Breve osservatorio sulla responsabilità del medico dipendente da una struttura ospedaliera per i danni cagionati al paziente e riconducibili alla sua attività diagnostica o terapeutica

Geraci Rosa 13/11/08
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Com’è noto la prestazione medico professionale può essere eseguita sia da un medico libero professionista sia a da un medico dipendente da un ente ospedaliero o da una casa di cura privata.
Nella prima ipotesi il paziente conclude un contratto d’un opera intellettuale direttamente con il professionista e di conseguenza la responsabilità del sanitario per i danni cagionati dalla sua attività diagnostica o terapeutica è pacificamente riconducibile all’art. 1218 c.c.
Nel secondo caso, al contrario, una convenzione intercorre solo tra la struttura sanitaria e il paziente e quest’ultimo viene affidato (o sceglie di affidarsi) ad un medico dalla stessa dipendente.
In tale evenienza la presenza di una dicotomia tra parte formale del contratto e soggetto che effettivamente esegue la prestazione professionale ha dato luogo ad un vivace dibattito circa la natura giuridica della responsabilità del medico dipendente per i danni cagionati dalla sua attività diagnostica o terapeutica nei confronti dei paziente.
L’impostazione tradizionale riconduce tale responsabilità nell’alveo dell’art. 2043 c.c., sulla base della considerazione che in tali fattispecie il paziente stipula il contratto solo con la struttura sanitaria e  non con il medico curante.
Tale opzione interpretativa, tuttavia, non è sembrata persuasiva alla giurisprudenza più recente sotto vari profili.
Anzitutto non è apparsa condivisibile nella misura in cui equipara il medico dipendente al quisque de populo che si inserisce nella sfera giuridica altrui provocando l’evento dannoso. In tal modo, si osserva, “si riduce al momento terminale, cioè al danno, una vicenda che non incomincia con il danno ma si instaura prima come rapporto in cui paziente, quanto meno  in punto di fatto, si affida alle cure del medico ed il medico accetta di prestargliele”.
In secondo luogo si rileva che l’articolo 2043 c.c. avrebbe ad oggetto i soli comportamenti causativi di un danno, ossia i comportamenti peggiorativi, lesivi della salute e non consentirebbe di sanzionare comportamenti meramente non migliorativi.
Sul piano delle conseguenze pratiche, tuttavia, la tesi che configura come aquiliana la responsabilità del medico dipendente ha comportato una limitazione della tutela del paziente solo quando una delle due azioni risultava prescritta.
Se infatti in linea di principio le azioni di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale presentano considerevoli differenze sia sul piano sostanziale sia su quello processuale nella pratica la distinzione tende ridursi notevolmente ove rapportata all’attività medica, tanto da aver indotto taluni autori a dubitare della stessa portata non solo teorica di tale distinzione.
Al riguardo si rilevi, tuttavia, come la questione della natura giuridica della responsabilità del medico dipendente assuma un rinnovato interesse pratico, sul piano probatorio, alla luce della rilettura delle regole di distribuzione dell’onere della prova dell’inadempimento contrattuale effettuata delle Sezioni Unite con sentenza n. 13533/2001.
In applicazione del principio stabilito in tale pronuncia, infatti,  la qualificazione come contrattuale della responsabilità del medico dipendente comporta che il paziente che agisce in giudizio nei confronti del professionista, lamentandosi dell’ inesatto adempimento della prestazione sanitaria, sia esonerato dall’onere di dimostrare l’errore diagnostico o terapeutico. Grava infatti sul debitore la prova che la propria prestazione professionale sia sta eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto o imprevedibile.
Al contrario l’orientamento giurisprudenziale che ascrive la responsabilità del medico dipendente all’art. 2043 c.c. giunge ad esonerare il danneggiato dall’onere di dimostrare la colpa del sanitario dipendente solo nelle ipotesi di interventi routinari.
Al fine di apprestare una migliore tutela al paziente dottrina e giurisprudenza hanno tentato in vario modo di ricondurre la responsabilità del medico dipendente dalla struttura sanitaria nell’alveo della responsabilità contrattuale.
Alcuna pronunce configurano come contrattuale di tipo professionale sia la responsabilità della struttura sanitaria sia quella del medico dipendente sulla scorta dell’osservazione che entrambe hanno “una comune radice nell’esecuzione non diligente della prestazione sanitaria del professionista”.
A sostegno dell’assunto si fa leva sulla lettera dell’art. 28 Cost.. La norma, infatti, qualificando come “diretta” la responsabilità dei funzionari e aggiungendo poi che tale responsabilità “si estende” all’ente pubblico sembrerebbe presupporre – applicando il ragionamento al medico dipendente dall’ente ospedaliero – la medesima natura giuridica delle responsabilità del professionista e della struttura sanitaria.
Tale impostazione, tuttavia, ha destato talune perplessità.
Anzitutto il richiamo all’articolo 28 cost. non è sembrato esaustivo. La disposizione, infatti, si limita stabilire che è diretta la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti ma è muta sul piano della natura contrattuale o aquiliana di tale responsabilità.
Allo stesso modo non è apparso risolutivo l’argomento che fa leva sulla radice comune della responsabilità. Ciò sulla scorta del rilievo che è ammesso nel nostro ordinamento che un medesimo fatto comporti,  anche carico di soggetti diversi, entrambi i tipi di responsabilità.
Parte della dottrina ha qualificato come contrattuale la responsabilità del medico dipendente ravvisando nel contratto di lavoro stipulato tra la struttura sanitaria e il professionista un contratto a favore dei terzi ai sensi dell’art. 1411c.c. In particolare si osserva che la struttura sanitaria, nel momento in cui si assicura la prestazione professionale del medico, stabilisce anche che beneficiario della medesima sarà il paziente che successivamente la richiederà.
L’impostazione, tuttavia, secondo la giurisprudenza più recente, non sembra fotografare la reale fisionomia dei rapporti esistenti tra il paziente, da un lato,  e il medico o la struttura sanitaria dall’altro.
Si osserva, infatti, che quando il paziente decide di adire le vie giudiziarie per chiedere il risarcimento dei danni subiti non fa valere il contratto esistente tra l’ente ed il medico, di cui egli sarebbe beneficiario, ma azione il diverso contratto intervenuto tra lui e l’ente gestore per ottenere la prestazione sanitaria ovvero propone un’azione di responsabilità extracontrattuale per lesione di un suo diritto soggettivo assoluto, qual’è il diritto alla salute.
Per analoghe ragioni ha destato perplessità la tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un’ ipotesi di contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi.
Perciò la corte di cassazione, senza voler abbandonare l’idea dell’inadempimento nei rapporti tra medico e paziente, aderisce “al recente, ma sempre più consistente, orientamento della dottrina” secondo il quale la responsabilità  contrattuale del medico nascerebbe da “un’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto”.
La Suprema Corte, infatti, ravvisa nel “contatto sociale” che si instaura tra il medico e il paziente affidato alle sue cure, nonostante l’assenza di un contratto, quindi di un obbligo di prestazione, la fonte di specifici obblighi di cura, la cui violazione genera responsabilità contrattuale.
Precisamente tale relazione socialmente tipica viene  ricondotta all’alveo delle fonti delle obbligazioni quale “un fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” ai sensi dell’art. 1173 c. c.
A tal fine si valorizza la formula aperta dell’articolo 1173 c.c. La disposizione, infatti, stabilendo che “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito e da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle conformità all’ordinamento giuridico”, consente di inserire tra le fonti principi, soprattutto di rango costituzionale ( tra cui con specifico riguardo alla responsabilità del sanitario può annoverarsi il diritto alla salute), che trascendono singole proposizioni legislative.
Ne consegue che il contatto sociale è fonte di obblighi specifici, ben diversi dai generici doveri del naeminem laedere di cui all’art. 2043 c. c .e che soggiacciono alle regole proprie dell’obbligazione contrattuale.
Più analiticamente si noti che la  Suprema Corte da un lato fa discendere dal  contatto sociale non obblighi di prestazione ma solo doveri di protezione- al fine di non revocare in dubbio l’affermazione consolidata secondo cui l’obbligo di prestazione nasce per definizione dal contratto – dall’altro afferma che tali doveri di protezione sono ontologicamente identici ai doveri di prestazione.
Al riguardo autorevole dottrina ha rilevato come la cassazione sembri collegare al  contatto negoziale tra il medico ed il paziente non un mero obbligo di conservazione della sfera giuridica del malato, ma un vero e proprio obbligo di prestazione laddove afferma che “l’esercizio dell’attività sanitaria (e quindi il  rapporto paziente- medico) non potrà essere differente nel contenuto da quello che abbia come fonte un comune contratto tra paziente e medico”.
La citata pronuncia pone, dunque, agli interpreti la questione di “vedere se la presenza di tali obblighi che si definiscono specifici proprio a seguito del modo come questi sorgono (e l’espressione contatto è evidentemente figurativa ) non renda  esigibili proprio prestazioni, e cioè comportamenti finalizzati  allo scopo di soddisfare  gli interessi dei destinatari al di là di quello di “protezione”.
Oltre a porre il descritto  problema interpretativo, la qualificazione come contrattuale da contatto sociale della responsabilità del medico dipendente ha, poi, destato talune perplessità in dottrina, sia sotto il profilo dogmatico sia sotto quello applicativo.
Da un lato infatti si rileva che affinché possa sorgere una responsabilità contrattuale occorre che il contatto sociale, pur qualificabile in termini di fonte dell’obbligazione ex 1173 c.c., abbia quantomeno una base negoziale, assente nella fattispecie in esame.
Dall’altro non si è mancato di sottolineare  come tale opzione sia dotata di enormi potenzialità espansive anche di fuori di questo specifico settore.
I descritti rilievi critici, invero, non appaiono decisivi.
Quanto al primo si osservi che se si reputa che l’art. 1173 c.c. delinei un sistema di fonti delle obbligazioni atipiche e riconosca, dunque, la capacità di produrle ad ogni atto o fatto notato di efficacia vincolante alla luce di principi o criteri desumibili dall’ordinamento, valutato nella sua interezza, è agevole ricollegare al contatto sociale tra medico e paziente, pur in assenza di un contratto, specifici obblighi di cura, diversi dai doveri generici del neminem laedere. In primo luogo infatti la professione medica incide sul bene della salute, tutelato dall’art. 32 Cost.. A tale considerazione si aggiunga che “trattandosi dell’esercizio di un servizio di pubblica necessità, che non può svolgersi senza una speciale abitazione dello Stato, da parte di soggetti di cui il pubblico è obbligato per legge a valersi ex art. 359 c.p., e quindi trattandosi di una professione protetta, l’esercizio di detto servizio non può essere diverso a seconda se esista o meno contratto “.
Si osservi poi come la circostanza che la ricostruzione della responsabilità del sanitario come contrattuale da contatto sociale sia dotata di potenzialità espansive al di fuori del settore in esame non possa rappresentare, in sé, motivo sufficiente per abbandonare tale opzione interpretativa.
Al di là dei problemi interpretativi posti e delle perplessità destate l’impostazione accolta dal supremo collegio ha il merito di garantire al paziente una tutela più efficiente.
Come si è già rilevato, infatti, la qualificazione come contrattuale della responsabilità del medico dipendente comporta per il danneggiato l’applicazione di un regime più favorevole non solo sul piano del termine di prescrizione ma anche su quello probatorio.
La descritta ricostruzione della responsabilità del medico dipendente in termini contrattuali da contatto sociale ha trovato riscontro nella successiva giurisprudenza. La cassazione ha infatti ribadito recentemente che “l’obbligazione del medico dipendente dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente, ancorché ché non fondato sul contratto, ma sul “contratto sociale” ha natura contrattuale ( Cass., 22 dicembre 1999, n. 589). La responsabilità sia del medico che dell’ente ospedaliero per  inesatto adempimento della prestazione ha dunque natura contrattuale ed è  quella tipica del professionista, con la conseguenza che trovano applicazione il regime proprio di questo tipo di responsabilità quanto alla ripartizione dell’onere della prova e i principi dell’obbligazione da contratto d’opera professionale relativamente alla diligenza e al grado della colpa”.
 
 
Rosa Geraci
Dottoranda di ricerca in Diritto Comparato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo

Geraci Rosa

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