condotto il primo giudice a dichiarare la prescrizione dell’azione, insiste per l’accoglimento delle domande formulate in primo grado, riproposte non più sotto forma alternativa, bensì di subordinazione l’una all’altra.

Ritiene la Corte che il motivo, così per estrema sintesi riassunto, non abbia fondamento, dovendo effettivamente escludersi che gli inconvenienti riscontrati (fessurazioni e avvallamenti in più punti della pavimentazione dei locali di cui si compone l’immobile), prodotti dal cedimento del massetto e del sottofondo di posa verificatosi per cause non esattamente individuate, ma verosimilmente riconducibili al ridotto grado di coesione dei materiali, possano definirsi “gravi” ai sensi e per gli effetti della normativa invocata.

Ed invero, sebbene debba convenirsi, in adesione al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, che i “gravi difetti” di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano, in via esclusiva, con i fenomeni che influiscono sulla stabilità, durata e conservazione dell’edificio, pregiudicandone la sicurezza, ma comprendono ogni altra alterazione che incida in modo sensibile sugli elementi essenziali di struttura e funzionalità della costruzione, è tuttavia per sempre necessario che si tratti di alterazioni che comportino un’apprezzabile menomazione del normale godimento dell’opera e della normale utilità cui essa è destinata.

Il che è da escludere possa affermarsi con riferimento a fessurazioni e avvallamenti della pavimentazione di complessiva lieve entità intrinseca, così come in rapporto alla superficie globale, trattandosi di alterazioni che, pur di indiscutibile rilevanza sotto il profilo estetico, non ne pregiudicano in misura apprezzabile la funzionalità in senso proprio e le ordinarie condizioni di utilizzo. Conclusione questa che l’appellante vanamente contesta rimarcando l’estensione del fenomeno e tornando, senza più efficaci argomentazioni, a prospettare un’incidenza dello stesso sulla funzionalità dell’elemento costruttivo, oltre che ad evidenziare i rilevanti costi occorrenti per la sistemazione.

A confutazione dei suesposti rilievi si osserva: che in realtà, come si evince dalla tavole grafiche allegate alla C.t.u., il fenomeno può dirsi diffuso per la sola zona giorno al piano terreno, essendo per il resto limitato a due o al massimo tre episodi negli altri locali pavimentati, come quello, con piastrelle monocottura e consistendo, per i rimanenti locali pavimentati con listoni di legno, nel distacco, in qualche punto, dal sottostante piano di posa, per lo più percepibile unicamente atraverso il cambiamento di suono che si avverte alla pressione del piede; che una sua incidenza sulla funzionalità dell’elemento costruttivo, contrasta con l’obiettività dei fatti e della situazione rilevata dal consulente, il quale, è opportuno ricordarlo, ne ha escluso ogni rilevanza sotto il profilo della sicurezza, precisando trattarsi non di fenomeno di dissesto di tipo strutturale; che il concetto di gravità, nel senso voluto dalla norma, non può essere positivamente influenzato dai costi delle opere di ripristino, il cui rilevante ammontare dipende non tanto dal costo degli interventi necessari per la eliminazione dell’inconveniente, quanto dal costo degli interventi reputati necessari per l’eliminazione in radice della sua probabile causa e, quindi, per il rifacimento integrale del massetto, comportante la rimozione e successiva sostituzione dell’intera pavimentazione.

Le ulteriori argomentazioni addotte a sostegno del gravame, impongono, per completezza, di rilevare che il tenore letterale della norma (…se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti…) non dà adito a dubbi sul fatto che il concetto di “gravi difetti”, che nella nuova formulazione si è inteso affiancare ai casi più gravi della rovina o del pericolo di crollo unicamente contemplati dal codice previdente, debba essere valutato in rapporto alle conseguenze prodotte dal vizio di costruzione e non al vizio di costruzione in sé considerato, la cui gravità può assumere rilevanza nel solo caso, qui non ricorrente, in cui determini una situazione di potenziale pericolo.

Pertanto, considerato che in sede di chiarimenti il C.t.u. ha escluso che vi siano prospettive di una futura evoluzione in senso peggiorativo del fenomeno, avendo riscontrato, a distanza di anni, la presenza di nuove impercettibili lesioni circoscritte alle pavimentazioni dell’office e del vano cucina, conclusivamente si rileva che la declaratoria del Tribunale circa l’insussistenza delle condizioni atte a legittimare l’applicazione dell’art. 1669 c.c. appare corretta; così come corretta risulta l’applicazione alla fattispecie delle norma in tema di appalto e la conseguente pronuncia di prescrizione del diritto azionato, essendo stata l’azione proposta ben oltre il termine biennale dalla data di ultimazione dell’opera stabilito dall’art. 1667, comma 3, c.c., nonostante l’inconveniente si fosse manifestato dopo solo pochi mesi dalla consegna e, quindi, in tempo utile per l’esperimento dell’ordinaria azione di garanzia prevista in tema di appalto.

Per tali ragioni l’appello va rigettato, restandone assorbite le questioni relative alla prospettata novità delle domande formulate in questa sede dall’appellante.

La particolarità del caso, in rapporto alla non sempre agevole individuazione della normativa applicabile, rende conforme a giustizia un provvedimento di integrale compensazione delle spese del grado.

 

P.Q.M.

 

La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da G.B. contro la sentenza del Tribunale di Como n. 126/03 in data 12 novembre 2003, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

rigetta l’appello;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del grado.

 

Così deciso in Milano il 25 settembre 2007

 

IL PRESIDENTE

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL CANCELLIERE

Corte d’Appello di Milano

Depositato in Cancelleria

Oggi 8 maggio 2008

Scornajenghi Filippo

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